MAFIA e PANDEMIA

 

 

 

Criminalità e Covid-19: la mafia nella busta della spesa. La pandemia del Covid-19 ha investito prima la sanità, poi le carceri e immediatamente dopo l’economia. Un’immagine ha fatto il giro del mondo: la busta della spesa della mafia consegnata alle famiglie più bisognose. Una narrazione facile e di grande impatto di come la mafia fosse presente in Italia.

Il welfare delle mafie. Una mafia che assiste i poveri nei quartieri disagiati, una mafia che svolge welfare perché lo Stato è assente. Un’immagine vera soltanto in parte, ma che ha un rimando storico simile. L’immagine del mafioso con la coppola e la lupara: immagine folcloristica che è servita a distogliere l’attenzione dalla mafia più pericolosa e pervasiva, quella economica e dei grandi investimenti.

Le mafie in Italia si trovano di fronte ad un Paese in piena crisi economia e questo permette loro di investire dovunque, ma piuttosto che rilevare piccole attività, approfittando della crisi di medie e grandi imprese, potendo riciclare capitali e acquisire consenso sociale salvando posti di lavoro. Quindi un punto fermo diventa la capacità delle mafie italiane di potersi muovere dalla busta della spesa ad acquisizioni societarie di grande valore, dimostrando la propria capillarità nel panorama nazionale.

Ma di quanto denaro si parla? Quanto reale è la capacità economica?

Quanti soldi contiene la busta della spesa?  «Per comprendere quanta liquidità hanno le mafie dobbiamo riflettere su un dato». Roberto Tartaglia[1] è un magistrato antimafia che ha vissuto a lungo in Sicilia: «In normali tempi economici, la mafia ha sempre investito anche in società in perdita, che sembra quasi un controsenso, ma non lo è se riflettiamo sul concetto di riciclaggio di denaro. Ho un milione di euro, frutto di attività illecita, lo investo e ne perdo, 200mila, anche 300mila, il resto è denaro ripulito. Legale. Tanto non è che li hanno guadagnati con il sudore della fronte quei soldi. Possono buttarli come vogliono, ma ovviamente non li buttano mai: i soldi delle mafie producono sempre altro denaro, non avendo concorrenza o regole da rispettare. E se questo accade in tempi economici normali, in cui hanno talmente tanta liquidità da poterla buttare via pur di ripulirla, immaginiamo cosa possono fare in questi tempi eccezionali dove la liquidità è necessaria per tutti. Altro dato che mi colpisce: mentre tutti i dati indicano una caduta drastica dei reati in generale, l’unico reato in crescita è quello dell’usura, quasi +10%, e stiamo parlando solo di quello denunciato, quindi secondo me il dato reale è anche più del doppio».

Attenzione ai reati spia  La Polizia di Stato ha sottolineato la necessità di mantenere elevata l’attenzione verso determinati reati “spia”, indici di fenomenologie di infiltrazione criminale, anche mafiosa, nelle pieghe economico-finanziarie: l’attività estorsiva, l’usura, le attività speculative di fagocitazione immobiliare o di impresa favorite dal bisogno impellente di denaro contante; l’illecita concorrenza attraverso l’uso della violenza e minaccia; le attività di riciclaggio e reimpiego di denaro o beni di utilità e provenienza illecita; il trasferimento fraudolento di beni e le truffe per il conseguimento di erogazioni pubbliche; la corruzione, nell’ambito dei rapporti con le Pubbliche amministrazioni, e altre condotte indebite di pubblici amministratori, soprattutto nelle interazioni tra settore pubblico e imprenditoria privata in àmbito sanitario; l’aggressione e il condizionamento del ciclo dell’appalto.

Una potenza economica. «La disponibilità economica delle mafie è un punto molto dibattuto, non potendo fornire altro che stime. Centinaia e centinaia di miliardi, dato che letto nel corso degli anni è in costante aumento ed è sempre stimato da diverse categorie di associazioni, Forze dell’ordine, centri studi. Tra i diversi lavori nel campo è da sottolineare uno studio della Banca d’Italia[2] datato ottobre 2019 e pubblicato solo in lingua inglese intitolato The real effects of Ndrangheta: firm level evidence[3]: “Focus sul caso della Ndrangheta, una grande organizzazione criminale originaria del Sud Italia”. Combinando le informazioni provenienti dai registri investigativi con i dati dei panel sulla governance e sui bilanci delle imprese, si è costruito un indicatore delle infiltrazioni della ’Ndrangheta nelle imprese situate nel Centro e nel Nord Italia, cioè in aree senza tradizione di criminalità organizzata. Dimostriamo che (a) la criminalità organizzata tende ad infiltrarsi nelle imprese in difficoltà finanziarie e in settori che dipendono maggiormente dalla domanda del settore pubblico o sono più inclini al riciclaggio; (b) l’infiltrazione genera un aumento significativo dei ricavi dell’impresa interessata; (c) la penetrazione della criminalità organizzata produce un effetto negativo a lungo termine sulla crescita economica a livello locale».

I dati che emergono sono impressionanti, soprattutto se si considera che rappresentano solo una piccola quota dei business delle diverse mafie: 9.200 aziende infiltrate nel 2016, ricavi di 42 miliardi di euro e 8mila soci collegati alla ’Ndrangheta. Tra gli effetti macroeconomici, il crollo dell’occupazione. Quasi 8mila soci, azionisti o amministratori legati da vincoli familiari a clan ’ndranghetisti e sono probabilmente affiliati alla ’Ndrangheta: si tratta dello 0,2% del totale degli imprenditori e dello 0,7% del totale delle imprese di questa intera area del Paese. Mentre la busta della spesa fa il giro del mondo, questi dati, fondamentali per la comprensione del fenomeno mafioso e della sua effettiva portata, rimangono poco conosciuti e ancora meno diffusi. L’EURISPES 18.1.2021 SERGIO NAZZARI


Le mani della mafia sui vaccini  A lanciare l’allarme è il presidente della Fondazione Caponnetto, Salvatore Calleri secondo il quale questa è solo l’ultima frontiera del business della criminalità   Sono i vaccini l’ultima frontiera del business della mafia in Italia. A lanciare l’allarme è il presidente della Fondazione Caponnetto, Salvatore Calleri, durante la presentazione di un report sulla lotta alla criminalità organizzata in Italia e in Toscana. Calleri invita a vigilare sulla “distribuzione dei vaccini, sia influenzali che soprattutto quelli Covid”. In particolare “bisognerà prestare molta attenzione ai loro trasporti nel momento della distribuzione”.

Ma la mafia non ha messo gli occhi solo sui vaccini. In un momento in cui si investono grandi risorse sulla salute, è tutto il mondo della sanità a rischiare infiltrazioni da parte della criminalità organizzata. “Pochi lo ricordano – prosegue Calleri – ma da anni la mafia si occupa di farmacie e parafarmacie” che “hanno un ruolo importante nel territorio e per questo sono appetibili: il traffico di farmaci, veri o falsi, o delle bombole di ossigeno sono un business che fa gola alla mafia”.

E ancora. “Un ulteriore rischio è quello degli appalti nelle forniture sanitarie, dove la fretta dovuta all’emergenza ha favorito i clan e le truffe”. Insomma, per il numero uno della Fondazione Caponnetto, il rischio è che uno degli effetti più negativi della pandemia sia quello di arricchire mafia, ‘ndrangheta e camorra.

Ma non è solo la sanità ad interessare le grandi organizzazioni criminali. Un altro dei settori più a rischio in questa fase – e la Toscana ne è un esempio – riguarda il turismo, “che risente in modo particolare della pandemia” e quindi registra “un aumento del rischio di infiltrazione criminale e mafiosa vista la inevitabile debolezza economica” e il pericolo che dietro a questa fase trovino spazio “usura e riciclaggio mediante acquisizione di attività”, ma anche “infiltrazioni criminali nelle proteste che mirano ad assumere informazioni su chi è in difficoltà”.

Le organizzazioni criminali sembrano dunque trarre nuova linfa dalla crisi economica e sanitaria in corso. “C’è un ‘tesorone’ da 3.000 miliardi di euro – spiega ancora Calleri – che è stato messo da parte dalle varie organizzazioni mafiose”. Una cifra “che permetterebbe di risanare il debito pubblico italiano” e sulla quale al contrario regna un silenzio che “non può che far rimanere esterrefatti”.

E mentre si creano le condizioni ideali per far prosperare la mafia, il contrasto alle grandi organizzazioni criminali segna uno dei suoi minimi storici. “Per quello che riguarda la lotta alla mafia – spiega ancora Calleri – oggi ci troviamo nel momento più buio degli ultimi 30 anni” perché “non è più un tema che trova spazio politico o che viene trattato“. AGI 19.1.2021


Con pandemia e crisi economica affari d’oro per le mafie: “Si nutrono di poveri”. Il rapporto mensile Caritas descrive un ruolo allarmante anche per la Toscana: “Le situazioni di bisogno sono ideali per le infiltrazioni mafiose”

“La mafia si nutre di povertà”. E’ l’allarme rilanciato nell’ultimo Report (‘Illegalità e povertà: due volti che si intrecciano nei mesi del Covid-19’) sugli effetti dell’emergenza sanitaria, elaborato da Caritas Firenze in collaborazione con Fondazione Solidarietà Caritas Onlus.

L’iniziativa è a cura dell’Osservatorio delle povertà e delle risorse, e “nasce all’indomani della crescente domanda di aiuto causata dalla pandemia, per rilevare e rispondere alle situazioni di disagio e vulnerabilità del territorio”.

Alla redazione del report hanno collaborato anche Libera Toscana e Unicoop Firenze. “Abbiamo illustrato come mafie, Covid-19 e povertà vadano a braccetto in un circolo vizioso molto preoccupante, dove legale e illegale si intrecciano continuamente”, spiega Giovanna Grigioni, referente Osservatorio Caritas.

“La nostra società vive il rischio sempre più concreto di una normalizzazione del fenomeno della corruzione. Ma una via di uscita c’è. Dobbiamo educare le nuove generazioni, prevenire, monitorare costantemente i cambiamenti che si registrano nel tessuto sociale, fare rete tra associazioni e istituzioni, perché è solo così che potremo sconfiggere un fenomeno tanto profondo quanto taciuto che permea la nostra società. Fingere che il problema non esista non aiuterà a risolverlo, ma anzi, come diceva Peppino Impastato, contribuirà solo a rafforzarlo”, aggiunge Grigioni.

Dallo studio emerge come la pandemia abbia contribuito a far aumentare ulteriormente le disuguaglianze sociali ed economiche nella società, in costante crescita, e abbia causato allo stesso tempo la perdita di numerosi posti di lavoro con impoverimento di altrettante famiglie.

“Ma come interviene in tutto ciò la mafia? I clan trasformano periodi di crisi in grandi opportunità di rafforzamento e di espansione. Quando si verifica una sospensione dell’ordine sociale, le mafie sono in grado di inserirsi e trarne profitto offrendo a coloro che si trovano in difficoltà un ‘welfare’ alternativo in grado di fornire liquidità immediata (magari soldi in prestito a tassi da strozzinaggio) e un’assistenza interessata attraverso reti collaudate di complici. È infatti risaputo che l’autorità mafiosa si pone a tutela di coloro che hanno bisogni di vario genere: peccato che poi si chieda sempre qualcosa in cambio e che tutto alla fine debba andare a vantaggio di quel gruppo ristretto di persone capace di esercitare con forza e violenza il dominio concreto di interi territori”, spiegano gli autori del report.

“Dunque, quale terreno fertile migliore di quello odierno per colpire le fasce più deboli? Vi è una stretta correlazione tra i settori più colpiti dalla pandemia, piccole e medie aziende, artigiani, esercizi commerciali, in particolare bar, ristoranti, alberghi, strutture ricettive, e la presenza di nuove infiltrazioni mafiose. Le organizzazioni criminali sono infatti in grado di individuare rapidamente le imprese. A queste forniscono il loro tempestivo soccorso e, passo dopo passo, ne diventano proprietarie oppure trasformano i beneficiari nel nuovo serbatoio per future affiliazioni o per collaborazioni di vario tipo. Ad essere oggetto di interesse sono però anche comparti fino ad ora meno esplorati come quello della sanità, oppure la distribuzione veloce di aiuti/sussidi/crediti per intercettare indebitamente denaro pubblico”, si legge in una nota pubblicata assieme al rapporto.

Per quanto riguarda la situazione nella nostra regione, la Toscana si conferma come uno dei territori italiani privilegiati per attività di riciclaggio e per la realizzazione di reati economico-finanziari su larga scala, oltre ad avere un ruolo centrale nei traffici nazionali e transnazionali di stupefacenti: a Livorno, ad esempio, nel 2019 è stata sequestrata cocaina per più di una tonnellata.

Altri nodi nevralgici ruotano intorno alla prostituzione, traffico di rifiuti, gioco d’azzardo (Prato è la città nella quale si gioca di più in Italia) e alla valuta virtuale poiché gran parte del riciclaggio di denaro sporco passa attraverso questi canali. Tutti fenomeni, che la crisi economica causata dalla pandemia, rischia di aumentare esponenzialmente anche a Firenze.

Da qui, sottolinea lo studio Caritas, la necessità di essere vigili e di mettere in atto strumenti di prevenzione adeguati come la promozione della cultura della legalità, attraverso la creazione di reti sempre più forti tra istituzioni e tutte quelle realtà (come Libera, Unicoop Firenze, Fondazione il Cuore si Scioglie, Rete Numeri Pari) che a vario titolo si impegnano per costruire e garantire una maggiore giustizia sociale.

Allarme lavoro nero. Nel report si sottolinea come “in base al rapporto dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro sulle verifiche svolte nel 2019, la Toscana è la quinta regione italiana per sanzioni per lavoro nero (2.583), la precedono Campania (5.140), Puglia (3.879), Lombardia (3.095) e Lazio (2.611)”.

E ancora: “In merito all’uso elusivo di fattispecie contrattuali flessibili, la Toscana è al quinto posto con 554 violazioni accertate, dopo Piemonte (839), Lombardia (797), Emilia-Romagna (707) e Sardegna (650). La Toscana è al sesto posto per esternalizzazioni fittizie, che riguardano principalmente i trasporti e i servizi alle imprese, con 1.440 lavoratori coinvolti, preceduta da Piemonte (4.531), Emilia-Romagna (2.626), Lazio (2.387) e Lombardia (1.954).

Dall’attività ispettiva sul caporalato e sulla riduzione in schiavitù in Italia emerge che, dal 2017 al 2019, è aumentato il numero di arresti e denunce: gli arresti sono passati da 31 a 154, le denunce da 94 a 416″.

“La crisi generata dalla pandemia da un lato ci ha resi più fragili, dall’altro ci pone davanti alla possibilità di una rinascita, attraverso un approccio nuovo alla realtà. Se vogliamo ridare dignità e umanità a coloro che si trovano in uno stato di bisogno – commenta Riccardo Bonechi, direttore della Caritas diocesana di Firenze -, dovremo infatti farci carico di tutte le loro povertà, non solo quella alimentare, abitativa ed economica, ma anche e soprattutto di quella educativa. Le mafie crescono infatti nei contesti in cui alberga stabile la povertà, in tutte le sue accezioni, da quella dei beni essenziali a quella culturale. La scuola, l’educazione, la conoscenza sono elementi fondamentali per insegnare a pensare, a farsi le giuste domande e queste sono le basi per una società davvero democratica”. 17 gennaio 2021 FIRENZE TODAY

 



MAFIA e SANITÀ 


La guerra di Renato Natale alla camorra e al Covid-19A Casal di Principe, il primo cittadino amico di don Peppe Diana – parroco assassinato dal clan dei casalesi – continua a combattere l’illegalità e la pandemia. «Se non riusciremo a organizzarci in tempi rapidi la camorra arriverà prima di noi».


 

Fenomeni di usura in crescita del 6,5%, rischio liquidità per circa 100mila imprese società di capitali e allarme per i cybercrimes in aumento rispetto allo scorso anno. È quanto risulta dal rapporto ‘La tempesta perfetta. Le mani della criminalità organizzata sulla pandemia’ curato da Libera e da Lavialibera nel quale convergono dati e analisi desunti dal grande lavoro compiuto in questo periodo dalle forze dell’ordine nel loro complesso: carabinieri, polizia, guardia di finanza e dalle relazioni istituzionali della Direzione investigativa antimafia, della Procura nazionale e degli studi e rapporti sul riciclaggio della Banca d’Italia.

Dal rapporto risulta anche un’impennata del numero di interdittive antimafia che nei primi nove mesi dell’anno viaggia alla media di sei al giorno, 23 prime attività pre-investigative collegate alla criminalità organizzata con il coinvolgimento di 26 Direzioni distrettuali competenti e 128 soggetti tenuti sotto controllo.

“Mafie e Covid: fatti l’uno per l’altro. È quanto risulta da questo rapporto, una fotografia inquietante del grado dell’infezione mafiosa ai tempi del Covid – commenta don Luigi Ciotti, presidente di Libera – Fotografia che si è potuta sviluppare grazie alla ‘camera’ non oscura ma chiara, trasparente, luminosa della condivisione e della corresponsabilità”. ADNKRONOS 02/12/2020 


Con il coronavirus la mafia aumenta il suo potere e la corruzione si diffonde sempre di più”, pensano il 70% degli italiani: il sondaggio Su 100 persone intervistate, 55 sono molto d’accordo con l’affermazione “la mafia dopo il Covid sta aumentando il suo potere”, 16 sono addirittura “moltissimo d’accordo”. Numeri che diventano rispettivamente a 52 e 19 se la domanda riguarda la diffusione della corruzione. I risultati del sondaggio commissionato dall’associazione Libera all’Istituto Demos, pubblicato su Repubblica L’altro virus c’è ma non si vede. Ma si sente. L’altro virus, come ha raccontato ilfattoquotidiano.it, sono le mafie che sono pronte a sfruttare le difficoltà economiche provocate dall’emergenza coronavirus. Una situazione largamente percepita dalla cittadinanza. Per 7 italiani su 10, infatti a causa del Covid la mafia sta aumentando il proprio potere, mentre la corruzione si diffonde sempre di più. È il risultato di un sondaggio commissionato dall’associazione Libera all’Istituto Demos, pubblicato su Repubblica. Su 100 persone intervistate, 55 sono molto d’accordo con l’affermazione “la mafia dopo il Covid sta aumentando il suo potere“, 16 sono addirittura “moltissimo d’accordo”. Numeri che diventano rispettivamente a 52 e 19 se la domanda riguarda la diffusione della corruzione. A essere convinti che il Coronavirus abbia portato ad aumentare il potere di Cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra sono soprattutto i liberi professionisti, che dimostrano di avere un grado di percezione relativo a questo fenomeno dell’80%. A essere più attenti alla corruzione – con l’80% – sono invece gli operai. L’istituto di Ilvo Diamanti fa notare come l’attenzione verso l’infiltrazione mafiosa sia particolarmente acuta nel Nord, soprattutto nel Nord Ovest, mentre nel Nord Est c’è maggio sensibilità al fenomeno della corruzione. Sostanziale pareggio tra l’attenzione ai due fenomeni al Sud e nelle Isole. Tra l’altro per il 55% degli intervistati gli aiuti economici stanziati dal governo per aiutare alle imprese stanno favorendo la corruzione. Una percentuale che scende al 47 se la domanda riguarda gli aiuti diretti alle persone in difficoltà. Nel sondaggio commissionato dall’associazione antimafia di don Luigi Ciotti viene chiesto agli intervistati i due settori più idonei dove investire i fondi europei: il 75% ha scelto la sanità, il 35 la scuola. “Dunque, la crisi pandemica haaccentuato la domanda di sicurezza sociale e personale, attraverso maggiori interventi del (e sul) sistema sanitario. Ma, al tempo stesso, ha spinto a guardare avanti. Verso il futuro. Investendo sullaricerca, sulla scuola. E, dunque, sulle giovani generazioni”, è il commento di Diamanti. di F. Q. | 21 NOVEMBRE 2020

 

 

 

Covid-19, mafie alla conquista dei fondi per le imprese: indaga la Gdf. Sono già una decina in Veneto i nomi inviati alla Procura antimafia dal comandante regionale Giovanni Mainolfi. Monitorato l’assalto delle cosche nelle campagne. Nel mirino vitivinicoltura, lattiero-caseario e cerealicolo. Il Procuratore nazionale Antimafia Cafiero De Raho: «Stanare soggetti che appartengono a categorie professionali che ancora oggi aiutano le mafie». In Sicilia Confagricoltura chiude la sezione di Enna. Il presidente nazionale Giansanti: «Non siamo in condizione di garantire il controllo contro le infiltrazioni» La criminalità organizzata è già all’opera per sfruttare i benefici previsti dal governo nazionale per aiutare il sistema economico a fronteggiare la crisi pandemica. Ed è solo l’ultimo aspetto della scoperta fatta in Veneto dagli uomini della Guardia di finanza guidata in quella regione dal generale Giovanni Mainolfi il quale nei giorni scorsi ha inviato alla Procura antimafia di Venezia un elenco con almeno dieci nomi di soggetti con un «pedigree criminale di un certo tipo». Dal monitoraggio avviato dalla Guardia di finanza emerge un quadro preoccupante di assalto alla diligenza da parte del crimine organizzato che non vuole lasciarsi sfuggire l’occasione di lucrare sugli aiuti pubblici previsti per le aziende in difficoltà: «Abbiamo la sensazione – dice Mainolfi – che ci sia qualcosa di strutturale per cercare di carpire i fondi pubblici che rischiano così di finire nelle mani sbagliate. Ne ho anche parlato con l’assessore regionale all’Economia ».

Il monitoraggio per individuare i fiumi carsici della speculazione criminale. Quella della Gdf del Veneto è in pratica già un’inchiesta in embrione che, sembra di capire, potrebbe portare presto clamorosi sviluppi. Mainolfi ha spiegato la strategia di contrasto alle infiltrazioni criminali nel sistema economico nel suo intervento a un seminario dedicato alle Agromafie e organizzato su Zoom da Advisora, comunità di professionisti che si occupano di beni confiscati, in collaborazione con vari atenei italiani (la Statale di Milano, la Federico II di Napoli), l’Ordine dei commercialisti di Milano, Confindustria Campania. «Ci siamo dati da fare – ha spiegato – per cercare di capire come si muove nel sommerso la criminalità organizzata e sono emerse sorprese. In questo momento c’è una tensione investigativa notevolissima. stiamo molto attenti e portiamo avanti progetti innovativi che ci stanno consentendo di individuare fiumi carsici». Uno dei settori interessati, ovviamente, è l’agricoltura: «Abbiamo registrato a partire da maggio interessi per alcuni settori agricoli – spiega Mainolfi -: il vitivinicolo, il lattiero-caseario, il cerealicolo. Interesse particolare di certi soggetti».

Modelli predittivi e intelligenza artificiale per battere le mafie  Uno spaccato di dinamiche di economia mafiosa in tempo di pandemia da Covid-19 : «Ecco perché, in questa fase, ci tornano utili i modelli predittivi che abbiamo creato e si fondano su basi informative e utilizzano l’intelligenza artificiale, la dorsale informatica. Grazie ai nuovi metodi stiamo intercettando gruppi di criminalità organizzata che si muovono in Veneto. Abbiamo recentemente condiviso il metodo con i prefetti e il sistema si è potuto arricchire con le informative antimafia . Andiamo avanti: è un metodo che porta risultati. Ricordo che la commissario di Agea bloccai 700 milioni di erogazioni che mi sono costati un sacco di problemi ma il tempo è galantuomo». Le tecniche predittive, dunque, sono il pilastro su cui si fonda questa strategia di contrasto che punta alla ricerca «delle mele marce per evitare che marcisca tutto» dice Mainolfi con una metafora che rende appieno l’idea del lavoro che va fatto: «In pochi mesi abbiamo smaltito 4.000 segnalazioni sospette con questo metodo». Un metodo che, ovviamente, consente anche di veder le connessioni tra la criminalità organizzata e chi si affianca ai boss o agli imprenditori mafiosi aiutandoli, istruendoli, indirizzandoli.

L’accusa di Cafiero De Raho: “Agromafie crescono nel silenzio degli operatori». La sfida, dice il procuratore nazionale Antimafia Federico Cafiero De Raho «è quella di riuscire a stanare soggetti che appartengono a categorie professionali che ancora oggi aiutano le mafie. Avvocati, commercialisti, consulenti e tanti altri che hanno contribuito a far fare il salto di qualità alla criminalità organizzata». E il procuratore diventa ancora più pungente quando affronta il tema delle agromafie in cui il sistema della tolleranza e delle collusioni con le cosche (siano esse di mafia o di ’ndrangheta, di camorra o della quarta mafia foggiana) sembra avere la meglio rispetto al coraggio degli imprenditori onesti. Qualcosa non torna, sembra dire Cafiero De Raho: «In alcuni casi abbiamo notato una continuità mafiosa. È evidente che qualcosa manca: i segnali non arrivano dagli operatori che però vedono quello che succede attorno a loro». C’è ancora l’assenza di anticorpi e la presenza delle mafie dalla coltivazione al trasporto, alla vendita continua ad avere effetti disastrosi in termini di moltiplicazione dei prezzi: «Un prodotto parte dai campi a 0,10 euro e arriva a costare alla fine 6 euro – aggiunge Cafiero De Raho -. C’è evidentemente una fascia di prezzo da controllare in cui il ruolo determinante è svolto dai grandi mediatori. E in questo caso troviamo ancora mafia, ’ndrangheta, camorra che acquisiscono i grandi centri della Gdo. Altra questione: chi coltiva i terreni? Il caporalato gioca un ruolo importante e c’è una catena di sfruttamento e ancora oggi non si riesce a smascherare questa rete». E sono solo alcuni aspetti di una situazione complessa e variegata in cui convivono, spesso parallelamente, affari di vario genere: dallo smaltimento di rifiuti pericolosi nelle campagne con inevitabili conseguenze sulla salute dei cittadini, alla speculazione sui terreni presi in affitto dai mafiosi a pochi soldi per costruirci un lucroso business di accaparramento di contributi europei e di frodi in danno dell’Ue come ha denunciato l’ex presidente del Parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci autore di quel protocollo poi diventato legge che sbarra la strada alle cosche nelle campagne.

Confagricoltura, chiusa sezione di Enna: «Difficile prevenire. La situazione è complicata e lo è perché il giro d’affari del settore in Italia è enorme (il settore vale 540 miliardi) e coinvolge ampi pezzi dell’economia del paese. Lo spiega senza molti giri di parole il presidente nazionale di Confagricoltura Massimiliano Giansanti che a proposito di terreni e di Sicilia racconta di aver dovuto chiudere la sezione di Confagricoltura di Enna «perché – dice Giansanti -non potevamo garantire una adeguata prevenzione dell’infiltrazione mafiosa nella gestione dei titoli. Noi applichiamo una regola: l’espulsione degli associati da Confagricoltura se coinvolti in affari di mafia». Ovvero nella gestione dei terreni presi in affitto dagli imprenditori: una parte della provincia di Enna si trova all’interno del Parco dei Nebrodi (il territorio del comune di Troina per dire) ma anche nelle zone esterne al parco la speculazione sui titoli e sui fondi europei è andata avanti per anni. Quel territorio che è stato campo di battaglia per Antoci che «è stato vittima di un attentato, di minacce e continua essere bersaglio di minacce» conclude Cafiero De Raho   NINO AMADORE SOLE 24 ORE 11.11.2020

 

Covid, la denuncia dell’antimafia: “C’è chi festeggia per i morti del virus” La denuncia del capo dell’antimafia Alessandra Dolci dopo un’intercettazione di un’indagine in corso C’è anche chi ride per i morti del virus. Ricordate quei due imprenditori che al telefono pregustavano affari in arrivo grazie alle vittime del terremoto in Abruzzo? Ogni tragedia ha i suoi sciacalli. “Anche nelle mie indagini recentemente abbiamo colto dei commenti entusiastici sull’avanzare della pandemia e sull’incremento del numero dei decessi” si lascia scappare il procuratore aggiunto Alessandra Dolci. Nei giorni scorsi il capo dell’antimafia milanese partecipava via web ad un convegno sulle mafie in Lombardia. Aveva appena ascoltato l’audio di un’intercettazione fresca fresca relativa ad una nuova indagine e non è riuscita a trattenersi. Una frase precisa quella registrata dagli investigatori, che non lascia dubbi sul fatto che anche oggi, appena qualche giorno fa, mentre centinaia di persone purtroppo muoiono tutti i giorni nella nostra regione, qualcuno stia facendo il tifo per il virus e non per il vaccino. «Sono azioni che vanno sanzionate, osserva il magistrato riferendosi ovviamente non ai commenti sarcastici ma ai comportamenti illeciti che ne sarebbero conseguiti. Top secret, naturalmente, protagonisti e interpreti di questa inchiesta tuttora in corso. Ma certo non sono mancate, negli ultimi mesi, le occasioni in cui il procuratore aggiunto Dolci ha parlato dell’emergenza sanitaria come occasione di grandi affari per un certo genere di imprenditoria. Dispositivi di sicurezza, s ervizi funebri, sanificazione. Sono questi i nuovi ambiti in cui la criminalità organizzata (ma non solo) si sta espandendo sfruttando l’emergenza sanitaria. Per il capo della direzione distrettuale antimafia di Milano, “già durante i primi mesi della pandemia i nostri indagati orientavano i propri interessi dai traffici di stupefacenti ai tentativi di accaparramento dei presidi sanitari. Fin dall’inizio si attivavano per recuperare scorte di mascherine dalla Cina e immetterle sul mercato italiano”. Nessuna sorpresa , dunque, se chi ha interessi in gioco non controlli nemmeno al telefono il proprio cinismo. L’importante per il magistrato, con tutti i denari che in vario modo vengono distribuiti dal governo, è che i controlli funzionino.”Condivido l’urgenza di dover sostenere le imprese. Ora però starà all’autorità giudiziaria, alle forze di polizia e ai cittadini esercitare, anche se a posteriori, una forma di controllo. di MARIO CONSANI IL GIORNO 13 novembre 2020


C’è il rischio d’infiltrazione della criminalità nella distribuzione del vaccino per il Covid”: l’allarme del pm anticorruzione. Giovanni Tartaglia Polcini, consigliere giuridico del ministero degli Affari Esteri, in passato titolare di indagini su vicende di malversazione nella sanità campana: “Durante la pandemia, sono state aperte 46 inchieste per condotte corruttive, ora bisognerà stare molto attenti che non avvengano analoghi fenomeni corruttivi durante la produzione e distribuzione su larga scala del vaccino” “Il vaccino anti Covid 19 non è solo una sfida sanitaria al virus, è anche una sfida etica: assicurare che arrivi a tutti, indistintamente, in tempi ragionevoli e secondo criteri e parametri certi e controllabili, in un settore ad alto rischio corruzione come quello della sanità: solo in Italia, e solo durante la pandemia, sono state aperte 46 inchieste per condotte corruttive o penalmente rilevanti, e bisognerà stare molto attenti che non avvengano analoghi fenomeni corruttivi durante la produzione e distribuzione su larga scala del vaccino”. A lanciare l’allarme è il pubblico ministero Giovanni Tartaglia Polcini, consigliere giuridico del ministero degli Affari Esteri, in passato titolare di indagini su vicende di malversazione nella sanità campana (spicca quella per la quale è stata rinviata a giudizio l’ex ministra Nunzia De Girolamo), nonché membro del comitato scientifico del centro studi Eurispes. Ed è in quest’ultima veste che Tartaglia Polcini interviene su ilfattoquotidiano.it per sottolineare che tra gli interessi legittimi che si animeranno intorno al vaccino, bisognerà stare molto attenti a quelli illegittimi delle mafie. “Il vaccino è un farmaco che sarà diffuso a livello globale, e a livello globale ci saranno rischi di infiltrazione della criminalità. A cominciare da un tema mai troppo affrontato ma serissimo: quello della contraffazione del farmaco. Lei immagina uno scenario nel quale il vaccino non arriverà per tutti e si scatenerà la corsa a procurarselo, quali danni potrebbe provocare una organizzazione malavitosa in grado di fornire vaccini contraffatti?”. Nei primi mesi del 2021 lo scenario potrebbe essere proprio questo: una minoranza di soggetti fragili o aventi diritto per varie ragioni, ai quali dare la precedenza, e una maggioranza che potrebbe reagire con insofferenza alle attese. Tartaglia Polcini sottolinea che dietro alla distribuzione dei farmaci “c’è una catena di fornitori, trasportatori e stoccatori che viene stabilita attraverso appalti molto rilevanti che è un settore anch’esso ad altissimo rischio di corruzione”. C’è poi il tema della ricerca e della produzione, “il rischio di bolle speculative sui prezzi e quello dell’accesso generalizzato al vaccino. Le faccio un esempio, una delle più diffuse corruzioni nella sanità è quella della scalata illecita delle liste d’attesa”. Che nel nostro caso potrebbe tradursi in tangenti per farsi inserire nelle categorie di chi sarà vaccinato per primo? “Esatto. I timori ci sono ed esistono a livello planetario – afferma il magistrato – per fortuna l’Italia è un paese dove si cerca di fare di tutto per assicurare l’uguaglianza di tutti i cittadini. Abbiamo un sistema sanitario nazionale che lavora per il diritto universale alla salute, abbiamo un sistema di garanzie assicurato da una magistratura indipendente, dall’obbligatorietà dell’azione penale, dall’esistenza di una stampa libera che esercita un controllo sul potere. Ma ci sono anche paesi dove non esiste un forte stato di diritto e dove i fenomeni di corruzione intorno al vaccino potrebbero moltiplicarsi”, conclude l’ex pm. 17 NOVEMBRE 2020 IL FATTO QUOTIDIANO VINCENZO LURILLO


Coronavirus, l’Antimafia: “In Lombardia la ‘ndrangheta si accaparra le mascherine e punta allo smaltimento dei rifiuti infetti”  Intervista ad Alessandra Dolci, coordinatrice della Direzione distrettuale antimafia di Milano: “Dai nostri sensori sul territorio emerge anche l’interesse per la sanificazione e per i test sierologici, probabilmente fasulli”. Corsa agli impianti di stoccaggio dei rifiuti, a cui la Regione ha concesso un aumento fino al 20% della capacità. In Lombardia, frontiera della lotta contro il coronavirus, la ‘ndrangheta sta cercando di buttarsi nel business dell’emergenza, dalle ormai preziosissime mascherine alle sanificazioni, fino allo smaltimento di rifiuti potenzialmente contaminati. Lo dice a ilfattoquotidiano.it Alessandra Dolci, coordinatrice della Direzione distrettuale antimafia di Milano. Giusto ieri il procuratore nazionale Federico Cafiero de Raho, dai microfoni di Agorà su Raitre, aveva confermato “segnali di grande interesse da parte delle organizzazioni criminali” proprio nel mercato delle mascherine, letteralmente impazzito, a livello globale, fin dagli inizi dell’epidemia.

Dottoressa Dolci, da che cosa emerge l’interesse della ‘ndrangheta lombarda in questi settori?  Dai nostri sensori sul territorio possiamo affermare che esponenti della ‘ndrangheta che opera in Lombardia sono in fibrillazione e dimostrano un grande intereresse per l’accaparramento di presidi sanitari, e non solo.

A quali prodotti e servizi in particolare si mostrano interessati?  La mascherine chirurgiche, le tute e i dispositivi di protezione personale in genere. I kit sierologici, probabilmente truffaldini, per i quali ci sono contatti con la Cina e possibilità di grandi ricarichi sul prezzo. L’attività di sanificazione, dall’ufficio al condominio. Purtroppo devo dire anche le onoranze funebri, diventate anche queste un affare dato il picco di decessi dovuti a Covid-19. E lo smaltimento dei rifiuti contaminati, sia quelli prodotti dagli ospedali sia quelli raccolti nei condomini dove sono presenti persone infette, che per la normativa devono buttare i loro rifiuti nell’indifferenziato. Non posso dire di più perché ci sono attività investigative in corso.

Questo porta con sé il rischio che mascherine infette e altro siano poi smaltiti illegalmente, in siti abusivi, con ulteriori rischi per la salute dei cittadini. La normativa regionale prevede che questo materiale vada direttamente all’inceneritore, senza specifici controlli. In più, nella logica di far fronte all’emergenza, permette agli impianti di stoccaggio dei rifiuti di aumentare la loro capacità del 20% rispetto all’autorizzazione in loro possesso, con una semplice comunicazione alle autorità competenti.

Parliamo degli impianti che già sono finiti al centro degli accertamenti dell’antimafia lombarda per la serie di roghi registrati negli ultimi anni. Esatto. Nelle nostre attività stiamo rilevando un crescente interesse criminale verso società che gestiscono impianti già in possesso di queste autorizzazioni. di Mario Portanova | 9 MAGGIO 2020 IL FATTO QUOTIDIANO


Coronavirus, sempre più imprese nel mirino dell’usura – Allarme DDAMilano: “Nessuna denuncia durante pandemia”.  Sono raddoppiate (dal 9 al 19%) rispetto a giugno le segnalazioni di chi ha ricevuto proposte “irrituali”

La criminalità ha fiutato il grande affare da un pezzo, sempre alla finestra quando si tratta di trarre vantaggio da una situazione critica, infilandosi nelle pieghe di quel disagio e adattandosi subito alle “nuove” esigenze di mercato e anzi persino definendole. Un allarme che cresce di giorno e giorno con tante imprese sempre più in difficoltà che sono finite nel mirino di quanti sono pronti ad approfittare di una crisi dall’onda lunga. 

Sono praticamente raddoppiate (dal 9 al 19%) rispetto a giugno le segnalazioni di chi ha ricevuto proposte “irrituali”, aiuti economici o richieste di acquisto o cessione dell’attività a valori inferiori a quelli di mercato.

Ma c’è un dato più che preoccupante. “Da nove mesi, cioè da quando è iniziata la pandemia, non abbiamo ricevuto nessuna denuncia di usura ed estorsione eppure dalle indagini vediamo che ci sono negozi che pagano il pizzo, magari per somme ridotte di 500 o mille euro, anche in un momento di grandissima difficoltà economica”.

Lo ha detto la numero uno della Direzione distrettuale antimafia milanese,  ALESSANDRA DOLCI, nel corso dell’ incontro digitale promosso dalla Confcommercio di Milano “La criminalità ai tempi del Covid, quali pericoli per le imprese”.

Sempre dalle indagini, però, si evince che “ci sono dei commercianti che, nonostante siamo in un periodo di profonda crisi, pagano il pizzo: cifre contenute, 500, 1000 euro ma pagano”.

Sottolinea Dolci: “denunciare è invece un dovere” e “conviene” perché “la moneta cattiva scaccia quella buona” inquinando il mercato, così come sostiene la legge di Gresham. Senza contare che la mancata denuncia potrebbe comportare anche conseguenze penali o interdittive .

Ieri, intanto, il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha comunicato di aver rifinanziato, come ogni anno, il Fondo per la prevenzione del fenomeno dell’usura, istituito presso il Dipartimento del Tesoro dalla legge 108 del 1996 e operativo dal 1998, con cui, attraverso Confidi, Associazioni e Fondazioni, vengono concesse garanzie per facilitare l’accesso al credito a imprese e cittadini a rischio usura.

Il Fondo, alimentato con un circolo virtuoso dai proventi delle sanzioni amministrative antiriciclaggio, ha beneficiato quest’anno di un contributo extra di 10 milioni di euro stanziati ad hoc dal DL rilancio (convertito in legge numero 77/2020) arrivando ad un importo complessivo di 32,7 milioni di euro.Le risorse saranno erogate entro la fine del 2020 a 113 “Enti gestori”: 77 Confidi (consorzi di PMI), che riceveranno circa 23 milioni di euro, e 36 Associazioni e Fondazioni impegnate nella lotta all’usura, che ne riceveranno circa 9,7.

Ognuno di tali Enti riceverà mediamente 280 mila euro, con punte massime di 600 mila euro per i più virtuosi, ovvero per coloro che negli anni passati hanno meglio impiegato le cifre messe a disposizione nell’ambito del Fondo che dal 1998 ad oggi ha erogato a Confidi, Associazioni e Fondazioni di lotta all’usura circa 670 milioni di euro che hanno consentito a loro volta di garantire finanziamenti per oltre 2 miliardi di euro, con una leva di finanziaria di circa il 300%. Nel 2019 la leva finanziaria ha raggiunto quasi il 400% e il tasso di default è sceso ai minimi storici (15%). QUI FINANZA 28.11.2020


Gli interessi mafiosi per approfittare dell’emergenza Covid. ANTONIO CALABRÒ Giornalista, scrittore e vicepresidente di Assolombarda 

Comprare imprese in crisi e fare affari ai danni della salute  500 miliardi di euro. Ecco un dato impressionante che rivela il clamoroso peso economico di ’ndrangheta, camorra e “cosa nostra” siciliana. 500 miliardi d’origine criminale “ripuliti” e rigirati attraverso i traffici di un imprenditore calabrese in un’infinità di investimenti in mezzo mondo.

Il dato emerge dall’indagine della Dda (la Direzione distrettuale antimafia) di Reggio Calabria su Roberto Recordare, affarista di Palmi, robusti legami con le ’ndrine locali e relazioni internazionali soprattutto nei paradisi bancari e fiscali. E la leva operativa è una società di software e di servizi informatici basata a Malta e dal nome esemplare, Golem (il mitologico gigante d’argilla senz’anima né intelligenza ma con una forza smisurata, obbediente agli ordini del suo padrone).

Sono tanti, 500 miliardi. Il 30 per cento del Pil, il prodotto lordo italiano annuo. O anche più del doppio delle somme messe a disposizione per l’Italia dal Recovery Fund della Ue, il piano che in cinque anni dovrebbe portarci fuori dalla crisi del Covid e dalla recessione. O, per fare l’ultimo paragone, l’equivalente, più o meno, della capitalizzazione (cioè del valore delle azioni) delle prime 25 società quotate alla Borsa di Milano (Enel, Eni, Banca intesa, Fca, Poste, etc.).

I paragoni sono, naturalmente, un’approssimazione scientificamente non rigorosa. Ma servono, comunque, per dare ai lettori l’idea di una terribile, drammatica forza economica che le mafie continuano ad accumulare grazie alle loro attività illegali (droga, traffici di esseri umani, armi, riciclaggio di rifiuti inquinanti, scommesse clandestine, speculazioni su appalti e servizi pubblici, etc.) e i cui proventi reinvestono anche in attività apparentemente lecite, stravolgendo i mercati, gli affari legali, le attività delle imprese regolari, il funzionamento delle pubbliche amministrazioni.

In sintesi: 500 miliardi di ’ndrangheta, camorra e mafia siciliana per danneggiare la nostra vita e il nostro lavoro, l’ambiente in cui viviamo, la salute, il futuro dei nostri figli. Ricchezza abnorme di mafia per morire di mafia.

Le indagini (ricche di intercettazioni da cui risultato dati, schemi di investimento, collaborazioni ma anche minacce e una risata di scherno per Caruana Galizia, la giornalista maltese assassinata mentre indagava sugli affari dei clan mafiosi a Malta) diranno nel tempo come funzionava esattamente il giro criminale di Recordare e dei suoi complici. E forse il lavoro dei magistrati e degli inquirenti consentirà di sequestrare e confiscare parte di quel patrimonio fondato su affari illeciti.

Quei 500 miliardi di cui si parla sono calcolati su una serie di operazioni dagli anni Ottanta del Novecento a oggi. E sono solo una parte di quella che gli studiosi chiamano “Mafia Spa”, un mostro economico con ricavi che la Commissione antimafia presieduta da Giuseppe Pisanu (dal 2008 al 2013) valutava in 150 miliardi all’anno e con un valore complessivo di 1.700 miliardi.

Stime, naturalmente, visto che nessuno è in grado di fare esattamente i conti in tasca ai boss criminali. Ma, probabilmente, stime per difetto. Di sicuro, valori abnormi. Una minaccia incombente, per l’economia e la stessa tenuta della società e della democrazia, di cui non c’è, purtroppo, un’esatta percezione di rischio da parte dell’opinione pubblica e del mondo politico.

Quel dato, i 500 miliardi di Recordare, dobbiamo ben tenerlo a mente proprio adesso che la magistratura e la Dna (la Direzione nazionale antimafia) lanciano un nuovo allarme: le cosche calabresi, siciliane e campane si stanno muovendo per approfittare della crisi Covid, mettere le mani su migliaia di imprese in difficoltà e cercare di lucrare anche sui finanziamenti pubblici nazionali e della Ue.

Le organizzazioni criminali, sostiene la Dna, nella relazione 2019 ampliata sino al settembre 2020, “hanno saputo cogliere il carattere dell’estrema urgenza nella tutela della salute pubblica, subentrando, anche attraverso la precostituzione di reticolate schermature societarie, nelle procedute pubbliche dirette all’affidamento delle forniture di beni e servizi, anche in deroga alle norme previste dal Codice degli appalti”.

La ’ndrangheta ha fatto da anni esperienza in iniziative speculative ai danni della sanità calabrese, oramai un clamoroso esempio di dissesto, tra alti costi e bassa qualità dei servizi (e finalmente il governo, dopo indecisioni ed errori che hanno sfiorato il ridicolo, ha nominato come commissario alla sanità in Calabria Guido Longo, ex questore ed ex prefetto, una vita professionale spesa a combattere le organizzazioni mafiose calabresi e siciliane).

Poi si è allargata in Lombardia e in altre regioni del Nord, avendo proprio i servizi e le forniture sanitarie (accanto al traffico illecito dei rifiuti) come nuovo ambito preferito di investimenti e di affari carichi di ombre. La crisi Covid e le necessarie procedure d’urgenza d’intervento sono, per i criminali mafiosi, condizioni favorevoli di espansione. Ed è dunque necessario tenere alta la guardia sulle presenze dei clan, per evitare che, inquinando appalti e servizi, facciano gravissimi danni alla salute e all’economia.

C’è un secondo aspetto, che rivela la pericolosità eversiva delle attività della ’ndrangheta e delle altre consorterie mafiose: la razzia di imprese in difficoltà. Con intermediari che si presentano con i soldi in mano per acquisire partecipazioni di aziende in crisi, soprattutto nel settore terziario commerciale (ristoranti, bar, alberghi). Lo rivela una ricerca su “La criminalità ai tempi del Covid”, condotta dalla Camera di Commercio di Milano, Lodi, Monza e Brianza, che mostra come, rispetto al giugno scorso, siano raddoppiate le “proposte irrituali”, cioè quelle di aiuto economico per rastrellare imprese con offerte equivalenti a una parte molto bassa del valore dell’impresa.

La crisi di liquidità e, spesso, le difficoltà nei rapporti con le banche e con le strutture che erogano i finanziamenti pubblici lasciano molto imprenditori, in solitudine, esposti alle pressioni di aiuto mafioso.

Il fenomeno è da tempo all’attenzione della Procura antimafia milanese guidata con grande efficacia da Alessandra Dolci: “È importante denunciare. Ma finora questo continua a non avvenire, mentre abbiamo diversi esempi di acquiescenza, cioè di figure dell’economia legale che si sono messe a disposizione delle organizzazioni criminali”.

Di questi rischi, sono perfettamente consapevoli le organizzazioni imprenditoriali, che insistono oramai da anni sulle campagne di sensibilizzazione degli imprenditori sui rischi della presenza mafiosa nell’economia e sulla necessità di un chiaro e collettivo impegno antimafia.

“La cultura d’impresa è la responsabilità per la legalità. È stare in prima linea nell’azione contro la mafia, che ha ancora oggi un’allarmante attualità. Su questo tema dobbiamo rafforzare il nostro impegno, con tutti gli attori sociali ed economici che hanno a cuore la libertà. E con una vera regia europea, perché la mafia oggi non conosce confini”, ha detto, con molta chiarezza, Alessandro Spada, presidente di Assolombarda, all’assemblea dell’associazione, a metà ottobre. E nuove iniziative si preparano.


COMO, IL PROCURATORE CAPO: “LA ‘NDRANGHETA È SILENTE, LE PICCOLE IMPRESE IN CRISI STIANO ATTENTE”  Il procuratore capo di Como Nicola Piacente in un’intervista a Fanpage.it ha messo in allerta le piccole e medie imprese del territorio: “In tutta la provincia la ‘ndrangheta agisce in silenzio, ma non per questo bisogna pensare che non ci sia. Gli imprenditori non devono fare l’errore di chiedere liquidità alla ‘ndrangheta per restare sul mercato in questo periodo di emergenza sanitaria ed economica”. Il procuratore poi avverte: “I settori a rischio non sono più solo quelli prediletti dalla ‘ndrangheta, come movimento terra e ciclo dei rifiuti, ma anche le attività a conduzione famigliare della ristorazione e del turismo”. “Sul territorio comasco la ‘ndrangheta è silente. Agisce in silenzio, ma non per questo bisogna pensare che non ci sia. Anzi, in questo periodo di emergenza Covid le piccole medie imprese non devono diventare facili bersagli della criminalità organizzata che cerca di entrare nei loro affari”. Lo spiega bene a Fanpage.it il Procuratore Capo di Como Nicola Piacente che mette in guardia gli imprenditori comaschi messi in ginocchio dai mesi di chiusura forzata e dai pochi turisti sul lago: “Oggi gli imprenditori non devono fare l’errore di chiedere liquidità alla ‘ndrangheta per restare sul mercato. Mi rivolgo alle piccole medie imprese, quelle che il lockdown ha messo più in difficoltà, di tutti i settori commerciali della zona. Non solo quelle che operano nei tradizionali mercati prediletti dalla ‘ndrangheta, come movimento terra e ciclo dei rifiuti, ma anche le attività a conduzione famigliare della ristorazione e del turismo. Non è tanto una questione di settori ma di dimensione economica”. In Lombardia la criminalità organizzata preferisce i piccoli centri e la provincia di Como non fa eccezione: qui si contano 160 comuni con 42.227 piccole medie aziende attive sul territorio. E in dieci anni ci sono stati 50 arresti per 416 bis.

In quattro anni solo nove denunce per estorsione riconducibili a possibili esponenti di ‘ndrangheta  A Como la ‘ndrangheta c’è: i comaschi se ne sono accorti una prima volta dopo l’operazione della Direzione distrettuale antimafia di Milano “I fiori della notte di San Vito” nel 1994 per poi togliersi qualsiasi dubbio con l’operazione Infinito del 2010: allora delle 15 Locali di ‘ndrangheta accertate dagli investigatori in Lombardia tre erano comasche, ovvero quella di Canzo-Asso, Erba e Mariano Comense. Poi con il tempo sono diventate cinque. Se però fino a qualche anno fa la ‘ndrangheta si è imposta sul territorio con la violenza, da cinque anni la criminalizzata organizzata non incendia più auto e non intimidisce gli imprenditori per estorcere denaro. Basti pensare che, secondo i dati della Procura, le denunce di usura negli ultimi quattro anni sono 36 per frode bancaria e 9 nei confronti di singoli individui che quindi possono essere riconducibili a membri di ‘ndrangheta. Non ci sono più i “tradizionali” reati spia: “Da circa cinque anni la criminalità organizzata di stampo mafioso presente sul territorio comasco vive di ‘rendita di posizione’. O meglio, riconosciuta ormai in provincia come un’autorità, non ha bisogno di utilizzare la violenza per colludere imprenditori. Ma sa che può usarsene quando vuole e questo basta ai comaschi per desistere a denunciare”, continua a spiegare il procuratore Piacente. Insomma, la criminalità organizzata non ha bisogno di manifestare la propria violenza, ma non per questo è meno pericolosa.

A Como gruppi criminali accumulano capitale attraverso la frode tributaria  A maggio abbiamo arrestato trenta persone con l’accusa di frode tributaria. Le indagini si sono concentrate sul rapporto di lavoro tra consorzi e cooperative– spiega il procuratore Piacente -. L’accumulazione di capitale avveniva attraverso uno schema fraudolento che si è consolidato nell’arco di dieci anni. Sul territorio c’erano consorzi che fingevano di appaltare a diverse cooperative sociali più lavori. Queste, costituite ad hoc, simulavano a loro volta l’acquisizione di questi incarichi che di fatto però venivano svolti da dipendenti apparenti delle cooperative, mentre invece erano membri del consorzio che scaricavano sulle cooperative gli adempimenti tributari che non erano mai stati assolti. Erano infatti le cooperative a emettere la fattura senza pagare le tasse. Dopo aver accumulato abbastanza denaro le cooperative venivano fatte fallire per poi crearne delle altre”. E aggiunge: “Un sistema durato dieci anni svelato da una comune verifica della Guardia di finanza di Erba. Le indagini hanno poi consentito di individuare che tra i promotori della frode vi erano persone provenienti da Gioia Tauro”. Un sistema pensato in dieci anni.  FANPAGE 12 OTTOBRE 2020  Giorgia Venturini   In foto il Procuratore della Repubblioca di Como, dottor Nicola Piacente con la dottoressa Fiammetta Borsellino in occasione dell’intitolazione della Biblioteca comunale di Como al dottor Paolo Borsellino


Coronavirus: le strategie dell’Interpol contro la criminalità organizzata Le mafie e la criminalità organizzata restano un pericolo per le economie globali anche in tempi di pandemia. Proprio partendo da questo dato di fatto che questa mattina le polizie di tutto il mondo si sono date appuntamento per partecipare, in video conferenza, al Global Alliance Adaptive Policing. I vertici delle polizie di 194 Paesi, membri dell’OIPC – Interpol, si sono confrontati sulle strategie da adottare per contrastare e prevenire la capacità delle organizzazioni criminali di sfruttare, a loro vantaggio, questo periodo di incertezze e di difficoltà economica.  Per l’Italia ad intervenire è stato il vice capo della Polizia-direttore Centrale della polizia criminale Vittorio Rizzi che ha confermato i rischi di infiltrazione della criminalità nell’economia durante la pandemia da COVID19, ribadendo la necessità della cooperazione di polizia per intercettare i nuovi interessi delle mafie in un periodo così complesso come quello attuale. Il prefetto Rizzi ha infatti sottolineato che “Il dispositivo di protezione più efficace nel contrasto alla criminalità organizzata nell’epoca della pandemia diventa sempre di più lo scambio informativo in tempo reale. Questo perché il dato di partenza è che non esiste  una criminalità organizzata confinata in ambiti locali, perché il crimine ha caratteristiche di globalizzazione come ogni aspetto della nostra vita”. 27.10.2020

 

 


 

GLI USURAI FANNO AFFARI COL COVID   Blitz della finanza: tre arresti – Accusati di usura ed estorsione  Scattata all’alba un’operazione coordinata dalla Procura di Como Usura, estorsione ed esercizio abusivo dell’attività bancaria: con questi reati tre comaschi sono stati arrestati questa mattina dalla Guardia di finanza di Como. L’operazione, denominata “chi vuole essere milionario”, è scattata all’alba di questa mattina. Dei tre arrestati due sono stati portati in carcere, un terzo è ai domiciliari. I finanzieri stanno anche eseguendo 14 perquisizioni nell’ambito dell’operazione. Gli usurai arrestati – uno, in particolare, era già finito in cella in passato sempre per usura – avrebbero approfittato dello stato di necessità di “clienti” in crisi a causa del Covid. In mattinata il procuratore di Como terrà una conferenza stampa per illustrare i dettagli dell’inchiesta. LA PROVINCIA 9.11.2020


La criminalità organizzata nell’emergenza Covid: focus dell’osservatorio della prefettura di Lecco   1 Ottobre 2020

Massima deve essere oggi l’attenzione sulla sua capacità di infiltrazione nel tessuto sano dell’economia  Richiamare l’attenzione sull’espansione del cosiddetto “welfare mafioso di prossimità”, ossia quel sostegno attivo alle famiglie degli esercenti commerciali e degli imprenditori in difficoltà o in crisi di liquidità, da parte delle organizzazioni criminali. Con questa finalità il prefetto di Lecco, Michele Formiglio, ha riunito oggi in prefettura l’Osservatorio sulla criminalità organizzata legata all’emergenza Covid, al quale hanno preso parte, oltre i componenti del gruppo interforze antimafia, anche il presidente della camera di Commercio Como-Lecco, Marco Galimberti, quale sintesi di tutte le associazioni di categoria del territorio provinciale.  La pervasività del reato di usura, che nel territorio provinciale ad oggi non è registrato ufficialmente, è di particolare risalto in questo momento, considerate le estese difficoltà economiche nelle quali famiglie e imprese si sono trovate a causa della pandemia. La possibilità che hanno oggi i clan di poter dispensare con immediatezza la smisurata liquidità di cui dispongono alle persone in difficoltà e senza, al momento, chiedere una contropartita, ha peraltro innalzato anche il livello reputazionale delle consorterie criminali.  La mafia da soggetto infiltrato diviene oggi soggetto integrato nell’economia legale. Lo scambio tra l’assistenza economica dei mafiosi a famiglie ed imprenditori in difficoltà si fonda chiaramente sulle future connivenze, con la possibilità di infiltrarsi ulteriormente nel tessuto economico, in particolare, con riferimento a quanto sarà fatto in esecuzione del “Recovery Plan” e delle altre misure pubbliche di sostegno. Massima deve pertanto essere in questa fase l’attenzione verso i rischi di infiltrazioni della criminalità nelle attività economiche e verso il ricorso a canali opachi per il reperimento di risorse finanziarie. La lotta all’usura passa necessariamente attraverso la verifica dello stato di salute del tessuto produttivo e l’accertamento della capacità di risposta dell’intero sistema creditizio tramite un monitoraggio sull’accesso al credito, così da contribuire ad assicurare la regolarità dei flussi erogati e intercettare preventivamente eventuali situazioni patologiche e il ricorso a strumenti di finanziamento illeciti. Tra le concrete iniziative discusse nell’incontro, la necessità di potenziare l’attività di informazione e sensibilizzazione da parte delle associazioni, attivando specifici sensori sul territorio, per aiutare le potenziali vittime a comprendere i concreti rischi che derivano dal ricorso a questo tipo di finanziamenti.


Coronavirus, le due mosse della mafia: presa sul territorio e mercati globali. Strategia della criminalità organizzata dopo il lockdown: la relazione della Dia traccia i segni della mappa operativa criminaledi Marco Ludovico. Per la prima volta nella storia della sua relazione semestrale, la Dia non si ferma alla scadenza prevista, il secondo semestre 2019. In cima al documento consegnato al Parlamento c’è uno “Speciale Covid” di 16 pagine: analisi delle tattiche in corso e gli obiettivi a medio termine della mafia per l’invasione nei territori stroncati dall’economia in ginocchio e il massimo profitto finanziario sui mercati nazionali e internazionali. Quello della Dia è il segnale di un allarme in continuo aumento, a livelli già molto preoccupanti, già lanciato a più riprese dal ministro dell’Interno Luciana Lamorgese.

Profitti illeciti su uno scenario post-bellico Gli analisti al comando del direttore della Dia Giuseppe Governale, sottolineano la capacità speciale dei mafiosi di valutare le tendenze economiche e finanziarie di mercato. «La loro più marcata propensione è quella di intellegere tempestivamente ogni variazione dell’ordine economico e di trarne il massimo beneficio. Ovviamente, sarà così anche per l’emergenza COVID-19».Il trauma del lockdown su un’economia già in crisi consente ai clan «di esacerbare gli animi» e insieme «di porsi come welfare alternativo, come valido ed utile mezzo di sostentamento e punto di riferimento sociale». Non basta: nella «paralisi economica, che in questo caso ha assunto dimensioni macro» le consorterie mafiose hanno già visto «prospettive di espansione e arricchimento paragonabili ai ritmi di crescita che può offrire solo un contesto post-bellico».

Il doppio scenario in atto Le grandi società mafiose sono già a caccia di piccole e medie imprese da acquisire nel loro portafoglio: hanno la forza straordinaria di una liquidità sconfinata. Si muovono «attraverso forme di assistenzialismo da capitalizzare nelle future competizioni elettorali»: possono essere «l’elargizione di prestiti di denaro a titolari di attività commerciali di piccole-medie dimensioni, ossia a quel reticolo sociale e commerciale su cui si regge l’economia di molti centri urbani, con la prospettiva di fagocitare le imprese più deboli, facendole diventare strumento per riciclare e reimpiegare capitali illeciti». Ma nell’economia globale la mafia è altrettanto globale: così «specie la ’ndrangheta» ma anche le altre organizzazioni rafforzeranno il loro ruolo di «player sui mercati finanziari internazionali».

Mafiosi sempre un passo avanti rispetto alla burocrazia Dopo «l’infezione sanitaria del virus» seguirà «l’infezione finanziaria mafiosa» dice la relazione. Le procedure antimafia dovranno così essere «adattate» allo scenario in atto. Anzi, diventa indispensabile una loro «intelligente semplificazione». La Dia, direzione interforze (Arma dei Carabinieri, Polizia di Stato e Guardia di Finanza) del dipartimento di Ps guidato da Franco Gabrielli, sferza anche gli apparati pubblici: l’azione antimafia oggi si fonda su «una classe dirigente che abbia innanzitutto una “visione” sui valori e gli interessi da preservare» ma anche «consapevole del modo di muoversi in anticipo delle mafie». Al contrario, si legge nel documento, le consorterie «in passato hanno spesso “imposto il ritmo” e sono state quasi sempre un passo avanti perché dotate, loro, di una classe dirigente capace di guidare – sottolinea il testo – le proprie schiere approfittando della farraginosità dell’apparato burocratico, di “interessi personali” e della tendenziale ritrosia all’assunzione delle responsabilità».

I rischi per l’ordine pubblico Per la Dia «una particolare attenzione deve essere rivolta, sul piano sociale, al mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica. È evidente che le organizzazioni criminali hanno tutto l’interesse a fomentare episodi di intolleranza urbana strumentalizzando la situazione di disagio economico – sottolinea la relazione – per trasformarla in protesta sociale, specie al Sud. Parallelamente, le organizzazioni si stanno proponendo come welfare alternativo a quello statale, offrendo generi di prima necessità e sussidi di carattere economico». Con una prospettiva mirata: fare «un vero e proprio investimento sul consenso sociale, che se da un lato fa crescere la “rispettabilità” del mafioso sul territorio, dall’altro genera un credito, da riscuotere, ad esempio, come “pacchetti di voti” in occasione di future elezioni». SOLE 24  17.7.2020

 

 

Il contagio mafioso: così la criminalità sfrutta l’epidemia  Roberto Saviano La Covid Economy offre l’occasione perfetta al denaro sporco, l’Unione europea con i suoi aiuti deve impedire che le aziende finiscano nelle mani dei clan 24 AGOSTO 2020 la repubblica

L’emergenza è l’alleata migliore degli affari che hanno bisogno di velocità e ombra per procedere. L’Europa si scopre in ritardo sulla gestione di quella che non sembra una seconda ondata del virus ma ancora la curva della prima onda che non ha finito di abbattersi sul mondo. L’Europa (ma in questo gli Stati Uniti non hanno dato una risposta migliore) non ha un piano per fermare il flusso di riciclaggio e usura che la pandemia ha generato.
Le mafie approfittano della crisi pandemica per movimentare il proprio denaro più velocemente, i controlli si sono abbassati, l’antiriciclaggio – inconfessata verità – può reggere quando ci si trova in una situazione economica positiva e sana ma quando manca liquidità, quando i consumi entrano in una spirale definitiva di crisi, il denaro torna ad essere utile a tutti senza guardare l’origine. Quando manca il pane nessuno chiede da quale forno provenga, se legale o illegale, antica regola che le mafie conoscono benissimo.
Pensare che le organizzazioni criminali siano un problema italiano equivale esattamente a pensare che un virus possa essere un fenomeno locale e che resti fermo, imprigionato in una bolla. Quello che accade con il denaro criminale in queste ore mi ricorda quando dagli Usa alla Germania arrivava la solidarietà all’Italia per il Covid come se fosse un problema nostro e frutto di un misto tra cattiva gestione, sfortuna, predisposizione genetica e un generico sottosviluppo del Paese. Poche settimane dopo si ritrovarono il virus ovunque. Ecco, lo stesso vale per il denaro sporco. Lo si considera soltanto un problema delle economie fragili, un tema del Sud Italia e dell’Est Europa. Falso.
Da anni le organizzazioni criminali sono ben inserite in tutto il tessuto economico europeo e non si stanno lasciando sfuggire l’occasione che la Covid Economy ha creato. Cosa è la Covid Economy? È l’economia generata dalla pandemia. L’enorme fortuna per pochissimi, il disastro per tutti. L’economia reale e Wall Street sono sempre più distanti. I Tech Giants crescono esponenzialmente, Amazon cresce dell’80%, Apple cresce del 60%, più l’economia reale va male più Wall Street va bene. E l’economia reale fatta di negozi, piccole imprese, alberghi, ristoranti, trasportatori, ludoteche, bar e ancora e ancora, che fine fa? Se la mangiano le mafie. L’Europa si sta ponendo l’unica domanda per difendere la sua economia reale? No. Ecco la domanda: chi rileverà i resort della Costa Azzurra o della Costa del Sol messe in ginocchio dalla crisi del turismo del 2020? Cosa succederà ai ristoranti di Berlino o ai pub di Londra rimasti chiusi per settimane o mesi per via del lockdown? Le case sfitte in decine di capitali europee chi le userà per comprarle e specularci? Il Dark Money, il denaro sporco non ha mai trovato come ora tante porte d’accesso spalancate e non controllate. La pandemia sta portando con sé ovunque l’usura, ma solo l’Italia sembra studiarlo.

Mafie all’assalto dei mercati finanziari e della sanità  di ALESSANDRA ZINITI 26 Giugno 2020 I dati del ministero degli Interni italiano urlano: nel primo trimestre del 2020 l’usura è l’unico reato in aumento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. In una fase in cui tutti gli altri reati dalle rapine in abitazione alle estorsioni sono diminuiti significativamente, l’usura invece registra un +9,6%. L’usura non smette di elargire soldi. Più le banche bloccano fidi bancari più l’usura arriva e garantisce subito cash. Denaro contante e liquido che viene dato subito a famiglie che continuano ad avere spese, ad aziende che nonostante la cassa integrazione (in molti casi mai partita) devono mantenere fitti e stipendi. Gli usurai pagano subito chiedendo come garanzia l’unica cosa che ancora possiedono i loro sfortunati clienti: la vita stessa. L’usuraio sa che quando si rischia la vita, la casa bruciata e la figlia stuprata i soldi verranno restituiti a qualsiasi costo. E pensate che questo accada solo in Italia? E non in Gran Bretagna, non in Spagna? Non in Grecia? Non in Francia? Quando in Germania è partito un dibattito in cui si descrivevano le organizzazioni mafiose italiane in attesa della pioggia di euro dei Coronabond, che l’Europa stava discutendo se emettere o meno per sostenere i Paesi più colpiti dalla crisi del Covid 19, iniziarono ad affermare da più parti che sarebbero stati soldi monopolizzati dalle organizzazioni criminali. Fu una posizione di grande ignoranza.


Crisi Covid 19 e criminalità, aumenta la pressione sulle imprese del terziario  17 Giugno 2020  Il giro d’affari delle organizzazioni criminali è immenso. Solo quelle italiane (di cui ci sono dati scientifici perché le più studiate) guadagnano: ‘ndrangheta circa 60 miliardi di euro all’anno; la Camorra tra i 20 e i 35 miliardi. Questo significa che la massa di denaro di cui dispongono è così grande che di certo non stavano aspettando i soldi europei. Gli aiuti europei vanno monitorati, non dati a pioggia, le mafie ovviamente tutto ciò che sarà possibile prendere prenderanno ma non sarà il loro intervento determinante, quegli aiuti servivano per salvare dal saccheggio mafioso le aziende in difficolta. Ora ne arriveranno assai di meno di quanti sarebbero stati necessari. L’Europa, se si salverà dal Covid, non si salverà dalla Covid EconomyLa Germania sta ignorando per esempio il rischio che corre, eppure è uno dei luoghi più esposti perché nel suo sistema finanziario è facilissimo nascondere denaro sporco. Chi su questo sta facendo un lavoro egregio è il Tax Justice Network (autorevole gruppo internazionale indipendente che focalizza la sua ricerca sulla regolamentazione fiscale e finanziaria internazionale) che stilando ogni anno il Financial Secrecy Index, una classifica dei Paesi in base al loro grado di segretezza e alla portata delle loro attività finanziare offshore in un elenco guidato dalle Cayman Islands, mostra il pericolo invisibile che le economie corrono al loro interno. La Germania si piazza al 14° posto, scalzando Panama e Jersey, classificati rispettivamente al 15° e al 16° posto. La Germania quindi non è assolutamente protetta dalla massa di denaro sporco che la pandemia ha iniziato a far muovere con molta più forza del passato, del resto il Professor Bussmann, docente all’università di Halle-Wittenberg, calcolava che il riciclaggio in Germania è attorno ai cento miliardi di euro annui. Può dirsi quindi Berlino non coinvolta?


Bankitalia, con il Covid “rischio infiltrazioni criminalità”. Espansione online delle illegalità  Meno verrà sostenuta l’economia dei Paesi provati dalla crisi dell’epidemia, più potere sarà lasciato alla criminalità organizzata. Basta guardare alla storia, in ogni epidemia il peggio degli affari ha trionfato, il peggio dell’uomo si è affermato, e così le organizzazioni criminali. Durante la peste del ‘600 a Milano il governo della città era allo sbando e affidò alle bande criminali il controllo delle strade, così sta accadendo con il flusso economico che si riversa in ristoranti falliti, in fabbriche in crisi, in interi quartieri al collasso. Si subappalta al denaro criminale l’economia uccisa dalla pandemia. Si delega anche l’assistenza sociale per le famiglie, come sta accadendo in Messico e in Brasile dove tutto il welfare delle periferie (assistenza anziani, spese per famiglie bisognose) è delegato al Primeiro Comando da Capital o al Cártel del Golfo che a tempo debito riscatteranno la generosità di questi mesi. E questo non accade nelle periferie di Praga? Di Stoccarda? Di Napoli, di Marsiglia e di Barcellona? Nella peste del ‘600 (ma anche durante l’ondata del colera in Italia a fine Ottocento) le bande criminali gestivano i cadaveri esattamente come ora capita in India o in Ecuador, dove lo Stato non riuscendo più a gestire i corpi dei morti di febbre dei quartieri popolari per evitare che i cadaveri fossero lasciati in strada o portati in fosse comuni dai familiari ha delegato alle mafie locali la gestione, in cambio della vincita di appalti pubblici per la cremazione dei cadaveri o la gestione sanitaria della pandemia. Del resto le organizzazioni criminali italiane investono nel settore delle pompe funebri da oltre 50 anni.


Mafie, il Covid 19 ha portato nuove opportunità di business  di STEFANIA AOI 30 Luglio 2020  Ecco questo è un tema fondamentale da comprendere, ossia che le mafie guadagnano esattamente da quegli stessi settori da cui hanno guadagnato sino ad ora; settori che la pandemia ha reso ancora più necessari come la distribuzione di generi alimentari, trasporti, imprese di pulizie, servizi di catering, servizi di disinfezione, pompe funebri. L’Europa non può continuare a guardare le mafie come bande di zotici truffatori o rapinatori pronti a far la ricotta sulle attività legali. Magari fosse così. Le organizzazioni mafiose sono le strutture meglio organizzate del capitalismo contemporaneo, intuiscono gli affari prima che le esigenze di mercato li definiscano, conoscono sempre ciò di cui si avrà bisogno, e sono pronte a darlo senza vincoli burocratici, superando ogni ostacolo, rapidamente e ovviamente alle loro condizioni. Le organizzazioni criminali investono da anni anche in quello che è il settore principe della pandemia, quello sanitario. Capiremo solo alla fine di questo disastro quanto saranno riuscite a infiltrarsi negli appalti, nelle strutture ospedaliere europee non solo italiane. L’attenzione ora è focalizzata sulla conta dei morti, gli allarmi sui contagi, l’attesa messianica del vaccino, le continue informazioni e smentite circa le modalità di diffusione del virus, ma giunti alla fine di questa disamina la richiesta è una. L’Europa tutta deve fare presto a intervenire verso le aziende che sono morte e stanno morendo perché tutte verranno “salvate” da capitale criminale. È già tardi ma forse non tutto è perduto. Forse. Il virus ferma la criminalità: meno reati tranne che sul web. In 1100 violano la quarantena  Alessandra Ziniti 15 Agosto 2020 LA REPUBBLICA


 La mafia ai tempi del COVID-19: espansione o contrazione degli “affari”?  A coloro i quali si occupano, a vario titolo, di crimine organizzato, la lunga pausa necessitata dal confinamento cagionato della pandemia ha consentito di svolgere alcune riflessioni in ordine al ruolo della criminalità organizzata, soprattutto quella di stampo mafioso, in un momento di emergenza sociale ed economica. Ebbene, a primo acchito verrebbe da dire che le mafie, proprio in virtù della loro straordinaria capacità di adattamento e rigenerazione sperimentata negli anni nei più svariati ambiti dell’illecito e del lecito, potrebbero trarre grande giovamento dalla presente situazione[1]. E così sicuramente è. Eppure, un interprete attento deve necessariamente andare oltre e verificare in quali ambiti ciò possa accadere e se vi siano, al contrario, contraccolpi che anche le stesse organizzazioni potrebbero subire[2]. Al fine di svolgere un’analisi specifica, è utile intanto premettere come la pandemia da coronavirus abbia delle somiglianze evidenti con eventi passati, quali crisi finanziarie, emergenze causate da catastrofi naturali, conflitti e rapidi cambiamenti geopolitici. Questa premessa ci aiuta a comprendere alcuni dei cambiamenti repentini di questi ultimi tempi e a prevedere che impatto potranno avere su diversi aspetti di società, economia e politica. Un dato interessante che è opportuno riprendere in questa sede è la generalizzata flessione di alcuni reati commessi nel mese di marzo 2020 se comparati allo stesso periodo nel 2019[3]. A causa delle misure restrittive durante la pandemia, infatti, il numero totale dei reati commessi è nettamente diminuito (da 146.762 commessi nel 2019 a 52.596 delitti nel 2020[4]) con una media del -64.2% totale, con particolare riguardo ai reati predatori (rapine -54%; furti -67%)[5]. Sicuramente, la pandemia modificherà (come ha già in parte fatto) i traffici illeciti, come la cronaca giornalistica ha già avuto modo di evidenziare[6], ma appare opportuno verificare la causa di tali cambiamenti in tempo reale, ossia mentre la crisi da Covid-19 evolve; ciò probabilmente consentirà di valutare gli sviluppi di tali nuove dinamiche allorquando la crisi sarà superata. Intanto, è necessario muovere da una delle caratteristiche “principe” del crimine organizzato, ossia il controllo del territorio. La mafia è tale intanto perché si avvale della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti. Tale controllo, in epoca di confinamento e lockdown, necessita di forme alternative, che consentano di mantenere la propria visibilità, rafforzando il prestigio e l’autorità, anche in assenza di presenza fisica. Ciò può avvenire mediante svariate modalità: dall’ideazione di un “lasciapassare” che consenta di evitare i controlli delle Forze dell’ordine e che permetta di far sentire la costante presenza, al prestare aiuto (economico, sanitario ed alimentare) ai più bisognoso, tornando al quartiere, ideale luogo di estrinsecazione dell’egemonia mafiosa della ndrina,  alla sostituzione (a volte addirittura a seguito di specifica richiesta) dello Stato con  una governance alternativa per garantire la verifica del rispetto delle rigide prescrizioni legate al distanziamento sociale[7] Ma ancora, le mutate condizioni sociali divengono mutate condizioni economiche che necessariamente ridisegnano gli ambiti dell’illecito, incidendo in maniera determinante nella commissione di alcune fattispecie di reato anziché altre (si pensi agli investimenti nella sanità, alle frodi societarie, alle frodi relative ai sussidi alimentari e ovviamente la corruzione)[8]. Si aprono, poi, nuovi ed inquietanti scenari legati ad altre opportunità di sviluppo criminale[9], quali le frodi informatiche[10] o a nuove modalità di distribuzione, all’ingrosso ed al dettaglio, di sostanze stupefacenti[11]. Le vincolanti e restrittive limitazioni agli spostamenti fisici devono necessariamente essere arginate e superate, al fine di evitare una paralisi dei traffici illeciti. Da un punto di vista criminologico, è tuttavia metodologicamente errato chiedersi come le mafie possano avvantaggiarsi della pandemia, in quanto ciò presupporrebbe un’omogeneità nel concetto di “crimine organizzato” o “mafia” che non esiste, neppure a livello normativo[12]. Soprattutto in ambito internazionale, si compie spesso un errore logico[13]: sovrapporre al concetto di criminalità organizzata qualsiasi forma di criminalità grave o complessa (compresi i crimini informatici, i crimini economici, i crimini dei colletti bianchi, la corruzione, la collusione) soltanto perché si considera che ogni reato “grave” debba essere in qualche modo anche “organizzato”[14].  Ora più che mai, questa falla logica può generare fraintendimenti concettuali e frustrare ogni tentativo di effettuare un’analisi profonda, a livello sociologico, di pervenire ad arresti giurisprudenziali. L’esperienza, anche quella giudiziaria, insegna come le associazioni per delinquere operino in vari ambiti, dell’illecito e del lecito, e sono volte alla commissione di diversi reati fine, in diversi contesti[15]. Da questa complessità deriva la difficoltà di operare una previsione in ordine ai possibili comportamenti che riguardano le diverse strutture e attività del crimine organizzato. La fine dell’emergenza pandemica – auspicata al più presto – darà conto di quanto si può ora soltanto tentare di ipotizzare, alla luce di simili, ma non totalmente sovrapponibili, esperienze passate.

Le strutture del crimine organizzato: la governance territoriale e il controllo sociale Come sopra anticipato, la vera forza delle organizzazioni per delinquere di stampo mafioso è data dal capitale sociale, dalla reputazione, dalla sovranità territoriale. La riduzione (a volte l’azzeramento) della libertà di spostamento incide negativamente su individui e strutture, in ambito locale ed in ambito affaristico. Ciò vale già per affiliati alle organizzazioni mafiose di tipo tradizionale, colpiti da misure cautelari, qualora scelgano di sottrarsi all’esecuzione rendendosi così latitanti. Costoro beneficiano di importanti risorse economiche, personali, famigliari ed ambientali, che consentono loro di trascorrere lunghi periodi nascondendosi nelle montagne o in bunker costruiti nelle loro stesse abitazioni; sono individui abituati a dirigere le attività del clan mentre sono in isolamento, un isolamento molto più penetrante di quanto non sia quello inflitto nella situazione presente[16]. In tali circostanze, quindi, dal punto di vista del comando, nulla muta particolarmente, salvo la maggiore difficoltà del mantenimento della segretezza del nascondiglio, in circostanze di solitudine desolante nelle strade. Diverso è il caso di alcune gang sudamericane, quali quelle che operano nelle favelas di Rio de Janeiro[17], in grado di usare armi, violenza e intimidazioni per imporre controllo e ordine sociale. Ebbene, in tale contesto, questi gruppi si sono ritrovati addirittura ad esercitare un controllo di tipo statuale, quello di mantenimento dell’ordine pubblico, esercitato fino a prima dello scoppio della pandemia dal potere costituito. Forti del loro riconoscimento sociale da parte dei cittadini, potrebbero usare la propria capacità di intimidazione e di controllo sociale per imporre l’isolamento alle loro comunità di riferimento o per procurarsi trattamenti privilegiati, rispetto ad altri nella loro comunità, in caso di limitata distribuzione certi beni o servizi (come ad esempio accesso al cibo, ai servizi sanitari, agli strumenti di protezione). Ciò costituirebbe da un lato una vera e propria resa dello Stato, piegato dalla crisi sanitaria e consentirebbe un processo di istituzionalizzazione della criminalità organizzata elevandola al rango di controllore, appaltando ad una governance alternativa la gestione dell’ordine pubblico e del rispetto del lockdown; dall’altro, il controllo del territorio verrebbe assicurato mediante la distribuzione di generi alimentari “porta a porta”, consentendo quella visibilità che è a tutti gli altri negata, accrescendo il prestigio criminale in maniera smisurata, proprio nella misura in cui si interviene sui bisogni essenziali, quali quelli alimentari, nonché rendendo i beneficiari eternamente riconoscimenti nei confronti di coloro i quali li hanno sfamati[18]. Ciò vale in egual modo anche alle nostre latitudini, quando, di fronte alla sofferenza ed alla mancanza di alternative esistenziali, si propone ai cittadini più bisognosi la possibilità di accedere a finanziamenti e prestiti particolarmente vantaggiosi[19]. Questa è solo la prima immagine, quella caritatevole, della criminalità organizzata. Ma questa è anche la più classica delle leve dell’usura[20], con prestiti non tracciati di capitali illeciti che vengono così anche riciclati, quando non addirittura dell’ingresso (a volte in modo formale, a volte in modo occulto) all’interno di un’azienda o di una compagine societaria[21]. Senza tralasciare gli aspetti psicologici di sudditanza nei confronti dei soggetti che, in uno stato di profondo bisogno, sono gli unici che sono stati presenti e pronti a aiutare chi non riusciva a provvedere diversamente alle proprie esigenze di vita. Tale aspetto, ad avviso di chi scrive, emerge in misura ancora più evidente in ambito sanitario. Dati giudiziali già oggi ci consentono di dire come una delle forme di rappresentazione all’esterno della forza di un’associazione per delinquere passi anche dal favorire visite mediche, magari evitando il pagamento del ticket o anche solo evitando di sottoporsi ad estenuanti prenotazioni di visite che verranno effettuate – rispettando il rigoroso criterio cronologico – a distanza di mesi. Ma appare ancora più indicativo quando, in una situazione di pandemia imprevista ed in qualche misura imprevedibile in questi termini, ci si ritrovi in carenza di posti nelle terapie intensive, quando è l’operatore sanitario a dover effettuare una scelta su chi sia il soggetto che possa ambire al ventilatore polmonare, unico strumento idoneo a garantire la sopravvivenza del soggetto. Ebbene, un controllo territoriale di un nosocomio potrebbe spingersi fino ad incidere in queste delicatissime scelte, operate dai sanitari secondo linee guida e sotto il peso lancinante della propria coscienza; se a tali sacrali strumenti orientativi dovesse sostituirsi il  controllo delle mafie, per sua natura clientelare, si giungerebbe alla situazione per la quale essi sarebbero i decisori finali di chi ha diritto di rimanere in vita, creando un debito imperituro in capo al soggetto beneficiario, che è stato letteralmente salvato da morte certa. È facile comprendere come a fronte di ciò, si sia disposti a fare qualsiasi cosa in cambio e a come mai si potrà in alcun modo tradire il proprio salvatore (ad esempio rendendo dichiarazioni accusatorie nei suoi confronti). Essere l’arbitro della vita e della morte è la forma di forza più violenta e penetrante che si possa immaginare e pensare che questa forza possa essere nelle mani della criminalità organizzata deve spingere ad effettuare una riflessione più profonda e a favorire, invece, criteri di assistenza medica più trasparenti e accessibili. Ci sono, poi, realtà, strutture, che non vengono minimamente intaccate dalla pandemia. Si pensi ad una famiglia di Cosa Nostra americana a New York City che detiene da decenni strumenti per influenzare il sindacato dei lavoratori portuali sulle banchine del porto nel New Jersey[22]. Questa non risentirà della particolare situazione socio-sanitaria, dal momento che il porto, nel complesso, continua a funzionare e così le relazioni dei portuali all’interno dell’economia del porto. Ma ciò vale anche per tutte quelle attività apparentemente lecite che operano nella filiera agro-alimentare. La raccolta stagionale dei prodotti della terra, effettuata da immigrati irregolari sfruttati e costretti a lavorare in condizioni di schiavitù, continua incessantemente, non avendo il comporto – allo stato – subito alcuna contrazione di tipo economico.

Le attività del crimine organizzato: lucri cessanti, danni emergenti e opportunità rinnovate Come è noto, le associazioni per delinquere, che siano o meno di stampo mafioso, sono caratterizzate da una poliedricità di interessi in svariate attività criminali del più diverso tipo. Al fianco delle attività più “tradizionali” quali il prestito ad usura, il traffico di sostanze stupefacenti, il traffico illecito di rifiuti e le estorsioni, con gli anni si sono affiancate attività apparentemente lecite, ottenute mediante il reimpiego di denaro proveniente, esso sì, da attività illecite o mediante l’inserimento nella compagine societaria, in forma occulta o palese, di soggetti legati alla criminalità organizzata. Tramite queste forme di aggressione all’economia lecita, vengono esercitate attività con modalità lecite o illecite. Queste ultime, in particolare in un periodo di pandemia, possono spaziare dalle frodi sanitarie, al commercio illecito di prodotti contraffatti (dalle mascherine sanitarie ai prodotti igienizzanti per le mani, ventilatori polmonari, equipaggiamenti di protezione[23] – prodotti in precedenza “anonimi” e ora diventati beni di lusso), al contrabbando. Nell’ambito delle attività intrinsecamente illecite (e tra queste la regina incontrastata è senza dubbio il traffico internazionale di sostanze stupefacenti) le limitazioni alla produzione, la chiusura delle frontiere, la continuata applicazione di dazi volti a scoraggiare l’importazione da paesi esteri, non hanno molta incidenza. L’esperienza giudiziaria insegna che la creatività dei grandi narcotrafficanti nell’inventare nuovi e sempre più sofisticati sistemi di occultamento idonei a consentire l’ingresso e l’elusione dei controlli delle Forze di Polizia non è seconda ad alcuno e solo sforzi immani possono riuscire a contrastarla, considerata la natura e la vastità dei commerci internazionali, soprattutto quelli via mare. La maggior parte degli importatori – i finanziatori del traffico di cocaina – ha contratti a rotazione (cd. rolling contracts), con trafficanti e produttori[24]. Trattandosi di bene di consumo acquistato da soggetti da esso dipendenti, sarebbe troppo ottimistico pensare che la libertà nella circolazione delle persone possa coincidere con una riduzione della domanda. Peraltro, si rileva come attualmente l’indice di contagio nei paesi dell’America Latina (da dove proviene la maggior parte della produzione di sostanze stupefacenti, soprattutto per quanto attiene la cocaina) sia ancora piuttosto basso, circostanza questa che induce a ritenere che non possano esserci particolari rallentamenti nella produzione, considerando anche l’assoluta fungibilità dei soggetti impiegati e la facilità della loro sostituzione data da un forte bisogno di sostentamento in popolazioni con poche alternative di conduzione di una vita lecita. Inoltre, allo stato, in Italia (così come in gran parte dei paesi esteri) non sono state adottate misure restrittive alla libera circolazione delle merci, avendo la sospensione del Trattato di Schengen inciso unicamente sulla libertà di movimento delle persone fisiche. Anzi, un rapporto di PortEconomics ha rivelato come il traffico di merci sui principali porti europei nel marzo 2020 sia in aumento[25]. Le rotte potrebbero subire delle momentanee modificazioni, ma è verosimile ritenere che la droga possa continuare a viaggiare occultata in container, transitando attraverso i porti e gli aeroporti, mescolata e nascosta nei traffici leciti di spedizioni di merci, potendo invece ritenersi che si possa verificare una contrazione dell’invio occultato sulla persona (negli abiti, nei bagagli o addirittura mediante ingestione) o un rallentamento nella distribuzione del prodotto una volta arrivato in porto e prima dello spaccio. Gli spedizionieri, infatti, continueranno a monitorare l’andamento grazie a comunicazioni cifrate a distanza, strumenti questi invalsi nell’uso criminale già da molto tempo; sotto questo aspetto, quindi, la pandemia non troverà inesperte o impreparate le grandi lobby del narcotraffico internazionale di cocaina, incluse le mafie italiane, soprattutto la ‘ndrangheta. Una situazione diversa, invece, potrebbe verificarsi per quanto attiene alla produzione di metanfetamine o anfetamine[26], che ordinariamente si verifica in loco, evitando così i rischi collegati al trasporto. Se ciò incide, quindi, ovviamente sulla possibilità di mantenere il mercato in condizioni di stabilità (non subendo la produzione contrazioni data dalla limitazione dei movimenti), la difficoltà nel reperire durante la pandemia alcuni degli agenti chimici e farmacologici utilizzati per il confezionamento potrebbe rappresentare una difficoltà. Al contrario di quello del narcotraffico, con particolare riferimento alla cocaina, un settore di elezione delle moderne mafie è sicuramente in profonda crisi: quello delle scommesse. L’interruzione forzata degli eventi sportivi non consente il mantenimento di un palinsesto da realizzare ad opera del bookmaker. Necessariamente, quindi, questo ambito, è costretto ad una stasi momentanea, con una riduzione del fatturato decisamente importante. Analogamente per tutti quegli ambiti, invece, più “tradizionali” delle imprese mafiose che svolgono attività lecite: dall’edilizia, pubblica e privata, al movimento terra, ai grandi appalti di lavori[27]. Anche in questo caso, sarà interessante vedere come le mafie riusciranno a “cambiare pelle”, riconvertendosi ad attività di tipo diverso a seconda che abbiano o meno la capacità e i contatti giusti per re-indirizzare i propri investimenti in mercati legali e criminali per loro nuovi.  Le attività della criminalità organizzata hanno successo a condizione che esistano almeno due condizioni: denaro per (re) investire e una chiave per aprire la porta, dove la porta è un determinato mercato a cui si accede tramite plurime vie. Si può pertanto pensare all’infiltrazione nel settore delle forniture medico-ospedaliere. La necessità di acquisto evidentemente in somma urgenza (a cagione dell’emergenza pandemica e con l’obiettivo di garantire rapidità ed efficienza) di una serie di attrezzature (quali, sopra tutti, i ventilatori polmonari) potrebbe consentire il reingresso ad imprese mafiose in settori dai quali erano state escluse grazie ai pervasivi controlli prefettizi, ampliati negli anni grazie ad una legislazione sempre più attenta ad evitare assegnazioni di appalti pubblici (anche di forniture) a soggetti legati a vario titolo alla criminalità organizzata. Ancora, settore elettivo per antonomasia delle mafie è l’estorsione. In un periodo di profonda crisi economica ci si interroga sulla fattibilità pratica di avanzare richieste di pagamento in cambio di (allo stato) inutili protezioni e guardiane. Con molte attività commerciali ed imprenditoriali chiuse o comunque inattive, diventa difficile poter immaginare nuove modalità per avanzare la richiesta illecita (il negozio sarà chiuso, sul cantiere non si troveranno operai), ma ancora più arduo è pensare che vi siano soggetti imprenditoriali in grado di poter aderire alle richieste avanzate (che siano esse, di danaro, di assunzione, di forniture forzose o di conferimento di un subappalto, quali sono le ordinarie modalità attraverso cui l’esperienza giudiziaria ci ha abituati a riconoscere una fattispecie estorsiva). Il desiderio di non arrestare i propri traffici potrebbe condurre la criminalità organizzata ad assumere, quantomeno di facciata, un comportamento paritario con l’estorto, non facendolo sentire vessato, ma trattandolo apparentemente come “socio d’affari”. Questa modalità, che è stata ad esempio già vista in passato e non solo in Italia – ricordiamo come la mafia italo-americana fosse solita prestare capitali a usura agli stessi operatori economici sotto estorsione qualora fallissero – consentirebbe, appunto, di ottenere in un secondo momento la titolarità dell’impresa “strozzata”, anziché un corrispettivo immediato, ma di valore necessariamente intrinsecamente inferiore.

Il contestoNon possiamo ancora dire come sarà il contesto – economico, sociale, politico – successivo alla pandemia e in che tipo di ambiente saranno presenti le strutture e le attività di criminalità organizzata.Non possiamo altresì prevedere le modalità di arricchimento o di impoverimento delle strutture e delle attività criminali nelle successive fasi che ci aspettano nella lotta al Covid-19.Studi criminologici, politologici ed economici sicuramente indicano che la criminalità organizzata sa sfruttare le opportunità, ma quando, con che modalità, a che prezzo e danno sociale, lo si dovrà osservare nei diversi contesti.[28]Si dovrebbe per esempio tenere sotto osservazione l’impatto che la pandemia avrà sulla salute mentale di individui e famiglie: se le fragilità individuali, acuite dal confinamento forzato, peggioreranno, sì da far incrementare anche il consumo di sostanze stupefacenti, ciò potrebbe portare – come si è già paventato in altri Stati, per esempio nel Regno Unito[29] – alla produzione di nuove tipologie di sostanze, qualora  alcune di quelle tradizionali non fossero più disponibili prontamente sul mercato.Inoltre, se il blocco alle attività si prolungasse, il sistema postale potrebbe diventare, anche in Italia come in USA e Canada[30], il canale privilegiato per recapitare gli stupefacenti a domicilio, cosa che renderebbe i controlli ancora più onerosi, visto l’utilizzo, per l’acquisto, di app criptate che facilitano questo tipo di mercato (whatsapp o telegram). Bisognerà altresì controllare e osservare, al fine di prevenire l’infiltrazione e la cannibalizzazione di società lecite e sane, quali gruppi criminali avranno abbastanza denaro da investire nel rilevare società e imprese in difficoltà come è avvenuto in precedenti crisi[31], magari utilizzando modalità finanziarie anche sofisticate, per evitare controlli e diminuire il rischio di essere intercettato dalle forze dell’ordine.E ancora, qualora gli eventi sportivi non dovessero tornare alla normalità in un tempo sufficientemente ridotto da garantire una perdita derivante dai proventi delle scommesse illegali e del gioco d’azzardo tutto sommato contenuta{C}[32], bisognerà tenere sotto osservazione i gruppi criminali in precedenza coinvolti, che potrebbero reinventarsi in altre attività illegali e pertanto cambiare mercati e relazioni tra attori già noti alle Autorità. Si pone, in questa pandemia, un ulteriore problema sociale, ossia quello dell’incremento massiccio delle fila degli ‘eserciti’ mafiosi: terreno di elezione per il reclutamento potrebbe essere quello dei lavoratori in nero, che già attualmente vivono in una zona border che si colloca a metà strada tra i redditi leciti ed i redditi da attività prettamente criminali. La difficoltà (quando non l’impossibilità) di poter accedere a sistemi legali di sostegno al reddito (che prevedono una riduzione del fatturato rispetto al corrispondente periodo nell’anno antecedente) potrebbe condurre questi soggetti, spinti dall’indigenza e dalla necessità, a rivolgersi all’unico interlocutore rimasto, in assenza di un supporto statuale: la criminalità organizzata. Questo esercito di disperati si potrebbe così trasformare in un esercito costituito da futuri partner di attività criminose o, nella migliore delle ipotesi, da future vittime.[33]?L’ordine sociale – come lo abbiamo finora conosciuto e a fatica mantenuto – potrebbe ulteriormente incrinarsi, al punto da spingere più soggetti ad accettare denaro provento di attività illecite e ad assumere comportamenti che sviano dal paradigma legale, che in condizioni ordinarie di sussistenza non avrebbero mai accettato.Le associazioni per delinquere fortemente radicate nei loro territori, come le mafie, avranno una scelta da fare, che dipenderà dalla relazione che desidereranno creare con i consociati: proteggeranno[34] o sfrutteranno i contesti di riferimento? Le autorità proposte devono accettare questa sfida facendosi trovare pronte a studiare ogni realtà separatamente, con le proprie specificità locali, al fine di affrontarla e rispondervi efficacemente.  Queste osservazioni guideranno la ricerca sociale e criminologica, così come l’attività di indagine per i mesi a venire, nell’attesa che i contesti post-Covid-19 prendano finalmente forma. Per ora, dobbiamo ricordare che le strutture e le attività della criminalità organizzata si adatteranno al loro ambiente, alcuni gruppi e alcuni affari periranno, alcuni sopravvivranno, altri rinasceranno, altri saranno forse superati. La sfida dell’interprete, del decisore e dell’investigatore sta nel tentare di anticipare l’inevitabile mutazione, sì da comprenderla e colpirla nel suo divenire.


Mascherine, appalti, assunzioni: il nuovo allarme Dia su mafia e Covid  Da Cosa Nostra alla ’ndrangheta e la camorra, la mappa degli affari criminali nella pandemia della direzione investigativa antimafia  di Marco Ludovico L’allerta si rilancia e si rinnova. Per le organizzazioni mafiose il boccone della sanità ogni giorno è sempre più ghiotto. Messe a dura prova dalla pandemia, le fragilità del sistema pubblico, innanzitutto, e privato, moltiplicano le occasioni rapaci di Cosa Nostra &Co. Il neo direttore della Dia (direzione investigativa antimafia), Maurizio Vallone, lo segnala in audizione davanti alle commissioni Giustizia e Finanze della Camera. I documenti della Dia sono chiari, i timori degli investigatori più che fondati. Ci sono perfino i precedenti storici. Il direttore Vallone: «Fase di trasformazione e mascheramento»  Vallone, dal 1° ottobre numero uno della direzione investigativa antimafia – fa parte, ricordiamo, del dipartimento di Pubblica sicurezza guidato dal prefetto Franco Gabrielli – viene sentito a Montecitorio sul tema del riciclaggio subito dopo l’audizione dello stesso Gabrielli. Racconta l’attività di contrasto in atto. Fondata, in particolare, sulle s.o.s., le segnalazioni di operazioni finanziarie sospette ricevute dall’Uif, l’unità di informazione finanziaria presso la Banca d’Italia. Dopo la «analisi massiva» delle s.o.s. si passa a quella «fenomenologica»: è lo «studio di fenomeni di particolare interesse operativo ovvero su casi investigativi di maggiore complessità». Gli occhi degli investigatori puntano le «linee di tendenza che caratterizzano le organizzazioni criminali di stampo mafioso». Ormai contraddistinte, sottolinea, «da una radicale fase di trasformazione e di mascheramento».

L’affare sconfinato della sanità  «Le organizzazioni criminali di stampo mafioso, particolarmente quelle autoctone» rileva il direttore della Dia, oggi mostrano la «propensione ad espandersi oltre i propri territori di elezione e in settori economici diversi dai consueti canali di interesse criminale». L’esempio fatto in proposito da Vallone è uno solo ma non è certo a caso: «In questa particolare contingenza legata alla pandemia da Covid 19, il settore sanitario». Certo, per la Dia non è un inedito, anzi. Alcuni anni fa proprio il centro Dia di Napoli eseguì un’ordinanza di custodia cautelare per sette tra dirigenti e funzionari dell’ospedale “S. Anna” di Caserta. Ma adesso gli schemi sono saltati, le prassi rinnovate, i fondi in arrivo scatenano la fame delle consorterie criminali. Gli affari illegali assumono prospettive impensate. Il COVID-19 è un’occasione senza precedenti. Da sfruttare fino all’ultimo centesimo.

Il catalogo del business criminale: 1) la ’ndrangheta  Vallone non si dilunga oltre sul tema della sanità. La riservatezza fa pensare agli obblighi imposti dal segreto investigativo. Ma proprio la Dia, nella seconda relazione semestrale 2019, pubblicata nel luglio scorso, inserisce un focus analitico sull’emergenza pandemia e la nuova minaccia mafiosa. La ’ndrangheta spicca per prima, pronta ad avventarsi sul settore della salute pubblica: in particolare «l’industria sanitaria» – si legge nella relazione – «i servizi di smaltimento dei rifiuti sanitari prodotti a seguito dell’emergenza nonché i servizi funerari, messi a dura prova dall’elevato numero di decessi a causa del virus». La presenza delle ’ndrine calabresi nella sanità pubblica si contraddistingue per corsi e ricorsi storici. Il commissariamento decennale è solo l’altra faccia di una medaglia desolante.

L’infiltrazione negli appalti: 2) la mafia Per la Dia quella di Cosa nostra è una strategia a più livelli. Oltre al primo, il cosiddetto welfare mafioso, ce n’è un secondo «più elevato» per consolidare e «mantenere il controllo di molte filiere produttive» ma, aggiunge la relazione, «a seguito dell’emergenza coronavirus potrebbe estendersi, andando ad occupare anche i settori connessi alla sanità». Sarebbe «un posizionamento ancora più forte nel sistema sanitario regionale» destinato «quale ulteriore effetto collaterale» a «incidere sugli apparati della pubblica amministrazione che saranno chiamati alla gestione dei finanziamenti e degli appalti pubblici, da affidare nelle fasi successive al lockdown». Di più: «L’emergenza sanitaria potrebbe offrire l’occasione per ottenere appalti legati sia alla distribuzione di presidi medicali che allo smaltimento dei rifiuti speciali ospedalieri». Con la conseguente «possibilità di distribuire posti di lavoro ad affiliati o di subappaltare ad aziende di riferimento, consolidando così la base del proprio “consenso sociale”».

I settori contigui: 3) la camorra   Per la camorra «valgono le considerazioni espresse per la criminalità organizzata calabrese e siciliana». I sodalizi puntano «ad infiltrarsi nell’economia legale sia attraverso la partecipazione in imprese sane, sia operando con ditte di riferimento, facenti capo a prestanome». I settori coinvolti sono «la realizzazione di lavori edìli, i servizi cimiteriali e di onoranze funebri, di pulizia e sanificazione, particolarmente esposti in ragione della stato di emergenza». Ma in ballo c’è anche «l’interesse della camorra per il settore dei rifiuti, compresi quelli speciali, tra i quali rientrano quelli ospedalieri, di cui è prevedibile un forte aumento quale conseguenza dell’emergenza in atto».

Mascherine e gel disinfettante  I clan mafiosi campani hanno già dimostrato capacità «di gestire il mercato della contraffazione, che potrebbe investire anche il settore dei farmaci, dei prodotti parafarmaceutici e medicali, dei corredi sanitari di protezione, di cui si sta registrando una forte richiesta». La Dia sostiene che «soggetti organici a clan camorristici, stanziatisi nelle regioni del Nord-est, potrebbero rivolgere l’interesse verso la gestione del commercio di mascherine e gel disinfettante, da rivendere anche all’estero». Visto che «in passato, il tentativo di inserirsi proprio nella commercializzazione nel Triveneto di mascherine di protezione importate dalla Cina era stato abbandonato, solo perché ritenuto allora poco remunerativo».

Il lucro mafioso sul caro estinto  Spietato, l’affare criminale organizzato spesso si è esteso ai servizi cimiteriali e di pompe funebri. Inutile nascondersi «l’alta mortalità dovuta al coronavirus, che ha imposto carichi di lavoro maggiori sia alle imprese di onoranze funebri che ai servizi cimiteriali» si legge nella relazione semestrale. Va allora controllato «specie nei presidi ospedalieri dichiarati COVID, se vi siano imprese che siano state favorite più di altre». Non basta. «Sui servizi cimiteriali è opportuno verificare se le cosche potranno, in qualche modo, incidere sulle decisioni delle amministrazioni comunali in merito alla gestione dei cimiteri, con particolare riferimento alle modifiche ai piani regolatori cimiteriali e ai criteri di assegnazione delle concessioni».

Il ventaglio delle minacce sul territorio   Rilanciati proprio con l’emergenza COVID-19 dal ministero dell’Interno guidato da Luciana Lamorgese, i Gia, gruppi interforze (Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di Finanza e Dia) provinciali presso le prefetture, devono monitorare gli appalti e «i servizi connessi al ciclo della sanità». Lo scenario della minaccia mafiosa sul settore sanitario, in realtà, è quasi senza confini. Sul piano nazionale è stato «programmato un consistente piano di investimenti» ma anche «l’assunzione di ulteriore personale medico e infermieristico». Indispensabile diventa «un’adeguata azione di monitoraggio antimafia». Compresa un’attenzione minuziosa «alle eventuali modifiche dell’oggetto sociale, alle trasformazioni societarie e alle eventuali cessioni o acquisizioni di rami d’azienda». Operazioni finanziarie da verificare per vedere se «sia corrisposta una reale attività» e non invece «per ottenere esclusivamente sovvenzioni statali, rimborsi non spettanti o appalti pubblici attraverso procedure di gara illegittime». I precedenti già ci sono. Le conferme potrebbero arrivare numerose  SOLE 24 Ore 13.11.2020


Il contagio mafioso: così la criminalità sfrutta l’epidemia La Covid Economy offre l’occasione perfetta al denaro sporco, l’Unione europea con i suoi aiuti deve impedire che le aziende finiscano nelle mani dei clan L’emergenza è l’alleata migliore degli affari che hanno bisogno di velocità e ombra per procedere. L’Europa si scopre in ritardo sulla gestione di quella che non sembra una seconda ondata del virus ma ancora la curva della prima onda che non ha finito di abbattersi sul mondo. L’Europa (ma in questo gli Stati Uniti non hanno dato una risposta migliore) non ha un piano per fermare il flusso di riciclaggio e usura che la pandemia ha generato. Le mafie approfittano della crisi pandemica per movimentare il proprio denaro più velocemente, i controlli si sono abbassati, l’antiriciclaggio – inconfessata verità – può reggere quando ci si trova in una situazione economica positiva e sana ma quando manca liquidità, quando i consumi entrano in una spirale definitiva di crisi, il denaro torna ad essere utile a tutti senza guardare l’origine. Quando manca il pane nessuno chiede da quale forno provenga, se legale o illegale, antica regola che le mafie conoscono benissimo. ensare che le organizzazioni criminali siano un problema italiano equivale esattamente a pensare che un virus possa essere un fenomeno locale e che resti fermo, imprigionato in una bolla. Quello che accade con il denaro criminale in queste ore mi ricorda quando dagli Usa alla Germania arrivava la solidarietà all’Italia per il Covid come se fosse un problema nostro e frutto di un misto tra cattiva gestione, sfortuna, predisposizione genetica e un generico sottosviluppo del Paese. Poche settimane dopo si ritrovarono il virus ovunque. Ecco, lo stesso vale per il denaro sporco. Lo si considera soltanto un problema delle economie fragili, un tema del Sud Italia e dell’Est Europa. Falso. Da anni le organizzazioni criminali sono ben inserite in tutto il tessuto economico europeo e non si stanno lasciando sfuggire l’occasione che la Covid Economy ha creato. Cosa è la Covid Economy? È l’economia generata dalla pandemia. L’enorme fortuna per pochissimi, il disastro per tutti. L’economia reale e Wall Street sono sempre più distanti. I Tech Giants crescono esponenzialmente, Amazon cresce dell’80%, Apple cresce del 60%, più l’economia reale va male più Wall Street va bene. E l’economia reale fatta di negozi, piccole imprese, alberghi, ristoranti, trasportatori, ludoteche, bar e ancora e ancora, che fine fa? Se la mangiano le mafie. L’Europa si sta ponendo l’unica domanda per difendere la sua economia reale? No. Ecco la domanda: chi rileverà i resort della Costa Azzurra o della Costa del Sol messe in ginocchio dalla crisi del turismo del 2020? Cosa succederà ai ristoranti di Berlino o ai pub di Londra rimasti chiusi per settimane o mesi per via del lockdown? Le case sfitte in decine di capitali europee chi le userà per comprarle e specularci? Il Dark Money, il denaro sporco non ha mai trovato come ora tante porte d’accesso spalancate e non controllate. La pandemia sta portando con sé ovunque l’usura, ma solo l’Italia sembra studiarlo.

Mafie all’assalto dei mercati finanziari e della sanità

I dati del ministero degli Interni italiano urlano: nel primo trimestre del 2020 l’usura è l’unico reato in aumento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. In una fase in cui tutti gli altri reati dalle rapine in abitazione alle estorsioni sono diminuiti significativamente, l’usura invece registra un +9,6%. L’usura non smette di elargire soldi. Più le banche bloccano fidi bancari più l’usura arriva e garantisce subito cash. Denaro contante e liquido che viene dato subito a famiglie che continuano ad avere spese, ad aziende che nonostante la cassa integrazione (in molti casi mai partita) devono mantenere fitti e stipendi. Gli usurai pagano subito chiedendo come garanzia l’unica cosa che ancora possiedono i loro sfortunati clienti: la vita stessa. L’usuraio sa che quando si rischia la vita, la casa bruciata e la figlia stuprata i soldi verranno restituiti a qualsiasi costo. E pensate che questo accada solo in Italia? E non in Gran Bretagna, non in Spagna? Non in Grecia? Non in Francia? Quando in Germania è partito un dibattito in cui si descrivevano le organizzazioni mafiose italiane in attesa della pioggia di euro dei Coronabond, che l’Europa stava discutendo se emettere o meno per sostenere i Paesi più colpiti dalla crisi del Covid 19, iniziarono ad affermare da più parti che sarebbero stati soldi monopolizzati dalle organizzazioni criminali. Fu una posizione di grande ignoranza.

Crisi Covid 19 e criminalità, aumenta la pressione sulle imprese del terziario Il giro d’affari delle organizzazioni criminali è immenso. Solo quelle italiane (di cui ci sono dati scientifici perché le più studiate) guadagnano: ‘ndrangheta circa 60 miliardi di euro all’anno; la Camorra tra i 20 e i 35 miliardi. Questo significa che la massa di denaro di cui dispongono è così grande che di certo non stavano aspettando i soldi europei. Gli aiuti europei vanno monitorati, non dati a pioggia, le mafie ovviamente tutto ciò che sarà possibile prendere prenderanno ma non sarà il loro intervento determinante, quegli aiuti servivano per salvare dal saccheggio mafioso le aziende in difficolta. Ora ne arriveranno assai di meno di quanti sarebbero stati necessari. L’Europa, se si salverà dal Covid, non si salverà dalla Covid Economy. La Germania sta ignorando per esempio il rischio che corre, eppure è uno dei luoghi più esposti perché nel suo sistema finanziario è facilissimo nascondere denaro sporco. Chi su questo sta facendo un lavoro egregio è il Tax Justice Network (autorevole gruppo internazionale indipendente che focalizza la sua ricerca sulla regolamentazione fiscale e finanziaria internazionale) che stilando ogni anno il Financial Secrecy Index, una classifica dei Paesi in base al loro grado di segretezza e alla portata delle loro attività finanziare offshore in un elenco guidato dalle Cayman Islands, mostra il pericolo invisibile che le economie corrono al loro interno. La Germania si piazza al 14° posto, scalzando Panama e Jersey, classificati rispettivamente al 15° e al 16° posto. La Germania quindi non è assolutamente protetta dalla massa di denaro sporco che la pandemia ha iniziato a far muovere con molta più forza del passato, del resto il Professor Bussmann, docente all’università di Halle-Wittenberg, calcolava che il riciclaggio in Germania è attorno ai cento miliardi di euro annui. Può dirsi quindi Berlino non coinvolta? Meno verrà sostenuta l’economia dei Paesi provati dalla crisi dell’epidemia, più potere sarà lasciato alla criminalità organizzata. Basta guardare alla storia, in ogni epidemia il peggio degli affari ha trionfato, il peggio dell’uomo si è affermato, e così le organizzazioni criminali. Durante la peste del ‘600 a Milano il governo della città era allo sbando e affidò alle bande criminali il controllo delle strade, così sta accadendo con il flusso economico che si riversa in ristoranti falliti, in fabbriche in crisi, in interi quartieri al collasso. Si subappalta al denaro criminale l’economia uccisa dalla pandemia. Si delega anche l’assistenza sociale per le famiglie, come sta accadendo in Messico e in Brasile dove tutto il welfare delle periferie (assistenza anziani, spese per famiglie bisognose) è delegato al Primeiro Comando da Capital o al Cártel del Golfo che a tempo debito riscatteranno la generosità di questi mesi. E questo non accade nelle periferie di Praga? Di Stoccarda? Di Napoli, di Marsiglia e di Barcellona? Nella peste del ‘600 (ma anche durante l’ondata del colera in Italia a fine Ottocento) le bande criminali gestivano i cadaveri esattamente come ora capita in India o in Ecuador, dove lo Stato non riuscendo più a gestire i corpi dei morti di febbre dei quartieri popolari per evitare che i cadaveri fossero lasciati in strada o portati in fosse comuni dai familiari ha delegato alle mafie locali la gestione, in cambio della vincita di appalti pubblici per la cremazione dei cadaveri o la gestione sanitaria della pandemia. Del resto le organizzazioni criminali italiane investono nel settore delle pompe funebri da oltre 50 anni. Ecco questo è un tema fondamentale da comprendere, ossia che le mafie guadagnano esattamente da quegli stessi settori da cui hanno guadagnato sino ad ora; settori che la pandemia ha reso ancora più necessari come la distribuzione di generi alimentari, trasporti, imprese di pulizie, servizi di catering, servizi di disinfezione, pompe funebri. L’Europa non può continuare a guardare le mafie come bande di zotici truffatori o rapinatori pronti a far la ricotta sulle attività legali. Magari fosse così. Le organizzazioni mafiose sono le strutture meglio organizzate del capitalismo contemporaneo, intuiscono gli affari prima che le esigenze di mercato li definiscano, conoscono sempre ciò di cui si avrà bisogno, e sono pronte a darlo senza vincoli burocratici, superando ogni ostacolo, rapidamente e ovviamente alle loro condizioni. Le organizzazioni criminali investono da anni anche in quello che è il settore principe della pandemia, quello sanitario. Capiremo solo alla fine di questo disastro quanto saranno riuscite a infiltrarsi negli appalti, nelle strutture ospedaliere europee non solo italiane. L’attenzione ora è focalizzata sulla conta dei morti, gli allarmi sui contagi, l’attesa messianica del vaccino, le continue informazioni e smentite circa le modalità di diffusione del virus, ma giunti alla fine di questa disamina la richiesta è una. L’Europa tutta deve fare presto a intervenire verso le aziende che sono morte e stanno morendo perché tutte verranno “salvate” da capitale criminale. È già tardi ma forse non tutto è perduto. Forse.   ROBERTO  SAVIANO  24 agosto 2020 LA REPUBBLICA 


MAFIA E CORONAVIRUS: nessun paese è esentePubblichiamo in esclusiva per l’Italia un’intervista dell’Institut Montaigne a Paola Severino, professore ordinario di Diritto penale presso la LUISS Guido Carli e già ministro della Giustizia, dal titolo “The Mafia in the Time of the COVID-19 Crisis: a European Challenge”. La crisi sanitaria in Italia rende vulnerabili molte famiglie e aziende, e sembra che la mafia stia colmando il vuoto in molti modi. Quali sono i segnali della maggiore attività mafiosa durante la crisi“Prima di lanciare un allarme sul pericolo che la mafia e altre organizzazioni criminali possano utilizzare questo periodo di emergenza, non solo sanitaria ma anche economica, per cercare di riprendere forza, ho svolto due ordini di considerazioni teoriche e una verifica sul campo. La mia prima considerazione è stata che le organizzazioni criminali sono state fiaccate in Italia da un sistema normativo e giudiziario che le ha combattute in maniera molto energica. Abbiamo seguito gli insegnamenti di Giovanni Falcone, giudice eroico vittima della mafia, condensabili in due storici detti: taglia l’erba sotto i loro piedi e segui il cammino del denaro. In tal modo siamo riusciti non solo a condannare i capi delle grandi cosche mafiose, ma anche a sequestrare gli immensi patrimoni prodotti dai reati di mafia. Fiaccare però non vuol dire eliminare e dunque il fuoco è rimasto a covare sotto la cenere. La seconda considerazione è stata che un organismo indebolito ma non vinto cerca ovviamente tutte le strade possibili per rinforzarsi. Ad esempio utilizzare ogni situazione di indebolimento del tessuto sociale per fare proseliti. Oppure cercare di insinuarsi nel tessuto delle imprese per investirvi denaro proveniente da attività criminali molto redditizie, come il traffico di droga e di armi. La verifica sul campo la ho fatta entrando in contatto con i dirigenti di alcune scuole del sud che partecipavano con l’Università di cui sono vice Presidente, la Luiss, a un progetto di rafforzamento della legalità. Essi hanno avuto un importante ruolo di “sensori dell’allarme sociale” e mi hanno mostrato che nel sud alcune famiglie di artigiani, ambulanti, lavoratori stagionali, avevano perso ogni fonte di guadagno e dunque versavano in una situazione di assoluta povertà. Queste famiglie erano state avvicinate da persone appartenenti ad associazioni criminali che fornivano loro pacchi di alimenti in cambio, come è facile immaginare, di un futuro reclutamento. Quanto al nord Italia, la rappresentazione riguardava lo stato disastroso delle imprese, soprattutto piccole e medie, fermate dal blocco della produzione, bisognose di finanziamenti ed esposte al rischio di acquisizioni da parte di organizzazioni ancora dotate di fondi neri da impiegare. Bene ha fatto dunque il Governo italiano a provvedere immediatamente al finanziamento di famiglie e di piccole e medie imprese”. 

È un problema solo italiano o ci sono rischi in altre parti d’Europa? “Questo problema non è certamente limitato all’Italia, come hanno invece cercato di rappresentare alcuni giornali stranieri, per fortuna rimasti abbastanza isolati. Le grandi organizzazioni criminali internazionali hanno raccolto immensi capitali in nero, che hanno sottoposto a varie fasi di money laundering, per poi impiegarlo in investimenti apparentemente leciti . Fiumi di denaro originati da ogni tipo di traffico illecito, che – così come il coronavirus – non si fermano davanti a nessun confine e confluiscono nella economia internazionale. Fiumi di denaro che cercano le strade più facili da percorrere, attraverso il fenomeno del cosiddetto forum shopping, per radicarsi nei Paesi in cui il livello di attenzione è minore, il livello della legislazione meno adeguato alle dimensioni del fenomeno, il livello delle sanzioni è meno alto e il tragico evento della pandemia genera lucrose occasioni di acquisizione di imprese indebolite dalla mancanza di liquidità . È proprio la sottovalutazione del fenomeno, con la tendenza ad addebitare al proprio vicino di casa i comportamenti più negativi, ad abbassare il livello di guardia e a fare il gioco di questo tipo di delinquenza, così pronta a sfruttare ogni opportunità”.

Quale tipo di coordinamento europeo servirebbe per combattere il problema? “Innanzitutto un monitoraggio di tutti i fenomeni che possono essere frutto di attività della criminalità organizzata. Penso ancora una volta agli enormi guadagni provenienti dal traffico di droga, di armi e di uomini, che hanno alimentato per anni il terrorismo e che oggi potrebbero essere utilizzati per sollecitare nuove forme di proselitismo integralista, occasionate proprio dalla povertà e dalla fame in cui possono trovarsi oggi molte famiglie di immigrati in Europa. Penso anche alle movimentazioni di denaro sporco e al loro investimento, reso più facile da quei Paesi che, ritenendo – o meglio illudendosi – di essere immuni da infiltrazioni di associazioni criminali, non si sono dotati di adeguati strumenti di prevenzione del riciclaggio, né di sistemi di sequestro preventivo e successiva confisca di denaro di sospetta provenienza. Il detto pecunia non olet in questo campo non può essere adottato e il coordinamento europeo in materia deve avvenire sapendo che non vi sono Paesi esenti, che non bisogna mai abbassare la guardia e che bisogna armonizzare al massimo le legislazioni in modo che, almeno in Europa, non vi siano zone franche o aree meno fortemente presidiate”.  20.4.2020 AFFARI ITALIANI

 

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Procuratore antimafia di Milano: “La ‘ndrangheta punta al business dei tamponi e mascherine”In Lombardia esiste un altro virus oltre al Covid. Quello della ‘ndrangheta, presente sul territorio ormai da anni e che oggi, con l’emergenza sanitaria in corso, rischia di “infettare” imprenditori e farsi spazio in nuovi business: “Abbiamo avvisaglie che la criminalità organizzata stia puntando al mercato delle mascherine e dei tamponi”, spiega il procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Milano Alessandra Cerreti in un’intervista a Fanpage.it. La Lombardia è al centro anche di questa seconda ondata Covid. Lo era già stata dallo scorso febbraio, da quella prima diagnosi al pronto soccorso di Codogno, e da allora il Coronavirus non se ne è più andato. Ma il Sars-Cov2 non è l’unico “virus” a infettare la Lombardia: da anni il territorio lotta contro la criminalità organizzata che si infiltra nell’economica sana e la fa propria. La prima grande e vera “diagnosi” è stata nel 2010 con l’operazione Infinito della Direzione distrettuale antimafia di Milano che elencò tutte le locali di ‘ndrangheta presenti in Lombardia. A risvegliare i cittadini dall’omertà del Varesotto sono stati anche gli ultimi arresti del luglio 2019 e del settembre 2020 quando l’operazione Krimisa portò alla luce i legami tra la locale di Legnano-Lonate Pozzolo e funzionari pubblici. A coordinare le indagini c’è il sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia (Dda) di Milano Alessandra Cerreti, insieme alla dottoressa Vassena, che in un’intervista a Fanpage.it mette in guardia gli imprenditori a non cedere alla criminalità organizzata in questi tempi di emergenza sanitaria ed economica.

Procuratore, questa nuova chiusura di attività commerciali aumenta il rischio di un avvicinamento tra imprenditori e criminalità organizzata? Non è tanto la decisione di chiudere o tenere aperto a far aumentare il rischio, quanto piuttosto la tempestività con cui lo Stato interviene per stanziare aiuti. Più gli aiuti saranno concreti e veloci, più il piccolo e medio imprenditore lombardo non si lascerà tentare dalla liquidità sempre presente nelle mani della criminalità organizzata. La ‘ndrangheta sul territorio è abile ad adattarsi alle realtà socio economiche del momento e infiltrarsi nei nuovi mercati.

Soprattutto in momenti di emergenza sanitaria come questi?  Sì, abbiamo avvisaglie che la criminalità organizzata stia puntando al mercato delle mascherine e dei tamponi. Ovvero il business più lucroso che ci sia in questo momento. Dalla loro hanno tanta liquidità che possono facilmente investire. Tra le ipotesi, quella di acquistare mascherine dal mercato illegale e rivenderle sul territorio a un prezzo molto più alto. Potrebbe succedere anche per tamponi e vaccini: in tanti sarebbero disposti a pagare a prezzi spropositati se necessario pur di avere una dose per il parente più anziano. Per questo la sanità pubblica deve intervenire tempestivamente e non può permettersi ritardi. Mentre sul territorio locale è necessario creare un fronte comune tra enti statali, associazioni di categoria e rappresentanze sindacati per supportare l’imprenditore.

Qualcosa che manca in Lombardia? Qui si fa poca rete. Cosa che invece succede nelle regioni del Sud dove, ahimè, le stragi sono state sì un duro colpo per il territorio, ma hanno fatto anche prendere consapevolezza al cittadino della presenza delle mafie. In Calabria e in Sicilia ci sono tante associazioni antiracket, l’imprenditore sa quindi a chi rivolgersi per chiedere aiuto.

Lei ha lavorato sia in Calabria che in Lombardia e ora soprattutto sul caso di Lonate Pozzolo. La ‘ndrangheta qui agisce in modo diverso rispetto al Sud? Assolutamente no. Occupandomi del Varesotto ho notato le stesse dinamiche di giù: il cittadino comune a Lonate Pozzolo si rivolgeva alla ‘ndrangheta per risolvere i suoi problemi. Non si rivolge allo Stato. Esattamente lo stesso succede in Calabria. Eppure in Lombardia è più comodo pensare che la ‘ndrangheta resti sempre un problema del Sud. Si sbagliano. In Lombardia però c’è silenzio totale. Basti pensare che nessun Comune o altri enti istituzionali si costituiscano parte civile nei processi. Cosa che invece avviene sempre in regioni come la Calabria e la Sicilia.

C’è chi però ha avuto coraggio. Un filone delle indagini sulla locale di Lonate Pozzolo è iniziato grazie alla denuncia di un giovanissimo imprenditore: una cosa più unica che rara? Non capitava da anni che un imprenditore lombardo denunciasse, ha avuto coraggio. Oggi è l’unica denuncia, durante il processo a Busto Arsizio contro la locale di ‘ndrangheta c’è stato persino qualcuno che davanti ai giudici ha preferito prendersi una denuncia per falsa testimonianza piuttosto che andare contro gli ‘ndranghetisti. Piuttosto negano tutto pur di denunciare.

Perché secondo lei? Per pura convenienza. L’imprenditore non denuncia e diventa colluso con la ‘ndrangheta perché gli conviene. Ma non capiscono che una volta che fai entrare la criminalità organizzata nella tua azienda poi ne diventi schiavo. Non te ne liberi più. Come quello che può succedere ora con la pandemia, non è che se chiedi liquidità alla ‘ndrangheta finita l’emergenza te ne liberi. No, diventa padrone della tua azienda.

Lo stesso vale per il rapporto tra politica e ‘ndrangheta, esattamente come è successo a Lonate Pozzolo? La ‘ndrangheta mira al centro del potere e quindi alle amministrazioni politiche. Cercano un canale comunicativo e spesso lo trovano nei piccoli paesi di provincia. Ma non per questo vuol dire che non cerchino di infiltrarsi nella politica delle grandi città. È sicuramente più difficile perché il politico è più esposto mediaticamente, ma ci provano. A Lonate Pozzolo era tutto alla luce del sole: c’erano reati spia come incendi, linciaggi e percosse nel centro della piazza del paese. Ma nessuno ha detto o fatto nulla.

La ‘ndrangheta è un “virus” di cui la Lombardia non si libererà mai? No, ma bisogna insistere. L’operazione Infinito di dieci anni fa è stato un duro colpo alla criminalità organizzata, per tanti indagati poi si sono aperte le porte del carcere. Ma una volta scontata la pena, i boss sono ritornati al loro posto e hanno ripreso il controllo del territorio. La loro grande capacità è quella di adattarsi alle nuove realtà socio economiche. Per questo i cittadini devono prendere coscienza della presenza della ‘ndrangheta sul territorio e lo Stato deve insistere per contrastarla. 16 NOVEMBRE 2020  di Giorgia Venturini FANPAGE


Lombardia, poche associazioni antiracket credibili per aiutare imprenditori vittime di ‘ndrangheta In Lombardia si sta combattendo la battaglia contro il Covid-19, ma qui, dieci anni dopo l’operazione Infinito che ha dato un duro colpo alla ‘ndrangheta sul territorio, la criminalità organizzata è ancora ben presente. Magistrati e forze dell’ordine mettono in guardia gli imprenditori a non cedere alla liquidità della ‘ndrangheta. Ma le denunce per estorsione sono quasi a zero e sul territorio scarseggiano associazioni antiracket e antiusura credibili. Quando pensi alla Calabria, così lontana dalla Lombardia, pensi anche ai suoi imprenditori coraggiosi. Persone che non solo hanno denunciato il tentativo di estorsione della ‘ndrangheta ma hanno fatto nomi e cognomi esponendosi mediaticamente, diventato sul territorio un esempio da seguire e da ammirare. Quando pensi alla Calabria, pensi a imprenditori come Tiberio Bentivoglio che ha pagato sì a caro prezzo il suo coraggio – ogni giorno davanti alla sua Sanitaria Sant’Elia nella centralissima Reggio Calabria c’è una camionetta dell’esercito che sorveglia sulla sua famiglia e sulla sua attività – ma non c’è studente in Italia che non lo conosca: le sue lezioni nelle scuole da Nord a Sud hanno lasciato il segno. Se pensi a Palermo, anche lei così lontana dalla Lombardia, pensi ai suoi imprenditori coraggiosi. Non c’è 29 agosto che non si ricordi il sacrificio di Libero Grassi, nel 1991 ha pagato con la vita il suo coraggio. Anche oggi a Palermo ci sono imprenditori, italiani e stranieri, che senza paura non cedono a Cosa Nostra: si rivolgono alle forze dell’ordine e si affidano alle tante associazioni antiracket presenti sul territorio, come Addio Pizzo. L’ultimo che ci ha messo le faccia è Giuseppe Piraino, l’imprenditore edile che per ben due volte ha filmato con una telecamere nascosta chi veniva a chiedergli il pizzo. I video poi sono finiti nelle mani delle forze dell’ordine e sono scattati gli arresti. Perché in Calabria e Sicilia c’è chi denuncia e quindi la criminalità organizzata, come avevano spiegato dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo, il più delle volte, sa a quale imprenditore chiedere il pezzo, o meglio la “messa a posto”, e a chi no. Sa quando rischia la denuncia e quando no. Una cultura, quella della denuncia, quasi del tutto assente in Lombardia. Qui piuttosto gli imprenditori raccontano il falso davanti ai giudici nelle aule di tribunale. “Gli conviene”, come ha spiegato a Fanpage.it il procuratore antimafia di Milano Alessandra Cerreti. Poco presenti in Lombardia sono anche le associazioni antiracket, gruppi di persone non rappresentanti dello Stato che accompagnano l’imprenditori verso la denuncia. Sia chiaro, in Lombardia esiste il movimento antimafia: non è un caso che il primo corso di dottorato in Italia dedicato alla criminalità organizzata sia all’Università degli Studi di Milano. Ma scarseggiano ancora organizzazioni antiracket e antiusura credibili sul territorio. Indispensabile per affiancare, soprattutto oggi, il lavoro di magistrati e forze di polizia in questi mesi di pandemia. Un’assenza che oggi, forse più di ieri, si fa sentire.  17 NOVEMBRE 2020  di Giorgia Venturini FANPAGE


 


LA CRIMINALITA’ ORGANIZZATA NEL COMASCO

a cura di Claudio Ramaccini  Direttore Centro Studi Sociali contro la mafia – Progetto San Francesco