Dalla KALSA alla TOGA. Le storie di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

 

23 maggio 1992  Improvvisamente, l’inferno. In un caldo sabato di maggio, alle 17:56, un’esplosione squarcia l’autostrada che collega l’aeroporto di Punta Raisi a Palermo, nei pressi dell’uscita per Capaci: 5 quintali di tritolo distruggono cento metri di asfalto e fanno letteralmente volare le auto blindate. Muore Giovanni Falcone, magistrato simbolo della lotta antimafia, la moglie e tre uomini di scorta.
19 luglio 1992, 57 giorni dopo, Paolo Borsellino, impegnato con Falcone nella lotta alle cosche, si reca dalla madre in via Mariano D’Amelio, a Palermo per accompagnarla dal cardiologo. Alle 16:58 una tremenda esplosione: questa volta in piena città. La scena che si presenta ai soccorritori è devastante. 


🔴 I GIORNI DI GIUDA


“Due vite intrecciate dallo stesso destino 

 

La storia di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino: due vite intrecciate, uno stesso destino. Affrontato a testa alta fino al 1992, l’anno più nero per l’antimafia e per l’Italia.

23 maggio 1992 Improvvisamente, l’inferno. In un caldo sabato di maggio, alle 17:56, un’esplosione squarcia l’autostrada che collega l’aeroporto di Punta Raisi a Palermo, nei pressi dell’uscita per Capaci: 5 quintali di tritolo distruggono cento metri di asfalto e fanno letteralmente volare le auto blindate. Muore Giovanni Falcone, magistrato simbolo della lotta antimafia, la moglie e tre uomini di scorta.
19 luglio 1992, 57 giorni dopo, Paolo Borsellino, impegnato con Falcone nella lotta alle cosche, si reca dalla madre in via Mariano D’Amelio, a Palermo per accompagnarla dal cardiologo. Alle 16:58 una tremenda esplosione: questa volta in piena città. La scena che si presenta ai soccorritori è devastante. Seguono giorni convulsi. La famiglia Borsellino, in polemica con le autorità, non accetta i funerali di Stato. Non vuole la rituale parata dei politici. E alle esequie degli agenti di scorta una dura contestazione accoglie i vertici istituzionali. Il neo-presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, è trascinato a stento fuori dalla Cattedrale di Palermo, con il capo della polizia Vincenzo Parisi che gli fa da scudo.

La storia di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

 

L’ereditá di FALCONE e BORSELLINO

 

Speciale PAOLO BORSELLINO

Speciale GIOVANNI FALCONE

Caro Giovanni, caro Paolo

Caponnetto Falcone Borsellino

 

 

 

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino FOCUS


 

Artista GAETANO PORCASI

 

 

 

 

I GIORNI DI GIUDA – 25 Giugno 1992 Paolo Borsellino interviene ad una manifestazione  presso la Biblioteca di  Palermo.  E’ il suo ultimo intervento pubblico prima di essere ammazzato.


CAPACI : Borsellino: “Cosa Nostra sapeva che la nomina di Falcone era decisa”


«Falcone e Borsellino in esilio perché erano nel mirino dei clan»


CAPACI, VIA D’AMELIO e la verità accertata


STORIA di una foto consegnata alla STORIA


Falcone e Borsellino si conoscevano sin da piccoli. Avevano un anno di differenza, erano dello stesso quartiere, quello della Kalsa e come molti ragazzini frequentavano il campetto dell’oratorio, quello della parrocchia di San Francesco d’Assisi dove giocavano insieme quelli che sarebbero poi diventati magistrati e imputati. Anche da adulti, lo sport era la loro unica valvola di sfogo per sfuggire di tanto in tanto alle rigidissime regole della sicurezza. Il dott. Borsellino amava uscire in bici. Aveva una Bianchi, Oggi il velodromo di Palermo, purtroppo in stato di semi abbandono, è intitolato proprio a Paolo Borsellino. A Falcone, invece, piaceva nuotare, ma ad un certo punto della sua carriera, dispiaciuto per “tanto fastidio arrecato alla comunità” -parole sue-, dovette rinunciare al mare. Scelse di ripiegare sulla piscina comunale, con difficoltà perché doveva aver cura di non andare in ore di punta.


IL BUNKERINO, le stanze di Falcone e Borsellino al Tribunale di Palermo

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FOTOTECA


Giovanni Falcone

Paolo Borsellino


Dalla KALSA alla TOGA Uniti dallo stesso destino – pag. FB

La “Kalsa”  è uno dei più antichi quartieri della città segue

 

BORSELLINO, FALCONE e la KALSA

 


 

PAOLO BORSELLINO – ULTIMO SALUTO A GIOVANNI FALCONE – Palermo, Veglia 20 giugno 1992: «In questo momento inoltre, oltre che magistrato, io sono testimone. Sono testimone perché, avendo vissuto a lungo la mia esperienza di lavoro accanto a Giovanni Falcone, avendo raccolto, non voglio dire più di ogni altro, perché non voglio imbarcarmi in questa gara che purtroppo vedo fare in questi giorni per ristabilire chi era più amico di Giovanni Falcone, ma avendo raccolto comunque più o meno di altri, come amico di Giovanni Falcone, tante sue confidenze, prima di parlare in pubblico anche delle opinioni, anche delle convinzioni che io mi sono fatte raccogliendo tali confidenze, questi elementi che io porto dentro di me, debbo per prima cosa assemblarli e riferirli all’autorità giudiziaria, che è l’unica in grado di valutare quanto queste cose che io so possono essere utili alla ricostruzione dell’evento che ha posto fine alla vita di Giovanni Falcone, e che soprattutto, nell’immediatezza di questa tragedia, ha fatto pensare a me, e non soltanto a me, che era finita una parte della mia e della nostra vita»Palermo, 25 giugno 1992 Biblioteca Comunale di Casa Professa

 

 

Appunti integrali di Paolo BORSELLINO che hanno dato origine al celebre discorso sulla “Bellezza del Fresco Profumo di Libertà”, pronunciato nella Chiesa di San Domenico il 20 giugno 1992, a Palermo.


FALCONE E I GIUDICI DEL POOL AVEVANO AVUTO UN APPROCCIO BEN DIVERSO COL FENOMENO DEL PENTITISMO. Certa stampa orchestra “sapientemente” una campagna di delegittimazione dei giudici accusandoli di utilizzare le confessioni dei pentiti con disinvoltura eccessiva. Definirono il maxiprocesso “strumento di una giustizia rudimentale” e i giudici antimafia una sorta di clan dagli oscuri obiettivi. In quei giorni il “Giornale di Sicilia”, quotidiano di Palermo, scrisse: “I processoni diventano inquisizione”; “i processi mastodontici non danno alcuna grande garanzia nell’accertamento della verità”; “il giudice istruttore fonde il suo ruolo con quello dell’inquisitore”; “con i processoni siamo in piena evoluzione inquisitoria, siamo con sempre più inquisizione e sempre meno processo”; la normativa sui pentiti determina “una situazione aberrante in cui il processo penale degrada ad arnese di polizia, a espediente di caserma trovano posto spie, delatori, confidenti, criminali promossi a collaboratori di giustizia”. I temi della lotta alla mafia e attualità del maxiprocesso monopolizzarono il confronto politico nel corso della campagna elettorale del 1987, in Sicilia. Da “Falcone-Borsellino e i Segreti di Stato-Mafia”, di Benito Li Vigni.


“Sono andato ad abitare in via Notarbartolo, una strada che scende verso via della Libena, il cuore di Palermo, L’amministratore dello stabile per prima cosa mi ha spedito una lettera ufficiale, che in relazione alla mia presenta in quell’immobile e nel timore di attentati ammoniva: <<L’amministrazione declina ogni responsabilità per i danni che potrebbero essere recati alle parti comuni dell’edificio>>.Un giorno arrivato davanti a casa, con il mio solito seguito di sirene spiegate, purtroppo, di auto della polizia e di agenti con le armi in pugno, ho avuto il tempo di sentire un passante sussurrare: Certo che per essere protetto in questo modo, deve avere commesso qualcosa di malvagio” (Giovanni Falcone, Cose di cosa nostra).

Il desiderio di relegare i magistrati antimafia o meglio, l’opposizione della mafia in genere – ai margini della vita civile è una tentazione ricorrente, che proviene dallo stomaco della società siciliana. Una volta ci riuscirono davvero a mandarli via, insieme, sia Giovanni Falcone che Paolo Borsellino. Era la vigilia del maxiprocesso. A Palermo lo Stato non era in grado di garantire né la loro sicurezza né quella delle loro famiglie. Li misero su un aereo militare e li inviarono all’Asinara, un super carcere, un’isola fortezza, dove sarebbero stati al sicuro e dove avrebbero potuto lavorare in pace per completare l’ordinanza di rinvio a giudizio del primo maxiprocesso, I magistrati vi rimasero a lavorare due mesi e alla fine furono costretti anche a pagare il conto per il soggiorno-vacanza nella foresteria del carcere, Rimuovere Falcone Borsellino è un desiderio che torna, anche se ormai possono trovare spazio solo nella memoria. Ma i due giudici sono ostinati, come tutti siciliani. Non si lasciano cacciare via nemmeno da morti.  (Uomini contro la mafia di Vincenzo Ceruso)


 


Stanza numero 63 e stanza numero 64, una grande amicizia in tribunale

PAOLO BORSELLINO: uno dei primi fascicoli che arriva nel suo ufficio è un’indagine preliminare sulle ruberie della Valle del Belice, i fondi che sono spariti per la ricostruzione dei paesi distrutti dal terremoto del 1968. Comincia a indagare su un presidente della Regione. È un’inchiesta choc. In città parlano tutti del giudice che è partito all’attacco dei potenti. Arriva sulla sua scrivania anche l’indagine su un appalto sospetto che coinvolge il presidente della Provincia Gaspare Giganti. Si convince della sua colpevolezza, piomba in consiglio provinciale insieme agli agenti di polizia giudiziaria, sequestra documenti, firma contro di lui un mandato di cattura. Gaspare Giganti è il primo uomo politico di Palermo che entra all’Ucciardone. Gli anni di Palermo «felicissima» stanno per finire. Cominciano quelli della paura e dei «grandi delitti». Anche l’inchiesta sull’uccisione del commissario Boris Giuliano è sua. Mese dopo mese, insieme al capitano Emanuele Basile, si avvicina alla mafia di Monreale. E alla notte del Santissimo Crocifisso.
La sua stanza all’ufficio istruzione del tribunale di Palermo è la numero 64. La numero 63 è quella di Giovanni Falcone. Si conoscono fin da ragazzi, fra i vicoli e della Kalsa e i cortili intorno alla chiesa della Magione. Si rivedono nelle aule della facoltà, a Giurisprudenza. Si rincontrano lì, al Palazzo di Giustizia, tanto tempo dopo. Nel 1979 Borsellino ha trentanove anni, Falcone uno di più. Sono fianco a fianco, giorno dopo giorno. Lo resteranno fino alla primavera del 1992. La scrivania di Paolo Borsellino è un mare di carte, faldoni, rapporti di polizia. C’è l’inchiesta sul Palazzo dei Congressi, uno scandalo sulle alleanze mafiose e imprenditoriali svelate nel 1982 da Pio La Torre e dal generale Carlo Alberto dalla Chiesa.  C’è quella sull’avvocato Salvatore Chiaracane, un penalista legato alla feroce cosca di Corso dei Mille.
C’è anche l’indagine su Giancarlo Parretti, il cameriere di un hotel di Siracusa, Villa Politi, che dopo pochi anni è diventato un noto finanziere e il boss della società cinematografica più famosa del mondo, la Metro Goldwyn Mayer.
Paolo Borsellino va ad ascoltare Luciano Liggio nel carcere di Bad’ e Carros in Sardegna. Interroga Vito Ciancimino, per la prima volta in carcere, a Rebibbia.
Lui e Giovanni Falcone sono legatissimi, due fratelli. E buoni sono anche i rapporti con gli altri giudici dell’ufficio istruzione. Soprattutto con Leonardo Guarnotta. Tutti indagano su tutto. Si scambiano informazioni, incrociano nomi e dati. Mafia. Traffico di droga e armi. Riciclaggio. Cominciano le prime rogatorie internazionali. Singapore. Ankara. New York. da UOMINI SOLI di Attilio Bolzoni


Giovanni peccava di eccessivo ottimismo e aveva torto. Si era innamorato del nuovo codice, anzi si irritava un po’ quando le critiche montavano. Aveva come modello di magistrato se stesso, la sua immensa capacità di lavoro, il suo spirito di sacrificio capace di superare ogni difficoltà. La media delle capacità e dell’ impegno dei magistrati non è quella di Giovanni. La media dei magistrati è rappresentata anche da me che mi scoraggio, che non so se domani riuscirò a fare la stessa quantità di lavoro che ho fatto oggi”

intervista di Giuseppe D’Avanzo a Paolo Borsellino del 27 maggio 1992

 


Giovanni Falcone e Paolo Borsellino non sono eroi.

 
E non volevano essere eroi. Erano e volevano essere servitori dello Stato.
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono diventati martiri della Patria perché sono stati lasciati soli. Perché, come dice il procuratore Gian Carlo Caselli, ciascuno di noi non ha fatto il proprio dovere fino in fondo.
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino erano magistrati isolati. Ostacolati. Calunniati.
Senza Borsellino, nominato procuratore di Marsala, Falcone è rimasto accerchiato nel <> guidato da Pietro Giammanco.
<>, lo ha definito nei pochi fogli del suo diario che abbiamo potuto leggere. Quel <> che lo ha messo in un angolo (anche se era procuratore aggiunto) e che lo ha costretto ad andare al ministero di Grazia e giustizia guidato dal socialista Claudio Martelli, per cercare di condurre la sua battaglia antimafia da Roma.
E prima ancora, nel gennaio 1988, il Consiglio superiore della magistratura (Csm), a maggioranza, aveva bastonato Falcone: nominò a capo dell’ufficio istruzione Antonino Meli e non lui. E così decretò la fine del pool antimafia.
Tra quei quattordici consiglieri che votarono contro Falcone e di fatto contro la lotta a Cosa nostra, c’era chi era spinto da una visione burocratico-carrierista della magistratura (Meli era più anziano) e chi, come disse Borsellino, era un <>.
Il 15 ottobre 1991, Falcone si ritrovò davanti al Csm a doversi difendere. Il mese precedente c’era un esposto della Rete (un movimento-partito antimafia), Leoluca Orlando, che lo aveva accusato pubblicamente, anche in televisione, di <> le prove dei legami tra Cosa nostra e alcuni politici come il democristiano Salvo Lima, il referente di Giulio Andreotti in Sicilia, ucciso a Palermo il 12 marzo 1992.
Falcone, davanti ai consiglieri, ribadì che le accuse di Orlando erano <>, frutto di <>. <>
Anche Borsellino è finito sotto procedimento disciplinare al Consiglio superiore della magistratura, nel 1988, per aver denunciato lo smantellamento del pool antimafia di Palermo che aveva portato al maxi processo contro Cosa nostra.
(Antonella Mascali in LE ULTIME PAROLE DI FALCONE E BORSELLINO)

30anni dalle stragi, arriva la moneta con l’effige di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

 

CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA  La pubblicazione degli atti del fascicolo personale di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e Paolo Borsellino 


 

 


5.12.2020 Lettera aperta al tribunale tedesco su Giovanni Falcone e Paolo Borsellino


 

I discorsi sulla morte si facevano più frequenti.

 
Era diventato un tema ricorrente, insieme con l’abitudine a un ordine quasi maniacale. Quella scrivania diventava ogni giorno più rassettata, come se la preoccupazione di Giovanni fosse solo quella di mettere ogni cosa al proprio posto. Una sera, dopo lettura dell’ennesimo articolo anti-Falcone, fece il discorso più amaro che gli abbia mai sentito pronunciare. Poche Parole; “Io non ho niente. Non posseggo neanche una casa, ho soltanto il mio lavoro e la mia dignità. Quella non me la possono togliere”.
No, forse razionalmente non pensava di essere così vicino alla morte. Era semmai la morte che inconsciamente gli entrava nella pelle. Quell’ansia di ordine non l’aveva mai avuta, la sua scrivania di Palermo era una bolgia di fascicoli, lo stesso quella del primo periodo romano. Era come se si stesse preparando a un distacco e “ripuliva” prima di andarsene. Un po’ come aveva fatto prima di lasciare la Procura.
Ma non mutava il suo comportamento, non cambiava il suo pensiero. Pochi giorni prima di saltare in aria sull’autostrada di Capaci, Giovanni tornava a difendere il “suo” maxiprocesso, ricordando che per la prima volta, “sia pure in un dibattimento con centinaia di imputati, l’organizzazione mafiosa denominata Cosa Nostra” era stata “processata in quanto tale”. Instancabile, Giovanni continuava a battere sui temi della lotta alla mafia, fino alla vigilia della morte: l’8 maggio all’istituto Gonzaga di Palermo, il 13 all’Università di Pavia, qualche giorno prima dell’attentato a Roma, in una conferenza presso il residence Ripetta. Quel giorno accadde un fatto assai strano: qualcuno gli fece trovare un biglietto vicino al posto dove si sarebbe seduto. Il contenuto del messaggio non era particolarmente allarmante, lasciava sorpresi il fatto che qualcuno, malgrado tutte le misure di sicurezza adottate, fosse riuscito a giungere fino alla poltrona di Giovanni Falcone. (da Storia di Giovanni Falcone di Francesco La Licata)

  Palermo: l’aula bunker dell’Ucciardone intitolata a Falcone e Borsellino alla presenza di Mattarella

Alla presenza del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella,  per la chiusura delle celebrazioni del trentennale delle Stragi del ’92, è stata scoperta la targa che intitola l’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Presenti, fra gli altri, anche Lucia e Manfredi Borsellino, figli del giudice, e Maria Falcone, sorella di Giovanni.
“Il dolore delle vittime è anche il nostro ed è sempre vivo e spesso non neppure lenito dall’accertamento della verità”. Con queste parole il presidente della Corte d’Appello di Palermo, Matteo Frasca, ha aperto la cerimonia di intitolazione dell’aula bunker di Palermo a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Alla manifestazione, voluta dall’Associazione Nazionale Magistrati, hanno partecipato anche il Capo dello Stato e i ministri della Giustizia e dell’Interno. “In quest’aula, esempio unico di efficienza nell’edilizia giudiziaria, costruita in sei mesi per lo svolgimento del maxiprocesso, grazie al lavoro unico di Falcone e Borsellino, alle loro intuizioni e alla loro rivoluzionaria consapevolezza della specificità Cosa nostra, si è potuto celebrare un dibattimento che ha segnato la storia della lotta alla mafia”, ha aggiunto Frasca.
Il presidente della Corte d’Appello di Palermo ha ricordato l’isolamento e gli attacchi subiti specialmente da Falcone e il senso dello Stato dei due giudici che, nonostante le difficoltà, non si sono mai fermati e hanno sempre manifestato il loro rispetto per le istituzioni”.
“La lotta alla mafia – ha concluso Frasca- deve essere sempre al centro dell’agenda politica del governo e del Parlamento, della magistratura e della società civile. È necessario che ciascuno senza compromessi scelga da che parte stare con i fatti“.
 

 



PER NON DIMENTICARE


Documenti relativi alla seduta plenaria del 22 maggio 2017:


Documenti relativi alla seduta plenaria del 19 luglio 2017:


La COMMISSIONE ANTIMAFIA del CSM


PROCESSI

 

 


GLI ANGELI CUSTODI DI FALCONE E BORSELLINO

 

 

 

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a cura di Claudio Ramaccini, Direttore Centro Studi Sociali contro la mafia – PSF