Di Lionello Mancini
Di Lionello Mancini
Le analisi di Transparency international sono stimolanti e spietate, le loro conclusioni non sorprendono: l’Italia è ancora troppo esposta alla corruzione. Una debolezza al quadrato, perché sottolinea la distanza dagli standard più moderni e perché la corruzione, oltre a essere un male in sé, da noi (e solo da noi) è anche un potente energetico per la criminalità organizzata. Ce n’è a sufficienza per rabbuiarsi ed è importante comprendere i motivi per cui l’Italia è in questa condizione.
A questo fine, è di grande utilità un’informazione accurata su quanto è accaduto tre mesi fa a Milano, in Consiglio comunale. Per saperlo, basta connettersi al sito del National integrity system – il metodo di valutazione utilizzato da Transparency per le sue comparazioni – e guardare, in una pagina interna (www.nisitalia.org/#!wb), il filmato della seduta nella quale il Consiglio comunale ha bloccato l’introduzione del whistleblowing, la pratica che agevola la denuncia interna di comportamenti illeciti (corruzione, concussione, peculato) nella pubblica amministrazione.
Terminato il lungo lavoro in commissione per concordare un testo sottoscritto da tutti i partiti, il 13 dicembre era giunto il momento di votare la mozione in aula e renderla così operativa. Ne sarebbe nata – secondo una raccomandazione di Transparency, risalente al 2009 – una commissione indipendente di garanzia per raccogliere le segnalazioni dei dipendenti del Comune e delle sue società partecipate, mantenendone gli autori al riparo da possibili ritorsioni e vendette dall’alto. Una buona pratica diffusa nei Paesi più avanzati, utile a stimolare il controllo dal basso. Cosa è successo, invece, a Palazzo Marino? Non in un piccolo municipio del Sud oppresso da criminali e povertà, ma nel cuore pulsante dell’economia e della finanza del Paese, nel Comune che sta allestendo l’Expo2015, nel capoluogo di una Regione ricchissima nel mirino delle cosche?
È successo che, incuranti degli scandali a raffica che dovrebbero favorire nuovi strumenti di controllo, i partiti si siano invece esibiti in un completo campionario degli errori che hanno fin qui azzoppato il nostro Paese: sottovalutazione del tema, ignoranza di quanto avviene nel mondo, arroganza e furbizie dei rappresentanti di Pdl, Pd e Lega nel liquidare gli argomenti a sostegno del whistleblowing riproposti anche in aula dall’unico, giovanissimo rappresentante del M5S.
Un squarcio della “politica” appena bastonata dal voto. Dal Pd (maggioranza) che ha chiesto il rinvio per timore di violare qualche diritto di funzionari e manager in odore di malaffare; al Pdl (opposizione) che ha arzigogolato: se non ci sono stati casi di dipendenti mobbizzati per aver denunciato illeciti, perché introdurre questo nuovo strumento? Fino ai soliti «È compito delle Procure» e «Arriverebbero migliaia di denunce anonime».
Introdurre a Milano controlli anticorruzione più efficaci e di livello europeo non dovrebbe essere come vendere frigoriferi al Polo nord e invece è proprio così. Sulle motivazioni di questa ostinata chiusura dei politici alla trasparenza e all’accountability, milioni di elettori si sono già formati una loro idea. Magari indistinta e di pancia, ma l’hanno depositata nelle urne a fine febbraio.
Sole 24 Ore