Chi era LILLO ZUCCHETTO, il cacciatore di latitanti

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Vorrei parlarvi di Calogero Zucchetto, il poliziotto che andava in giro con il proprio motorino per le borgate di Palermo a scovare latitanti mafiosi che vivevano tranquillamente. La lapide che lo ricorda si trova di fronte al cinema Fiamma, e non sapete quante volte ci sono passato davanti da ragazzino senza soffermarmi troppo.” PIF

Calogero Zucchetto (Sutera, 3 febbraio 1955 – Palermo, 14 novembre 1982)  Si occupava di mafia e in particolare collaborava alla ricerca dei latitanti che allora erano molto numerosi. All’inizio degli anni ottanta, presso la squadra Mobile della Questura di Palermo, collaborò con il commissario Ninni Cassarà alla stesura del cosiddetto “rapporto Greco Michele + 161” che tracciava un quadro della guerra di mafia iniziata nel 1981, dei nuovi assetti delle cosche, segnalando in particolare l’ascesa del clan dei corleonesi di Leggio, Riina e Provenzano. Riuscì a entrare in contatto anche con il pentito Totuccio Contorno che si rese molto utile con le sue confidenze per la redazione del rapporto dei 162.

Con il commissario Cassarà andava in giro in motorino per i vicoli di Palermo e in particolare per quelli della borgata periferica di Ciaculli, che conosceva bene, a caccia di ricercati. In uno di questi giri con Cassarà incontrò due killer al servizio dei corleonesi, Pino Greco detto “scarpuzzedda” e Mario Prestifilippo, che aveva frequentato quando non erano mafiosi. Questi lo riconobbero e non si fecero catturare. All’inizio di novembre del 1982, dopo una settimana di appostamenti, tra gli agrumeti di Ciaculli riconobbe il latitante Salvatore Montalto, boss di Villabate, ma essendo solo e non avendo mezzi per arrestarlo rinunciò alla cattura, avvenuta poi il 7 novembre con un blitz di Cassarà.

La sera di domenica 14 novembre 1982, all’uscita dal bar “Collica” in via Notarbartolo, una via del centro di Palermo, fu ucciso con cinque colpi di pistola alla testa sparati da due killer in sella a una moto.

Successivamente gli autori del delitto vennero individuati in Mario Prestifilippo e Pino Greco, gli stessi che aveva incrociato in motorino. Come mandanti furono in seguito condannati i componenti della “cupola mafiosa“, cioè gli appartenenti all’organo più importante di “Cosa Nostra“, Totò Riina, Bernardo Provenzano, Raffaele Ganci e altri.


Quel pomeriggio da cani a Palermo, quando la mafia ammazzò il mio collega Lillo

 

Il “mio ragazzo”, del quale racconto la cronaca degli ultimi mesi di vita, era in servizio con me nella Squadra mobile palermitana, diretta da Ninni Cassarà. di PIPPO GIORDANO    14 Nov 2020 La Voce di New York

Il “mio ragazzo”, era un siciliano e si chiamava Calogero “Lillo” Zucchetto. La mia vita cambiò nel vedere Lillo su una lastra di marmo dell’obitorio… Oggi ricorre il 38esimo anniversario della tua morte caro Lillo, non ti ho mai dimenticato e mai lo farò

Per chi non ha vissuto in prima persona il dramma di Palermo degli anni ’80 e le stragi del 92/93, tutto appare aleatorio. Un film visto con emozione del momento, ma che all’uscita dalla sala, diventa per tanti un ricordo assai lontano. Ma a chi i fotogrammi della tragedia sono invece rimasti impressi nella memoria, difficilmente l’anima si quieta.

Una ridda di funesti ricordi attanaglia la mia mente, impedendo, talvolta, di prender sonno. Il passato torna prepotentemente. Questa che racconto è la storia di un ragazzo di soli 26 anni, che per il giuramento fatto innanzi alla Costituzione e al Tricolore, si immolò per questo imbelle Stato. Giova una premessa per dire, che la Palermo degli anni ’80 per il gran numero di morti ammazzati era simile a Beirut: era più facile morire che vivere. E noi chiamati a contrastare l’esercito di Cosa nostra, che in quel periodo contava circa migliaia di adepti, eravamo una cinquantina.
I mafiosi ammazzati erano all’ordine del giorno. Addirittura in un sol pomeriggio, ben cinque morti in luoghi diversi distanti tra loro, pochi km quadrati. Insomma un pomeriggio da cani vissuto in prima persona.

I miei occhi avevano già visto i cadaveri di Pio La Torre, il suo autista, Carlo Alberto Dalla Chiesa e sua moglie Emanuela Setti Carraro. I magistrati Rocco ChinniciGiovanni Falcone e Paolo Borsellino, coordinavano le nostre attività investigative.

Il “mio ragazzo”, del quale racconto la cronaca degli ultimi mesi della sua vita, era in servizio nella mia stessa sezione della Squadra mobile palermitana, diretta da Ninni Cassarà. Verso la metà del mese di agosto del 1982, un amico d’infanzia mi disse che un esponente di primo piano – capo famiglia – latitante si nascondeva in una villetta nell’agro di Ciaculli. Località teatro della mia crescita giovanile. Il latitante era uno degli uomini più fidati di Totò Riina.

Iniziai i primi accertamenti per verificare la fondatezza della notizia e in effetti localizzai la villetta. Il “mio ragazzo” quando venne a conoscenza della mia attività, volle a tutti i costi lasciare la sua pattuglia e venire nella mia. Il ricercato gli era sfuggito due volte. Cassarà l’accontentò. Quindi col “mio ragazzo” e un altro agente, iniziammo un continuo monitoraggio dell’intero agro di Ciaculli. E per farlo percorrevamo decine di km per evitare le “vedette” di Cosa nostra. Non potevamo usare la radio per comunicare con la Centrale. C’era il rischio di essere intercettati.

Salimmo sulla montagna che sovrasta Palermo e li ricavammo il nostro “rifugio” occultandoci in una macchia mediterranea. Eravamo dotati di potenti binocoli e cannocchiali (la Polizia ne era sprovvista. Un privato ce li diede in prestito). Giorni e giorni interi trascorsero: panini e acqua e a calar del sole “smontavamo”. Finalmente, verso la metà di ottobre avemmo la certezza che il ricercato era nella villa. Durante l’appostamento, fummo testimoni oculari di un omicidio in diretta. Due persone a bordo di un’autovettura con repentina manovra costrinsero il conducente di una Moto-ape a fermarsi. Uno dei due sparò a bruciapelo uccidendo il malcapitato. Noi, purtroppo non potemmo far nulla. Eravamo sul picco della montagna e l’omicidio era avvenuto nella strada sottostante.

Il primo novembre si verificò un episodio importante, che qualificava lo spessore del ricercato. Vedemmo giungere nella villetta diverse auto: contammo una dozzina di uomini. Un paio erano rimasti fuori e gli altri entrarono nella villetta. Si stava svolgendo summit di mafia. Di corsa raggiungemmo l’auto civetta occultata in un bosco per raggiungere la prima cabina telefonica e dare l’allarme. Telefonai a casa di Cassarà, ma la moglie mi rispose che era a giocare a tennis. Raggiungemmo la Squadra mobile, ma per effetto della giornata festiva, si perse molto tempo per raggruppare degli uomini capaci di fare il blitz. Noi nel frattempo ritornammo nella postazione, ma il summit era terminato. Sospendemmo il blitz.

Mercoledì 3 novembre, nonostante io avessi fatto un sopralluogo notturno, e scattato decine di foto con l’utilizzo dell’elicottero della Polizia (avevo fatto poi una gigantografia del luogo), Ninni Cassarà volle recarsi sul luogo addentrandosi nelle trazzere dell’agrumeto. Lo fece insieme al “mio ragazzo” e usando il suo Vespone. Nel fare ciò incrociarono due auto con tre individui: due di loro erano i più pericolosi killer di Cosa nostra. Mario Prestifilippo e Giuseppe Greco,”scarpuzzedda”. Il terzo era Fici Giovanni. Questi riconobbero il “mio ragazzo”, lo conoscevano ancor prima di diventare latitanti.

Il venerdì sera, il “mio ragazzo” mentre usciva di casa, vide uno dei due killer incontrati nell’agro di Ciaculli, che sostava accanto a una autovettura, una 131 Fiat/Mirafiore di colore bianco. Il segnale era palese “stai attento a quello che fai”. La mattina in ufficio mi racconta l’episodio e decido con Cassarà di non farlo intervenire al blitz, già programmato per la mattina di domenica 7 novembre. La sua risposta : “Nooo, io voglio esserci, mi è scappato due volte, voglio esserci. Eppoi ormai mi hanno visto e male che vada mi bruceranno la macchina”. Io mi opposi con tutte le mie forze.

La domenica 7 novembre 82 scattò il blitz, il “mio ragazzo” partecipò e mise le manette al capo famiglia. La sera di domenica 14 novembre, i due killer incontrati a Ciaculli, gli tesero un agguato. Gli sparano alle spalle mentre usciva da un bar posto proprio di fronte dove ora c’è l’Albero di Giovanni Falcone. In una mano aveva un panino e nell’altra le chiavi della Renault.

Il “mio ragazzo”, era un siciliano e si chiamava Calogero “Lillo” Zucchetto. La mia vita cambiò nel vedere Lillo su una lastra di marmo dell’obitorio. Eppure ero avvezzo a veder cadaveri disseminati nelle piazze e vie di Palermo. Ma l’inerme corpo di Lillo, mi sconvolse. Avevamo fatto progetti di lavoro, tant’è che il sabato mattina nel lasciare la Squadra mobile, avevo detto a lui e all’altro agente, “Lunedì venite prima, abbiamo buone probabilità di prendere il Papa (Michele Greco).

Il posto di Lillo, fu preso da un altro agente e in effetti, dopo qualche mese dalla sua morte, intercettammo due auto con dentro il “Papa”, e i due assassini di Lillo, insieme a due persone sconosciute. Ci divideva un alto cancello in ferro chiuso: li avevamo sotto tiro a non più di tre metri e noi eravamo pronti a far fuoco col mitra. Ma come capo pattuglia non diedi l’ordine di sparare. Noi non eravamo degli assassini. Le due auto a marcia indietro si allontanarono a forte velocità.

La Mobile di Palermo ha avuto 10 vittime della violenza mafiosa, e dal 1982 al 1988 cinque colleghi della mia stessa Sezione. Furono assassinati: Lillo, Beppe Montana, Ninni Cassarà, Roberto Antiochia e Natale Mondo.

Oggi ricorre il 38esimo anniversario della tua morte caro Lillo, non ti ho mai dimenticato e mai lo farò. Sei sempre dentro il mio cuore. Questa è la Storia di un giovane Galantuomo Siciliano.

Lettera a Lillo Zucchetto. Un uomo, un poliziotto Pippo Giordano ricorda Calogero ‘Lillo’ Zucchetto, il poliziotto che, nei primi anni ’80, collaborava con il commissario della Squadra Mobile di Palermo, Ninni Cassarà, alla stesura del cosiddetto “rapporto Greco Michele + 161”. Il ricordo struggente di un’amicizia nata in Polizia, durante la rischiosa caccia ai latitanti di mafia. ‘Lillo’ Zucchetto è stato ammazzato dai mafiosi il 14 novembre del 1982 a Palermo, in via Notarbartolo. di Pippo Giordano

Caro Lillo, il 14 novembre 2018, ricorre il 36esimo anniversario della tua morte: una morte atroce causata dalla folle crudeltà dell’uomo. I tuoi killer – cosiddetti uomini d’onore di Cosa nostra – non ebbero nemmeno il coraggio di affrontarti a viso aperto. Ti colpirono da dietro le spalle. Sapevano e temevano il tuo coraggio. Sono sicuro, visto che li conoscevi, che appena li avresti visti non saresti stato con le mani in mano e avresti reagito. Ma anche i tuoi sicari, in quella spirale di inaudita violenza che attanagliò Palermo, furono poi uccisi a colpi d’arma da fuoco sparati a tradimento. La quadratura del cerchio, voluta da Totò Riina.

Lillo, in questi giorni ti ho pensato intensamente. Sai nel vedere guardare le mie cinque principesse, e le foto su Facebook postate dal nostro amico Vincenzo e quelle di Rosalia, moglie di Natale, coi loro nipoti, mi sono chiesto: perché a te fu negato l’amore di essere sposo, padre e nonno? E ho pensato anche la stessa cosa per Ninni Cassarà, Beppe Montana, Roberto Antiochia e tanti nostri colleghi e amici ammazzati da Cosa nostra.

Lillo, mi ricordo di te quando ci incontravamo alla Squadra mobile di Palermo, ma non c’era mai stata occasione di conversare, eravamo in Sezioni diverse: io all’antirapina e tu alla V° Investigativa di Cassarà. Ma un giorno, il destino ci fece “conoscere” facendo nascere in noi una piacevole amicizia. Io passai alla tua Sezione, proprio per catturare Salvatore Montalto, capo della famiglia di Villabate -ora defunto- a cui tu avevi dato la caccia da tempo e che più volte ti era sfuggito. Per portare a termine l’operazione della cattura, Cassarà mi assegnò te e Ciccio Belcamino. Tutti e tre trascorremmo giorni e giorni nascosti sul costone della montagna che sovrasta Ciaculli Croceverde-Giardina. Il nostro rifugio era una macchia mediterranea che ci rendeva invisibili. Le nostre armi erano un potente binocolo e un cannocchiale poggiato sul treppiede (prestati da un privato) che ci consentiva di osservare la villetta situata nell’agrumeto dove viveva il latitante. Giorno dopo giorno a “guardare”. E mentre guardavamo, ogni tanto Ciccio perlustrava la zona per coprirci le spalle: innanzi a noi il precipizio. Lillo, ti ricordi quel giorno quando udimmo la frenata di un’auto eppoi gli spari d’arma da fuoco e guardando di sotto, nella via Gibilrossa, vedemmo un omicidio in diretta? La nostra amarezza di non poter intervenire e nemmeno lanciare l’allarme fu davvero dolorosa: non avevamo le radio trasmittenti e, anche se le avessimo avute, non l’avremmo potuto usare per paura di essere intercettati. Una domenica vedemmo un summit di mafia proprio nella villetta del ricercato: una dozzina di uomini erano penetrati all’interno mentre gli autisti erano rimasti accanto alle auto. Di corsa prendemmo l’auto, facendo come solito il percorso più lungo e tortuoso per non essere intercettati, passando da Belmonte Mezzagno. Alla prima cabina telefonica chiamai Ninni Cassarà a casa, mi rispose la signora Laura, dicendomi: “Ninni è a giocare a tennis”. Allora ci fiondammo in ufficio e avvertimmo il dirigente Ignazio D’Antone, ma il blitz sfumò perché nel frattempo gli “ospiti” avevano lasciato la villetta. E quando un giorno tu con enfasi mi dicesti: “Iddu è, Montalto!”. Io risposi: “Cavolo il mio amico aveva ragione!” Sì, era proprio lui, finalmente l’avevamo materializzato: erano passati giorni e giorni da quando avevamo iniziato l’appostamento. Lillo, in quei giorni quante confidenze ci facemmo? Eravamo diventati davvero amici, raggiungendo una sintonia in poco tempo. Noi due parlavamo poco, ma in quel lasso di tempo ci accorgemmo che fiducia e stima facevano parte di noi. Tu Lillo, ti sei lasciato “andare”, raccontandomi verità inconfessabili. Non ci fu nemmeno bisogno di dirmi “resti tra noi”, perché sapevi che la mia silente parola valeva più di un contratto scritto. E ancora oggi, non ho tradito la tua fiducia. Ti ricordo caro Lillo, il primo giorno di pattuglia insieme (Ciccio non c’era ancora, era in ferie) quando vedemmo Scarpuzzedda, Mariolino e Montalto, che pur essendo ricercati sostavano in via Messina Montagna intenti a conversare. Tu guidavi e appena ti accorgesti di loro (io non li conoscevo, conoscevo solo il padre di Montalto) hai urlato: “Iddi sunnu, Greco, Prestifilippo e Montalto”. E sì! Tu li conoscevi bene. Invertimmo la marcia ritornando indietro con le pistole in mano, ma il terzetto era sparito. Caro Lillo, credimi oggi sono stanco, molto stanco. E’ una stanchezza mentale non fisica, dovuta al comportamento di certi personaggi che erano in servizio alla Mobile. Ma non voglio tediarti con queste cose caro Lillo. Invece, vorrei esaltare la tua onestà e l’attaccamento al dovere. Mi piace ricordare il tuo encomiabile impegno nella lotta a Cosa nostra. Mi sovviene quando, insieme con Ninni Cassarà, avete incontrato nell’agro di Ciaculli/Balate Pino Greco”Scarpuzzedda”, Mario Prestifilippo “mariolino” e Fici Giovanni. Ma quell’incontro non ti impedì di partecipare al blitz per la cattura di Montalto. E nemmeno la silente minaccia ti fece desistere quando, la sera di mercoledì prima del blitz, notasti Mariolino Prestifilippo appoggiato a una Fiat/131 Mirafiori parcheggiata sotto casa tua.

Lillo, dopo la tua morte iniziarono a diffamarti mettendo in giro la “voce” che il tuo omicidio era stato originato da “questione di fimmini”. No, tutto falso! Io e Cassarà mettemmo sotto intercettazione un telefono di una donna, che abitava nello stesso stabile del giudice Giovanni Falcone (quasi di fronte al bar dove sei stato ucciso). Le telefonate intercettate, costrinsero me e Nini Cassarà a volare a Roma, per interrogare una persona che stava lasciando l’Italia. Accertammo la falsità della “voce”. I “fimmini” non c’entravano nulla, fu la mafia ad ucciderti.

Lillo, non mi sono mai dimenticato di te e spero che un giorno io possa incontrare tua sorella e raccontarle gli ultimi mesi della tua vita che trascorremmo insieme. Ma non dirò nulla dei tuoi segreti. Lillo, da un decennio vado nelle scuole ad incontrare gli studenti. Ebbene, a loro racconto la tua breve vita e ti rappresento come modello ideale del poliziotto onesto con alto senso di appartenenza alla Stato. In verità ricordo tutti i nostri amici ammazzati da Cosa nostra e lo faccio anche se qualcuno di tua conoscenza e purtroppo anche mia, abbia scritto, riferendosi a me, “ è disgustoso ca mette ‘nto mezzu i morti!”. Questo “qualcuno” se ne faccia una ragione: fintanto che potrò, parlerò sempre di coloro che scrissero la pagina d’oro della lotta alla mafia. Ciao Lillo, carissimo amico mio. di    I Nuovi Vespri 7 novembre 2018

Calogero Zucchetto, per gli amici Lillo, nacque a Sutera in provincia di Caltanissetta il 3 febbraio del 1955. Si arruolò nell’arma molto giovane, iniziando il suo apprendistato già a 19 anni nella prima rudimentale scorta del giudice Falcone. Ma Lillo era un ragazzo dinamico, intraprendente, ed a lui la scorta stava stretta. Voleva la strada, e fu accontentato: nei primi anni 80 entrò a far parte della Squadra mobile di Palermo, alle dipendenze di Ninni Cassarà, assassinato a sua volta il 6 agosto 1985. Esuberante, intelligente, gran lavoratore, Zucchetto intraprese la sua missione con grande entusiasmo. Trascorreva nottate intere nelle discoteche e nelle paninerie palermitane, aveva agganci nel mondo della prostituzione, delle sale corse e del mercato ortofrutticolo, punti di raccolta dei malavitosi dell’epoca. Collaborò con Cassarà alla stesura del “rapporto Greco Michele + 161” che tracciava un quadro della guerra di mafia iniziata nel 1981, dei nuovi assetti delle cosche, segnalando in particolare l’ascesa del clan dei corleonesi di Leggio, Riina e Provenzano. Riuscì a entrare in contatto anche con il pentito Totuccio Contorno convincendolo a collaborare, tanto che le sue confessioni furono utilissime per la redazione del rapporto dei 162, una vera e propria mappa sulle famiglie mafiose di Cosa Nostra. Fu uno dei primi agenti a giungere in via Carini, il luogo in cui il 3 settembre del 1982 venne ucciso il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Con il Commissario Ninni Cassarà andava spesso in giro in moto, anche pagando di tasca propria il carburante consumato, per i vicoli di Palermo, in particolare per quelli della borgata di Ciaculli, il feudo del boss Michele Greco. La zona era considerata un agro impenetrabile, off-limits per la polizia. Infatti la presenza di Zucchetto e degli altri colleghi fu considerata una profanazione della “zona franca” di Cosa nostra, un affronto da non perdonare. In uno di questi giri, incontrò Pino Greco detto “scarpuzzedda” e Mario Prestifilippo, due killer al servizio dei corleonesi che lui aveva conosciuto quando non erano ancora schedati come mafiosi. Naturalmente i due riconoscendolo evitarono la cattura. L’episodio lo preoccupò molto e confidò i suoi timori ai colleghi, ma il suo destino fu segnato per sempre. Zucchetto conosceva benissimo il territorio palermitano e la periferia del capoluogo e, anche per questo, con il Commissario Cassarà e altri colleghi prese parte ad una operazione che doveva portare all’arresto del latitante capo famiglia di Villabate, Salvatore Montalto. Da settembre ai primi di novembre del 1982 a Ciaculli la squadra tenne sotto stretta sorveglianza una villetta dove il latitante aveva trovato rifugio. Lillo era l’esperto e fu proprio lui che riconobbe il Montalto, catturato successivamente con un blitz il 7 novembre. Lillo si sarebbe potuto salvare se non avesse preso parte a questa operazione ma lui doveva dimostrare che la mafia non gli faceva paura e che lo Stato era sopra tutto. La Mafia decise di eliminare questo scomodo poliziotto pochi giorni dopo, il 14 novembre, in via Notarbartolo. All’uscita di un elegante bar del centro di Palermo, mentre stava per tornare a casa dalla sua compagna che, di lì a poco, avrebbe dovuto sposare, due uomini in sella ad una motocicletta gli si avvicinarono e spararono cinque colpi di pistola alla testa. Il commando che portò a termine la missione di morte era composto da Mario Prestifilippo e Pino Greco, i due spietati killer che qualche giorno prima avevano visto Zucchetto aggirarsi in motorino nei pressi della villa di Montalto. Come mandanti furono condannati i componenti della “cupola mafiosa” del tempo Totò Riina, Bernardo Provenzano e Raffaele Ganci. Aveva solo 27 anni quando perse la vita, un’altra vittima innocente di quel drammatico 1982 che pagò caramente la passione per il suo lavoro, una professione pericolosa che non concedeva scampoli di vita privata. Per il suo encomiabile lavoro al servizio delle Istituzioni è stato insignito della Medaglia d’oro al valore civile. Dopo 10 anni, a pochi metri dal luogo in cui fu ucciso Lillo, fu collocato “L’Albero” di Falcone. Un Ragazzo ed un Uomo uniti nella speranza di aspirare ad una Sicilia libera dalla mafia. Lo Stato ne ha onorato il sacrificio, con il riconoscimento concesso a favore dei familiari, costituitisi parte civile nel processo, dal Comitato di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso di cui alla legge n. 512/1999. MINISTERO DELL’INTERNO

 


Signor Graviano, giù le mani da Zucchetto, Chinnici e Falcone. Di PIPPO GIORDANO
 Durante la videoconferenza nel processo ‘ndrangheta stragista che si sta celebrando a Reggio Calabria, il signor Giuseppe Graviano, ha fatto numerose dichiarazioni affermando, tra l’altro, di aver avuto rapporti d’affari e di frequentazioni con Silvio Berlusconi. Le dichiarazioni sul conto di Berlusconi a me non interessano. A me preme ribaltare le affermazioni che lo stesso Graviano ha fatto, infangando la memoria dell’agente della Polizia di Stato Lillo Zucchetto e dei magistrati Rocco Chinnici e Giovanni Falcone. Il medesimo Graviano HA DETTO: “ un poliziotto, signor Calogero Zucchetto, che viene ucciso nel ’82…… dicendo al dottore Falcone… io ho un confidente.. che è Salvatore Contorno…. (continua Graviano)… c’è una spaccatura dentro la Procura di Palermo…. il dottore Falcone disse che si doveva continuare ad avere contatti…. ricordo che Contorno era latitante….. lasciandolo libero senza arrestarlo.. per avere delle informazioni, eee il dottor Borsellino ha detto, noi non facciamo queste cose e siccome il dottor Chinnici era il capo, disse, si fa come ha detto il dottor Falcone”. Graviano continua dicendo, che i magistrati che si dovevano uccidere erano Chinnici e Falcone, nel 1982 e: “PERCHE’ invece di arrestare Contorno, CONTORNO inizia a fare degli omicidi… siamo nel ’81”. Poi il signor Graviano continua affermando che le persone uccise in quel periodo, nel triangolo via Conte Federico, Piazza Dei Signori, via Giafar e in generale a Brancaccio, erano confidenti della Polizia. Falso storico e lo affermo senza tema di essere smentito, perché investigammo per quei omicidi e accertammo che erano vendette trasversale per far uscire allo scoperto Salvatore Contorno. Il signor Graviano, che sa bene la verità, cerca di gettare fango su quelle povere vittime, ammazzate solo per parentela o vicinanza a Contorno. Il signor Graviano, per quanto riguarda Lillo Zucchetto, fa confusione mentale, anche quando accusa il Consigliere istruttore Rocco Chinnici e Giovanni Falcone, di lasciare libero Contorno per commettere omicidi. Ascoltando le farneticazioni del signor Graviano, non posso esimermi di difendere la memoria non solo di Lillo Zucchetto, assassinato a soli 27 anni per aver arrestato il capo famiglia di Villabate Salvatore Montalto, ma anche di Chinnici e Falcone. Eppoi io ero il capo pattuglia di Zucchetto. Giova evidenziare che Salvatore Contorno fu arrestato e poi custodito all’interno del Commissariato di Polizia di Mondello, per essere interrogato proprio da Giovanni Falcone. E, quando nella cabina telefonica rinvenimmo una sagoma umana con fori dipinti di rosso, spostammo in fretta e furia Contorno nei locali della Squadra mobile di Palermo. Quindi di cosa parla il signor Graviano? La smetta di infangare la memoria di Galantuomini siciliani. Quali erano Zucchetto, Chinnici e Falcone. Forse il signor Graviano fa un grossolano errore e quindi le rinfresco la memoria. Contorno viene indicato nella lettera anonima del “Corvo”, nel 1989, quale autore di alcuni omicidi avvenuti a Palermo. Nella stessa lettera si accusava anche Falcone e Gianni De Gennaro, che avrebbero fatto rientrare il Contorno dagli USA, per commettere omicidi. Il Contorno fu tratto in arresto in una villa di San Nicola Arena. Le elucubrazioni della lettera anonima risultarono tutte false. Signor Graviano riveda il passato, non è come lei l’ha descritto. 11.2.2020 Tutto sulla mafia e le vittime della mafia

 Lillo Zucchetto, ammazzato da certi “uomini d’onore” di PIPPO GIORDANO  A Palermo gli spararono alle spalle nel 1982, aveva solo 27 anni. Ora mi sento in dovere di proteggerne la memoria dal fango del mafioso Giuseppe Graviano Mai e poi mai avrei pensato a distanza di 38 anni dal vile assassinio, di dover difendere il “mio ragazzo” Lillo Zucchetto, poliziotto della Squadra mobile di Palermo. Io ero il suo capo pattuglia. La sera del 14 novembre 1982 due miserabili individui di Cosa nostra, lo colpirono a morte. Costoro, come copione dei cosiddetti uomini d’onore, spararono a Lillo alle spalle mentre col panino in mano stava aprendo la portiera della sua macchina: avevano paura di affrontare Lillo a viso aperto. Vigliacchi! Ma poi, dopo alcuni anni la stessa sorte toccò ai due killer di Lillo: furono uccisi a tradimento dai loro stessi “amici”. Ora sento il dovere come uomo, amico e collega di Calogero “Lillo” Zucchetto, di difendere la sua memoria e rispedire al mittente il “fango” che si tenta di gettare addosso a un ragazzo ammazzato a soli 27 anni. In questi giorni ho letto la memoria difensiva di Giuseppe Graviano, diretta  alla Corte d’Assisi di Reggio Calabria, ove risulta essere imputato. Ebbene, in incipit si legge che:  “I processi devono essere svolti per accertare la verità, non per chiudere un cerchio”. Questa frase, peraltro condivisibile, cozza con quanto poi scrive a pagina 4 nella memoria, laddove afferma testualmente: “Già alla fine degli anni 70 era in diretto contatto con gli ambienti giudiziari, tanto ché il pool della Procura, composto da Falcone, Chinnici ed altri (con qualche eccezione rappresentata da dr Borsellino) aveva affidato ad un poliziotto, Zucchetto Calogero, la gestione del ‘Coriolano della Floresta’. Tale gestione ha consentito al killer Contorno di commettere una serie sconfinata di omicidi per i quali è rimasto impunito, guardandosi bene, ovviamente, dall’accusarsi”. Accuse pesante rivolte a un ragazzo, Lillo, che non può difendersi e quindi evidenzio che “La verità deve essere accertata coi e tra i vivi e non da menzogne apprese de relato”. Il signor Graviano conosce benissimo i motivi che diedero luogo alla decisione di uccidere Lillo Zucchetto e sa anche bene che Totuccio Contorno non era gestito dal solo Zucchetto. L’affermazione di Graviano peraltro diffamatoria, non è la prima che si tenta di gettare fango addosso a Lillo. Infatti, Cosa nostra nei giorni successivi alla sua uccisione sparse la voce, secondo la quale il movente del delitto era da ricercarsi per motivi di “fimmini” (di donne). Diffamazione allo stato puro, tant’è che io e Cassarà, attraverso mirate indagini, anche con intercettazioni telefoniche,  escludemmo il  movente riconducibile a “fimmini”. Ora, il signor Graviano ci riprova. Do un consiglio al signor Graviano, lasci perdere le cose apprese de relato o lette nella famosa lettera del “Corvo di Palermo”, ove con siffatta missiva si accusava il magistrato Falcone, il Capo della polizia Parisi e il poliziotto De Gennaro, di aver “usato” Contorno come killer a Palermo. Il signor Graviano fa confusione, attribuendo la responsabilità della gestione di Contorno a Calogero Zucchetto. Quindi, il signor Graviano se ne faccia una ragione e parli solo di cose di cui fu testimone e vissute direttamente. Giova qui ricordare che Lillo, come dimostra la sentenza passata ingiudicata, fu ucciso per aver contribuito all’arresto del capo famiglia di Villabate. Salvatore Montalto. Io ero legato a Lillo e so bene il dolore e la ferita ancora sanguinante nonostante siano trascorsi 38 anni. Non si doveva assassinare un ragazzo sol perché aveva fatto il proprio dovere. Ma questo i cosiddetti individui, che pomposamente si facevano e si fanno chiamare uomini d’onore, non lo capivano e non lo capiranno mai. Conobbi sin da ragazzino, tantissimi uomini d’onore, ma erano altri mafiosi: altri personaggi. Uomini che quando aprivano bocca sintetizzavano  che “una parola era troppa e mezza era assai”. Un “mondo” diverso da quello che conobbi poi da poliziotto. Il che è tutto dire. Lillo R.I.P. LA VOCE DI NEW YORK


L’OMICIDIO DI LILLO ZUCCHETTO – FATALE ERRORE DI COSA NOSTRA!  DI PIPPO GIORDANO 14/11/2011 BLOG SICILIA  Oggi ricorre l’anniversario della morte di Lillo ed io voglio ricordare gli ultimi istanti che lo vidi in vita. I ricordi li sintetizzo in due immagini che sono rimaste scolpite nella mia mente, oltre che nel cuore. La prima, è l’immagine di un ragazzo disteso e privo di vita su una lastra di marmo: giovane, troppo giovane per morire. La seconda che ha il sopravvento sulla prima è l’ultima volta che lo vidi in vita, euforico e sorridente. Era felice, raggiante, oserei dire esultante quel sabato, quando innanzi al portone della Mobile di Palermo nel salutarci gli avevo detto: “Lillo, lunedì vediamoci prima, perché dobbiamo iniziare le indagini pi pigghiare u Papa” (Michele Greco).Stessa cosa avevo detto a l’altro componente la mia pattuglia. Già, la mia pattuglia che aveva osato profanare il santuario di Ciaculli; che si era intrufolata in quel territorio di esclusivo predominio dei Greco e della più potente squadra di killer di Cosa Nostra, capitanata da Scarpuzzedda. Il lunedì mattina del 15 novembre ’82 avevo l’appuntamento con Lillo, ma la domenica 14 la tragedia. Lillo fu barbaramente assassinato dai killer di Cosa nostra. Il periodo trascorso con Lillo, fu relativamente breve: poco più di due mesi. Due mesi di intensa attività per catturare un capo famiglia. Lillo ed io eravamo poco loquaci e durante il nostro appostamento le ore scorrevano in silenzio, riempite solo dalla dolce visione della Conca d’Oro. Oggi, riflettendo, concludo che eravamo Davide contro Golia, ovvero la furia omicida di Cosa nostra. E fu in quei prolungati silenzi che nacque la nostra amicizia. Il là lo diede Lillo facendomi una confidenza davvero sconcertante, che riguardava il nostro ambiente di lavoro. Da quel giorno ci dicemmo tanto senza nemmeno profferire parola. I nostri sguardi erano colmi di tristezza per la confidenza: tristezza che sparì allorquando vedemmo il latitante, uscire da quella villa. La nostra testardaggine di non mollare, era stata premiata; erano giorni e giorni, addirittura settimane, che eravamo lì appostati. Lillo, era un ragazzo eccezionale, portatore di sani principi e di rispetto per la divisa che indossava: credeva ciecamente che fare il proprio dovere non era un obbligo ma una necessitate virtutem: la confidenza era la prova del nove. Ed io, oggi, non perdo occasione, durante gli incontri con ragazzi delle scuole o nei pubblici dibattiti, di far risaltare le doti morali di Lillo. Non mostrò mai paura Lillo, nemmeno quando lo intercettarono. Eppure, io stesso tentai di convincerlo a non partecipare al blitz per la cattura del mafioso. Lillo era un giovane Siciliano con una bagaglio di onestà da far invidia ai colleghi anziani: era stimatissimo dal dirigente Ninni Cassarà e dell’intera Mobile palermitana. La decisione di assassinare Lillo fu un infausto errore di Cosa nostra, perché gli fu addebitata una colpa non sua, se di colpa possiamo parlare. L’errore scaturì solo perché incontrò tre latitanti di Cosa nostra nell’agro di Ciaculli, mentre faceva il sopralluogo insieme a Cassarà: i tre latitanti conoscevano molto bene Lillo, Da quell’incontro, i mafiosi di Ciaculli si convinsero che l’arresto del capo famiglia di Villabate, avvenuto qualche giorno dopo il sopralluogo, fosse stato originato da Lillo. Ed invece, Lillo non c’entrava affatto. Il promotore della complessa indagine ero io. Infatti, fui io che insistetti per sdoganare quel territorio teatro della mia crescita giovanile e fui io che raccolsi le notizie per avviare le investigazioni. Le pallottole che colpirono a morte Lillo Zucchetto, dovevano essere indirizzate a me: se avessero saputo la verità, i killer avrebbero cambiato bersaglio. Cosa nostra, dopo l’agguato, fece circolare la voce che Lillo fosse stato eliminato per una storia di donne. Falso! Io stessi accertai l’infondatezza della voce compiendo un’indagine riservatissima. Nel concludere, esprimo un desiderio, ossia, che il comune di Sutera, paese natio di Lillo, nel trentennale della morte, organizzi un evento pubblico in ricordo di Lillo, affinchè io possa essere presente e ricordare la figura esemplare e morale di Lillo.Mi piacerebbe, anche, andare nelle scuole di Sutera, per poter raccontare ad alunni e studenti, il sacrificio di un giovane siciliano, immolatosi per la legalità. Sinora ho raccontato di Lillo, ai giovani delle scuole del Nord, di Palermo e Catania e continuerò a farlo:   Lillo, deve vivere attraverso le mie parole. Lui avrebbe fatto lo stesso

VI RACCONTO CHI È LILLO ZUCCHETTO, UN POLIZIOTTO ONESTO UCCISO DALLA MAFIA DI  PIPPO GIORDANO “Ho imparato che l’amore, non il tempo guarisce le ferite”. Versi della poesia di Paulo Coelho, che cito per ricordare un grande ragazzo, un grande Uomo, Lillo Zucchetto.

L’amore lenisce le ferite e come posso io far rimarginare la mia ferita, se chi avrebbe dovuto elargire amore, dare sicurezza, invero ha prodotto ulteriore ferite? Per amore intendo “verità” e non verità soggiogata, verità negata, verità nascosta da parte di uno Stato che non ha fatto nulla per difendere i propri figli.

Alcuni che rappresentavano lo Stato erano impegnati a mantenere rapporti sodali coi mafiosi e ordunque non avevano né tempo né voglia di difenderli. La mia ferita sanguina ancora oggi, anche se sono trascorsi 31 anni dalla violenta morte dell’agente di polizia Calogero “Lillo” Zucchetto.

Dal quel giorno, 14 novembre 1982 non ho assolto e non assolvo chi esercitando il potere, ha permesso il sistematico eccidio di poliziotti, carabinieri, magistrati e onesti cittadini. E quando urlo con tutte le mie forze che lo Stato ha la responsabilità oggettiva di tutti i martiri di mafia, compreso le stragi del 92/93, lo dico col cuore gonfio d’amarezza.
Nel mese di settembre 1982, tre uomini credettero che l’azione di contrasto alla mafia palermitana era linfa per la legalità; il terzetto era convinto che l’affermazione della Legge fosse il baluardo del vivere civile e quindi si buttarono a capofitto nelle indagini per catturare il capo famiglia di Villabate, Salvatore Montalto.

Da settembre a novembre non smisero di osservare una villetta, dove il latitante aveva trovato rifugio: Lillo Zucchetto ne faceva parte. Le giornate silenziose scivolavano via e quel nascondiglio naturale, fatto da una macchia mediterranea sul costone della montagna che sovrasta Palermo, rappresentava un avamposto dello Stato: un avamposto fatto di ripetuti silenzi e da dove il terzetto consumava frugali pasti.
Lillo era “l’esperto” nel senso che conosceva bene i mafiosi e fu lui che riconobbe, attraverso un potente binocolo, il Montalto. Io, invece nel giorni a seguire riconobbi Michele Greco.

E mentre noi tre annotavamo “entrate ed uscite” da quella villetta, altri miserabili individui si recavano alla Favarella poco distante dalla villetta, di proprietà dei Greco, per incontrare Michele il “Papa” e Salvatore “il Senatore”. I visitors, come accertammo poi, non erano persone qualunque ma eminenti politici. La decisione di uccidere Lillo generò allorquando fu incrociato nell’agro di Ciaculli, da Scarpuzzedda, Mariolino e Giovanni Fici.

Lillo era insieme a Cassarà mentre a bordo del vespone percorreva l’agro di Ciaculli. Pino Greco “scarpuzzedda” e Mario Prestifilippo, conoscevano molto bene Lillo. Ciaculli era il regno dei Greco, considerato un agro impenetrabile, un sito off-limitis agli sbirri. Una rete di vedette monitorava il territorio e una serie di attentati incendiari stabiliva chi poteva risiedere o essere cacciato via: una sorta di zona franca. Ed io e Lillo profanando il “sancta sanctorum” di Cosa nostra, commettemmo un affronto gravissimo.

Lillo, come noto per averlo io volte pubblicato, poteva salvarsi, ma non fuggì. Volle partecipare alla cattura di Montalto per dimostrare di essere un poliziotto: per dimostrare con orgoglio che lo Stato c’era. Quello Stato che frettolosamente lo seppellì senza la partecipazione dei palermitani. Un ragazzo, un grande Siciliano di soli 26 anni, trucidato immotivatamente. Io, Pippo Giordano sarei dovuto morire a suo posto: Scarpuzzedda non sapeva che ero stato io a profanare il regno dei Greco: un regno che da ragazzo avevo percorso in lungo e largo.Mi spiace Lillo, ancora oggi ne soffro e non potrò mai dimenticare il tuo martirio! 13.11.2013 RESTO AL SUD


OMICIDIO CALOGERO ZUCCHETTO. Dal Capitolo III, Volume 22 – Ordinanza Sentenza Maxi Processo 
[…] “Occorre, a questo punto, individuare il probabile movente dell’omicidio, sicuramente legato alla attivita’ della vittima quale agente della polizia. Si riferiva nel rapporto come CALOGERO ZUCCHETTO fosse un agente dotato di vivida intelligenza, con notevole intuito ed ottima conoscenza dei pregiudicati, comuni e mafiosi, di Palermo.

Con il suo carattere aperto e gioviale era stato in grado di stabilire rapporti confidenziali con gestori di locali pubblici, proprietari di negozi, con gli stessi pregiudicati, con prostitute e cio’, nella risoluzione di varie indagini, si era rivelato di grande aiuto.

Per la sua esperienza, maturata in otto anni di servizio presso la sezione investigativa, gli venivano affidati compiti di particolare importanza e riservatezza: aveva, infatti, partecipato alle indagini sfociate nel rapporto giudiziario a carico di GRECO MICHELE + 161, all’arresto di AGLIERI GIORGIO e SENAPA PIETRO, all’arresto di SALAFIA NUNZIO, GENOVESE SALVATORE e RAGONA ANTONINO (omicidio FERLITO ALFIO), all’arresto di MONTALTO SALVATORE e CAPITUMMINO FILIPPO. A questa ultima operazione – effettuata il 7 novembre 1982 – doveva essere riportata, secondo il rapporto, l’uccisione dello ZUCCHETTO.

Tale ipotesi accusatoria sembra pienamente fondata: e cio’, come si vedra’, per le circostanze temporali e di persona che ebbero a precederla.

Sulla scorta di una informazione confidenziale recepita dal Dott. ANTONINO CASSARA’, allora Commissario Capo della Polizia di Stato, venivano disposti servizi tesi alla cattura del latitante MONTALTO SALVATORE e, per gli stessi, venivano delegati lo ZUCCHETTO e il Brig. GIORDANO.

E’ essenziale ripercorrere cronologicamente le varie tappe che hanno portato alla cattura del MONTALTO, per comprendere come alla stessa sia legata la decisione di sopprimere l’agente ZUCCHETTO.

  • – Appreso che il MONTALTO dimorava in una villa costruita tra gli agrumeti nelle immediate vicinanze di Villabate e che si serviva di una GOLF bianca di cui erano noti i primi tre numeri di targa, per una decina di giorni si erano avuti continui pattugliamenti della zona compresa tra via Giafar, via Conte Federico, via Messina Montagne, via Messina Marine e Villabate;
  • – Lo ZUCCHETTO ed il collega GIORDANO, a bordo di varie autovetture prive di radio (e, quindi, del tutto “anonime”) avevano avuto modo di notare una autovettura del tipo segnalato, che si introduceva dalla via Messina Montagne in una trazzera posta a monte della strada e poco distante da Villabate;
  • – Da accertamenti esperiti presso il P.R.A. si accertava che l’auto risultava intestata alla zia del MONTALTO e, quindi, la ricerca veniva concentrata in quella zona;
  • – La mattina del 28.10.82, lo ZUCCHETTO ed il collega, transitando lungo la via Messina Montagne, notavano quattro persone intente a parlare tra di loro nei pressi di tre auto ferme all’imbocco della trazzera di cui si e’ detto;
  • – Due degli individui si identificavano in MONTALTO SALVATORE e GRECO GIUSEPPE fu NICOLA (“SCARPUZZEDDA”);
  • – Delle tre auto, una era di grossa cilindrata, color oro metalizzato;
  • – Data l’imprevedibilita’ dell’incontro, gli agenti preferivano non tentare da soli la cattura dei latitanti, ma richiedevano l’intervento di numerose auto della polizia che stazionavano nelle vicinanze, intervento che, pero’, non dava risultato alcuno;
  • – Tale episodio, comunque, confermava come il MONTALTO, gia’ grande amico di SALVATORE INZERILLO, si fosse schierato con i GRECO di Ciaculli – Croceverde;
  • – Nei giorni successivi, a mezzo di appostamenti e ricognizioni aeree concentrati nella contrada “Balate” (alla quale si accede per mezzo della trazzera al cui imbocco erano stati notati il MONTALTO e il GRECO), si individuava la villa del MONTALTO stesso;
  • – In tale villa, tra le ore 10,30 e 11,30 del 31.10.82, si era svolto un “summit”, considerato che vi erano convenute una decina di persone a bordo di quattro o cinque auto;
  • – Lo ZUCCHETTO ed i suoi colleghi, nonostante l’impiego di potenti binocoli, non riuscivano, pero’, a riconoscere le persone suddette, ne’ aveva miglior fortuna un massiccio intervento di polizia e carabinieri, attesa la difficolta’ di raggiungere in tempo utile la villa, ubicata tra gli agrumeti;
  • – Il successivo giorno 1 novembre, in previsione della cattura del MONTALTO, 7 il commissario capo Dr. CASSARA’ e l’Agente ZUCCHETTO, a bordo di una moto, facevano un’ampia ricognizione della zona tra le 7,30 e le 8,30;
  • – In tale circostanza, transitando davanti alla villa del MONTALTO, i due notavano una MERCEDES Coupe’ oro metallizzato che il secondo riconosceva come l’auto vista il giorno 28 ottobre;
  • – Mentre stavano per lasciare la contrada “Balate”, percorrendo la trazzera in direzione di via Messina Montagne, la loro attenzione veniva attratta da due autovetture che, ad andatura abbastanza spedita, procedevano in senso contrario, distanziate una trentina di metri l’una dall’altra;
  • – Poiche’ era intuibile come l’auto che precedeva fungesse da staffetta per la seconda e, quindi, ci si trovasse di fronte a personaggi “importanti”, il commissario spostava la moto sul lato sinistro della trazzera e si fermava, onde aver modo di osservare meglio gli occupanti delle auto;
  • – La prima era una “VISA” di colore grigio chiaro con a bordo il solo conducente, la seconda una “RENAULT 14” bianca con a bordo il conducente ed un passeggero;
  • – Quest’ultimo, poco prima di giungere all’altezza della moto, si chinava in avanti, quasi dovesse prendere qualche cosa dal vano porta-oggetti;
  • – Subito dopo il transito dei due mezzi, lo ZUCCHETTO riferiva al commissario che il conducente della “VISA” era il latitante PRESTIFILIPPO MARIO GIOVANNI, mentre l’uomo seduto a fianco del conducente della “RENAULT 14” era GRECO GIUSEPPE fu NICOLA;
  • – Riferiva, altresi’, lo ZUCCHETTO di ritenere di essere stato riconosciuto dal PRESTIFILIPPO e, probabilmente, dal GRECO e specificava che il primo, se non fosse stato ricercato, avrebbe sicuramente tentato di contattarlo per conoscere il motivo della sua presenza nella contrada “Balate”;
  • – Lo ZUCCHETTO spiegava come, negli anni in cui aveva espletato il servizio di volante nella zona di Corso Dei Mille, via Giafar, via Conte Federico, aveva avuto modo di conoscere i proprietari degli agrumeti, all’interno dei quali spesso si spingeva;
  • – Tra questi proprietari, aveva avuto modo di familiarizzare con i PRESTIFILIPPO (nonno e padre dei fratelli MARIO GIOVANNI e GIUSEPPE FRANCESCO), mentre questi ultimi erano da lui conosciuti sin da ragazzini perche’ frequentavano, insieme con GRECO GIOVANNI “GIOVANNELLO”, i caseggiati del padre e del nonno;
  • – Con i fratelli PRESTIFILIPPO aveva avuto, negli anni successivi, frequenti incontri nei locali notturni della citta’ ed in tali circostanze questi avevano dimostrato nei suoi confronti un atteggiamento amichevole, pur sapendo che era un poliziotto;
  • – Il giorno 7 novembre si procedeva ad una irruzione nella villa del MONTALTO e all’arresto dello stesso;
  • – Sia lo ZUCCHETTO che il GIORDANO, pero’, non comparivano al cospetto dell’arrestato, ne’ firmavano alcun atto di servizio;
  • – Negli ultimi giorni della settimana tra l’8 ed il 14 novembre, lo ZUCCHETTO riferiva al suo dirigente di avere incrociato PRESTIFILIPPO MARIO a bordo di una FIAT 131; questi, pur avendo la precedenza, si era fermato, per consentirgli di passare con la sua RENAULT;
  • – Specificava lo ZUCCHETTO di aver inutilmente fermato il proprio mezzo per consentire al PRESTIFILIPPO di passare, ma, visto che questi non si muoveva e, anzi, gli faceva cenno di passare, aveva proseguito, notando, poi, come detto PRESTIFILIPPO, dopo qualche centinaio di metri, avesse preso una strada diversa da quella da lui seguita;
  • – Lo ZUCCHETTO attribuiva al caso questo ultimo incontro e, comunque, riteneva che gli fosse stata concessa la precedenza proprio per impedirgli di leggere la targa dell’autovettura;
  • – Esprimeva, invece, il timore di subire qualche ritorsione (come l’incendio dell’auto) per l’incontro del primo novembre e il successivo arresto del MONTALTO (7 novembre);
  • – La ritorsione, in realta’, non si faceva attendere, e si concretizzava nella uccisione dell’agente.

Il Brigadiere GIORDANO GIUSEPPE (VOL.99 F.262) confermava sostanzialmente quanto gia’ riferito con il rapporto, ma specificava che, nel corso del servizio di cui si e’ detto, avevano notato tre persone vicino alla autovettura color oro metallizzato e che le stesse erano state riconosciute dallo ZUCCHETTO per GIUSEPPE GRECO “SCARPUZZEDDA”, MONTALTO SALVATORE e PRESTIFILIPPO MARIO GIOVANNI “MARIOLINO”.

Riferiva il GIORDANO come lo ZUCCHETTO fosse rimasto molto scosso da quell’incontro e gli avesse raccontato di avere – in passato – frequentato il fondo dei PRESTIFILIPPO a Ciaculli, quando questi non erano ricercati, mentre aveva pranzato, qualche volta, in una vecchia masseria con il “MARIOLINO”.

Il Commissario Capo Dr. CASSARA’ (VOL.90 F.24) confermava, tra l’altro, gli episodi specifici relativi ai servizi per la cattura di MONTALTO SALVATORE, compreso, ovviamente, quello del 1° novembre nel corso del quale, mentre era insieme collo ZUCCHETTO, avevano incrociato le due auto.

Nell’esternare la sua convinzione circa la fondatezza della matrice del delitto ZUCCHETTO, esposta nel rapporto, ribadiva come questi conoscesse molto bene i PRESTIFILIPPO, nonche’ GIOVANNELLO GRECO e PINO GRECO “SCARPUZZEDDA”, per averli incontrati nelle proprieta’ dei primi, e come dagli stessi fosse accolto con simpatia.

Tali fatti, aggiungeva, gli erano stati riferiti dallo stesso ZUCCHETTO e riguardavano circostanze verificatesi anni prima, quando ancora i PRESTIFILIPPO e i due GRECO non erano sospettati di commettere azioni delittuose.

Il Dr. CASSARA’ riferiva, altresi’, come nel periodo in cui venivano effettuati i servizi tesi alla cattura del MONTALTO, si ignorasse che il fondo di quest’ultimo era contiguo a quelli dei fratelli GRECO MICHELE e SALVATORE, ai quali si accedeva attraverso la medesima stradella.

Riteneva, in conclusione, il Dr. CASSARA’, che l’omicidio ZUCCHETTO fosse stato consumato per punirlo della individuazione del MONTALTO, per aver “tradito” l’antica ospitalita’ dei PRESTIFILIPPO e, in ultimo, per scoraggiare ulteriori iniziative nella zona dove i GRECO potevano nascondersi.

Tutti gli altri testi ((VOL.90 F.11) – (VOL.90 F.23)) confermavano quanto gia’ dichiarato alla Squadra Mobile e, concordemente ai congiunti della vittima, riferivano come questa fosse di umore normale nei giorni che avevano preceduto la sua uccisione.

L’esposizione logica e cronologica dei fatti che precedettero l’omicidio di CALOGERO ZUCCHETTO permettono, dunque, di individuare con sicurezza il movente del crimine.

MONTALTO SALVATORE, gia’ amico di TOTUCCIO INZERILLO, era passato dalla parte dei GRECO, tanto da divenire capo della famiglia di Villabate.

Attivamente ricercato, aveva trovato rifugio nel suo fondo, attiguo a quello dei GRECO. Tale ultima circostanza, ignorata dagli inquirenti, come gia’ detto dal Dr. CASSARA’, trovava una conferma nei successivi accertamenti, come si desume dal rapporto in data 24.3.83 ((VOL.10 F.57) E SEGG.).

La sua latitanza era, quindi, superprotetta e intorno al ricercato orbitavano personaggi di primo piano come PINO GRECO e MARIO PRESTIFILIPPO.

Proprio l’antica conoscenza che di questi ultimi due aveva lo ZUCCHETTO permetteva, tra l’altro, di agevolare la cattura del MONTALTO.

Altamente sintomatica e’ la successione cronologica tra detta cattura (7 novembre 82) e l’omicidio dell’agente (14 novembre 82).

ZUCCHETTO si era reso “colpevole” di una azione altamente riprovevole secondo il metro di giudizio della subcultura mafiosa, dato che egli aveva messo al servizio della legge questa sua conoscenza per aiutare la polizia a scovare e catturare il MONTALTO.

Riconosciuto in piu’ riprese da PINO GRECO e da MARIO PRESTIFILIPPO mentre con il CASSARA’ e con il GIORDANO si aggirava in contrada “Balate”, aveva per cio’ stesso determinato le cosche alla consumazione dell’omicidio.

La cattura del MONTALTO, poi, aveva segnato una cocente sconfitta per gli stessi fratelli GRECO di Croceverde, che venivano cosi’ privati di un valido ed attivo capo – famiglia, ed aveva dimostrato come poco sicura fosse la loro protezione.

Un omicidio come quello dello ZUCCHETTO non poteva essere deciso autonomamente da uno qualsiasi degli associati, ma, stanti le prevedibili reazioni da parte delle forze dell’ordine, doveva passare al vaglio della famigerata “Commissione” e dei capi – famiglia

Una moto, l’urlo nella notte palermitana: “Zucchetto” e poi cinque colpi di pistola, in rapida successione, che lo colpiscono alla testa. Calogero Zucchetto era il volto più bello dello Stato a Palermo, un poliziotto con la schiena dritta che faceva il suo dovere: combattere quella mafia che tanti addirittura negavano. Lillo, per gli amici, stava per tornare a casa dalla fidanzata, che da lì a poco sarebbe diventata sua moglie. È domenica 14 novembre 1982, sono circa le 21:25, nel centro di Palermo. I due killer: Pino Greco detto “scarpuzzedda” e Mario Prestifilippo, che il Zucchetto conosceva bene per le sue indagini. Furono tutti d’accordo nel massacrare il giovane poliziotto. Sì, ha ragione il dottor Sebastiano Ardita: in quel momento lo Stato a Palermo era proprio Lui, Lillo Zucchetto. Paolo Borrometi

 

nota  Pippo Giordano Palermitano, ispettore della Dia in pensione. Ha collaborato con il giudice Paolo Borsellino fino al 17 luglio 1992, due giorni prima della Strage di via D’Amelio.