Gli angeli custodi di Paolo Borsellino

 

Chi erano

19 luglio 2024 L’ordine di servizio alla “QUARTO SAVONA 21” per il servizio di scorta al dottor Borsellino

 

 

PAOLO BORSELLINO, il commosso ricordo del suo capo scorta EMANUELE FILIBERTO

 

AGNESE BORSELLINO: “PAOLO e i suoi angeli custodi”  – video


 

Paolo mi diceva “quando decideranno di uccidermi, i primi a morire saranno loro. Per evitare che ciò accadesse spesso e quasi sempre alla stessa ora, mio marito usciva da solo per comprare le sigarette o il giornale, come se volesse mandare un messaggio ai suoi carnefici, perché lo uccidessero quando lui era solo e non quando si trovava con i suoi angeli custodi. «Per me, come per mio marito, erano persone che facevano parte della nostra famiglia e vivevano quasi in simbiosi con noi, condividevamo le loro ansie, i loro progetti. Un rapporto oltre che di umanità, di amicizia e di reciproca comprensione e rispetto». AGNESE BORSELLINO

 

 

Sono passati quasi trent’anni  dalla strage di via d’Amelio a Palermo nella quale persero la vitaPaolo Borsellinoe cinque dei sei membri della sua scortaAgostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi, Claudio Traina e Vincenzo Fabio Li Muli.
Lo sapeva Paolo Borsellino, lo aveva già previsto, ma sapeva anche di non poterlo evitare, non era solo la mafia a volerlo morto. A riportarci i pensieri del giudice è la moglie: “Mi ucciderà la mafia ma saranno altri a farmi uccidere. La mafia mi ucciderà quando i miei colleghi ed altri lo consentiranno”. Agnese Borsellino non si è mai tirata indietro quando le hanno chiesto di parlare degli uomini della scorta di suo marito: “Erano persone che facevano parte della nostra famiglia. Condividevamo le loro ansie e i loro progetti. Era un rapporto, oltre che di umanità e di amicizia, di rispetto per il loro servizio. Mio marito mi disse ‘quando decideranno di uccidermi i primi a morire saranno loro’, per evitare che ciò accadesse, spesso usciva da solo a comprare il giornale e le sigarette quasi a mandare un messaggio ai suoi carnefici perché lo uccidessero quando lui era solo e non in compagnia dei suoi angeli custodi”.

 

 



VIDEO

 
Andrea Gorlero, agente di scorta Paolo Borsellino : «Io mi ricordo quella volta che tornavamo dal Palazzo di Giustizia e salivamo a casa del dottor Borsellino. Lui era molto pensieroso e ad un certo punto disse: “Mi dispiace che probabilmente ci sarete pure voi”».Andrea Gorlero, non ha dubbi: «Io penso che il sacrificio dei ragazzi delle scorte e dei giudici Falcone e Borsellino sia servito, perché ha cambiato la coscienza popolare».
 
 

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LE AUTOPSIE “RACCONTANO” L’ATROCITÀ DEL MASSACRO

 

«A poche ore dal fatto, il 20.7.1992 alle 00.25, il Pubblico Ministero di Caltanissetta in persona dei dott. Giovanni TINEBRA, Francesco Paolo GIORDANO e Francesco POLINO, ai sensi dell’art. 360 C.P.P., aveva affidato incarico di consulenza tecnica autoptica sui cadaveri delle vittime della strage a un collegio di esperti medici legali, costituito dal dott. Paolo PROCACCIANTE (rectius Procaccianti: n.d.e.), Direttore dell’Istituto di Medicina Legale dell’Università di Palermo, e dai dott. Livio MILONE e Antonina ARGO, assistenti nel predetto Istituto.

L’ispezione esterna dei cadaveri e l’esame autoptico dei medesimi, per la determinazione delle cause della morte, sono stati effettuati nell’immediatezza del conferimento dell’incarico, come appare dai relativi verbali e relazioni autoptiche.
Il cadavere di Paolo BORSELLINO, trovato con indosso una cintura in cuoio marrone con frammento in stoffa, residuo della cintola dei pantaloni e frammento di stoffa di cotone verde, residuo di maglietta tipo “polo”, si presentava depezzato, risultando assenti l’arto superiore destro ed entrambi gli arti inferiori.
All’esame esterno si rilevava vasta area di ustione su buona parte dell’addome e del torace, nonché al viso, con colorito nerastro sulle regioni frontali e parietali.
Al capo si riscontrava soluzione di continuo lineare interessante il cuoio capelluto dalla regione frontale al padiglione auricolare destro, con distacco pressoché completo del padiglione stesso ed esposizione del condotto uditivo e della sottostante teca cranica; ferita all’arcata sopraciliare destra, frattura alle ossa nasali, ampia ferita lacero-contusa al cuoio capelluto.
Inoltre, si riscontrava asimmetria dell’emitorace destro con spianamento della regione mammaria, e fratture costali multiple; deformazione del profilo dell’addome; squarcio perineale; numerose soluzioni di continuo alla superficie cutanea del dorso.
L’esame con il “metal-detector” rilevava in varie sedi la presenza di numerosi frammenti metallici di varie dimensioni, ritenuti superficialmente sino ai piani muscolari, in particolare rinvenuti al capo in regione temporo-occipitale e al dorso in regione lombare.
Unitamente al cadavere si rinvenivano altri residui umani, verosimilmente appartenuti al medesimo, elencati e descritti nella relazione autoptica agli atti.
I medici legali concludevano che il decesso di Paolo BORSELLINO era stato determinato “da imponenti lesioni cranio-encefaliche e toraco-addominali da esplosione”.

GLI ACCERTAMENTI SUI CORPI DEGLI AGENTI

Il cadavere di Walter CUSINA veniva trovato con indosso un paio di pantaloni tipo “jeans” di colore verde, camicia in cotone a righe, slip in cotone bianco. L’ispezione esterna evidenziava aree di affumicamento cutaneo alla nuca e alla regione cervicale, nonché deformazione del massiccio facciale, frattura della mandibola e delle ossa nasali; ampio squarcio cutaneo alla regione anteriore del collo, da un angolo all’altro della mandibola, “… da cui protrude grosso frammento metallico, che viene repertato; detto frammento appare penetrare in profondità pervenendo sino alla cavità orale, con ampio sfacelo delle parti molli e recisione del fascio vascolo-nervoso destro del collo”.
Inoltre, si rilevava: uno squarcio in regione sternale e soluzioni di continuo al tronco e alle regioni anteriori degli arti inferiori; area di sfacelo delle parti molli alla coscia destra, con perdita di sostanza ed esposizione dei piani ossei; deformazione della coscia sinistra con aumento di volume; analoga area di sfacelo delle parti molli a carico della gamba destra.
I consulenti concludevano che il decesso di Walter CUSINA era stato determinato da “lesione degli organi vascolo-nervosi del collo e da politraumatismo da esplosione”.

L’ispezione esterna del cadavere di Emanuela LOI evidenziava la copertura della superficie cutanea da induito nero, vaste aree di disepitelizzazione e carbonizzazione delle estremità; sulla superficie anteriore del tronco si riscontravano varie soluzioni di continuo interessanti il torace e il collo.
Il cadavere appariva depezzato, perché mancante dell’avambraccio destro, degli arti inferiori all’altezza del terzo medio superiore femorale.
Alla regione sottomammaria si trovava ampia breccia interessante i piani ossei, con esposizione dei visceri della cavità toracica; inoltre si rilevavano: un ampio sfacelo delle parti molli residue del piano perineale; lesione da scoppio di tutto l’ovoide cranico, ampia ferita a spacco del cuoio capelluto in regione occipitale con sottostante scoppio della teca cranica; zona di distruzione delle parti molli ed ossee alla regione claveare e latero-cervicale sinistra; fratture costali multiple e squasso di tutti i visceri toracici; eviscerazione completa della matassa intestinale.
Si repertavano poi alcuni resti ritenuti appartenenti al cadavere, elencati e descritti nella relazione dei consulenti.
Gli stessi concludevano che la morte di Emanuela LOI era stata determinata da “ustioni diffuse in soggetto con squasso cranio-encefalico, depezzamento ed eviscerazione toraco-addominale da esplosione”.

Il cadavere di Agostino CATALANO veniva trovato con indosso brandelli di camicia e dei pantaloni, con la relativa cintola.
Il cadavere, la cui intera superficie cutanea appariva ricoperta da induito nero, risultava depezzato, perché mancante dell’arto superiore sinistro all’altezza del terzo superiore omerale e degli arti inferiori, all’altezza del terzo medio superiore femorale, con ampio sfacelo delle parti molli residue del piano perineale ed esposizione del piano osseo sacrale.
Si rilevava un’estesa carbonizzazione alla cute del viso, alla faccia anteriore del torace e all’addome; la cute del dorso e dei glutei appariva interessata da numerose soluzioni di continuo.
Inoltre, si riscontrava un’ampia soluzione di continuo alla cute della regione occipitale, con frattura della teca cranica; distacco della base di impianto del padiglione auricolare destro; soluzione di continuo in regione frontale destra.
L’apertura della calotta cranica permetteva di rilevare, in corrispondenza delle lesioni sopra descritte, l’infossamento dei margini ossei con presenza di numerose schegge ossee infisse nella materia cerebrale e con fuoriuscita di materiale cerebrale; frammenti di materiale metallico si rinvenivano alla regione temporo-auricolare destra e alle parti molli residue dell’arto inferiore sinistro.
I consulenti del Pubblico Ministero concludevano che la morte di Agostino CATALANO era stata determinata da “ustioni diffuse in soggetto con squasso cranio-encefalico e depezzamento da esplosione”.

Il cadavere di Vincenzo LI MULI era stato trovato con indosso brandelli di stoffa appartenenti alla cintola, residuo di “slip” e frammenti di tessuto carbonizzato non identificabile.
L’ispezione esterna del cadavere permetteva di rilevare una copertura pressoché totale di induito nero e il depezzamento conseguente alla mancanzadell’avambraccio e della mano sinistra, dell’arto inferiore sinistro e del terzo superiore della gamba destra.
Si rilevava la presenza di vaste aree di abbruciamento agli arti superiori, con carbonizzazione completa degli strati superficiali; inoltre si osservavano: otorragia destra; ampio squarcio in regione occipitale e cervico-occipitale con esposizione dei piani ossei sottostanti; soluzione di continuo in regione frontale, con esposizione della teca cranica, apparsa fratturata con avvallamento di grosso frammento osseo; vasta perdita di parti molli alla regione pubo-perineale, con sfacelo traumatico della regione pelvica.
I medici legali perciò stabilivano che la morte di Vincenzo LI MULI era stata determinata da “ustioni diffuse a tutta la superficie corporea, politraumi e depezzamento da esplosione”.

Il cadavere di Claudio TRAINA si presentava depezzato, mancando l’arto superiore sinistro, e interamente ricoperto da induito nero.
Si riscontrava lo sfacelo completo di tutto il distretto cervico-cefalico e dell’arto superiore destro, con componenti ossee pluriframmentate e vasta perdita di sostanza dell’avambraccio e della mano, ampio squarcio del cavo ascellare; inoltre si osservavano numerose soluzioni di continuo all’addome e al dorso, lo sfacelo dell’intero distretto pelvico, con eviscerazione della matassa intestinale; squasso degli arti inferiori e numerose soluzioni di continuo in tutta la relativa superficie cutanea; frattura della clavicola destra e di quattro costole; squarcio del sacco pericardico; lesione da scoppio della parete laterale del lobo inferiore del polmone sinistro; lesioni da scoppio a carico della faccia anteriore del fegato e della milza.
I consulenti del Pubblico Ministero concludevano che il decesso di Claudio TRAINA era stato provocato da “squasso cranio-encefalico e dal politraumatismo toraco-addominale con maciullamento degli arti, da esplosione”».


Lunedì 1 giugno 1992
Alla sera qualcuno suona al campanello della casa di Paolo Borsellino in via Cilea a Palermo. È una processione di carabinieri e poliziotti che vogliono chiedere al giudice una “raccomandazione” per essere annessi alla sua scorta. Ad aprire la porta di casa è Lucia, mentre Borsellino è ancora al lavoro in ufficio. Lucia fa accomodare tutti in salotto. Quando il giudice torna a casa ha però una reazione inaspettata: vede questi estranei in casa, chiama i familiari nella stanza più lontana e comincia a gridare contro di loro perché colpevoli di aver fatto entrare queste persone, non sopporta di vedere gente in casa, è stanchissimo. Solo dopo qualche minuto i familiari riescono a spiegargli il perché di quella inconsueta visita. Borsellino fa in tempo a bloccare il gruppo che, capita l’antifona, sta per andarsene. Il giudice chiede scusa e dà appuntamento per l’indomani in procura: “Parliamone lì ragazzi”, acconsente. Tratto dal libro Agende Rosse   dal film PAOLO BORSELLINO
 

 


Agostino, Claudio, Emanuela, Vincenzo e Walter. In ricordo del Quarto Savona 21

 

Quel 19 luglio 1992, seppur lasciato solo dal Palazzo, dalle Istituzioni e dalla politica, Paolo Borsellino era con la sua scorta: Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi, Claudio Traina, Vincenzo Fabio Li Muli e Antonino Vullo

 

Sapeva che la sua morte avrebbe coinvolto la sua scorta. Aveva dato, ai suoi assassini, diverse occasioni, sfuggendo all’occhio vigile delle sue sentinelle e concedendosi momenti di solitudine, momenti con la moglie Agnese. Aveva detto, con la lucidità e la visione d’insieme che hanno sempre contraddistinto le sue indagini: “Mi ucciderà la mafia ma saranno altri a farmi uccidere” e ancora “La mafia mi ucciderà quando altri lo consentiranno”.
Quel 19 luglio 1992, seppur lasciato solo dal Palazzo, dalle Istituzioni e dalla politica, era con la sua scorta: Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi, Claudio Traina, Vincenzo Fabio Li Muli e Antonino Vullo. Chi erano? Ricorda Agnese Borsellino: “Erano persone che facevano parte della nostra famiglia. Condividevamo le loro ansie e i loro progetti. Era un rapporto, oltre che di umanità e di amicizia, di rispetto per il loro servizio. Mio marito mi disse ‘quando decideranno di uccidermi i primi a morire saranno loro’, per evitare che ciò accadesse, spesso usciva da solo a comprare il giornale e le sigarette quasi a mandare un messaggio ai suoi carnefici perché lo uccidessero quando lui era solo e non in compagnia dei suoi angeli custodi”.
Si salva Antonino Vullo, che sposta l’auto a causa delle troppe auto parcheggiate. È un cul-de-sac, non una strada, via D’Amelio. Se ne rendono conto, per l’ennesima volta al loro arrivo. La richiesta zona rimozione non è mai stata messa in atto. Così Antonino sposta la sua auto. Dopo la strage di Capaci, il livello di attenzione era cresciuto moltissimo e l’impossibilità di una via di fuga inquietava Catalano. Lo spostamento di quel pomeriggio, peraltro, non era previsto. La madre avrebbe dovuto essere accompagnata dal medico il pomeriggio precedente ma, a causa di un imprevisto occorso al medico, l’appuntamento fu spostato, visto la relazione amicale che intercorreva tra la famiglia Borsellino e il medico, nel pomeriggio della domenica. Un tappa non prevista. Potevano aspettarsi una pioggia di fuoco di AK47, forse di un bazooka, ma non 90 chilogrammi di Semtex-H, una miscela composta da T4, tritolo e PETN posizionati all’interno di un’auto in attesa. Non pensava che qualcuno li stesse guardando e aspettasse il momento giusto per premere un pulsante. Da lontano, vigliaccamente, senza guardare l’avversario negli occhi. Tipico della mafia quando diventa serva di poteri forti o di accordi scellerati.

  • Agostino Catalano era il Caposcorta. Aveva 43 anni. Era sposato, ma aveva perso la moglie ed era rimasto solo con le sue due figlie. Qualche settimana prima aveva salvato un bambino che stava per annegare in mare di fronte alla spiaggia di Mondello.
  • Claudio Traina aveva quasi 27 anni. Si era arruolato in Polizia giovanissimo e, dopo essere stato a Milano e Alessandria, aveva ottenuto il trasferimento a Palermo, la sua città.
  • Emanuela Loi aveva 24 anni. Emanuela è stata la prima donna poliziotto entrata a far parte di una “squadra di agenti addetti alla protezione di obiettivi a rischio”. Era entrata nella Polizia di Stato nel 1989 e viene trasferita a Palermo due anni dopo. Quell’anno, il 1992, era l’anno in cui si sarebbe dovuta sposare.
  • Vincenzo Fabio Li Muli aveva 22 anni. Era il più giovane della pattuglia. Era nella Polizia di Stato da tre anni e aveva ottenuto pochi mesi prima la nomina ad agente effettivo.
  • Walter Eddie Cosina aveva 31 anni. Era nato in Australia ed era arrivato volontariamente a Palermo qualche settimana prima, subito dopo la strage di Capaci, dalla Questura di Trieste. E’ morto durante il trasporto in ospedale e ha lasciato la moglie Monica.

Roberto Greco per referencepost.it 19 luglio 2019


«Io, caposcorta di Borsellino all’ultimo cambiai turno: salvo per un testa o croce»

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L’agente Nicola Catanese (a detsra) col figlio di Borsellino, Manfredi

 

A decidere fu il lancio della monetina, testa o croce. «Uscì croce e chiedemmo il cambio ai colleghi del turno pomeridiano, che arrivarono a Villagrazia di Carini e ci sostituirono. Se invece fosse uscito testa avremmo riaccompagnato noi il giudice Borsellino in via D’Amelio, e il cambio lo avremmo fatto dove c’era l’autobomba. Che sarebbe successo? I colleghi arrivati prima avrebbero notato la macchina sospetta o, com’è più probabile, saremmo morti anche noi?». Il vice-sovrintendente di polizia Nicola Catanese — 59 anni, in servizio da 36, uno dei capiscorta di Paolo Borsellino — se lo chiede da trent’anni. Da quel 19 luglio del 1992 in cui salutò il magistrato nella sua casa sul mare per apprendere, qualche ora dopo, che era stato ammazzato insieme a chi avrebbe dovuto proteggerlo. Poteva toccare a lui, la sorte decise che fossero altri.
Essendo fuori Palermo dal mattino, c’era la possibilità di attivare lo straordinario (guadagnando qualcosa in più su una busta paga non ricca) e spostare il cambio turno al rientro in città; ma si poteva anche chiedere il rimpiazzo all’orario previsto, fuori Comune. Un’alternativa decisa da una coincidenza: il compleanno della futura moglie di Catanese, nata il 20 luglio, che viveva a Messina come lui. «Io tendevo ad accumulare i turni di riposo — ricorda il poliziotto — per avere qualche giorno in più quando tornavo a casa, e quella domenica avevo deciso di non rientrare. Dunque potevamo rimanere con il giudice fino al ritorno a Palermo. Verso fine mattinata, da una cabina telefonica, chiamai Sofia, la mia fidanzata, e le confermai che non sarei andato, ma si dispiacque. Così pensai di farle una sorpresa e di andare, senza dirglielo. Tornai dai colleghi e dissi: io vorrei smontare, voi che dite? Eravamo in sei, il responso fu tre a tre. A quel punto potevo decidere io, ma per non scontentare nessuno scelsi di affidarmi alla monetina: testa restiamo, croce chiediamo il cambio».
CORRIERE DELLA SERA


 
INTERVISTA AD ANTONIO MONTINARO NELLA QUALE PARLA DELLA PAURA.. POCO TEMPO PRIMA DELLA STRAGE DI CAPACI: “Chiunque fa questa attività ha la capacità di scegliere tra la paura e la vigliaccheria. La paura è qualche cosa che tutti abbiamo: chi ha paura sogna, chi ha paura ama, chi ha paura piange, è un sentimento umano, è la vigliaccheria che non si capisce e non deve rientrare nell’ottica umana. Io come tutti gli uomini ho paura indubbiamente, non sono vigliacco, me ne sarei già andato. Beh nella mia posizione la paura è magari lasciare i bambini soli. Per uno scapolo è diverso. Per uno sposato si gestisce in virtù della propria famiglia: si ha paura di lasciarli soli, si ha paura di non avere la capacità di morire per una ragione valida. Io scorto un uomo ad altissimo rischio, un uomo che ha dato la possibilità a molti di credere. Non lo scorterei sicuramente se non avessi la massima fiducia nei suoi confronti; ho messo la mia vita a rischio per lui. Perché probabilmente è uno dei pochi di cui io forse ho tracciato una tale identità antimafia che mi permette di stare bene con me stesso, lo scorto perché credo che sia onesto, sennò non lo scorterei. Se un personaggio decide di combattere un fenomeno come la mafia e non ha l’aiuto della società, è normale che bisogna scortarlo. Se qualcuno decide di ammazzare un personaggio lo fa a prescindere da quanti uomini ci siano di scorta. Però io pecco di presunzione: io dico che attualmente siamo nelle condizioni, noi di questo apparato di sicurezza, se vengono nel contesto di autobomba va bene e li si è persi, li siamo sconfitti, la bomba fa il danno e tutto… Ma se dovessero venire nel contesto dell’attentato fatto ad un uomo cioè con l’uso di armi leggere o mitragliatrici, beh lì abbiamo la presunzione di lanciarne qualcuno a terra anche noi. La faccia della mafia è la faccia della gente che vede uccidere un uomo e non testimonia, ecco ci sono mille facce, mille momenti che vengono fuori quando la gente ha paura. La mafia è forte proprio perché la gente ha paura, e la paura nasce dalla volontà di non credere in chi potrebbe rappresentare, cioè la gente crede di non poter avere fiducia nello stato. Si sconfigge la mafia con un solo modo secondo me: facendo capire ai cittadini che i tempi del rivolgersi ad un “Peppino” o ad un “Zu Cicio” sono terminati, esiste uno stato, esistono dei rappresentanti e sono loro che devono risolvere i problemi, il vicino di casa non li può risolvere, può risolvere l’ascensore quando si è rotto…”