17 Luglio 1992, l’ultimo interrogatorio del Dottor Borsellino due giorni prima di essere ucciso da Cosa nostra

 

Gaspare Mutolo annunciò per la prima volta di voler collaborare con gli inquirenti all’inizio del 1992, a una condizione: avrebbe rivelato i segreti della mafia solo a Falcone. Ma il nuovo incarico romano del giudice non gli consentiva più di farlo, e quindi il pentito si rifiutò di parlare con altri. Solo dopo la sua morte, cambiò idea. Come tanti, sia dentro che fuori dalla mafia, considerava Borsellino l’erede naturale di Falcone e annunciò:  <>.  Questi aveva grandi aspettative su quanto Mutolo fosse disposto a dirgli. <Tommaso Buscetta, forse al di sopra>>, disse il procuratore a un collega.  Quando Borsellino incontrò Mutolo a Roma, il collaboratore rivelò senza indugio che la mafia aveva degli infiltrati sia in polizia che in tribunale. Fece il nome di due presunte spalle: Bruno Contrada, l’ex capo della squadra mobile di Palermo che ora lavorava per il servizio segreto SISDE di Roma, a il giudice antimafia Domenico Signorino, amico e collega di Borsellino. Una telefonata inaspettata interruppe l’interrogatorio di Borsellino. Dopo aver risposto alla chiamata, il procuratore disse a Mutolo che era stato convocato dal neonominato ministro dell’Interno Nicola Mancino, che si era insediato in carica quel giorno: sarebbe tornato entro mezz’ora. Borsellino fu di ritorno dopo un’ora, ed era infuriato e preoccupato. Mutolo gli domandò cos’era successo. Borsellino gli disse che, invece il ministro, aveva visto Vincenzo Parisi, capo della polizia, e Bruno Contrada, proprio quello che il collaboratore aveva appena indicato come spalla della mafia. Borsellino era infuriato perché entrambi erano venuti a conoscenza del suo incontro con Mutolo. <<L’interrogatorio è segreto, come diavolo ha fatto Contrada a scoprirlo?>>, gridò Borsellino, ignorando Mutolo. Il procuratore era così agitato che accese due sigarette contemporaneamente e le tenne entrambe nella mano. <<Dottore, ha due sigarette!>>, gli disse Mutolo. Borsellino rise, ma era ancora nervoso. Continuò a insistere che dovesse fargli mettere per iscritto la sua dichiarazione, ma Mutolo rifiutò: non voleva perché era sicuro che sarebbe stato ucciso e preferiva mettere nero su bianco ciò che riguardava le gerarchie nella mafia. Non si sa se Mutolo disse a Borsellino di avere sentito nel 1980, dodici anni prima, che la mafia voleva eliminare il procuratore, perché aveva firmato un mandato d’arresto per il boss Francesco Madonia, accusato dell’omicidio, avvenuto quell’anno, del capitano dei carabinieri Emanuele Basile. Gli assassini spararono a Basile mentre, con la figlioletta in braccio, si dirigeva in caserma con la moglie. Entrambe rimasero illese. Nel 2007 la Cassazione condannò Contrada a dieci anni di prigione per i legami con la mafia; l’anno successivo gli concessero i domiciliari per motivi di salute. Signorino, l’altra spalla secondo Mutolo, si suicidò nel dicembre del 1992. –JOHN FOLLAIN i 57 giorni che hanno sconvolto l’Italia

PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI PALERMO

VERBALE DI INTERROGATORIO DI PERSONA SOTTOPOSTA AD INDAGINI

 

17.7.1992 alle ore 09.00, nei locali della Direzione Investigativa Antimafia in Roma, dinanzi al Procuratore Aggiunto della Repubblica. dr. Paolo BORSELLINO ed ai Sostituti. Procuratori della Repubblica. Dr. Guido LO FORTE e Dr. Gioacchino NATOLI, assistiti dall’Ispettore. P. della Polizia di Stato AMORE Danilo, è comparso MUTOLO GASPAREche, invitato a dichiarare le proprie generalità e quanto altro valga ad identificarlo, con l’ammonizione delle conseguenze alle quali si espone chi si rifiuta di darle o le dà false, risponde: MUTOLO Gaspare, nato a Palermo il 05.02.1940, detenuto per altro.
Invitato il MUTOLO, facendogli presente che viene interrogato nella qualità’ di indagato di reato collegato, a nominare un difensore di fiducia, dichiara:
confermo mio avvocato di fiducia l’Avv.Luigi LI GOTTI del Foro di Roma, il quale, è assente, sebbene ritualmente avvisato. “

A D.R. Quando BADALAMENTI GAETANO fu messo “fuori famiglia”, io mi trovavo detenuto, ma anche all’interno del carcere dove eravamo assieme diversi uomini d’onore ci si rendeva conto dei sommovimenti che stavano avvenendo all’esterno, attraverso le giornaliere conversazioni che si avevano tra i detenuti.

Uscii dal carcere in semilibertà tra il 23 aprile e l’11 maggio del 1981, e precisamente in data intercorrente tra l’omicidio di BONTATE STEFANO avvenuto mentre ero detenuto e quello di INZERILLO TOTUCCIO, verificatosi l’11 maggio 1981. Io, uscito dal carcere, riuscii a vedere l’INZERILLO ancora vivo, mentre si trovava con LA BARBERA ANGELO (da Passo di Rigano). Entrambi, infatti, vennero da me a Partanna Mondello per discutere del pagamento di 2 kg. di eroina che io avevo mandato negli USA ad un fratello di INZERILLO TOTUCCIO, utilizzando come corriere ABBENANTE MICHELEIl giorno in cui uscii in semilibertà fu quello in cui, in una chiesa dell’Addaura, si sposò la figlia di RICCOBONO SARO con LAURICELLA SALVATORE. Può darsi, però, che io fossi uscito qualche giorno prima. Il trattenimento fu fatto alla Zagarella, con l’intervento di MEROLA MARIO. Parteciparono numerosissimi uomini d’onore, ma era assente GRECO MICHELE, anche se mandò un regalo. In quel momento, egli si teneva defilato. Non ricordo se prima o dopo l’uccisione di INZERILLO TOTUCCIO partecipai in casa di RICCOBONO SARO, dico meglio in un villino sopra Mondello di un suo parente ad un incontro tra lo stesso SARO, MICALIZZI MICHELE ed D’AGOSTINO EMANUELE. Costui era molto legato al RICCOBONO, che gli voleva molto bene. Egli sosteneva che più di una volta, su incarico di BONTATE STEFANO, aveva partecipato con una macchina a degli appostamenti per uccidere “una persona importante” che sosteneva, però, di non sapere chi fosse. Ciò egli raccontava con l’intento di propiziarsi la protezione di RICCOBONO SARO, sottolineando che egli non aveva mai saputo il nome della vittima designata e che si era limitato ad eseguire gli ordini del BONTATE. Andato via il D’AGOSTINO, io ed il MICALIZZI inducemmo RICCOBONO SARO a riflettere sulla posizione di D’AGOSTINO EMANUELE, il quale certamente non si era dimostrato suo amico come il SARO si mostrava, invece, nei di lui confronti. Infatti, o il D’AGOSTINO gli mentiva, sostenendo di non aver mai saputo il nome della persona importante che STEFANO BONTATE gli aveva dato l’ordine di uccidere, ovvero se diceva la verità, asserendo la sua ignoranza ugualmente si era dimostrato poco amico, poiché a quell’epoca le persone importanti nell’universo mafioso erano pochissime, e lo stesso RICCOBONO SARO era fra esse, e, quindi, il D’AGOSTINO aveva accettato un incarico col rischio di trovarsi in condizione di dovere uccidere proprio il RICCOBONORICCOBONO SARO, sebbene a malincuore e con le lacrime agli occhi, recepì il nostro ragionamento e dopo qualche tempo, nel corso di un mio periodo di assenza da Palermo (ero, infatti, in semilibertà a Teramo), appresi che il D’AGOSTINO era scomparso. Ritengo che sia stata posta fine ai suoi giorni, bruciandolo sulla griglia posta vicino al caseggiato di “TATUNEDDU”. Nel frattempo, a Palermo si erano verificati taluni omicidi particolarmente eclatanti, quali quelli di REINA MICHELE, di MATTARELLA PIERSANTI, del Cap. BASILE EMANUELE, del Proc. della Rep. COSTA GAETANO e, prima ancora, quello del V. Questore BORIS GIULIANO ed altri ancora. Voglio premettere che, per quanto attiene a questi delitti, mi limiterò a dichiarare quello che, in questo momento, ritengo di poter dichiarare e prego le SS.LL. di rispettare questa mia decisione. Per quanto attiene a REINA MICHELE, faccio presente che in quel periodo vi era a Palermo un costruttore, tale D’ALIA MASINO, il quale si era occupato di talune importanti edificazioni e, in particolare, della costruzione dell’hotel Politeama, del complesso edilizio commerciale di Valdesi e del complesso turistico “Ashur” di Mondello.

Si dà atto che, a questo punto, sono le ore 10.30, sopraggiunge l’avv. LI GOTTI, che viene subito reso edotto di quanto fin qui verbalizzato. Era ben noto, nell’ambiente di Cosa Nostra, ma ritengo anche in altri ambienti, che dietro D’ALIA MASINO ed alle sue attività imprenditoriali vi fosse proprio REINA MICHELE nonché un Direttore del Banco di Sicilia, del quale non so il nome, ma posso dire soltanto che era uno degli uomini più importanti d’allora. Personalmente mi consta che D’ALIA MASINO pagasse delle tangenti a gruppi mafiosi vicini a RICCOBONO SARO, in quanto ero personalmente incaricato di riscuoterle. Allo stato, posso dire soltanto che, ucciso REINA MICHELE, il D’ALIA liquidò le sue attività e da allora, quale proprietario di cavalli, fa il “gentleman” all’ippodromo di Palermo, così lasciando ampio spazio ad altri costruttori, aventi altri referenti politici ed altro tipo di collegamenti.

Occorre, inoltre, tener presente che REINA MICHELE è stato ucciso in territorio della famiglia di Resuttana.

Quanto all’omicidio di BORIS GIULIANO, per ciò che personalmente mi consta, era da tempo che i vertici mafiosi avevano deciso di ucciderlo ed anzi si parlava di tagliargli un braccio, dopo l’uccisione, a simboleggiare il fatto che egli usava scrivere rapporti di polizia senza rispettare la verità. Io personalmente ero stato incaricato da RICCOBONO ROSARIO, antecedentemente al mio arresto del 1976, di sorvegliarne le mosse, in quanto a 50 MT. dalla casa del funzionario vi era l’officina di lavori in fero battuto di un mio cugino. Accanto vi era, inoltre, un magazzino di cornici di tale LA GRECA, del quale io mi atteggiavo a cliente. Mio primo cugino era, inoltre, il SIRAGUSA gestore del bar dentro il quale fu ucciso il GIULIANO. Avevo constatato che egli usciva normalmente da casa tra le ore 8.15 e le ore 8.45 e che si recava a prenderlo un autista. Queste circostanze riferivo a RICCOBONO SARO, ma ebbi modo di parlarne pure, nel corso delle mie visite alla Favarella, a GRECO MICHELE, al di lui fratello GRECO SALVATORE ed a MAFARA FRANCO. BORIS GIULIANO fu poi ucciso mentre io mi trvava detenuto e, nell’ambiente carcerario, circolava la voce che occasione della sua uccisione era stato il fatto che, durante un’operazione di polizia, egli aveva sparato contro un ragazzo di Passo di Rigano, già “mezzo scemo”, riducendolo paralitico. Raccolsi anche la notizia che ulteriore occasione della sua uccisione era stata l’uccisione, a sua opera, durante un’operazione di polizia, di due rapinatori catanesi a Piazza Don Bosco. Preciso, a chiarimento ulteriore, che i motivi veri erano legati alla sua attività intensa di brillante investigatore che dava fastidio a Cosa Nostra, ma che si aspettò l’occasione buona per poter dire che aveva commesso qualcosa di “irregolare” per decretarne il momento della fine. Non so chi sia stato materialmente il killer del funzionario. L’uso di un’arma non tipica non deve trarre in inganno, in quanto molto spesso si usava un’arma di piccolo calibro proprio per deviare le indagini, tenuto conto che, data la distanza ravvicinata, questa scelta non pregiudicava l’esito dell’operazione.

Quanto all’omicidio MATTARELLA, allo stato posso dire soltanto che, all’interno di Cosa Nostra, le lamentele circa il suo comportamento politico, che tendeva a far ordine nella materia degli appalti e, comunque, nei “palazzi” dove si decidono queste cose, circolavano già parecchio tempo prima della sua uccisione. Veniva anche sottolineato il fatto che il padre aveva origini ben diverse.

Per quanto attiene all’omicidio del Cap. BASILE, avvenuto anch’esso mentre io ero detenuto, fu voce comune nell’ambiente di Cosa Nostra che il BASILE, senza ombra di dubbio, era stato ucciso poiché aveva iniziato indagini a largo raggio, che erano addirittura approdate ad ambienti mafiosi operanti all’esterno della Sicilia. Peraltro, che ciò avvenisse, personalmente mi consta in quanto, appena arrestato, fu messo in cella con me LEGGIO GIUSEPPE, il quale era stato arrestato a seguito di indagini condotte dal BASILE in Emilia. Ricordo anche che, in quel periodo, il BASILE conduceva indagini per l’identificazione di un personaggio (NUVOLETTA LORENZO) che appariva ritratto in una fotografia con altri mafiosi.

Nonostante fossimo stati detenuti insieme, né PUCCIO VINCENZO né MADONIA GIUSEPPE né BONANNO ARMANDO affermarono mai espressamente di essere i killers del Capitano, ma la circostanza veniva assolutamente data per scontata al 100% all’interno degli ambienti mafiosi carcerari.

Peraltro, nessuno “porta la medaglia” di avere fatto questa o quella uccisioneContemporaneamente, inoltre, veniva dato per scontato con assoluta sicurezza, che tale SACCO, contestualmente arrestato per lo stesso omicidio, fosse sicuramente estraneo al fatto criminoso, poiché si era limitato a prestare la macchina senza sapere in che cosa dovesse essere utilizzata. Debbo aggiungere che l’omicidio del Cap. BASILE provocò in seno a Cosa Nostra i primi sospetti ed i naturali consequenti malumori circa la reale collocazione di GRECO MICHELE. Infatti, RICCOBONO SARO, BONTATE STEFANO e INZERILLO TOTUCCIO nulla ne sapevano e furono colti di sorpresa. La sorpresa nasceva non tanto per la partecipazione all’omicidio di MADONIA GIUSEPPE e BONANNO ARMANDO, componenti della famiglia di Resuttana che si sapeva già legata ai Corleonesi; non tanto perché l’omicidio era avvenuto in territorio di Monreale, ricadente nella giurisdizione di BRUSCA BERNARDO, anch’egli notoriamente legato ai Corleonesi. Nasceva invece la sorpresa per la partecipazione di PUCCIO VINCENZO, appartenente alla famiglia di Ciaculli.

Infatti, a GRECO MICHELE furono chieste anche personalmente da RICCOBONO SARO circa la partecipazione del PUCCIO. Egli rispose che nulla ne sapeva e cercò di giustificare la partecipazione di un suo uomo d’onore, assumendo che era stato coinvolto nel delitto ad iniziativa di GRECO GIUSEPPE “scarpuzzedda”, che sebbene affiliato alla famiglia di Ciaculli era persona notoriamente vicina a RIINA TOTO’.

Aggiungo che anche dell’omicidio del Cap. D’ALEO, all’interno di Cosa Nostra, si diede da parte di tutti la spiegazione che costui a Monreale aveva preteso di continuare le indagini iniziate dal Cap. BASILE.

Quanto all’omicidio COSTA, avvenuto anch’esso mentre io ero detenuto, posso riferire ciò che era convinzione assolutamente accettata all’interno degli ambienti mafiosi. La causa effettiva è da individuare nello sconcertante atteggiamento di questo Procuratore, il quale si era assunta la briga, nonostante l’opposizione dei suoi Sostituti, di confermare i provvedimenti di arresto che avevano riguardato i personaggi vicini a INZERILLO TOTUCCIO.

Vi era accanto altra motivazione immediata, di cui era portatore lo stesso INZERILLO TOTUCCIO, il quale come BONTATE STEFANO aveva mal sopportata l’iniziativa corleonese di far uccidere il Cap. BASILE volle, con l’uccisione del COSTA, dare una adeguata risposta, dimostrando la sua potenza.

Per averlo appreso direttamente da RICCOBONO SARO e MICALIZZI TOTUCCIO, il GRECO MICHELE ebbe in proposito una discussione con INZERILLO SALVATORE, accusandolo di “essersi comportato come un ragazzino”.

In particolare, questa frase del GRECO MICHELE mi fu riferita da MICALIZZI SALVATORE e non possono neppure escludere che egli fosse stato presente, allorché venne pronunciata, poiché la famiglia di Partanna Mondello si manteneva particolarmente vicina a GRECO MICHELE nonostante i sospetti ed i dissapori allora nascenti.

Ciò in quanto RICCOBONO SARO era particolarmente devoto ai GRECO, poiché era stato per l’intervento determinante di GRECO SALVATORE “cicchiteddu” che egli, nonostante l’opposizione dei Corleonesi che puntavano su GAMBINO GIACOMO GIUSEPPE, era stato nominato capo mandamento.

E fu proprio GRECO MICHELE a comunicare questa decisione a RICCOBONO ROSARIO, nella villa di BONTATE STEFANO, allorché come ho narrato precedentemente io ricevette l’incarico insieme a MICALIZZI TOTUCCIO ed allo stesso RICCOBONO SARO di recarci dal MADONIA per comunicargli che poteva ricostituire la sua famiglia.

Questi discorsi, ovviamente, risalgono al 1975 circa.

  • A questo punto, sono le ore 12.35, si allontana il Proc. Agg. della Rep. dott. BORSELLINO.

In quel torno di tempo, cioè quando la nomina a capo mandamento di RICCOBONO SARO era ancora in forse, noi della famiglia di Partanna Mondello eravamo così decisi a non sopportare l’opposizione dei Corleonesi, in quanto la ritenevamo pretestuosa ed ingiustificata, al punto da pensare che, se fosse stato necessario, saremmo addirittura usciti da Cosa Nostra, imponendo però a tutti coloro che avessero voluto gustare sia pure un semplice gelato a Mondello il pagamento del “biglietto”.

Infatti, per dimostrare la pretestuosità degli argomenti usati dai Corleonesi, devo ricordare che essi, in quel periodo, fecero addirittura ricorso ad un vecchissimo trascorso giovanile del padre di RICCOBONO SARO, che aveva militato nella c.d. milizia fascista, che svolgeva talvolta anche funzioni di ausilio alle forze di polizia, per dire che questo era un valido impedimento alla nomina di SARO RICCOBONO.

In quel periodo, in cui si stavano ricostituendo i mandamenti, fu stabilito un accordo tra RICCOBONO SARO, INZERILLO TOTUCCIO e SCAGLIONE TOTO’ per un appoggio reciproco, che potesse condurre alla nomina di tutti e tre a capo mandamento. L’accordo era naturalmente avallato da BONTATE STEFANO, BADALAMENTI GAETANO e DI MAGGIO ROSARIO, il quale ultimo, zio di INZERILLO TOTUCCIO, godeva di notevole prestigio, nonostante l’età avanzata.

Ciò avvenne in un periodo in cui noi tutti eravamo latitanti e ci rifugiavamo in una casa, subito dopo la piazza di Villagrazia di Palermo, sita nei pressi di una banca aperta poco tempo prima.

Lomicidio di LA TORRE PIO deciso ed eseguito nel perfetto accordo di tutti i componenti della Commissione poiché da tempo il parlamentare non andava assolutamente a genio a tutta Cosa Nostra, avendo proposto e sostenendo pressantemente la legge che prevedeva il sequestro e la confisca dei beni di provenienza illecita.

Sebbene da parte di qualcuno, e ricordo a questo proposito ad esempio GRECO TOTO’ “IL SENATORE” (che non faceva parte della Commissione), vi fosse un atteggiamento meno allarmato, giacche si dubitava che la legge venisse approvata ed attuata rapidamente, tuttavia l’opinione pressoché unanime di tutta Cosa Nostra era che l’azione politica pressante e continua su questo punto di PIO LA TORRE costituiva un reale e serio pericolo.

Il rischio era considerato così grave ed imminente che, ad esempio, MADONIA NINO, che allora si trova prevalentemente in Germania, esortava me e MICALIZZI TOTUCCIO a trasferire all’estero, e particolarmente per il suo tramite, i guadagni via via sempre più ingenti che ricavavamo dal traffico della droga.

Il MADONIA ci diceva che la sua famiglia, da diverso tempo, trasferiva il denaro all’estero, utilizzando vari canali.

Per quanto riguarda l’esecuzione del delitto, se ne occupò GRECO MICHELE; questo fatto era universalmente noto in Cosa Nostra ed io personalmente potei constatare che anche RICCOBONO SARO, come gli altri, era d’accordo.

Le SS.LL. mi chiedono se ci fosse un qualche motivo per l’uso di una mitraglietta THOMPSON. Come ho già spiegato prima, talvolta vengono usate delle armi non consuete per depistare le indagini e, comunque, a Palermo, Cosa Nostra è sempre stata in grado di reperire qualsiasi tipo di arma.

Ritornando al clima di allarme suscitato in Cosa Nostra dalla proposta di legge dell’on. LA TORRE, ricordo un colloquio che con me ebbe al bar “SINGAPORE TWO” di via La Marmora CAROLLO GAETANO, il quale – con tono allarmato – raccontò a me, a MICALIZZI TOTUCCIO ed al fratello di questo, MICHELE, che addirittura c’erano dei sindacalisti che facevano già dei programmi per la futura utilizzazione di beni e ville di mafiosi, da confiscare.

Le SS.LL. mi chiedono se qualcuno in Cosa Nostra non temesse effetti controproducenti di un delitto così eclatante.

A questo riguardo, debbo spiegare che ormai in Cosa Nostra era prevalsa la filosofia dei Corleonesi, i quali erano convinti di potere e dovere conseguire i loro fini attraverso l’uso della paura e confidavano nel fatto di potere condizionare anche gli organi dello Stato con delitti di tipo terroristico. In passato, invece, a questa filosofia si era contrapposta la diversa mentalità principalmente di BADALAMENTI GAETANO e BONTATE STEFANO i quali ritenevano cosa non opportuna colpire uomini delle Istituzioni e cercare invece altre vie per la soluzione di eventuali problemi; vie che essi ritenevano di potere praticare per collegamenti che avevano in “tutti i campi”. In effetti, in varie occasioni, l’uccisione di esponenti delle Istituzioni ha prodotto un effetto positivo per Cosa Nostra, nel senso che umanamente non tutti sono disposti ad affrontare particolari rischi per la loro attività o a sottoporsi a situazioni gravose di tutela. Nel complesso, però, devo dire “a posteriori” che la risposta dello Stato, sia pure con le inevitabili discontinuità e contraddizioni, è in progresso positivo. Per concludere l’argomento riguardante l’omicidio di LA TORRE PIO devo dire che l’unica causale del delitto fu la sua iniziativa politica e legislativa concernente la confisca dei beni mafiosi. Non ho mai sentito che ci fossero altre motivazioni e certamente escludo che la decisione di uccidere l’on. LA TORRE possa avere una benché minima relazione con altre sue iniziative politiche riguardanti, in quello stesso periodo, la base missilistica di Comiso. A questo proposito devo dire che Cosa Nostra è totalmente indifferente alle questioni politiche e si preoccupa soltanto dei propri interessi e delle conseguenze che l’attività politica può avere su queste. Ad esempio ed al limite, potrei dire che a Cosa Nostra andrebbe bene pure HUSSEIN SADDAM se quest’ultimo ne tutelasse gli interessi.

A questo punto, sono le ore 13.45, l’interrogatorio viene sospeso fino alle ore 15.00. Letto, confermato e sottoscritto F.TO: PAOLO BORSELLINO, GUIDO LO FORTE, AMORE DANILO, MUTOLO GASPARE, GIOACCHINO NATOLI.

Successivamente, alle ore 15.45, dinanzi all’Ufficio come sopra costituito, è nuovamente comparso MUTOLO Gaspare, assistito dall’avv. Luigi LI GOTTI.

Il MUTOLO dichiara: subito dopo l’omicidio dell’on. LA TORRE, si insediò anticipatamente a Palermo, come superprefetto, il Gen. DALLA CHIESA CARLO ALBERTO. In quel periodo, io ero in libertà a Palermo, poiché ero stato scarcerato con la liberazione condizionale il 25.2.1982 e fui nuovamente arrestato il 18 giugno 1982, subito dopo la strage in cui venne ucciso FERLITO ALFIOInizialmente, nell’ambiente di Cosa Nostra non si attribuì particolare importanza alla venuta di DALLA CHIESA, poiché si riteneva che questi, lontano dalla Sicilia da moltissimi anni, non avesse conoscenze adeguate della realtà attuale di Cosa Nostra e non costituisse, quindi, per essa un serio pericolo. Questa opinione, però, mutò rapidamente, addirittura nel volgere di una o due settimane, giacche il DALLA CHIESA non appena preso possesso del suo ufficio dimostrò di essere in grado di disturbare seriamente gli interessi di Cosa Nostra, mediante alcune iniziative immediate, poco appariscenti e non pubblicizzate, ma in realtà assi fastidiose per i nostri interessi. In particolare, si seppe quasi subito che egli si interessava alla situazione dei pozzi del palermitano ed aveva intenzione di requisirli, e ciò con grave ed ovvia preoccupazione dei proprietari, nella maggior parte appartenenti o comunque assai vicini a Cosa Nostra. Altra iniziativa, poco appariscente ma assai sgradita, di DALLA CHIESA fu quella di diramare subito alle numerose scuoleguida di Palermo una circolare con la quale si responsabilizzavano i gestori al fine di interrompere i precedenti, sistematici,abusi che avevano consentito il rilascio a numerosi pregiudicati di “fogli rosa”, che surrogavano sostanzialmente le patenti, con innovi di sei mesi in sei mesi. Altre lamentele provenivano da un certo ambiente politico-amministrativo, sia pure di basso livello, nel cui ambito si sosteneva che non si poteva “campare più” né si potevano più fare favori o ascoltare raccomandazioni, poiché periodicamente il prefetto DALLA CHIESA svolgeva, con numerose riunioni che riguardavano i vari responsabili degli uffici amministrativi, un’azione di controllo e di responsabilizzazione.

In una parola, si levò un coro di lamentele da tutti gli ambienti e si comprese con chiarezza che con queste iniziative DALLA CHIESA perseguiva il disegno di recidere progressivamente i contatti e gli scambi di favori tra Cosa Nostra ed i vari ambienti amministrativi ed economici.

In sostanza, si capì ben subito che la sua opera, per quanto ancora fatta di “piccole cose”, stava stringendo in una morsa Cosa Nostra, creando potenzialmente enormi difficoltà anche ai rapporti tra quest’ultima e gli ambienti imprenditoriali. Intendo dire che, ad esempio, le imprese che lavoravano co gli appalti come manutenzioni, strade etc. pagavano regolarmente a Cosa Nostra sia tangenti in denaro sia in posti di lavoro.

La continua attenzione del Prefetto anche a questa materia finiva con rendere sempre più difficile a Cosa Nostra tutte quelle attività, pur piccole ma non per questo meno importanti, in cui si concreta il controllo del territorio.

In particolare, seppi da RICCOBONO ROSARIO nel corso di una delle conversazioni dedicate a questo tema che, in Commissione, era stata valutata la opportunità di uccidere il Prefetto, sia per questa serie di iniziative di cui ho parlato sia anche perché aveva ripreso a sollecitare l’approvazione del progetto di legge dell’on. LA TORRE sulla confisca dei patrimoni mafiosi.

In sostanza, nelle valutazioni della Commissione, l’unico dubbio che si poneva non riguardava l’omicidio in sè, che era giudicato opportuno, ma soltanto la eventualità che dopo questo omicidio lo Stato potesse mandare in Sicilia, al posto di DALLA CHIESA, un uomo della sua stessa pericolosità.

A questo punto, il dubbio non sembrò serio, poiché si ritenne che in quel periodo lo Stato non disponeva di persone dello stesso calibro del Gen. DALLA CHIESA.

Con ciò intendo alludere non già ad una approfondita conoscenza di Cosa Nostra, che, secondo noi, il generale in quel periodo non aveva, ma alla personalità di DALLA CHIESA, il quale aveva una logica di tipo militare, una grande determinazione ed aveva anche individuato la strada giusta per danneggiare i nostri interessi con quel metodo di lavoro che stava seguendo.

Per quanto io, dunque, appresi dal RICCOBONO, la decisione di uccidere DALLA CHIESA fu presa dalla Commissione già in quel periodo in cui io ero ancora libero, anche se naturalmente l’attuazione sarebbe seguita al momento ritenuto più opportuno.

E’ bene ricordare, a questo riguardo, che rientra nella logica di Cosa Nostra sapere attendere per l’esecuzione di un delitto già deciso il momento più opportuno e favorevole sotto tutti gli aspetti, sicché tra la decisione e l’esecuzione possono addirittura passare molti anni, a meno che non vi sia un pericolo imminente che renda urgente l’intervento.

Per concludere, per quanto a me risulta, l’omicidio DALLA CHIESA al pari dell’omicidio LA TORRE fu deciso senza il benché minimo contrasto in seno alla Commissione.

Quando dico Commissione, intendo riferirmi naturalmente alla Commissione di Palermo, senza la partecipazione di esponenti mafiosi di altre provincie, anche se questi ultimi possono avere appreso quella decisione.

A questo riguardo, ritengo opportuno sottolineare che i problemi nascenti a Palermo sono stati e sono sempre risolti esclusivamente dai palermitani (intendendo con ciò comprendere tutta la provincia), senza bisogno di rivolgersi ad uomini d’onore di altre provincie.

Debbo, infatti, sottolineare che Cosa Nostra di Palermo ha sempre avuto un ruolo centrale e sovraordinato rispetto a tutte le altre provincie della Sicilia ed anche rispetto a Cosa Nostra americana.

Prova ne è il fatto che durante i contrasti degli anni Ottanta, ed in particolare dopo l’omicidio di BONTATE STEFANO e di INZERILLO TOTUCCIO, gli esponenti di Cosa Nostra americana si preoccuparono di chiedere a Cosa nostra di Palermo delle direttive a cui attenersi.

In proposito, ho vissuto personalmente uno specifico episodio. Dopo l’omicidio di INZERILLO, GAMBINO JOHN venne a Palermo e, accompagnato da NAIMO ROSARIO, uomo d’onore della famiglia di Cardillo che, però, viveva negli USA, si presentò a RICCOBONO ROSARIO nel villino sulla montagna di Mondello di cui ho già parlato.

Il GAMBINO riferì, appunto, di essere stato inviato da CASTELLANO PAUL, allora capo della sua famiglia, perché il CASTELLANO era preoccupato e desiderava delle direttive.

Allora il RICCOBONO, accompagnato da me personalmente, si recò alla Favarella per riferire questa richiesta a GRECO MICHELE.

Questi disse a SARO di attendere un giorno e di ritornare l’indomani. Nel frattempo, poiché GAMBINO aveva chiesto al RICCOBONO se si poteva fare qualcosa almeno per salvare la vita al vecchio padre di INZERILLO TOTUCCIO, a nome GIUSEPPE, il RICCOBONO prese l’iniziativa di telefonare negli USA allo stesso INZERILLO GIUSEPPE, utilizzando un numero datogli dal GAMBINO.

All’uopo, il RICCOBONO si servì di un telefono che era all’interno di una cabina dell’ENEL, sita sulla montagna vicina al suo villino. A INZERILLO GIUSEPPE il RICCOBONO chiese notizie su BUSCETTA TOMMASO, poiché si sapeva che costui si incontrava con l’INZERILLO. Il senso della richiesta era che, se INZERILLO GIUSEPPE avesse fornito queste informazioni, agevolando così la ricerca di MASINO, avrebbe dimostrato buona volontà ed avrebbe potuto salvare se stesso ed i suoi figli.

Nel corso di questa telefonata, INZERILLO GIUSEPPE confermò che si incontrava talvolta con MASINO, ma soggiunse che negli ultimi tempi quest’ultimo era diventato guardingo e non si faceva più vedere.

L’indomani sera, il RICCOBONO e MICALIZZI TOTUCCIO ritornarono alla Favarella e lì ebbero le direttive da trasmettere a GAMBINO JOHN. L’ordine era di uccidere tutti gli “scappati”, cioè tutti coloro che si erano rifugiati negli USA, essendo già seguaci di BONTATE e di INZERILLO.

Questa direttiva fu rispettata anche negli USA, tant’è che furono lì uccisi INZERILLO PIETRO, fratello di TOTUCCIO, ed inoltre uno zio o un cugino di quest’ultimo, che era lì capo-decina, oltre ad altre persone cola residenti.

IL GAMBINO ed il NAIMO, dopo tre giorni di permanenza a Palermo, rientrarono negli USA, dopo un pranzo che facemmo tutti quanti in un villino del NAIMO, sito in contrada Inserra, intestato ad un suo parente.

Come ho detto, io fui arrestato subito dopo l’omicidio di FERLITO ALFIO, essendo stato ritenuto sulla base di intercettazioni telefoniche coinvolto nella strage. Ovviamente non era vero, ma di questo fatto mi riservo di parlare diffusamente in seguito.

Per ritornare al tema degli omicidi di alti esponenti delle Istituzioni, posso dire quanto mi risulta personalmente in ordine all’omicidio del Cons. CHINNICI ROCCO.

Dell’esecuzione dell’omicidio in sè non conosco alcun particolare, anche perché ero già in carcere da oltre un anno. Tuttavia, so bene che è stato un omicidio che Cosa Nostra programmava da tempo; infatti, nel 1982, il dott. CHINNICI si recava saltuariamente a controllare i lavori di realizzazione di un suo villino sulla montagna, all’altezza di Cardillo, di cui io però non ho mai visto l’esatta ubicazione.

Parlando con RICCOBONO SARO, appresi che era stato deciso di fare saltare in aria il magistrato con l’esplosivo, profittando di questa sua abitudine, in prossimità del villino. A questo scopo SPATOLA BARTOLOMEO, capo famiglia di Cardillo, era stato incaricato di sorvegliare il luogo per verificare le abitudini del magistrato e le modalità della sua tutela.

Il progetto si rivelò difficile da realizzare, perché fu notato che, ogni qual volta il magistrato doveva recarsi nel villino, veniva preceduto da una vetturacivetta della polizia, i cui occupanti controllavano con grande attenzione gli spazi circostanti il villino, per verificare se non vi fosse celato qualcosa.

L’attentato, poi, fu realizzato nel luglio del 1983 e, ripeto, non ne conosco i particolari di esecuzione.

E’ chiaro, tuttavia, che la decisione dell’omicidio risaliva a prima dell’episodio che io ho ricordato ed aveva una motivazione assolutamente pacifica in Cosa Nostra.

Il dott. CHINNICI era particolarmente odiato da Cosa Nostra, perché si era dimostrato il magistrato “più duro” del Tribunale di Palermo nei confronti dei mafiosi e si era rivelato insensibile alle caute sollecitazioni fattegli pervenire attraverso canali insospettabili, com’è uso fare nei confronti di magistrati e, comunque, di persone delle Istituzioni che si sanno essere oneste e corrette.

Fra l’altro, si sapeva nell’ambiente di Cosa Nostra dell’esistenza, nell’ambito degli uffici della polizia e dei carabinieri, di due grossi rapporti se non ricordo male, uno riguardante 161 persone e l’altro concernente 80 persone in fase di elaborazione, in ordine ai quali si sapeva pure che il dott. CHINNICI aveva manifestato la propria propensione a dare loro favorevole sviluppo processuale.

Non so attraverso quali canali questa notizia si fosse diffusa nel nostro ambiente, ma fatto sta che la notizia si era appresa e, parimenti, era noto che in caso di presentazione dei rapporti il dott. CHINNICI avrebbe certamente spiccato numerosi mandati di cattura.

Questo orientamento del dott. CHINNICI era anche recepito nel nostro ambiente come il segnale di un mutamento di tendenza per noi assai pericoloso nel palazzo di Giustizia di Palermo.

Infatti, per un certo periodo abbastanza lungo, si sapeva in un certo senso che nel palazzo di Giustizia vi era la tendenza a non incoraggiare la instaurazione di processi per associazione per delinquere di stampo mafioso.

Il nuovo orientamento del dott. CHINNICI, che era invece notoriamente favorevole alla rivalutazione di questo tipo di politica giudiziaria, costitutiva pertanto per Cosa Nostra un grave pericolo.

Questa, dunque, fu la causa della decisione di sopprimerlo, attuata dopo oltre un anno. Anche in questo caso non vi fu mai il benché minimo dissenso all’interno di Cosa Nostra.

A questo punto, sono le ore 19.00, l’interrogatorio viene sospeso e differito a domani, 18 luglio 1992, ore 9.00.  Letto, confermato e sottoscritto. F.TO: PAOLO BORSELLINO, GUIDO LO FORTE, AMORE DANILO, MUTOLO GASPARE, GIOACCHINO NATOLI.


Il precedente

 

PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI PALERMO  1.7.1992 – VERBALE DI INTERROGATORIO DI PERSONA SOTTOPOSTA AD INDAGINI

 

L’anno millenovecento92 il giorno 1 del mese di luglio alle ore 15.00, nei locali della Direzione Investigativa Antimafia in Roma, dinanzi ai Pubblici Ministeri Dr. Paolo BORSELLINO e Dr.Vittorio ALIQUO’, Procuratori Aggiunti della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, assistiti dall’Isp.P. della PolStato AMORE Danilo, è comparso MUTOLO GASPARE, che invitato a dichiarare le proprie generalità e quanto altro valga ad identificarlo, con l’ammonizione delle conseguenze alle quali si espone chi si rifiuta di darle o le da false, risponde: MUTOLO Gaspare, nato a Palermo il 05.02.1940, detenuto presso una struttura di Polizia conosciuta dalla Direzione Investigativa Antimafia in ottemperanza all’ordinanza nr.2624 del 27.06.1992 della Procura Generale della Repubblica di Perugia. 

Invitato il MUTOLO, facendogli presente che viene interrogato nella qualita’ di indagato di reato collegato, a nominare un difensore di fiducia, dichiara: nomino mio avvocato di fiducia l’Avv.Luigi LI GOTTI del Foro di Roma il quale, convocato, viene introdotto nei locali dove si svolge l’interrogatorio ed unitamente al MUTOLO dichiara di consentire che l’atto venga immediatamente iniziato.

Il MUTOLO preliminarmente dichiara: ho fatto richiesta, nel corso dell’interrogatorio reso al Dr.VIGNA, di conferire con la S.V., Dr.BORSELLINO, dopo essermi espressamente dissociato dall’organizzazione mafiosa Cosa Nostra. Per le ragioni che ho indicato al Dr.VIGNA, che ribadisco, desidero che la S.V. partecipi ai miei interrogatori e desidero altresì che il Dr.DE GENNARO continui altresi ad occuparsi dei miei problemi di sicurezza e assistenza. Nel caso le SS.LL. ritengano di dover delegare gli interrogatori alla Polizia Giudiziaria desidero non venga delegata struttura diversa da quella del Dr.DE GENNARO. Cio’ non costituisce manifestazione di sfiducia verso taluno bensi mia intima necessità di parlare con persona che possa ben comprendermi.—

Naturalmente non ho nessuna difficoltà a colloquiare alla presenza e direttamente con il qui presente Dr.Vittorio ALIQUO. Dichiaro ancora che prima di scendere nei particolari circa i fatti criminosi che sono a mia conoscenza intendo fare un quadro cronologico complessivo delle vicende che mi hanno portato ad inserirmi all’interno di Cosa Nostra e alla mia permanenza e attività all’interno dell’organizzazione, riservandomi nei successivi interrogatori di meglio precisare i punti e rispondere alle domande delle SS.VV.

Sin da giovane sono stato piuttosto sveglio e godevo di una certa considerazione nel quartiere di PALLAVICINO dove abitavo anche se nato a BORGO VECCHIO; conoscevo i personaggi più in vista del quartiere ma nulla sapevo di cose riguardanti l’organizzazione mafiosa se non quelle che potevo immagginare e che apprendevo dalla voce pubblica.

Prima del 1965 trascorsi un periodo di detenzione perchè imputato per reati minori contro il patrimonio. In carcere fui messo nella stessa cella con RIINA SALVATORE con il quale mi mostravo parecchio deferente percependo che era persona importante che gli altri detenuti facevano la fila per salutarlo. Trascorrevo del tempo con lui giocando a dama e mi sottoponevo a piccoli trucchi per consentirgli sempre di vincere con me. Fui così preso dal medesimo in benevola considerazione.

Allorche riuscii ad avere con lui la necessaria confidenza gli chiesi dei consigli circa le persona cui avrei dovuto stare vicino a Partanna-Mondello una volta uscito dal carcere ed egli mi raccomandò di non fare nulla che potesse essere di danno a RICCOBONO SARO, aggiungendo perchè tutti gli altri erano destinati ad essere eliminati. Mi autorizzò anche ad rappresentare questo sui consiglio allorchè se ne fosse presentata l’occasione allo stesso RICCOBONO SARO ed a mandargli i suoi saluti. Fui scarcerato nel 1967 e mi avvenne di avvicinare il fratello di RICCOBONO SARO per fargli modificare un fucile del quale volevo tagliate le canne. Quando mi recai a riprenderlo si fece trovare RICCOBONO SARO il quale facendomi accomodare all’interno in un giardino, intraprese con me una conversazione che in buona sostanza verteva sul mio atteggiamento. E fu proprio in quella occasione che porgendogli i saluti di RIINA gli assicurai che io sarei stato sempre dalla sua parte.

Fui nuovamente arrestato e scarcerato nel 1968, ma non posso essere preciso in queste date in quel periodo sono stato più volte arrestato e scarcerato. Mi misi alla ricerca del RIINA che rintracciai tramite MANCUSO cognato di LEGGIO PINO e COTTONE PIETRO da Corleone. RIINA TOTO ben lieto di rivedermi cominciò ad utilizzarmi quale autista. Infatti più volte mi recai a prenderlo a
Monreale presso tale CASCIO GIOACCHINO. Più volte lo accompagnai a S.Giuseppe Jato insieme a BAGARELLA CALOGERO. In particolare a S.Giuseppe Jato lo portavo alla tenuta di tale MARIOLINO che era un uomo robusto non alto con i baffi e di colorito rossiccio, Lo accompagnavo anche a Ciaculli. Lo accompagnavo talvolta anche al villaggio Ruffini, dove solo successivamente intuii che si recasse probabilmente a trovare MADONIA CICCIO. Quindi fui nuovamente arrestato e rimasi detenuto fino al 1973 allorchè fui scarcerato subito dopo la strage di viale Lazio. Messomi alla ricerca di RICCOBONO SARO appresi che lo stesso si era trasferito a Marano di Napoli dove anche Io mi diressi portando con me la madre di SARO. Ricordo che era un periodo dove vi erano pressanti controlli, poichè vi erano state le dichiarazione di VITALE LEONARDO che aveva indicato molti appartenenti all’organizzazione mafiosa.

Giunto a Marano, presi alloggio in un appartamento assieme a VACCARO NINO e DI BELLA GIOACCHINO. Nel corso della notte ci fu un’irruzione della Polizia in quanto a Roma era stato effettuato l’attentato al Quest. MANGANO e al suo autista e la giulietta utilizzata dal commando era stata ritrovata incendiata nei pressi della tenuta del NUVOLETTA.

Nell’appartamento ove alloggiavo furono trovate tre pistole e fui pertanto arrestato e dichiarai agli inquirenti che mi trovavo colà casualmente in quanto avevo chiesto un passaggio al DI BELLA perchè era cammionista, essendomi sperduto per strada. Fui accusato dell’attentato a MANGANO, ma scarcerato dopo circa un mese. All’uscita dal carcere mi venne a prendere con una mercedes NUVOLETTA ANGELO e RICCOBONO ROSARIO e mi riportarono a Marano dove dopo tre o quattro giorni ebbi modo di incontrare RIINA TOTO’ che era alloggiato in un casolare. Verso la fine del giugno o inizi luglio 1973 a Marano nel baglio del NUVOLETTA Lorenzo alla presenza di: NUVOLETTA LORENZO, SARO RICCOBONO, un napoletano soprannominato BASTIMENTO ed D’AGOSTINO EMANUELE e qualche altro che non ricordo mi fu proposto di affigliarmi a Cosa Nostra e fui effettivamente affiliato con la classica cerimonia della puntura del dito (non ricordo quale, ma non era un dito particolare) inbrattamento con il sangue di una santina religiosa, bruciatura della santina nelle mani e formula del giuramento con promessa di non tradire mai Cosa Nostra, fui aggregato al gruppo di SARO RICCOBONO poichè allora la famiglia di Pallavicino-Partanna era sciolta e poichè era ancora in vita il suo vecchio capo nonchè rappresentante NICOLETTI VINCENZO e come appresso dirò era destinato ad essere eliminato.

A questo, alle ore 17.40, per esigenze d’Ufficio il presente interrogatorio viene sospeso e rinviato alle ore 19.00, dandosi atto che hanno assistito, per esigenze investigative, il T.Col. Domenico DI PETRILLO e il V.Q.a. Francesco GRATTERI, entrambi appartenenti alla D.I.A.  F.TO: PAOLO BORSELLINO, VITTORIO ALIQUO’, MUTOLO GASPARE, AMORE DANILO.


Alle ore 19.15, si riapre l’interrogatorio del MUTOLO Gaspare, dando atto dell’assenza dell’Avv.Luigi LI GOTTI allontanatosi per proprie ragioni d’ufficio.—

Il MUTOLO a.d.r.: in quell’epoca Cosa Nostra veniva retta da un triunvirato composto da BADALAMENTI GAETANO, BONTATE STEFANO e LEGGIO LUCIANO, da parte del BADALAMENTI, il quale ovviamente si era consultato con gli altri, ci venne l’ordine di far fuori il vecchio NICOLETTI VINCENZO appunto con la prospettiva della ricostruzione del mandamento della Piana dei Colli da affidare a RICCOBONO SARO.

Tale strategia il BADALAMENTI seguiva nell’intennto di contrastare quella dei Corleonesi che aspiravano invece a fare rappresentante di questo mandamento GAMBINO GIACOMO GIUSEPPE

La Commissione dell’attentato al NICOLETTI fu assegnata a INZERILLO TOTUCCIO e tale LA BARBERA ANGELO di Passo di Rigano, poichè questa famiglia capeggiata da DI MAIO SARO era all’epoca in disgrazia perchè accusata di aver appoggiato CAVATAIO MICHELE favorendo la latitanza dei suoi amici. Nell’intento di BADALAMENTI questa famiglia si sarebbe riabilitata facendo uccidere da propria elementi il NICOLETTI e questo avrebbe rafforzato la posizione del BADALAMENTI e a un tempo quella del RICCOBONO.—-L’oppurtunità di commettere l’attentato la diede tale BUFFA CICCIO  ‘oppurtunità di commettere l’attentato la diede tale BUFFA CICCIO fratello di BUFFA SALVATORE detto NERONE entrambi di S.Lorenzo. Il BUFFA CICCIO si reco dal NICOLETTI e vi si trattenne pochi minuti:il tempo per accertarsi che il NICOLETTI era nel suo magazzino in compagnia di tale MISIA. Quindi si allontanò e irruppero INZERILLO TOTUCCIO e LA BARBERA che spararono al NICOLETTI che sopravvisse. Anche il MISIA fu ferito.

Il NICOLETTI tuttavia fu ugualmente rimosso da capo famiglia salvando al contempo la vita. Gli si fece infatti sapere che se si fosse fatto vedere ad una certa ora al bar di Pallavicino, sostanzialmente esponendosi con questo gesto, sarebbe stato risparmiato. Egli fece come gli era stato detto e fu risparmiato sebbene posato.– A questo punto potè riformarsi la famiglia Pallavicino della quale fu fatto rappresentante RICCOBONO SALVATORE; si ricostitui la famiglia di Passo di Rigano con rappresentante INZERILLO TOTUCCIO; quella di S.Lorenzo con rappresentante BUFFA TOTO’ detto NERONE. Dopo qualche mese fu ricostituita anche la famiglia di Risultana con rappresentante MADONIA CICCIO. Contestualmente RICCOBONO divenne capo mandamento come ci fu annunciato da GRECO MICHELE in casa di BONTATE STEFANO. La nomina di RICCOBONO fu coeva alla ricostruzione della famiglia di Resuttana, infatti Io MICALIZZI SALVATORE e RICCOBONO SARO ci recammo da MADONIA CICCIO a fondo Patti per annunciargli ufficialmente ricostruire la sua famiglia. Fu intorno a quel periodo che cadde in disgrazia SCAGLIONE SALVATORE soprattutto nei confronti di LEGGIO LUCIANO infatti RICCOBONO in un incontro avuto con LEGGIO in casa di BONTATE STEFANO gli aveva fatto le condoglianze per la morte di BAGARELLA CALOGERO avvenuta nel corso della strage di viale Lazio qualche anno prima. Il LEGGIO gli aveva chiesto come sapesse che il BAGARELLA era morto ed il RICCOBONO aveva risposto con sincerità che glielo aveva detto SCAGLIONE SALVATORE. Di ciò il LEGGIO si era adirato moltissimo dicendo che lui aveva fatto divieto assoluto di raccontare della morte del BAGARELLA a chi che sia e che pertanto avrebbe fatto strangolare lo SCAGLIONE appena lo avrebbe visto davanti a se sia pure in occasione delle rionioni della Commissione di cui entrambi facevano parte, in realtà il LEGGIO si comportava così anche perchè sapeva che lo SCAGLIONE era molto vicino al BADALAMENTI e nel contempo gli era noto che all’interno della famiglia della Noce di cui era rappresentante vi era una forte corrente di contrasto in particolare sostenuta da SPINA RAFFAELE, ANSELMO ROSARIO e GANGI RAFFAELE. RICCOBONO rimase malissimo della decisione del LEGGIO e ne informo BADALAMENTI GAETANO mentre BONTATE come ho detto era presente; i due decisero così di intervenire pressando sul LEGGIO e sullo SCAGLIONE. Su quest’ultimo perchè non si presentasse in Commissione e sul primo perchè non facesse eseguire quella sua decisione. Così infatti avvenne per qualche tempo.  In questo periodo Io e RICCOBONO SARO abitavamo insieme in via Ammiraglio Rizzo entrambi latitanti e sotto falzo nome.

A questo punto alle ore 20.10, mentre il MUTOLO dichiara di poter ancora, ma in altro giorno, riferire non soltanto le linee generali dei fatti come sopra iniziate a narrare ma anche ulteriori singoli episodi di cui man mano potrà ricordarsi, si rinvia l’ulteriore audizione a data da destinarsi

F.TO: PAOLO BORSELLINO, VITTORIO ALIQUO’, MUTOLO GASPARE, AMORE DANILO.


 CERCA

a cura di Claudio Ramaccini, Direttore Centro Studi Sociali contro la mafia – PSF