VIA D’AMELIO, UNA STORIA PROCESSUALE ANCORA DOLOROSAMENTE APERTA

 

Alla soglia del 29º anniversario della  Strage di via D’Amelio il perché ed il come avvenne l’uccisione del giudice Paolo Borsellino e dei ragazzi della sua scorta, nonostante i tanti anni trascorsi,  suscita ancora un vasto e diffuso interesse non solo in Sicilia ma in tutto il Paese. La risposta al perché di tanto partecipato richiamo trae verosimilmente origine e rincontro sia nell’indiscussa figura del giudice e uomo Borsellino e sia nella mancata “conquista”  della verità (almeno processuale) malgrado indagini, commissioni d’inchiesta e una ventina (tra i vari livelli) di processi si siano succeduti negli anni.  

Il 4 ottobre 1994, con il “Borsellino Uno” ebbe inizio un interminabile e tuttora inconcluso percorso ad ostacoli purtroppo costellato anche di mentitori, smemorati e incapaci  che ne hanno più o meno consapevolmente rallentato e in qualche caso deviato la marcia causando uno, se non il principale,  fra i più clamorosi depistaggi che la storia giudiziaria italiana conosca così come certificato da un tribunale della Repubblica.

Un mix di verità e menzogne ha causato a suo tempo 7 ingiusti ergastoli ed ha scandito ogni fase processuale generando “verità processuali” talvolta opposte. Vedasi il movente della strage attribuito da una sentenza alla contrarietà del giudice Borsellino alla Trattativa Stato-mafia e ad un’altra all’interesse del medesimo al Dossier Mafia&Appalti.


Dottoressa Borsellino, la sentenza del processo di Caltanissetta ha affermato che l’indagine mafia appalti aveva impresso un’accelerazione alla morte di suo padre. Esatto.

Mentre nel processo Trattativa Stato-mafia di Palermo questo aspetto è stato escluso, negando che suo padre avesse un interesse al dossier mafia appalti. E non è vero. Mio padre era convinto della bontà dell’indagine per il suo respiro nazionale. Mi riferisco, ad esempio, agli interessi di Totò Riina nella Calcestruzzi spa.

Alla Procura di Palermo non erano tutti della stessa opinione di suo padre. C’è la testimonianza del dottor Scarpinato che riferisce del profilo regionale dell’indagine quando era evidente invece che ci fossero interessi particolari anche nella Penisola.

L’incongruenza fra le due sentenze, quella del processo Trattativa Stato-mafia e quella del Borsellino quater pare evidente. Una incongruenza che destabilizza

“Lo stesso impegno che ha caratterizzato il lavoro di mio padre e di Giovanni Falcone ma di tanti altri prima e dopo di loro per la ricerca della verità credo che debba essere presente ancora oggi per fare luce sulle tante omissioni e le tante irregolarità che hanno caratterizzato le indagini e i processi su via d’Amelio”. Fiammetta Borsellino

Queste le 13 domande contenute nella lettera aperta di FIAMMETTA BORSELLINO pubblicata da Repubblica il 18 luglio 2018

1. Perché le autorità locali e nazionali preposte alla sicurezza non misero in atto tutte le misure necessarie per proteggere mio padre, che dopo la morte di Falcone era diventato l’obiettivo numero uno di Cosa nostra? 

2. Perché per una strage di così ampia portata fu prescelta una procura composta da magistrati che non avevano competenze in ambito di mafia? L’ufficio era composto dal procuratore capo Giovanni Tinebra, dai sostituti Carmelo Petralia, Annamaria Palma (dal luglio 1994) e Nino Di Matteo (dal novembre ’94).

3. Perché via D’Amelio, la scena della strage, non fu preservata consentendo così la sottrazione dell’agenda rossa di mio padre? E perché l’ex pm allora parlamentare Giuseppe Ayala, fra i primi a vedere la borsa, ha fornito versioni contraddittorie su quei momenti?

4. Perché i pm di Caltanissetta non ritennero mai di interrogare il procuratore capo di Palermo Pietro Giammanco, che non aveva informato mio padre della nota del Ros sul “tritolo arrivato in città” e gli aveva pure negato il coordinamento delle indagini su Palermo, cosa che concesse solo il giorno della strage, con una telefonata alle 7 del mattino?

5. Perché nei 57 giorni fra Capaci e via D’Amelio, i pm di Caltanissetta non convocarono mai mio padre, che aveva detto pubblicamente di avere cose importanti da riferire?

6. Cosa c’è ancora negli archivi del vecchio Sisde, il servizio segreto, sul falso pentito Scarantino (indicato dall’intelligence come vicino ad esponenti mafiosi) e sul suo suggeritore, l’ex capo della squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera?

7. Perché i pm di Caltanissetta non depositarono nel primo processo il confronto fatto tre mesi prima fra il falso pentito Scarantino e i veri collaboratori di giustizia (Cancemi, Di Matteo e La Barbera) che lo smentivano? Il confronto fu depositato due anni più tardi, nel 1997, solo dopo una battaglia dei difensori degli imputati.

8. Perché i pm di Caltanissetta furono accomodanti con le continue ritrattazioni di Scarantino e non fecero mai il confronto tra i falsi pentiti dell’inchiesta (Scarantino, Candura e Andriotta), dai cui interrogatori si evinceva un progressivo aggiustamento delle dichiarazioni, in modo da farle convergere verso l’unica versione?

9. Perché la pm Ilda Boccassini (che partecipò alle prime indagini, fra il giugno e l’ottobre 1994), firmataria insieme al pm Sajeva di due durissime lettere nelle quali prendeva le distanze dai colleghi che continuavano a credere a Scarantino, autorizzò la polizia a fare dieci colloqui investigativi con Scarantino dopo l’inizio della sua collaborazione con la giustizia?

10. Perché non fu mai fatto un verbale del sopralluogo della polizia con Scarantino nel garage dove diceva di aver rubato la 126 poi trasformata in autobomba? Perché i pm non ne fecero mai richiesta? E perché nessun magistrato ritenne di presenziare al sopralluogo?

11. Chi è davvero responsabile dei verbali con a margine delle annotazioni a penna consegnati dall’ispettore Mattei a Scarantino? Il poliziotto ha dichiarato che l’unico scopo era quello di aiutarlo a ripassare: com’è possibile che fino alla Cassazione i giudici abbiano ritenuto plausibile questa giustificazione?

12. Il 26 luglio 1995 Scarantino ritrattava le sue dichiarazioni con un’intervista a Studio Aperto. Prima ancora che l’intervista andasse in onda, i pm Palma e Petralia annunciavano già alle agenzie di stampa la ritrattazione della ritrattazione di Scarantino, anticipando il contenuto del verbale fatto quella sera col falso pentito. Come facevano a prevederlo? 

13. Perché Scarantino non venne affidato al servizio centrale di protezione, ma al gruppo diretto da La Barbera, senza alcuna richiesta e autorizzazione da parte della magistratura competente?

 

ATTENTATO – INDAGINI – INCHIESTE

I PROCESSI  

IL DEPISTAGGIO

a cura di Claudio Ramaccini  Direttore Centro Studi Sociali contro la mafia – Progetto San Francesco