Annientata la Cupola di Cosa nostra: 46 condanne, inflitti oltre 4 secoli di carcere

Settimo Mineo, il boss accusato di essere stato il nuovo capo della Cupola di Cosa 

 

RASSEGNA STAMPA


Operazione “Cupola 2.0”, boss intercettato: “Chi non rispetta regola è fuori”


AUDIO-VIDEO INTERCETTAZIONI 


Si chiude in primo grado lo stralcio in abbreviato del processo nato dall’operazione “Cupola 2.0” messa a segno esattamente due anni fa. Gli inquirenti sventarono il tentativo di ricostituire la Commissione provinciale dopo la morte di Totò Riina e scoprirono decine di estorsioni. Assolti 9 imputati. Sandra Figliuolo. 03 dicembre 2020  PALERMO TODAYE’ sicuramente l’inchiesta antimafia più importante degli ultimi anni perché ha consentito di sventare un nuovo tentativo di ricostituire la Commissione provinciale di Cosa nostra dopo la morte del boss che ne era stato per più di un quarto di secolo il capo indiscusso, Totò Riina. Oggi, con la sentenza emessa per 55 imputati nell’aula bunker dell’Ucciardone dal gup Rosario Di Gioia, al termine del processo che si è svolto con il rito abbreviato, sono arrivate 46 condanne e 9 assoluzioni. In tutto sono stati inflitti 435 anni di carcere. Il giudice ha sostanzialmente accolto le richieste del procuratore Francesco Lo Voi, dell’aggiunto Salvatore De Luca e dei sostituti Amelia Luise, Francesca Mazzocco, Dario Scaletta, Gaspare Spedale e Bruno Brucoli, che avevano coordinato le indagini dei carabinieri e il maxiblitz “Cupola 2.0” messo a segno esattamente due anni fa, il 4 dicembre del 2018. Alla fine di gennaio, il 22, arrivarono altri arresti con l’operazione “Cupola 2.0 bis”. I pm avevano chiesto oltre 7 secoli di carcere (precisamente 727 anni).

Le condanne Il dispositivo di 15 pagine è stato letto nell’aula in cui fu celebrato il Maxiprocesso intorno alle 14 e sono 46 i condannati. Ecco le pene che il giudice ha inflitto a ciascuno di loro, in rigoroso ordine alfabetico: Stefano Albanese 9 anni e 2 mesi, Filippo Annatelli 13 anni e 4 mesi, al pentito Filippo Bisconti 6 anni, Giuseppe Bonanno 5 anni e 8 mesi, Carmelo Cacocciola 7 anni, Giovanni Cancemi 8 anni, Francesco Caponetto 13 anni e 4 mesi, al pentito Francesco Colletti 6 anni e mezzo, Giovanna Comito un anno e 8 mesi (pena sospesa), Giuseppe Costa 9 anni, Maurizio Crinò 10 anni, Filippo Cusimano 9 anni e 4 mesi, Rubens D’Agostino 10 anni, Gregorio Di Giovanni 15 anni e 4 mesi, Filippo Di Pisa 8 anni e 8 mesi, Andrea Ferrante 8 anni, Salvatore Ferrante 2 anni e 8 mesi, Vincenzo Ganci 8 anni e 8 mesi, Michele Grasso 8 anni e 8 mesi, Leandro Greco 12 anni, Marco La Rosa 6 anni e 8 mesi, Gaetano Leto 12 anni e 8 mesi, Erasmo Lo Bello 12 anni, Calogero Lo Piccolo 27 anni (in continuazione), al pentito Sergio Macaluso 2 anni, Michele Madonia 8 anni e 8 mesi, Umberto Maiorana un anno e 8 mesi (pena sospesa), al pentito Domenico Mammi 2 anni, Giusto Francesco Mangiapane 8 anni, Matteo Maniscalco 6 anni e 8 mesi, Luigi Marino 6 anni e 8 mesi, Antonio Maranto 2 anni, Fabio Messicati Vitale 12 anni, Giovanni Salvatore Migliore 8 anni e 8 mesi, Settimo Mineo 16 anni, Salvatore Mirino 9 anni e 4 mesi, Domenico Nocilla 9 anni e 8 mesi, Salvatore Pispicia 12 anni, Gaspare Rizzuto 12 anni e 4 mesi, Michele Rubino 10 anni e 8 mesi, Giovanni Salerno 10 anni e mezzo, Salvatore Sciarabba 14 anni, Giuseppe Serio 13 anni e 4 mesi, Giovanni Sirchia 8 anni, Salvatore Sorrentino 12 anni e 8 mesi e Salvatore Troia 9 anni.

Le assoluzioni Per altri 9 imputati, il gup ha deciso per l’assoluzione, scagionandoli quindi dalle accuse mosse dalla Procura. Si tratta prima di tutto del presunto boss di Ballarò, Massimo Mulè (difeso dagli avvocati Giovanni Castronovo e Marco Clementi) Giacomo Alaimo, Gioacchino Badagliacca, Giusto Giordano (difeso dall’avvocato Salvatore Gugino), Rosolino Mirabella (assistito dagli avvocati Castronovo e Silvana Tortorici), Andrea Mirino (difeso dall’avvocato Amalia Imbrociano), Nicolò Orlando, Pietro Scafidi e Giusto Sucato (difeso dall’avvocato Domenico La Blasca).

L’imputato morto per Covid. Un altro imputato, Vincenzo Sucato, 76 anni, accusato di essere stato a capo del clan di Misilmeri e già condannato anni fa per mafia, è però deceduto nelle corso del processo. E’ stato peraltro il primo detenuto morto per Covid in Italia, lo scorso primo aprile. Era recluso nel carcere della Dozza di Bologna e sul suo decesso è stata apera un’inchiesta per omicidio colposo, in seguito alla denuncia della sua famiglia, difesa dall’avvocato Domenico La Blasca. Sucato era affetto da diverse patologie e dunque tra i soggetti altamente a rischio in caso di contagio da Coronavirus. Nonostante le richieste del suo legale, però, sarebbe stato lasciato in cella, dove poi aveva effittivamente contratto il virus.

Il summit del 29 maggio 2018 Una catapecchia, raggiungibile percorrendo strade di campagne da viale Michelangelo, arredata con mobili vecchi e una tavola imbandita con dolci e cornetti. E’ in questo posto – mai indivudato chiaramente dagli investigatori – che il 29 maggio di due anni fa, intorno a mezzogiorno, si sarebbe tenuto un importante summit, propedeutico alla ricostituzione della Cupola. Al “brunch” avrebbero partecipato Settimo Mineo, Leandro “Michele” Greco, Calogero Lo Piccolo, Gregorio Di Giovanni e Francesco Colletti. Decise di non andare, invece, un altro boss, Filippo Bisconti. I carabinieri hanno scoperto la riunione proprio intercettando Colletti che in macchina ne parlava con il suo autista Filippo Cusimano. Inoltre i cellulari dei partecipanti avrebbero smesso di mandare segnali proprio in concomitanza con l’incontro. Secondo la ricostruzione dell’accusa, dopo la morte di Riina (a novembre del 2017) i capi dei più importanti clan avrebbero deciso di riorganizzarsi e di riportare da Corleone alla città il centro nevralgico dell’organizzazione crinimale. 

Il pentito: “Una riunione importante tra dolci e cornetti…” Pochi giorni dopo gli arresti, Colletti e Bisconti decisero di iniziare a collaborare con la giustizia. Non solo le loro dichiarazioni hanno confermato la ricostruzione dell’accusa, ma si riscontrano perfettamente a vicenda. Il summit è stato raccontato proprio da Colletti, che avrebbe ricevuto l’invito da Greco, nipote del “papa” di Cosa nostra: “Mi dice di farmi lasciare da solo in viale Michelangelo, all’altezza ‘Mondo Legno’, a mezzogiorno. Mi fermai, venne un motore ed era Sirchia Giovanni abbiamo fatto un bel po’ di strade di campagna, non so se quella zona è Aquino o Baida… non esisteva una persona. Colletti descrive poi il luogo: “Mobili vecchi, vecchia casa, molto vecchia” e dice che “ho trovato là dentro Settimo Mineo, già era seduto” e che “c’era un tavolo imbandito con dei dolci… Greco Michele era già a tavola… Dopo una mezz’oretta è venuto Lo Piccolo Calogero”. Conferma che Bisconti non arrivò mai, ma che tutti gli “uomini d’onore” lo aspettavano. E aspettando “abbiamo fatto questa specie di pranzo a base di cornetti e roba varia e si sono presi dei discorsi dell’importanza di questa riunione”.

Dobbiamo fare le cose serie”. Spiega ancora Colletti, “era prima di tutto per conoscerci per le persone che non ci conoscevamo…”, ma “si è parlato di regole, abbiamo posto delle regole… Il Greco prendeva spesso parola dicendo che dobbiamo fare le cose serie, dobbiamo organizzarci in modo che solo noi che ci riuniamo e ci riuniremo dobbiamo sapere le cose” e questo perché, fino a quel momento, “c’era molto disordine, di rimettere all’ordine, tutti i discorsi li dovevamo sapere, in quelle riunioni che se ne dovevano fare 6, 7, 8 l’anno, e le dovevamo fare una ciascuno… La prossima si doveva fare intorno a settembre”. 

Non c’è più rispetto, non pagano il pizzo…” Innumerevoli gli spunti dell’inchiesta “Cupola 2.0”, che hanno anche rivelato – ancora una volta – gli affari di Cosa nostra, tra scommesse, droga e pizzo (ben 28 gli episodi estorsivi ricostruiti dagli inquirenti). E proprio su quest’ultimo tema le parole del boss di corso Calatafimi Filippo Annatelli sancivano una svolta senza precedenti. Per la prima volta, infatti, dalle intercettazioni si capive che i mafiosi, per via dei rischi sempre più elevati, avrebbero addirittura preferito non chiedere più il pizzo. “No! Non dobbiamo fare più niente!” diceva infatti a Gioacchino Badagliacca, a capo del clan di Rocca-Mezzomonreale. “Questi (gli imprenditori, ndr) arrivano, montano, ti guardano in faccia, ridono… a tipo se ne stanno fottendo ed è andata a finire qua, a tipo che non c’è più rispetto”. Il pagamento del pizzo per i due, infatti, era come una forma di “buona educazione”, che evidentemente in molti però non sono (più) disposti a rispettare. E’ per questo che Badagliacca concludeva: “Quello che pensavo come ragionamento, a me non mi viene più manco di dirgli niente a nessuno. Perché va a finire che a quello glielo dico, a questo non glielo dico ed allora quelli di fuori si fanno i fatti loro…

 

L’Operazione Cupola 2.0 è un’inchiesta coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo scattata il 4 dicembre 2018 che ha coinvolto 46 persone, accusate a vario titolo di associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsioni e tentate estorsioni aggravate dal metodo mafioso, fittizia intestazione di beni, porto abusivo di armi comuni da sparo, danneggiamento a mezzo incendio e concorso esterno in associazione mafiosa. L’operazione è stata il risultato di quattro distinti procedimenti penali, le cui indagini hanno permesso di cogliere in presa diretta la fase di riorganizzazione di Cosa Nostra dopo la morte di Totò Riina, documentando la ricostituzione della nuova commissione provinciale di Palermo che il 29 maggio 2018 è tornata a riunirsi, ristabilendo le vecchie regole ed eleggendo a proprio capo Settimo Mineo, capo mandamento di Pagliarelli.

Condotta dal Procuratore capo di Palermo Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Salvatore De Luca e dai pm Francesca Mazzocco, Maurizio Agnello, Amelia Luise, Dario Scaletta, Gaspare Spedale e Bruno Brucoli, l’operazione ha permesso di ricostruire gli assetti dei mandamenti di Porta Nuova, Pagliarelli, Bagheria, Villabate e Misilmeri, portando all’arresto di 4 capi mandamento, 10 tra capi famiglia, capi decina e consiglieri, nonché 30 uomini d’onore e altri 2 responsabili di reati fine.

Voglia di Commissione. La commissione provinciale era stata creata dopo il Summit al Grand Hotel et des Palmes nel 1957 come organismo di vertice di Cosa Nostra deputato ad assumere le decisioni di maggior rilievo dell’organizzazione. Dopo la Seconda Guerra di Mafia, la Commissione venne svuotata della sua collegialità e il potere nell’organizzazione veniva esercitato in maniera incontrastata da [[Totò Riina], che ne era a capo.

Con l’arresto di Riina il 15 gennaio 1993, la Commissione, decapitata dagli arresti e dalla repressione giudiziaria degli anni precedenti e successivi alle stragi di Capaci e Via D’Amelio, smetteva di funzionare, pur rimanendo un pilastro della struttura di Cosa Nostra, le cui regole, almeno formalmente, rimasero in vigore. Bernardo Provenzano, pur assumendo il ruolo di vertice dell’organizzazione e di coordinamento tra i vari mandamenti, non convocò mai alcuna riunione plenaria, anche in ragione della “strategia della sommersione“, che caratterizzò il suo periodo.

Dopo l’arresto anche di Provenzano, l’insofferenza alla situazione d’impasse che caratterizzava l’organizzazione emerse in varie operazioni. Nel 2008 durante l’Operazione Perseo i Carabinieri del Comando Provinciale di Palermo avevano documentato e sventato il tentativo di ricostituzione della Commissione da parte di Benedetto e Sandro Capizzi, Giuseppe Scaduto e Giovanni Adelfio. Benedetto Capizzi avrebbe dovuto presiedere la nuova Commissione, benché fosse osteggiata dall’ala guidata da Gaetano Lo Presti, reggente del mandamento di Porta Nuova, che non ne riconosceva la legittimazione, dato che era convinto della necessità di un’autorizzazione da parte dei capi corleonesi detenuti, in particolare di Riina.

Nonostante il tentativo fallito, le successive indagini condotte nel tempo (Oscar, Pedro, Sisma, Argo, Alexander, Iago, Reset, Panta Rei, Talea), documentarono che Cosa Nostra, al fine di sopperire alla mancanza di un organismo decisionale idoneo a dare risposte urgenti in una fase di emergenza, aveva riconosciuto legittimità ad agire ad un organismo collegiale “provvisorio”, costituito dai più influenti reggenti dei mandamenti della città, con mere funzioni di consultazione e raccordo strategico fra i mandamenti palermitani. Nulla a che vedere, però, con la sacralità e i poteri della commissione provinciale.

La morte di Riina, il 17 novembre 2017, costituì uno storico spartiacque per Cosa Nostra, perché solo dopo la sua dipartita Cosa Nostra poté riorganizzarsi. L’importanza della morte di Riina era già stata captata in un’intercettazione nell’ambito dell’Operazione Brasca: l’8 gennaio 2015 Santi Pullarà, discutendo delle precarie condizioni di salute di Bernardo Provenzano con Mario Marchese, al vertice del mandamento di Villagrazia-Santa Maria di Gesù, commentava che solo la sua scomparsa e quella di Riina avrebbero potuto aprire una nuova fase per 1’associazione mafiosa […e se non muoiono tutti e due, luce non ne vede nessuno… è vero zio Mario?.

Da quel momento le indagini condotte dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Palermo sui mandamenti di Porta Nuova, Pagliarelli, Villabate e Belmonte Mezzagno hanno consentito di registrare un grande fermento all’interno dell’organizzazione, con un’escalation di incontri tra vari esponenti apicali dei mandamenti mafiosi cittadini e della provincia.

La riunione del 29 maggio 2018. Il 29 maggio 2018 i Carabinieri intercettarono una conversazione tra Francesco Colletti, capo mandamento di Villabate, e il suo fedele autista Filippo Cusimano, a bordo della Panda che erano soliti utilizzare, scoprendo che questi era di ritorno da una riunione tra i rappresentanti dei mandamenti di Cosa Nostra appena conclusasi il cui fine era la riorganizzazione dell’associazione mafiosa.

Nell’intercettazione ambientale Colletti riferì quanto accaduto durante la riunione, facendo riferimento anche ad alcuni dei presenti, in particolare.

  • Settimo Mineo, raffigurato come il soggetto di maggior autorevolezza che aveva preso “la parola” durante la riunione e aveva chiesto a tutti gli intervenuti il rispetto delle regole spiegandone i contenuti e le modalità di esecuzione;
  • Gregorio Di Giovanni, detto “Revuccio”, reggente del mandamento mafioso di Porta Nuova;
  • Filippo Bisconti, reggente del mandamento di Misilmeri/Belmonte Mezzagno.

Colletti faceva riferimento anche ad altri uomini d’onore dei dei diversi mandamenti mafiosi che, sebbene svolgessero ruoli apicali nelle rispettive articolazioni mafiose, non rivestivano la “carica” necessaria per poter partecipare alla riunione che era riservata esclusivamente ai diversi reggenti o rappresentanti dei mandamenti. 

  • Salvatore Pispicia, esponente apicale del mandamento di Porta Nuova e cugino di Gregorio Di Giovanni, già condannato nell’ambito dell’Operazione Gotha per avere “diretto la famiglia mafiosa di Palermo Centro; 2) per aver costituito un punto di riferimento mafioso per il controllo di lavori pubblici e l’imposizione del pizzo alle imprese operanti nella zona; 3) per aver mantenuto, attraverso il continuo scambio di messaggi e attraverso riunioni ed incontri, tra gli altri con INGARAO Nicolò, un costante collegamento con gli altri associati in libertà, in tal modo, svolgendo funzioni direttive per l’organizzazione“[6];
  • Francesco Caponetto, detto Franco, uomo d’onore di Villabate;
  • Giovanni Sirchia, il quale, nonostante fosse un importante uomo d’onore del mandamento di Passo di Rigano-Boccadifalco, pur essendo fisicamente presente, era stato costretto a rimanere fuori dal locale ove aveva avuto luogo la riunione, poiché potevano parteciparvi solo i rappresentanti dei relativi mandamenti;
  • Francesco Picone, uomo d’onore del mandamento della Noce, articolazione che, a causa della mancanza di un reggente, alla riunione era stata rappresentata da un “consigliere”.

Indagati

  1. Stefano Albanese, nato a Termini Imerese (PA) il 24 maggio 1984, affiliato alla famiglia mafiosa di Polizzi Generosa (PA);
  2. Giusto Amodeo, nato a Palermo il 26.04.1970;
  3. Filippo Annatelli, nato a Palermo il 3 luglio 1963, capo della famiglia di Corso Calatafimi;
  4. Gioacchino Badagliacca, nato a Palermo il 30 novembre 1977, affiliato alla famiglia di Rocca Mezzo Monreale;
  5. Filippo Salvatore Bisconti, nato a Belmonte Mezzagno (PA) il 1° gennaio 1960, capo mandamento di Belmonte Mezzagno – Misilmeri;
  6. Giuseppe, detto Andrea, Bonanno, nato a Misilmeri (PA) il 13 luglio 1961, affiliato alla famiglia mafiosa di Misilmeri;
  7. Giovanni Cancemi, nato a Palermo il 10 settembre 1970, affiliato alla famiglia mafiosa di Pagliarelli;
  8. Francesco Caponnetto, nato a Palermo l’11 maggio 1970, vice capo della famiglia di Villabate;
  9. Francesco Colletti, nato a Palermo il 28 febbraio 1969, capo del mandamento di Villabate;
  10. Giuseppe Costa, nato a Palermo il 118 aprile 1982, affiliato alla famiglia di Villabate;
  11. Maurizio Crinò, nato a Palermo il 4 febbraio 1971, affiliato alla famiglia mafiosa di Misilmeri;
  12. Rosalba Crinò, nata a Palermo il 7 gennaio 1989;
  13. Filippo Cusimano, nato a Palermo il 1° aprile 1976, affiliato alla famiglia di Villabate;
  14. Rubens D’Agostino, nato a Palermo il 10 febbraio 1975, affiliato alla famiglia mafiosa di Porta Nuova;
  15. Giuseppe Di Giovanni, nato a Palermo il 4 gennaio 1980, affiliato alla famiglia mafiosa di Porta Nuova;
  16. Gregorio Di Giovanni, nato a Palermo il 26 maggio 1962, capo del mandamento di Palermo Porta Nuova;
  17. Filippo Di Pisa, nato a Palermo l’11 febbraio 1973, affiliato alla famiglia mafiosa di Misilmeri;
  18. Andrea Ferrante, nato a Palermo il 14 maggio 1975, affiliato alla famiglia mafiosa di Pagliarelli;
  19. Francesco Antonino Fumuso, nato a Palermo il 3 luglio 1967, affiliato alla famiglia di Villabate;
  20. Vincenzo Ganci, nato a Palermo il 30 settembre 1966, affiliato alla famiglia mafiosa di Misilmeri;
  21. Michele Grassi, nato a Palermo il 03.09.1975, affiliato alla famiglia mafiosa di Pagliarelli;
  22. Simone La Barbera, nato a Mezzojuso il 28 luglio 1962;
  23. Marco La Rosa, nato a Palermo il 29 agosto 1981, affiliato alla famiglia mafiosa di Corso Calatafimi;
  24. Gaetano Leto, nato a Palermo il 26 dicembre 1980, capo della famiglia mafiosa di Porta Nuova – quartiere Capo;
  25. Michele Madonia, nato a Palermo il 18 giugno 1970, affiliato alla famiglia mafiosa di Porta Nuova;
  26. Matteo Maniscalco, nato a Palermo il 13 luglio 1955, affiliato alla famiglia mafiosa di Pagliarelli;
  27. Luigi Marino, nato a Palermo il 3 ottobre 1974, affiliato alla famiglia mafiosa di Porta Nuova;
  28. Pietro Merendino, nato a Misilmeri (PA) il 10 aprile 1965, affiliato alla famiglia mafiosa di Misilmeri;
  29. Fabio Messicati Vitale, nato a Villabate (PA) il 22 gennaio 1974, affiliato alla famiglia di Villabate;
  30. Giovanni Salvatore Migliore, nato a Belmonte Mezzagno (PA) il 6 ottobre 1968, affiliato alla famiglia mafiosa di Belmonte Mezzagno;
  31. Settimo Mineo, nato a Palermo il 28 novembre 1938, capo della Commissione Provinciale palermitana di Cosa Nostra e capo del mandamento di Pagliarelli;
  32. Rosolino Mirabella, nato a Palermo l’11 aprile 1986, affiliato alla famiglia mafiosa di Porta Nuova;
  33. Salvatore Mirino, nato a Palermo il 18 marzo 1967, affiliato alla famiglia mafiosa di Corso Calatafimi;
  34. Massimo Mulè, nato a Palermo il 3 febbraio 1972, capo della famiglia mafiosa di Porta Nuova – quartiere Ballarò;
  35. Domenico Nocilla, nato a Misilmeri (PA) il 21settembre 1946, affiliato alla famiglia mafiosa di Misilmeri;
  36. Nicolò Orlando, nato a Misilmeri (PA) il 6 dicembre 1966, affiliato alla famiglia mafiosa di Misilmeri;
  37. Salvatore Pispiscia, nato a Palermo il 14 luglio 1965, elemento di vertice della famiglia mafiosa di Porta Nuova;
  38. Gaspare Rizzuto, nato a Palermo il 26 ottobre 1982, capo della famiglia mafiosa di Palermo Centro;
  39. Michele Rubino, nato a Palermo l’8 dicembre 1960, affiliato alla famiglia di Villabate;
  40. Giovanni Salerno, nato a Palermo il 20 febbraio 1950, affiliato alla famiglia mafiosa di Porta Nuova;
  41. Pietro Scafidi, nato a Palermo il 3 aprile 1992, affiliato alla famiglia mafiosa di Misilmeri;
  42. Salvatore Sciarabba, nato a Palermo l’11 novembre 1950, già a capo del mandamento di Misilmeri – Belmonte Mezzagno;
  43. Salvatore Sorrentino, nato a Palermo il 16 gennaio 1965, capo della famiglia del Villaggio Santa Rosalia;
  44. Giusto Sucato, nato a Palermo il 28 aprile 1969, affiliato alla famiglia mafiosa di Misilmeri;
  45. Vincenzo Sucato, nato a Misilmeri (PA), il 27 settembre 1944, capo della famiglia mafiosa di Misilmeri;
  46. Salvatore Troia, nato a Palermo il 26 agosto 1960, affiliato alla famiglia di Villabate;

La collaborazione di Francesco Colletti e Filippo Bisconti

Dopo un mese dalla carcerazione, Francesco Colletti, capomandamento di Villabate, e Filippo Bisconti, capo mandamento di Belmonte Mezzagno – Misilmeri, hanno deciso di collaborare con la giustizia. Dalle loro dichiarazioni è scattata una nuova operazione il 22 gennaio 2019 che ha portato in carcere Leandro Greco, nipote di Michele, il papa di Cosa Nostra, già reggente del mandamento di Ciaculli a 28 anni, e Calogero Piccolo, figlio di Salvatore arrestato nel 2007. Secondo le indagini, i due avevano stretto una grande alleanza per provare a rilanciare Cosa nostra siciliana, in questi ultimi anni duramente colpita da blitz e sequestri di beni, sfruttando i propri cognomi. WIKIMAFIA


Processo ”Cupola 2.0”, oltre 400 anni di carcere per i boss. Tra loro Settimo Mineo, Calogero Lo Piccolo e Leandro Greco, nipote del “Papa”

Sono oltre 400 gli anni di carcere complessivi a cui il gup di Palermo ha condannato boss, colonnelli e gregari di Cosa nostra arrestati due anni fa nell’ambito di un’inchiesta della Dda del capoluogo sui clan mafiosi palermitani, anche nota come “Cupola 2.0”. Un’indagine che svelò la riorganizzazione di Cosa nostra e soprattutto il progetto delle cosche di ricostituire la commissione provinciale in seguito alla morte del Capo dei capi, Totò Riina. La sentenza con il rito abbreviato è stata pronunciata oggi nell’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo, dal gup Rosario Di Gioia, nei confronti di 56 imputati (47 i condannai e 9 gli assolti). Il gup ha condannato i vertici dei clan mafiosi di Palermo e provincia: tra loro a 16 anni di carcere Settimo Mineo, il vecchio ‘padrino’ designato alla ricostruzione della Cupola e reggente del mandamento mafioso di Pagliarelli, a 27 anni (in continuazione) Calogero Lo Piccolo, figlio del boss di San Lorenzo Salvatore e fratello di Sandro, a 15 anni e 4 mesi Gregorio Di Giovanni e a 12 Leandro Greco, nipote del ‘papa’ di Cosa nostra, Michele Greco e Filippo Annatelli, condannato a 13 anni e 4 mesi.

Gli imputati rispondevano di mafia, estorsione, danneggiamenti e intestazione fittizia di beni. Nel febbraio scorso, al termine della requisitoria, l’accusa rappresentata dai pm Amelia Luise, Dario Scaletta, Francesca Mazzocco e Bruno Brucoli, aveva chiesto condanne per circa 7 secoli. 

Secondo quanto emerso nelle indagini a fine maggio 2018 si sarebbe tenuto un importante vertice istituito proprio al fine di riorganizzare tutto il Gotha di Cosa nostra palermitana. All’incontro avrebbero partecipato il capomandamento di Pagliarelli, Settimo Mineo, insieme a Gregorio Di Giovanni e Leandro Greco (nipote di Michele Greco, detto “il papa”), rispettivamente capimandamento di Porta Nuova e Ciaculli-Brancaccio. Insieme a loro sarebbero stati presenti anche i boss Calogero Lo Piccolo e Francesco Colletti, quest’ultimo si è poi pentito dopo il suo arresto, così come Filippo Bisconti, boss di Belmonte Mezzagno. AMDuemila 03 Dicembre 2020

 

La CRIMINALITA’ ORGANIZZATA

 

a cura di Claudio Ramaccini  Direttore Centro Studi Sociali contro la mafia – Progetto San Francesco