PAOLO BORSELLINO nel mirino di Cosa nostra

 

Mafia, il pm Paci: “Borsellino era da tempo nel mirino di Messina Denaro” «Borsellino da tempo era nel mirino di Matteo Messina Denaro, perchè poco prima delle Stragi aveva chiesto l’arresto del padre e per aver patrocinato la collaborazione di alcuni pentiti». Lo ha detto il procuratore aggiunto Gabriele Paci, ricostruendo davanti alla Corte d’Assise di Caltanissetta gli anni precedenti agli attentati di Capaci e via d’Amelio, nel processo in cui il latitante è accusato di essere uno dei mandanti. «Per Matteo Messina Denaro, il magistrato era colui che aveva scritto l’ordine di cattura nei confronti del padre, Francesco Messina Denaro, a cui viene sostanzialmente imposta la latitanza», ha aggiunto il pm Paci. Nel gennaio 1990 il magistrato aveva chiesto la sorveglianza speciale e il divieto di dimora per don Ciccio, ma il Tribunale di Trapani rigettò la richiesta, ma sulla base delle stesse accuse nell’ottobre dello stesso anno venne emesso un ordine di cattura nei confronti del capomafia. «A seguito della nomina nel 1988 del consigliere istruttore Antonino Meli – che non era in linea con quanto asserivano Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, oltre che Rocco Chinnici – decise di smembrare delle indagini palermitane, inviando i fascicoli nella Procure competenti – ha detto Paci – compresa quella di Marsala (con competenza su Castelvetrano ndr) che all’epoca era diretta dal dottore Paolo Borsellino. Così il magistrato ebbe modo di rendersi conto dei contatti tra la criminalità locale, la politica e la massoneria, nel luogo in cui Riina e Provenzano avevano fatto affari e passeggiato tranquillamente, con le loro famiglie e investendo i loro capitali». «Proprio il dottore Borsellino aveva iniziato a monitorare i patrimoni dei boss mafiosi e quindi Riina non ebbe problemi nel far capire a Messina Denaro qual era il rischio che Cosa Nostra poteva correre», ha aggiunto. Borsellino «era una fucina di collaboratori, riuscendo in quel difficilissimo territorio a favorire delle collaborazioni dirompenti a quel tempo, come quella di Rita Atria e Piera Aiello. Poi ci fu Giacoma Filippello, compagna di un Natale L’Ala, un personaggio massone vicino ai mafiosi, poi ucciso da Messina Denaro». Ma anche Rosario Spatola e Vincenzo Calcara, due collaboratori che – secondo quanto detto dal pm Paci nel corso delle precedenti udienze – «inquinarono l’acqua nel pozzo». «L’accusa infamante e ingiusta che viene rivolta a Borsellino è che tutti questi siano falsi pentiti creati da Borsellino, ma basta evidenziare che nel ’92 patrocinò due importanti collaborazioni con la giustizia di Leonardo Messina e Gaspare Mutolo. La cosiddetta Trattativa tra lo Stato e la mafia, andò avanti in un periodo in cui non c’erano collaboratori, se Cosa Nostra porge il fianco con le collaborazioni ovviamente lo Stato riprende corda e complica il piano della Trattativa». 17 Luglio 2020 Giornale di Sicilia

 

BORSELLINO E DI PIETRO ERANO NEL MIRINO DEI BOSS  Gaetano Fidanzati, uomo di Riina arrivò in Italia per preparare gli attentati ai due magistrari  di Damiano Aliprandi VENERDÌ 24 GENNAIO 2020  «In data 15 luglio 1992, il sottufficiale dell’Arma riferiva di aver appreso da fonte confidenziale notizie attinenti alla presunta programmazione – ad opera di note “famiglie” della criminalità organizzata siciliana – di attentati all’incolumità personale dei giudici Antonio Di Pietro e Paolo Borsellino», così si legge nell’informativa redatta dai Ros di Milano datata il 16 luglio del ‘ 92 e trasmessa alla procura di Milano e a quella di Palermo. Il destino vuole che tale informativa – inviata per posta ordinaria – è però giunta a Palermo il 23 luglio, quando ormai Borsellino è stato quattro giorni prima ucciso dal tritolo a via D’Amelio.

Questo particolare era stato trattato anche durante il processo di primo grado sulla presunta trattativa Stato- mafia. Ma oggi, dopo la deposizione di Di Pietro durante il processo di secondo grado presso la Corte d’assise d’appello di Palermo, presieduta dal giudice Angelo Pellino, e dopo l’intervista che l’ex pm di Mani pulite ha rilasciato all’Espresso, tale informativa ha un sapore diverso e che potrebbe essere collegata proprio alla questione degli appalti. Di Pietro, riferendosi alla vicenda tangentopoli, ha spiegato che si è trattata solamente di un appendice visto che voleva giungere alla questione di mafia- appalti, aperta già dagli ex Ros sotto la spinta di Giovanni Falcone.

Un indizio, in realtà, proviene proprio dall’informativa stessa. In particolare, la fonte che ha – è il caso di dire – “predetto” l’imminente strage ben 4 giorni prima, riferisce che “l’arrivo del boss mafioso Gaetano Fidanzati in Italia ( proveniente dal luogo di detenzione nel Sudamerica) sarebbe legato proprio alla necessità di decidere l’attuazione degli attentati contro Borsellino e Di Pietro”. D’altronde non è un caso che il suo nome emerge anche nelle intercettazioni ambientali fatte nei confronti di Totò Riina quando era recluso al 41 bis. Lo stesso ex “capo dei capi” stesso, riferendosi a Gaetano Fidanzati, disse: «Era uno che collaborava… certe volte… non si ci metteva ma era sempre a disposizione! Un bravo ragazzo Gaetano!», e poi ancora: «Mi faceva l’autista». Quindi emerge chiaramente che Gaetano Fidanzati ( morto nel 2013) era una persona molto presa inconsiderazione da Riina e sempre a sua disposizione.

Ma quali sono i fattori scatenanti che hanno messo a rischio anche Antonio Di Pietro? Perché era nel mirino della mafia come Borsellino? L’ex pm di Mani pulite è stato chiaro quando è stato ascoltato come teste in tribunale. «Eravamo agli inizi di Mani pulite – ha spiegato Di Pietro -, Falcone fu il mio maestro nel campo delle rogatorie e mi disse di controllare gli appalti in Sicilia. Cioè l’indicazione era capire se imprese del Nord si fossero costituite in associazioni temporanee di imprese con imprenditori siciliani per l’aggiudicazione di lavori nell’isola». Poi ha aggiunto: «Di appalti e della necessità di discutere insieme dell’argomento parlai anche con Borsellino. Decidemmo di fare il punto insieme, ma non ci fu il tempo di farlo».

Sembrerebbe che un riscontro ci sia. E proviene proprio da quell’informativa dei Ros di Milano dove si preannunciava l’imminente attentato. Si legge che la partecipazione attiva da parte di Fidanzati nel progettare l’attentato, sarebbe giustificata dal fatto che si sarebbe assicurato «molteplici appalti dell’hinterland milanese e quindi il lavoro del dottor Di Pietro sarebbe d’ostacolo nei loro affari». Dopo l’attentato di via D’Amelio, l’ex giudice Di Pietro preferii andarsene per un mese con sua moglie fuori dall’Italia, in Costa Rica, per proteggersi. In quel frangente le autorità di polizia gli fornirono i documenti di copertura per proteggerlo meglio.

Tutto fa ricondurre alla questione mafia- appalti. Se è vero, come ha testimoniato Di Pietro, che Borsellino gli disse che avrebbero dovuto fare presto e in qualche modo unire le due inchieste, ciò sta a significare che i soggetti mafiosi avevano un preciso interesse a neutralizzare le indagini eliminando fisicamente i magistrati. In realtà Antonio Di Pietro non ha mai detto nulla di nuovo. Nel verbale del 6.11.2001, già sentito in dibattimento a suo tempo, ha affermato: «Nella primavera 1992, in coincidenza con l’apertura delle indagini c. d. “Mani pulite” a livello non più solo regionale ma nazionale – all’epoca non conoscevo come funzionasse il sistema delle tangenti in Sicilia io incontrai più volte Paolo Borsellino il quale mi disse che dovevamo assolutamente incontrarci, anche in occasione del funerale di Giovanni Falcone. Era convinto che vi fosse un sistema unitario, a livello nazionale, di spartizione degli appalti e che questo fosse la chiave interpretativa del sistema delle tangenti» . Ma ritorniamo di nuovo a Gaetano Fidanzati. Il suo nome compare anche per quanto riguarda la questione del fallito attentato all’Addaura nei confronti di Giovanni Falcone, avvenuto il 20 giugno del 1989. Nella sentenza d’appello relativo al fallito attentato emerge che il pentito Vito Lo Forte aveva appreso proprio dalla famiglia Fidanzati che l’obiettivo era volto a colpire i magistrati svizzeri che erano venuti in Sicilia per indagare sul riciclaggio. Sì, perché, ricordiamo, che quel giorno Falcone era assieme alla giudice svizzera Carla Del Ponte. Ora viene da chiedersi se questo sistema unitario degli appalti fosse in rapporto con il sistema del riciclaggio che Falcone aveva intravisto e che voleva approfondire. Si tratta di una tematica mai affrontata in nessuna inchiesta giudiziaria e che forse meriterebbe di essere sviluppata, partendo appunto dall’ipotesi che i conti svizzeri fossero i terminali tanto delle operazioni di costituzione di fondi neri da parte delle imprese per destinarle a tangenti ai politici, quanto di operazioni di riciclaggio della criminalità organizzata, e che Falcone avesse iniziato a interessarsi di tutto ciò. La mafia, come ha detto più volte Falcone, è territoriale. Non esiste un terzo livello, ovvero un potere che la eterodirige, ma è lei stessa che si insedia anche nei gangli dell’amministrazione politica ed enti pubblici. Gli appalti erano il meccanismo principale tramite il quale, nella fase di modernizzazione della mafia, essa riaffermava il suo potere di gestione del proletariato locale ai fini di una stabilità politico- elettorale sempre più necessaria alla classe di governo di quel periodo. Contemporaneamente, con gli appalti la mafia annoda legami stabili con la classe politica. Quindi gli appalti servivano non solo per quel che rendono dal punto di vista del guadagno, ma soprattutto per non perdere il controllo del territorio e per tenere in osservazione la classe politica. La questione diventa più complessa e inquietante se le imprese da loro manovrate erano negli anni 80 e 90 addirittura quotate in borsa e quindi di ambito nazionale.

Significative al riguardo le indicazioni del pentito Angelo Siino che aveva dichiarato in tribunale: «Debbo dire che una volta Falcone fece un preciso riferimento a livello di giornale quando la Ferruzzi fu quotata in borsa, disse che… l’indomani usci un articolo sul Giornale di Sicilia che aveva ragionevoli motivi da pensare che da un certo momento la mafia era stata quotata in borsa. Lui ben sapeva, secondo me, che questo gruppo appoggiava Gardini». Il gruppo Ferruzzi era potente, tanto che lo citò anche Craxi in tribunale. L’ex statista dopo aver spiegato che la politica non contava nulla e per sopravvivere prendeva i finanziamenti dalle imprese le quali dettavano l’agenda, aggiunse che il gruppo Ferruzzi finanziava diversi partiti. Il gruppo imprenditoriale era comparso anche nel dossier mafia appalti redatto dagli ex ros dove secondo la ricostruzione investigativa- si scrive nero su bianco che è stato attratto nell’alveo delle relazioni con “cosa nostra”. Forse la storia delle stragi mafiose è da riscrivere e tutto era volto a fermare le indagini sul monopolio mafioso degli appalti. «Esiste una centrale unica degli appalti», disse Falcone in un importante convegno. «E tutto questo verrà fuori», aggiunse.

 

Tutti i piani della Cupola per eliminare un magistrato che faceva paura   Nel periodo in cui Paolo Borsellino svolgeva le funzioni di Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Marsala, Cosa Nostra ideò alcuni progetti di omicidio nei suoi confronti, con tutta una serie di attività preparatorie Nel periodo in cui Paolo Borsellino svolgeva le funzioni di Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Marsala, “Cosa Nostra” portò avanti una pluralità di progetti di omicidio nei suoi confronti, con il compimento di una serie di attività preparatorie. Uno di questi piani criminosi avrebbe dovuto realizzarsi presso la residenza estiva del Magistrato, nella zona di Marina Longa. Tale episodio è stato ricostruito nella sentenza n. 23/1999 emessa il 9 dicembre 1999 dalla Corte di Assise di Caltanissetta nel processo n. 29/97 R.G.C.Ass. (c.d. “Borsellino ter”), dove si è evidenziato che il collaboratore di giustizia Giovanni Brusca ha riferito di una concreta attività posta in essere dall’organizzazione mafiosa per seguire i movimenti del magistrato, all’epoca Procuratore della Repubblica a Marsala, e studiarne le abitudini di vita durante la sua permanenza estiva a Marina Longa, in vista dell’esecuzione di un attentato ai suoi danni. A tal fine Salvatore Riina aveva dato incarico a Baldassare Di Maggio – in quel periodo sostituto per il mandamento di San Giuseppe Jato di Brusca Bernardo, detenuto dal 25 novembre 1985 al 18 marzo 1988 e successivamente agli arresti domiciliari sino al 22 ottobre 1991 – di recarsi a Marina Longa, servendosi come punto di appoggio per l’attività di osservazione della vicina abitazione di Angelo Siino. Tale attività era stata poi sospesa per ragioni che il Brusca non ha precisato. Questo racconto ha trovato preciso riscontro nelle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Angelo Siino, il quale ha riferito che in “Cosa Nostra” vi erano stati commenti assai negativi perché Paolo Borsellino aveva pubblicamente denunciato un calo di tensione nell’attività di contrasto alla mafia e che Pino Lipari aveva espresso la convinzione che il magistrato, che aveva un temperamento più irruente, avesse dato voce al pensiero dell’amico Giovanni Falcone, più cauto di lui, tanto che in “Cosa Nostra” venivano indicati rispettivamente come “il braccio e la mente”. Subito dopo, e cioè intorno al luglio del 1987 o del 1988, egli aveva visto a Marina Longa il Di Maggio, che era venuto a trovarlo con una scusa che egli non faticò a riconoscere come pretestuosa e che successivamente tornò in quel luogo, sicché egli comprese che l’interesse del Di Maggio era rivolto al magistrato. Il Siino aveva successivamente appreso da Francesco Messina, inteso “Mastro Ciccio”, che il progetto di uccidere Borsellino aveva incontrato l’opposizione dei marsalesi di “Cosa Nostra”, i quali avevano lasciato trapelare quel progetto all’esterno, sicché erano state predisposte delle rigorose misure di sicurezza, come egli stesso aveva potuto constatare a Marina Longa. A loro volta le indicazioni del Siino sull’opposizione dei marsalesi all’uccisione del Magistrato ha trovato riscontro nelle dichiarazioni di Antonio Patti, appartenente proprio alla “famiglia” mafiosa di Marsala. Quest’ultimo collaborante ha, infatti, riferito che dopo il duplice omicidio di D’Amico Vincenzo, rappresentante della “famiglia” di Marsala, e di Craparotta Francesco, consumato l’11 gennaio 1992, suo cognato Titone Antonino, persona assai vicina al D’Amico, gli aveva confidato che la reale motivazione della soppressione dei due andava ricercata nell’opposizione che essi avevano manifestato al progetto di uccidere Borsellino quando questi era Procuratore della Repubblica a Marsala.

UN PIANO PER VIA CILEA Un ulteriore progetto omicidiario era destinato a trovare realizzazione nei pressi dell’abitazione del Dott. Borsellino, sita a Palermo in Via Cilea. Sul punto, nella sentenza n. 23/1999 emessa il 9 dicembre 1999 dalla Corte di Assise di Caltanissetta si rileva come dalle dichiarazioni sostanzialmente conformi di Anselmo Francesco Paolo, Cancemi Salvatore, Galliano Antonino, Ganci Calogero e La Marca Francesco, appartenenti ai “mandamenti” della Noce e di Porta Nuova, emerga che nel corso del 1988 ebbe a concretizzarsi un altro progetto di attentato in danno di Paolo Borsellino da attuarsi questa volta a Palermo, nei pressi della sua abitazione di via Cilea, approfittando sia del fatto che si erano attenuate le misure di protezione nei suoi confronti, essendo stato revocato il presidio di vigilanza fissa sotto la sua abitazione, sia dell’abitudine del magistrato di recarsi la domenica da solo presso la vicina edicola per l’acquisto del giornale. In un’occasione gli attentatori ebbero a mancare solo per pochi secondi la loro vittima, dopo essere partiti dal vicino negozio di mobili di Sciaratta Franco, sito in Viale delle Alpi, perché erano giunti sul posto a bordo di un motociclo poco dopo che Paolo Borsellino aveva richiuso il portone di ingresso del palazzo. L’attentato doveva essere eseguito con una pistola cal. 7,65, in modo da non attirare l’attenzione su “Cosa Nostra” e da far pensare piuttosto all’opera di un isolato delinquente, tenuto conto della pendenza in grado di appello del maxiprocesso di Palermo, di cui si confidava in un esito favorevole per il sodalizio mafioso. Tale progetto era stato poi abbandonato dopo gli appostamenti protrattisi per circa quattro domeniche consecutive, verosimilmente per non pregiudicare l’esito di quel giudizio, non essendo stata possibile una rapida esecuzione. Questo secondo episodio ha formato oggetto delle deposizioni rese, nel presente procedimento, dai collaboratori di giustizia Francesco Paolo Anzelmo, Francesco La Marca (escussi all’udienza del 25 settembre 2014) e Antonino Galliano (esaminato all’udienza del 7 ottobre 2014). In particolare, l’Anzelmo (già sotto-capo della “famiglia” della Noce, il cui rappresentante era Raffaele Ganci) ha dichiarato che, intorno al 1987-88, mentre egli si trovava in stato di latitanza e il Dott. Borsellino era Procuratore della Repubblica di Marsala, approfittando di una riduzione delle misure di protezione attorno all’abitazione di quest’ultimo, le “famiglie” della Noce e di Porta Nuova ricevettero il mandato di uccidere il Magistrato. L’esecuzione del progetto criminoso era affidata allo stesso Anzelmo, a Francesco La Marca, a Raffaele e Domenico Ganci, a Salvatore Cancemi. Come base operativa venne utilizzato un negozio di mobili sito in Viale delle Alpi, di proprietà di Franco Sciarratta, dove i killer – ruolo, questo, assegnato all’Anzelmo e al La Marca – erano appostati, in attesa della “battuta” che avrebbe dovuto essere data da Raffaele o Domenico Ganci, o Salvatore Cancemi, o Antonino Galliano. L’agguato avrebbe dovuto scattare di domenica, quando il Dott. Borsellino si recava presso un pollaio per acquistare delle uova, oppure presso un’edicola per prendere il giornale. Si sarebbe dovuto trattare di un omicidio da commettere recandosi immediatamente sul luogo con un motoveicolo ed utilizzando le pistole per uccidere il Magistrato. Tuttavia, dopo un paio di appostamenti, Raffaele Ganci comunicò che bisognava sospendere l’esecuzione del delitto, e il progetto quindi si bloccò.

I RICORDI DEL PENTITO ANZELMO   Il collaborante ha specificato che, secondo le regole di “Cosa Nostra”, sia il progetto omicidiario, sia la sua sospensione, sia l’inizio di una nuova fase esecutiva, dovevano essere decisi dalla “Commissione”. Ha, inoltre, precisato che la motivazione del progetto criminoso si ricollegava all’attività giudiziaria del Dott. Borsellino e al maxiprocesso.

Le dichiarazioni dell’Anzelmo sono di seguito trascritte:

  • AVV. SINATRA – Le chiedo anche: lei ha mai sentito parlare di un progetto che riguardava l’uccisione di alcuni magistrati di Palermo, nella specie il dottore Falcone, il dottore Borsellino?
  • TESTE F.P. ANZELMO – Risale a molto tempo prima di quando poi sono stati effettivamente uccisi.
  • AVV. SINATRA – E quando?
  • TESTE F.P. ANZELMO – Sicuramente il dottor Borsellino quando si trovava a Marsala, che si vide che ci avevano levato… che lui sotto casa aveva un furgone sempre là piantonato e poi, tutta ad un tratto, ce l’hanno tolto ‘sto furgone e quindi noi, in particolar modo noi della Noce, con la collaborazione di Porta Nuova, di Totò Cancemi, avevamo avuto questo mandato di uccidere il dottor Borsellino. E anche… e anche per Falcone si cercava, però non ricordo il periodo preciso quello del dottor Falcone; si parlava di fare in tanti modi.
  • AVV. SINATRA – Sì, dico, un attimino, parliamo per il momento di questo progetto nei confronti del dottore Borsellino prima. Me lo sa indicare nel tempo? Quindi, lei ha detto che nel… […]
  • TESTE F.P. ANZELMO – Allora, io sono andato latitante dall’84 all’89 e quindi non lo so, penso verso l’87, l’88, una cosa del genere.
  • AVV. SINATRA – Anni ’87 – ’88. E può essere più preciso in ordine a questo progetto? Cioè era un progetto che lei l’aveva saputo da chi precisamente?
  • TESTE F.P. ANZELMO – Io dal mio capomandamento, da Ganci Raffaele l’avevo saputo.
  • AVV. SINATRA – Cosa le disse di specifico Ganci Raffaele?
  • TESTE F.P. ANZELMO – Che dovevano ammazzare il dottor Borsellino e ci dovevamo organizzare, e così abbiamo fatto, ci siamo organizzati.
  • AVV. SINATRA – Aspetti, aspetti un attimo. Quando le disse che si doveva ammazzare il dottore Borsellino e quindi poi si doveva passare alla fase esecutiva, le ha fatto riferimento chi decise?
  • TESTE F.P. ANZELMO – Quelli erano decisioni di commissione, perché non è che lo decideva Ganci Raffaele, quelle erano decisioni prese dalla commissione e avevamo avuto mandato noi di farlo. […]
  • AVV. SINATRA – Eh, quindi gliel’ha riferito e si passa alla fase, diciamo, organizzativa. Può essere più preciso su questo?
  • TESTE F.P. ANZELMO – Sì, siamo passati alla fase organizzativa e si… si doveva fare di domenica, perché lui durante la settimana era là; lo dovevamo fare quando usciva di casa, perché lui mi ricordo che…
  • AVV. SINATRA – Dove? In quale casa?
  • TESTE F.P. ANZELMO – In via Cilea, abitava nel nostro territorio, non come territorio di Noce, ma come territorio Malaspina, però era… Malaspina faceva mandamento da noi, quindi eravamo noi. […]
  • TESTE F.P. ANZELMO – Si doveva fare di domenica, quando lui… siccome c’erano ‘ste notizie che lui andava da un pollaio a prendere le uova, per quello che ricordo, oppure da… dall’edicolante, che c’era un edicolante là, e lui si andava a prendere il giornale là e lo dovevamo fare in questo frangente. E noi come base avevamo un magazzino di mobili, dove si vendevano dei mobili, che faceva capo a Franco Sciarratta, che era un uomo d’onore della nostra famiglia, ed eravamo appostati là. Nel momento in cui ci arrivava la battuta, uscivamo, perché quelli che avevamo incarico era io… che lo dovevamo fare materialmente ero io e Ciccio La Marca.
  • AVV. SINATRA – Quindi lei e La Marca.
  • TESTE F.P. ANZELMO – Sì.
  • AVV. SINATRA – Sì, dico, lei e La Marca. E come doveva essere fatto questo attentato materialmente?
  • TESTE F.P. ANZELMO – Non era un attentato, era un agguato, un omicidio con le pistole. […]
  • AVV. SINATRA – Oltre a lei e a La Marca vi furono altri che in quel preciso frangente, ovviamente con riferimento a questo segmento, ebbero un ruolo?
  • TESTE F.P. ANZELMO – Sì, c’era Ganci Raffaele, Totò…
  • AVV. SINATRA – Esecutivo.
  • TESTE F.P. ANZELMO – Sì, c’era Ganci Raffaele, Totò Cancemi, se non ricordo… se non ricordo male c’era… c’era pure Calogero Ganci. Mi sente?
  • AVV. SINATRA – Sì, sì, la sento. Tutti lì appostati eravate?
  • TESTE F.P. ANZELMO – Sì, eravamo tutti in questo magazzino dove si vendevano i mobili, che facevamo la base là. Mentre c’era Ganci Raffaele o Totò Cancemi, o non mi ricordo se c’era pure il Galliano Nino che giravano per… per portarci poi la battuta a noi per dire: “E’ uscito”, e noi partivamo con la moto, perché noi eravamo appostati in via delle Alpi, quindi via delle Alpi – via Cilea è un tiro, con la moto arrivavamo in un baleno. […]
  • AVV. SINATRA – Lei sa le ragioni per cui era stata deliberata la morte del dottore Borsellino?
  • TESTE F.P. ANZELMO – Ma la morte del dottor Borsellino e del dottor Falcone è tutta unica, era la situazione che… cioè non… non davano tregua e poi c’era il fatto del maxiprocesso, tutto di lì parte. Quella era la motivazione, per questo si dovevano uccidere.
  • AVV. SINATRA – Non davano tregua, nel senso dal punto di vista giudiziario, dico, per…
  • TESTE F.P. ANZELMO – Dal punto di vista giudiziario, sì, certo. […]
  • TESTE F.P. ANZELMO – Ma negli anni precedenti se ne… se ne parlava che si doveva uccidere il dottor Falcone e il dottor Borsellino. Mi ricordo che c’erano dei progetti, si facevano dei progetti che certe volte si parlava e si doveva fare con un lancia-missile, con un bazooka, con un… cioè c’erano tanti… (…)
  • AVV. SINATRA – Ma lei non può escludere che ci siano stati anche precedentemente, per averlo saputo, dico, se gliene ha mai parlato Ganci, anche altri fatti e altri episodi dove c’erano stati degli appostamenti già con le armi, pronti per uccidere il dottore Falcone o in questo caso a noi interessa il dottore Borsellino?
  • TESTE F.P. ANZELMO – No, no, no.
  • AVV. SINATRA – Lei di questo ne sa proprio di appostamenti?
  • TESTE F.P. ANZELMO – No, io questo appostamento so questo, dove c’ho partecipato io.
  • AVV. SINATRA – Ecco, chiaro.
  • TESTE F.P. ANZELMO – Le ripeto, c’erano… c’erano progetti omicidiari sia ai danni del dottor Falcone che del dottor Borsellino, ma già da anni prima, però io mi sono trovato in questo.

Il collaboratore di giustizia Francesco La Marca ha riferito che, intorno al 1988, Salvatore Cancemi (capo della “famiglia” di Porta Nuova, cui egli apparteneva) lo incaricò di recarsi presso un negozio di mobili sito in Viale delle Alpi per commettere un omicidio.

Dal canto suo, il collaboratore di giustizia Antonino Galliano ha affermato che, nel periodo in cui il Dott. Borsellino prestava servizio a Marsala, egli insieme a Raffaele Ganci, Domenico Ganci, Salvatore Cancemi, e qualche volta anche Francesco La Marca effettuarono una serie di appostamenti presso l’abitazione del Magistrato, soprattutto nei giorni di sabato e domenica, nei quali la vittima designata si recava in chiesa per assistere alla Messa e poi presso un pollaio per acquistare alcune uova. Dopo uno o due mesi i predetti appostamenti vennero però sospesi. […] si desume, quindi, che intorno al 1988 venne attuata, con una precisa organizzazione di mezzi e di persone, tutta la fase preparatoria di un progetto di omicidio del Dott. Borsellino, che avrebbe dovuto essere realizzato tendendogli un agguato nelle vicinanze della sua abitazione di Palermo, con modalità non eclatanti (verosimilmente, per non compromettere le aspettative di un esito favorevole del maxiprocesso), mentre egli era intento a compiere atti della propria vita quotidiana. Tuttavia, dopo una serie di appostamenti, il progetto venne accantonato, per decisione della stessa “Commissione” che lo aveva deliberato. Anche questo piano delittuoso era motivato dall’attività giudiziaria svolta dal Dott. Borsellino, il quale non dava tregua a “Cosa Nostra”. A CURA DELL’ASSOCIAZIONE COSA VOSTRA 10 luglio 2021

 

 

 

 

 

(…) dal fatto che alla decisione dell’omicidio Borsellino, il cui intento datava al 1980, dopo la strage di Capaci, un’indubbia accelerazione, tanto che il mandato di uccidere Calogero Mannino, conferito a Giovanni Brusca, venne sospeso per dare corso a questo delitto. Che il Riina, apparso a molti preso da frenesia, al riguardo aveva parlato “di impegni presi da fare subito “ che si era assunto in proprio la responsabilità, che anche gli atti di esecuzione aveva o risentito della fretta (furto all’ultimo minuto della 126).  Fonte: Corte di Cassazione 17.1.2003

 

(…) Diversi tra i collaboranti escussi hanno confermato che il dott. BORSELLINO era da tempo nel mirino di Cosa Nostra. In particolare BRUSCA Giovanni ha dichiarato che la deliberazione originaria dell’omicidio risaliva agli anni Ottanta, come quella relativa al dott. FALCONE, per la riscontrata incorruttibilità del magistrato, intransigente ed impermeabile ad ogni condizionamento. Lo studio delle abitudini dell’allora Procuratore di Marsala al DI MAGGIO, al tempo reggente il mandamento di S. Giuseppe Jato, recatosi appositamente a Marina Longa.  Lo stesso SIINO Angelo ha confermato di avere constatato tale volontà in capo a diversi componenti di Cosa Nostra tra cui il LIPARI Pino, nonché di avere ricevuto una visita a Marina Longa – dove lui stesso dimorava talvolta intrattenendo normali rapporti di vicinato con lo stesso dott. BORSELLINO – da parte del DI MAGGIO, verosimilmente connessa al controllo dei movimenti del Magistrato.  SIINO ha aggiunto poi che la eliminazione in quegli anni non era avvenuta per l’opposizione dei marsalesi che avevano lasciato trapelare la notizia con conseguenti irrigidimenti delle misure di protezione.  Fonte: Corte d’Assise d’Appello Caltanissetta

 

BRUSCA Giovanni: figlio di Bernardo BRUSCA, capo mandamento di San Giuseppe Jato dal 1982-83 è una delle figure di maggior spicco tra coloro che hanno intrapreso la collaborazione con l’Autorità Giudiziaria. Ha mostrato il livello conoscitivo più elevato fornendo un contributo essenziale in relazione alla fase ideativa e deliberativa della strage. Ha assunto la guida del mandamento in qualità di reggente del padre, subentrando nel 1989 a DI MAGGIO Baldassarre.  La sua collaborazione iniziata in un primo tempo solo riservatamente, come precisato dal capo della squadra mobile di Palermo dott. Luigi Savina (esame del 22-4-99) subito dopo l’arresto del 20-5-1996 è stata originata anche dall’aver scoperto il progetto del RIINA di eliminarlo, unitamente a MADONIA Salvatore, figlio di Francesco, per avere i due gestito autonomamente nel trapanese un traffico di droga, senza la preventiva autorizzazione dei vertici. Tale elemento, del quale il BRUSCA era venuto a conoscenza per le rivelazioni del CANCEMI, aveva messo in crisi la fiducia da sempre avuta nei rapporti interni a Cosa Nostra ed in particolare nel vincolo di vecchia data tra il RIINA – che era stato suo padrino per l’affiliazione – ed il padre Bernardo.  Ai primordi di tale collaborazione, risalgono le confessioni dei delitti Chinnici, Russo, FALCONE e della strage della Circonvallazione, quando ancora non vi erano elementi a suo carico per quei delitti. In questa sede sono stati disposti, ex art. 603 cpp, il nuovo esame e il confronto con CANCEMI Salvatore allo scopo di risalire alla effettiva riunione della commissione provinciale nel corso della quale il progetto omicidiario nei confronti del dott. BORSELLINO programmato da lungo tempo aveva assunto i suoi contorni definitivi.   Fonte: Corte d’Assise d’Appello Caltanissetta

 

COSA NOSTRA VOLEVA MORTO PAOLO BORSELLINO DA MOLTO TEMPO  La mafia voleva uccidere il giudice già tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, in connessione con le indagini da lui svolte insieme con il comandante della compagnia dei carabinieri di Monreale, capitano Emanuele Basile, che aveva fatto luce su alcune attività criminali dei “corleonesi” L’intento di “Cosa Nostra” di uccidere Paolo Borsellino aveva iniziato a manifestarsi già tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, in connessione con le indagini da lui svolte insieme con il Comandante della Compagnia dei Carabinieri di Monreale, Capitano Emanuele Basile, che avevano consentito, tra l’altro, di pervenire all’arresto di Pino Leggio e di Giacomo Riina nella zona di Bologna, nonché di far luce su alcune delle attività criminali svolte dall’emergente gruppo dei corleonesi. A tale primo movente se ne aggiungeva un secondo, rappresentato dalla circostanza che dopo l’omicidio del Capitano Basile, consumato il 4 maggio 1980, il Dott. Borsellino aveva emesso dei mandati di cattura nei confronti, tra gli altri, di Francesco Madonia, capo del “mandamento” di Resuttana, e del figlio Giuseppe Madonia. La vicenda si trova puntualmente ricostruita nella sentenza n. 23/1999 emessa il 9 dicembre 1999 dalla Corte di Assise di Caltanissetta nel processo n. 29/97 R.G.C.Ass. (c.d. “Borsellino ter”). In particolare, nelle dichiarazioni rese il 19.6.1998, il collaboratore di giustizia Francesco Di Carlo ha riferito che Salvatore Riina dopo l’omicidio del Capitano Basile e la conseguente attività di indagine del magistrato aveva commentato che “l’aveva BORSELLINO il capitano BASILE sulla coscienza, perché era stato BORSELLINO a mandare il capitano BASILE a Bologna ad arrestare i suoi”. Inoltre, il collaborante Gaspare Mutolo, come evidenziato nella suddetta pronuncia, ha riferito che, mentre si trovava detenuto nel corso del 1981 insieme a Francesco e Giuseppe Madonia, Leoluca Bagarella e Greco, aveva avuto occasione di sentire le loro esternazioni in ordine alla necessità di uccidere il Dott. Borsellino. Sempre nella sentenza emessa il 9 dicembre 1999 dalla Corte di Assise di Caltanissetta si è sottolineato come il collaboratore di giustizia Giovanni Brusca abbia dichiarato che l’omicidio del Dott. Borsellino era già stato deliberato da “Cosa Nostra” sin dagli inizi degli anni Ottanta, allorché Salvatore Riina aveva vanamente cercato di farlo contattare per risolvere alcuni problemi giudiziari del cognato Leoluca Bagarella, constatandone in quell’occasione l’incorruttibilità. Da allora il Brusca aveva più volte sentito il Riina ripetere che Borsellino doveva essere eliminato perché “faceva la lotta a Cosa Nostra assieme al dottor Falcone in maniera forte e decisa”.

IL RACCONTO DI BRUSCA Tali vicende sono state ricostruite, nel corso del presente procedimento, durante l’incidente probatorio, all’udienza del 6 giugno 2012, dallo stesso Giovanni Brusca, il quale ha fatto risalire l’intenzione di Salvatore Riina di eliminare il Dott. Borsellino al 1979-80, spiegando: «Totò Riina lo voleva uccidere prima quando fu del cognato, poi quando fu del Capitano Basile… ». Sul punto, Giovanni Brusca ha reso le seguenti dichiarazioni:

  • TESTE BRUSCA – Il Dottor Borsellino invece le esternazioni di Salvatore Riina che
  • voleva uccidere… in quanto lo voleva uccidere cominciano con la vicenda del cognato Leoluca Bagarella del Capitano Basile.
  • TESTE BRUSCA – Perché mi aveva chiesto di poterlo più di una volta avvicinare per ottenere un trattamento di favore, insabbiare in qualche modo le indagini, per poterlo scagionare dall’accusa.
  • TESTE BRUSCA – Sì, allora… l’ho detto, allora ci sono stati dei tentativi e ci fu un rifiuto totale.
  • TESTE BRUSCA – Guardi, ora non mi ricordo chi lui… a chi lui abbia incaricato, però di solito si comincia da dove è nato, le amicizie, le amicizia di scuola… un po’ conoscendo la città di Palermo si cerca di vedere con chi si può avvicinare. Ripeto, io conosco le esternazioni che lui si è rifiutato di fargli questa cortesia, però con che soggetti abbia…
  • TESTE BRUSCA – Da Riina.
  • TESTE BRUSCA – Sì, perché in quel momento io sono una delle persone più vicine con Leoluca Bagarella. Sono vicino a lui, conosco dove abita, ci vado a casa tutti i comuni, quindi sono quasi a disposizioni… no sono, sono a disposizione… tolgo questo quasi, ero a disposizione sua ventiquattro ore su ventiquattro ore. La mia… allento un pochettino quando vengo tratto in arresto per le dichiarazioni di Buscetta, ma fino a quel momento gli facevo da autista, lo andavo a prendere, lo accompagnavo da Michele Greco quando andava a Mazara, ci dormivo a casa… tutti i giorni. Difficilmente io avevo qualche momento libero».

Il Brusca ha, poi chiarito che, in epoca anteriore al “maxiprocesso”, le ragioni poste alla base della intenzione di eliminare il Dott. Borsellino si ricollegano al suo intransigente rifiuto di ogni condizionamento e alla sua mancanza di ogni “disponibilità” rispetto alle vicende giudiziarie riguardanti il Bagarella e l’omicidio del Capitano Basile («Il Dottor Borsellino sì, ma nella sua qualità di Giudice… ancora non era successo il maxiprocesso, non era successo… successivamente poi si sono aggiunti gli altri elementi, però fino a quel momento era perché non si era messo a disposizione, credo per il fatto di Bagarella e qualche altro fatto che in questo momento non mi ricordo. (…) Del Capitano Basile… c’era qualche altra cosa che non si era messo a disposizione»). Nella medesima deposizione, Giovanni Brusca ha affermato che l’intenzione di uccidere il Dott. Borsellino aveva radici lontane nel tempo e ad essa 

 

25 giugno 1992 ALTRE MINACCE DI MORTE  Gli allarmi sulla sorte di Paolo Borsellino, sempre più esposto, intanto, si moltiplicano. E «radio carcere» lo dà per morto. L’ennesimo segnale lo raccoglie il maresciallo dei carabinieri Antonino Lombardo, morto “suicida” tre anni dopo in una caserma di Palermo, che insieme agli ufficiali Umberto Sinico e Giovanni Baudo dei carabinieri di Palermo si reca al carcere di Fossombrone per interrogare il detenuto Girolamo D’Adda, sulla strage di Capaci e i possibili sviluppi futuri. Sinico e Baudo non partecipano al colloquio, ma apprendono dal maresciallo Lombardo che «negli ambienti carcerari si dà il dottor Borsellino per morto». Non appena rientrato a Palermo il capitano Sinico riferisce la notizia a Borsellino che afferma di essere a conoscenza di questo progetto di attentato ai suoi danni, ma fa capire che preferisce accentrare su di sé i pericoli per risparmiarli alla propria famiglia. Da L’agenda rossa di Paolo Borsellino – gli ultimi 56 giorni nel racconto di familiari, colleghi, magistrati, investigatori e pentiti. 

“Noi eravamo preoccupati, stavamo attenti ai segnali di pericoloma chi era adibito a garantire la sicurezza di Paolo evidentemente non lo era altrettanto, era distratto o pensava ad altro. È una cosa che mi ha sempre colpita dolorosamente e che mi ha sempre fatto molta rabbia. Nonostante tutti sapessero che il prossimo sarebbe stato Paolo, nonostante lui stesso avesse confidato a un paio di persone che a Palermo era arrivato l’esplosivo per lui, qui, in via D’Amelio (l’unico posto, oltre alla sua casa, dove si recava regolarmente) non era stata presa nessuna misura precauzionale, anche se questo era stato sollecitato, sia dagli uomini della scorta sia da altre segnalazioni”. Rita Borsellino Da L’agenda rossa di Paolo Borsellino – gli ultimi 56 giorni nel racconto di familiari, colleghi, magistrati, investigatori e pentiti)

 

La sentenza della Cassazione sul maxi e l’attacco contro lo Stato r,La sentenza del 22 aprile 2006 della Corte di Assise di Appello di Catania, passata in giudicato, ha accertato che la decisione di morte del giudice Borsellino è stata adottata nel contesto deliberativo di un “piano stragista” comprensivo anche della decisione di uccidere altri personaggi “eccellenti”, tra i quali il giudice Falcone  La deliberazione, ad opera della commissione provinciale di Palermo di “Cosa Nostra”, del piano stragista nel quale si inserisce l’attentato di Via D’Amelio è stata accertata, da ultimo, dalla sentenza n. 24/2006 del 22 aprile 2006 della Corte di Assise di Appello di Catania, passata in giudicato.

La sentenza in esame, resa in sede di giudizio di rinvio, ha dovuto anzitutto assolvere al compito, demandato dalla precedente pronuncia della Corte di Cassazione (Sezione VI, n. 6262 del 17/1/2003) relativa alla strage di via D’Amelio, di stabilire quale sia stato il momento “ultimo e finale” della decisione di morte adottata nei confronti del Dott. Borsellino, riformulando un giudizio di merito sull’individuazione del momento deliberativo della strage.

In proposito, la sentenza n. 24/2006 della Corte di Assise di Appello di Catania ha evidenziato, anzitutto, che la decisione di morte del giudice Borsellino non è stata isolata ma è stata adottata nel contesto deliberativo di un “piano stragista” comprensivo anche della decisione di uccidere altri personaggi “eccellenti”, tra i quali il giudice Falcone, e che il collaborante Antonino Giuffrè, con riguardo al periodo in cui era prevedibile l’esito negativo dei maxiprocesso pendente ancora presso la Corte di Cassazione (poi definito con sentenza del 30 gennaio 1992), ha riferito di una riunione avvenuta a metà dicembre 1991, in cui, in occasione degli auguri natalizi e quindi in presenza della quasi totalità dei rappresentanti della Commissione Provinciale (liberi o sostituti dei detenuti), venne decisa, tra gli altri, anche la morte dei giudici Falcone e Borsellino.

La sentenza in esame ha quindi ravvisato l’esistenza di un “piano stragista”, nel cui ambito concettuale occorre poi distinguere un duplice “contenuto” decisionale, di natura “deliberativa” e di natura “strategica”: infatti non si tratta di una generica “linea strategica” avulsa da una “decisione collegiale”, ma, all’opposto, si tratta di un vero e proprio piano di contenuto “decisionale” duplice: decisionale-deliberativo e decisionale-strategico.

Quanto al contenuto decisionale-deliberativo, la sentenza de qua ha sottolineato che: «nel caso di specie viene deliberata la morte di più personaggi eccellenti, ben individuati, i cui nomi ricorrenti sono quelli dei giudici Falcone e Borsellino, nonché degli onorevoli Lima, Mannino, Martelli. (…) […] Una volta manifesta la volontà delittuosa, il piano si viene a “perfezionare” nel suo contenuto deliberativo (ed anche strategico, v. infra) e non necessita dunque di ulteriore decisione. Di particolare rilievo è l’individuazione del “tempo” in cui viene a formarsi la volontà collegiale (la riunione o le riunioni in cui viene deliberato il piano), che segna il preciso momento di perfezionamento del piano stragista e che distingue il successivo momento della sua fase esecutiva, attuata attraverso la realizzazione dei delitti già deliberati.

Tale piano non costituisce un “mero progetto” o una semplice “linea strategica”, come dimostrano, in modo indubbio, gli eventi delittuosi con esso deliberati e poi in concreto realizzati.

Nell’arco di pochi mesi vennero infatti uccisi: l’onorevole Salvatore Lima (13 marzo 1992), il giudice Giovanni Falcone (strage di Capaci del 23 maggio 1992), il giudice Paolo Borsellino (strage di via D’Amelio del 19 luglio 1992), l’esattore Ignazio Salvo (17 settembre 1992).

Risulta inoltre agli atti (v. in particolare, sentenza di secondo grado relativa alla strage di Capaci, pag. 900 e segg.) che:

Fu programmato, ad opera del Brusca, l’attentato all’ on.le Mannino, poi sospeso per accelerare quello in pregiudizio del giudice Borsellino; venne progettato l’attentato all’ on.le Martelli affidato a Sangiorgi Gaetano, ma l’esecuzione venne interrotta poiché il Sangiorgi era stato controllato dalle forze dell’ordine, mentre si stava recando a Mantova ove la vittima abitava. […].

L’ESTATE DELLE STRAGI   La sentenza in esame ha posto in risalto come del tutto diverso dal suindicato contenuto decisionale-deliberativo del piano stragista sia il contenuto “decisionale-esecutivo” che concerne l’attività successiva di predisposizione ed organizzazione dei mezzi necessari alla concreta realizzazione dei vari delitti, prima già deliberati. Siffatta attività viene di regola affidata ad un ristretto gruppo di associati, a volte anche estranei alla pregressa fase di decisione deliberativa, e si manifesta attraverso il compimento di atti “preparatori” all’ esecuzione o di “concreta” esecuzione. […] Con riguardo al contenuto deliberativo del piano stragista, la sentenza in oggetto ha introdotto una distinzione che consente di diversificarne in esso una natura “ricognitiva” ed una natura “costitutiva”, specificando quanto segue in ordine alla prima natura:

«A tale fine è necessario richiamare la pacifica esistenza di una originaria decisione di morte adottata da Cosa Nostra già negli anni ’80, e mai revocata, nei confronti dei giudici Falcone e Borsellino a causa della tenace e continuativa azione giudiziaria da entrambi condotta contro 1′ organizzazione criminale (…).

In esecuzione della su indicata decisione di morte vennero commessi due attentati a carico del giudice Borsellino negli anni 1987 e 1988. Più numerosi furono gli attentati commessi a carico del giudice Falcone dal 1983 al gennaio 1992, di cui il più eclatante e notorio è quello effettuato nella villa della “Addaura” nell’ anno 1989 (…). […]Ora, la peculiarità della su indicata decisione di morte, che la rende “unica” nel suo genere, è, costituita da tre elementi:

Innanzi tutto la presenza dei sopra citati “molteplici attentati” ad essa conseguenti e dai quali, per varie ragioni, non era mai derivata l’uccisione dei due giudici.

In secondo luogo la ricorrente “reiterazione” di tale decisione di morte nel corso delle riunioni di Cosa Nostra (…) a punto tale che era diventata “abitudinaria”. In tal senso basti richiamare le dichiarazioni del Brusca rese nel corso dei giudizi di merito relativi alle due stragi in esame, e, per ultimo, quelle rese nel presente processo: “perchè io questo fatto che si doveva eliminare il dottor Falcone lo sapevo da una vita, si è rinnovato il da farsi, e più si è aggiunto anche un’ altra serie, un’ altra rosa di nomi, più quella del dottore Borsellino … Per me non è che ho saputo quel giorno [riunione in casa Guddo dei primi di febbraio/metà febbraio 1992] che si doveva uccidere Giovanni Falcone; io della morte di Giovanni Falcone lo sapevo già dal 1982. Ho partecipato a dei tentativi già per mettere in atto quel fatto. Mi è stato rinnovato quello che già io sapevo. Prima da soldato e poi da capo mandamento. Non l’ho appreso quel giorno cioè quella mattina” (udienza antimeridiana 23 gennaio 2004 pagg. 18,19,20).

Lo stesso dicasi per le dichiarazioni rese dal Giuffrè nel presente giudizio: ” …ma non era che noi abbiamo parlato solo di questi discorsi il dicembre del ’91, erano tutti argomenti che durante l’arco degli anni spesso e volentieri si ci tornava, si tornava a parlare di Falcone quando c’era l’operazione nell’88 e si diceva, diceva, si diceva ‘Prima o poi ni nama nesciri’, cioè prima o poi dobbiamo arrivare alla resa dei conti, cioè dobbiamo arrivare… insomma per essere chiari all’ uccisione del dottore Falcone. Sono tutti discorsi questi che ci trasciniamo, ci siamo trascinati nel tempo” (udienza 12 dicembre 2003, pag. 28). Ed ancora: “Era notorio all’interno dì Cosa Nostra, ed in modo particolare all’interno della commissione, che prima o poi sia il Giudice Falcone che il Giudice Borsellino sarebbero stati uccisi (pag. 43 udienza 28 gennaio 2004).

In terzo luogo, e soprattutto, la “sopravvenienza”, alla su indicata decisione di morte, di una situazione di estrema e fondamentale importanza nella vita di Cosa Nostra, riconducibile alle vicende del maxi processo istruito dal giudice Falcone contro Cosa Nostra. In proposito è sufficiente qui richiamare (ma v. gli ampi riferimenti nelle due sentenze di merito) che i giudici di primo grado avevano condiviso l’impostazione data dal magistrato in ordine alla struttura piramidale e compatta dell’ organizzazione criminale, mentre quelli di secondo grado avevano ridimensionato tale tesi. Fondamentale era pertanto il definitivo giudizio della Corte di Cassazione.

Siffatta situazione aveva raggiunto il punto di massima criticità e conseguente maturazione nel periodo intercorrente tra: l’estate dell’anno 1991, quando il Riina, nonostante gli spasmodici tentativi effettuati invano, aveva fondato motivo per prevedere 1′ esito negativo del maxi processo (…); l’inizio dell’anno 1992, quando il processo è stato deciso, con esito negativo, con la sentenza 30 gennaio 1992, n. 80, della Cassazione.

Il contenuto di tale sentenza veniva invero ad assumere effetti devastanti per Cosa Nostra a motivo del modo in cui si configurava la responsabilità a carico dei componenti del suo organismo di vertice; infatti veniva ad essere riconosciuta, con l’autorità derivante da una pronuncia della Corte di Legittimità, l’esistenza della Commissione Provinciale e delle regole di funzionamento della stessa, fra le quali quella inerente alla collegialità delle decisioni concernenti gli omicidi eccellenti. […]».

LA DECISIONE DI COSA NOSTRA  L’ adozione del piano stragista viene ad assumere, nei confronti dei giudici Falcone e Borsellino, un contenuto “rinnovativo” dell’ originaria decisione di morte (risalente agli anni ’80 e mai revocata), nel senso di una rinnovazione attuata mediante “conferma” di tale decisione (v. infra, la riunione degli auguri di fine anno 1991, riferita dal Giuffrè) o mediante sua “riconferma” (v. infra le riunioni ristrette di febbraio/marzo 1992, riferire dai collaboranti Brusca e Cancemi).

[…] La sentenza de qua ha precisato che il piano stragista ha anche natura “ricognitiva”, e quindi natura di “conferma”, rispetto all’originario “movente specifico” in base al quale venne adottata la decisione di morte risalente agli anni ’80, mai revocata. Movente costituito dalla “persistente pericolosità” derivante dalla continuativa azione giudiziaria svolta dai due magistrati in netta opposizione agli interessi, specie economici, di Cosa Nostra. In proposito, sono state riportate le ulteriori conferme derivanti dalle dichiarazioni rese nel giudizio di rinvio dal Giuffrè, che ha riferito in merito alla “notoria” pericolosità dell’azione giudiziaria dei due magistrati, i quali miravano a colpire gli interessi economici dell’organizzazione: “Sin dall’inizio degli anni ’80, comincia a delinearsi la pericolosità, tra virgolette, del dottore Falcone. Il dottore Falcone … mirerà al cuore di Cosa Nostra, quando arriva al cuore e intendo riferirmi in modo particolare all’economia di Cosa Nostra … Giovanni Falcone era diventato un nemico non solo della Cosa Nostra italiana, era diventato anche per Cosa Nostra americana, mirando appositamente all’economia di Cosa Nostra” (pag. 21-22, udienza 12 dicembre 2003); ed ancora: “che il dottore Borsellino forse, addirittura, stava diventando più pericoloso di quello che addirittura si era pensato. Ed in modo particolare, e lo dico tranquillamente e serenamente, per quanto riguarda il discorso degli appalti”; “Perché il dottore Borsellino, si sono resi conto che era molto addentrato in questa branca, cioè in questo discorso mafia politica e appalti. E forse forse alla pari del dottore Falcone” (pagg. 46 – 48, udienza 28 gennaio 2004).  A CURA DELL’ASSOCIAZIONE COSA VOSTRA – 11 luglio 2021 processo Borsellino quate


L’ATTENTATO, le INDAGINI, i PROCESSI


Gaspare Spatuzza (Palermo8 aprile1964 già membro di Cosa Nostra, affiliato alla Famiglia del quartiere Brancaccio di Palermo, ora collaboratore di giustizia.

Paolo Borsellino, in attesa di giustizia

a cura di Claudio Ramaccini – Direttore  Centro Studi Sociali contro la mafia – Progetto San Francesco