PAOLO BORSELLINO – citazioni

 

La lotta alla mafia dev’essere innanzitutto un movimento culturale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità.


“La forza del magistrato è l’indipendenza da qualsiasi ideologia politica, è la lontananza da simpatie e amicizie che lo indurrebbero a compromessi. Il magistrato è chiamato a raccogliere prove che consentano di giudicare senza esitazioni e perplessità. È necessario che il percorso dei processi sia più veloce, che scompaiano le figure di don Abbondio e di Ponzio Pilato, che ciascuno abbia il coraggio di assumersi le proprie responsabilità.


Non sono né un eroe né un Kamikaze, ma una persona come tante altre. Temo la fine perché la vedo come una cosa misteriosa, non so quello che succederà nell”aldilá Ma l’importante è che sia il coraggio a prendere il sopravvento… Se non fosse per il dolore di lasciare la mia famiglia, potrei anche morire sereno.


Non ho mai chiesto di occuparmi di mafia. Ci sono entrato per caso. E poi ci sono rimasto per un problema morale. La gente mi moriva attorno.


Loro possono uccidere il mio corpo fisico e di questo sono ben cosciente. Ma sono ancora più cosciente che non potranno mai uccidere le mie idee e tutto ciò che io credo! Si erano illusi che uccidendo il mio amico Giovanni, avrebbero anche ucciso le sue idee e quel gran patrimonio di valori che stava dietro di lui. Ma si sono sbagliati, perché il mio amico Giovanni tutto ciò che amava e onorava, lo amava così profondamente da legarselo nel suo animo, rendendolo dunque immortale.


È bello morire per ciò in cui si crede; chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola.


Non importa dove si nasce se si combatte per le stesse idee e si crede nelle stesse cose.


Palermo non mi piaceva, per questo ho imparato ad amarla. Perché il vero amore consiste nell’amare ciò che non ci piace per poterlo cambiare.


Tutti abbiamo il diritto, anzi il dovere sacrosanto di continuare la loro lotta. Se essi sono morti nella carne ma vivi nello spirito, come la fede ci insegna, le nostre coscienze se non si sono svegliate devono svegliarsi. Occorre evitare che si ritorni di nuovo indietro. Occorre dare un senso alla morte di Giovanni, dei valorosi uomini della sua scorta. Sono morti tutti per noi, per gli ingiusti. Abbiamo un grande debito verso di loro e dobbiamo pagarlo gioiosamente continuando la loro opera, facendo il nostro dovere, rispettando le leggi, anche quelle che ci impongono sacrifici, rifiutando di trarre dal sistema mafioso anche i benefici che possiamo trarne, anche gli aiuti, le raccomandazioni, i posti di lavoro, collaborando con la giustizia, testimoniando i valori in cui crediamo, in cui dobbiamo credere, anche dentro le aule di giustizia, troncando immediatamente ogni legame di interessi, anche quelli che ci sembrano innocui, con qualsiasi persona portatrice di interessi mafiosi grossi o piccoli, accettando in pieno questa gravosa e bellissima eredità di spirito, dimostrando a noi stessi e al mondo che Falcone è vivo.”


Per anni ho pensato quanto fosse impalpabile, in quel quartiere, il confine che ci separava dalla mafia. Come tanti altri ragazzi che abitano alla Magione, in vicolo del Pallone, in via Butera, avrei potuto imboccare la strada di contrabbandiere, di uomo d’onore, anziché quella di magistrato.


A fine mese, quando ricevo lo stipendio, faccio l’esame di coscienza e mi chiedo se me lo sono guadagnato.


La paura è umana, ma combattetela con il coraggio.


Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene.


La lotta alla mafia, il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata, non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti e specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità.


Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d’accordo.


Gli uomini politici non devono soltanto essere onesti, ma lo devono anche apparire.


Occorre evitare che si ritorni di nuovo indietro. Occorre dare un senso alla morte di Giovanni, della dolcissima Francesca, dei valorosi uomini della sua scorta. Sono morti tutti per noi, per gli ingiusti, abbiamo un grande debito verso di loro e dobbiamo pagarlo gioiosamente, continuando la loro opera. Facendo il nostro dovere; rispettando le leggi anche quelle che ci impongono sacrifici; rifiutando di trarre dal sistema mafioso anche i benefici…; collaborando con la giustizia; testimoniando i valori in cui crediamo, in cui dobbiamo credere, anche dentro le aule di giustizia…dimostrando a noi stessi e al mondo che Falcone è vivo.
 

Io accetto, ho sempre accettato più che il rischio [… ] le conseguenze del lavoro che faccio, del luogo dove lo faccio e, vorrei dire, anche di come lo faccio. Lo accetto perché ho scelto, ad un certo punto della mia vita, di farlo e potrei dire che sapevo fin dall’inizio che dovevo correre questi pericoli. La sensazione di essere un sopravvissuto e di trovarmi, come viene ritenuto, in estremo pericolo, è una sensazione che non si disgiunge dal fatto che io credo ancora profondamente nel lavoro che faccio, so che è necessario che lo faccia, so che è necessario che lo facciano tanti altri assieme a me. E so anche che tutti noi abbiamo il dovere morale di continuarlo a fare senza lasciarci condizionare dalla sensazione che, o financo, vorrei dire, dalla certezza, che tutto questo può costarci caro.


L’impegno contro la mafia, non può concedersi pausa alcuna, il rischio è quello di ritrovarsi subito al punto di partenza.


Purtroppo i giudici possono agire solo in parte nella lotta alla mafia. Se la mafia è un’istituzione antistato che attira consensi perché ritenuta più efficiente dello stato, è compito della scuola rovesciare questo processo perverso, formando giovani alla cultura dello stato e delle istituzioni.


Vi è stata una delega totale e inammissibile nei confronti della magistratura e delle forze dell’ordine a occuparsi esse solo del problema della mafia [… ]. E c’è un equivoco di fondo: si dice che quel politico era vicino alla mafia, che quel politico era stato accusato di avere interessi convergenti con la mafia, però la magistratura, non potendone accertare le prove, non l’ha condannato, ergo quell’uomo è onesto… e no! [… ] Questo discorso non va, perché la magistratura può fare solo un accertamento giudiziale. Può dire, be’ ci sono sospetti, sospetti anche gravi, ma io non ho le prove e la certezza giuridica per dire che quest’uomo è un mafioso. Però i consigli comunali, regionali e provinciali avrebbero dovuto trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze sospette tra politici e mafiosi, considerando il politico tal dei tali inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Ci si è nascosti dietro lo schema della sentenza, cioè quest’uomo non è mai stato condannato, quindi non è un mafioso, quindi è un uomo onesto!


I giovani e la mafia? E’ un problema di cultura, non in senso restrittivo e puramente nozionistico ma come insieme di conoscenze che contribuiscono alla crescita delle persone. Fra queste conoscenze vi sono quei sentimenti, quelle sensazioni che la cultura crea e che ci fanno diventare cittadini, apprendendo quelle nozioni che ci aiutano a identificarci nelle istituzioni fondamentali della vita associata e a riconoscerci in essa.


Il problema della lotta  o comunque delle indagini sulla criminalità mafiosa io lo sento profondamente, l’ho sentito, sono stato disposto ad affrontare sacrifici, non vedo perché l’opinione pubblica non debba essere interessata di questo problema; anzi è  pericoloso quando l’opinione pubblica non viene interessata a questo problema; è  grave con riferimento alle indagini sulla criminalità mafiosa che l’opinione pubblica se ne disinteressi o le sopporti cosi, come se si trattasse di assistere ad una lotta tra giudici e mafiosi, visto che non è  una lotta tra giudici e mafiosi, né tra poliziotti  e mafiosi, ma è un problema che interessa tutti». 31 luglio  1988  dall’audizione al CSM


Io sono vissuto in una società in cui quando avevo quindici anni un mio compagno di scuola si vantava di essere figlio o nipote del capo mafia del suo paese e io lo invidiavo. Oggi, al di là di quello che è lo sbocco giudiziario di queste indagini, cioè al di là delle eventuali condanne, le indagini stesse hanno avuto di riflesso una valenza culturale, proprio perché sono state diffuse, perché sono state rese pubbliche, perché la gente se ne è interessata, perché oggi non ci sono probabilmente più a Palermo giovani come me a quindici anni che invidiano il compagno di  classe perché  figlio del capo mafia. 31 luglio  1988  dall’audizione al CSM


  Ritengo che sia indispensabile che vi sia un dibattito culturale e il massimo di informazione possibile sui problemi inerenti le indagini sulla criminalità mafiosa e la criminalità  mafiosa  in genere». 31 luglio  1988  dall’audizione al CSM


Ma la mafia è qualcosa di più. La mafia è una istituzione alternativa che opera sul territorio ponendosi in alternativa allo stato, non lottando con lo stato andando all’assalto dei palazzi comunali o dei palazzi delle regioni, ma cercando di conquistarli dall’interno con il sistema della collusione, della corruzione, della contiguità. Esiste perché ha consenso, perché dove lo stato è debole o non si sa presentare con la forza imparziale delle leggi, il consenso non va allo stato, va a qualcuno che risolve i problemi o che può risolvere i problemi in modo alternativo allo stato. Perché la forza della mafia si basa soprattutto su questo. La forza della mafia si basa sulla capacità di offrire o di apparire offerente di servigi che lo stato non riesce a dare. E basta pensare, e ogni siciliano lo sa, alla giustizia, la mafia appresta anche il servizio di giustizia. Perché qualsiasi siciliano sa che è inutile ricorrere ad un tribunale per riscuotere una cambiale non pagata, perché la causa si vincerà fra dieci anni


Io non vedrò i risultati del mio lavoro, li vedrete voi dopo la mia morte, perché la gente si ribellerà, si ribelleranno le coscienze degli uomini di buona volontà.


Bisogna liberarsi da questa catena feroce dell’omertà che è uno dei fenomeni sui quali si basa la potenza mafiosa. Si è legati a questo fatto dell’omertà, del non riferire nulla delle cose di Cosa Nostra all’esterno, di non sentire lo Stato, di sentire sempre lo Stato come un nemico o comunque come una entità con cui non bisogna collaborare.


Avevo scelto di rimanere in Sicilia ed a questa scelta dovevo dare un senso. I nostri problemi erano quelli dei quali avevo preso ad occuparmi quasi casualmente, ma se amavo questa terra di essi dovevo esclusivamente occuparmi. Non ho più lasciato questo lavoro e da quel giorno mi occupo pressocchè esclusivamente di criminalità mafiosa. E sono ottimista perchè vedo che verso di essa i giovani, siciliani e no, hanno oggi una attenzione ben diversa da quella colpevole indifferenza che io mantenni sino ai quarantanni. Quando questi giovani saranno adulti avranno più forza di reagire di quanto io e la mia generazione ne abbiamo avuta.


In pochi giorni mi sento invecchiato di almeno 10 anni, non solo perché ho perso un grande amico, ma anche perché ho perso il mio scudo. Mi sento solo


“Davanti alle difficoltà non bisogna arrendersi. Al contrario devono stimolarci a fare sempre di più e meglio, a superare gli ostacoli per raggiungere i risultati che ci siamo prefissati”.


“Palermo non mi piaceva, per questo ho imparato ad amarla. Perché il vero amore consiste nell’amare ciò che non ci piace per poterlo cambiare”.


“La lotta alla mafia deve essere un movimento culturale e morale che coinvolga tutti, specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, della indifferenza, della contiguità, quindi complicità”.


“La paura è normale che ci sia, l’importante è che sia accompagnata dal coraggio. Non bisogna lasciarsi sopraffare dalla paura, sennò diventa un ostacolo che ti impedisce di andare avanti”.


“Ti dico solo che loro possono uccidere il mio corpo fisico e di questo sono ben cosciente. Ma sono ancora più cosciente che non potranno mai uccidere le mie idee e tutto ciò in cui credo! Si erano illusi che uccidendo il mio amico Giovanni, avrebbero anche ucciso le sue idee e quel gran patrimonio di valori che stava dietro a lui. Ma si sono sbagliati, perché il mio amico Giovanni tutto ciò che amava e onorava, lo amava così profondamente da legarselo nel suo animo, rendendolo dunque immortale”.


“Purtroppo i giudici possono agire solo in parte nella lotta alla mafia. Se la mafia è un Istituzione antistato che attira consensi perché ritenuta più efficace dello Stato, è compito della scuola rovesciare questo processo perverso formando giovani alla cultura dello Stato e delle Istituzioni”.
“Sono ottimista perché vedo che verso di essa (la mafia, ndr) i giovani, siciliani e no, hanno oggi una attenzione ben diversa da quella colpevole indifferenza che io mantenni sino ai quarantanni. Quando questi giovani saranno adulti avranno più forza di reagire di quanto io e la mia generazione ne abbiamo avuta”.


“La maggior parte della gente rispetta le leggi dello Stato non perché le tema, non perché tema la sanzione penale o civile che sia, lo fa perché ritiene che sia giusto non uccidere o non sorpassare in curva. E se così non fosse, cioè se la gente rispettasse le leggi solo perché le teme, non basterebbero tanti carabinieri per il numero di persone che ci sono nel nostro paese; la maggior parte di noi rispetta le leggi perché SENTE il dovere di osservarle”.
“Questo cosí è ciò che accaduto storicamente nel Meridione d’Italia, dove il cittadino si è sentito estraneo allo Stato; non ha sentito l’impulso istintivo a rispettare le leggi. Ciò è accaduto principalmente nelle tre grandi regioni del sud: Campania, Calabria e Sicilia, dove si è venuta a creare una vera e propria disaffezione verso lo Stato e le sue leggi”. Tanto più il cittadino si sente parte integrante dello Stato, con tutte le sue ramificazioni di Regione, Comune e Provincia, tanto più sente il dovere di rispettare le leggi”.
“Questo è il motivo della nascita delle grandi organizzazioni criminali che conosciamo come Camorra e Mafia. Perché? Perché ci sono i bisogni che il cittadino chiede, quelli economici, quelli sociali, i bisogni di sicurezza, che il cittadino chiede gli siano assicurati dallo Stato in tutte le sue articolazioni regionali, comunali e provinciali; quando il cittadino non si identifica più nello Stato, quando non ha più fiducia in quest’ultimo, cerca di trovare dei surrogati. L’errore è pensare che la mafia abbia colmato il mancato sviluppo economico di queste parti disagiate del paese, quindi sbagliamo se crediamo di risolvere il problema inviando più risorse economiche in quelle zone. Lo Stato ha sì il dovere di sostenere le zone con ampie sacche di disoccupazione, di emarginazione e di miseria, ma se non capterà la fiducia dei cittadini sull’imparziale ed equa distribuzione delle risorse, le organizzazioni sfrutteranno questo profluvio di risorse per meglio lucrare. L’esempio è che quando in Sicilia arrivano delle risorse dallo Stato centrale, la prima cosa che si pensa è che queste verranno spartite dalla mafia.
Se queste sono le ragioni di fondo della nascita e dello sviluppo della mafia, non illudiamoci che le azioni giudiziarie da sole, possano fare piazza pulita dell’intero fenomeno. Potremo prendere questo o quel capo-mafia, potremo accertarne la colpevolezza, ma se non andremo a fondo nel problema, alla radice, la mafia si ripresenterà sempre più forte di prima: abbiamo tutti assistito al grande clamore intorno al maxiprocesso di Palermo, ma finito quello, eravamo punto e a capo”.


“Quando un’azione è soltanto giudiziaria e repressiva, ma non incide sulle cause del fenomeno è chiaro che non è efficace”.


“Vi è stata una delega totale ed inammissibile nei confronti della magistratura e della forze dell’ordine ad occuparsi essi solo del problema della mafia. Lo Stato non ha fatto nulla per creare le condizioni per una migliore amministrazione, per esempio, della giustizia civile, alla quale il cittadino si rivolge per piccoli fatti o piccole cause civili; un processo civile dura non meno di dieci anni”.
“Infine c’è l’equivoco di fondo: si dice che quel politico era vicino alla mafia, che quel politico era stato accusato di avere interessi convergenti con la mafia, però la magistratura, non potendone accertare le prove, non l’ha condannato, ergo quell’uomo è onesto. …e no!” “Quanti di voi conoscono qualcuno che seppure mai condannato sanno che non è uomo onesto?”
“Questo discorso non va, perché la magistratura può fare solo un accertamento giudiziale, può dire, beh, ci sono sospetti, sospetti anche gravi, ma io non ho le prove e la certezza giuridica per dire che quest’uomo è un mafioso”.
“Però i consigli comunali, regionali e provinciali avrebbero dovuto trarne le dovute conseguenze da certe vicinanze sospette tra politici e mafiosi, considerando il politico tal dei tali inaffidabile nella gestione della cosa pubblica”.
Ci si è nascosti dietro lo schema della sentenza, cioè quest’uomo non è stato condannato quindi non è un mafioso, quindi è un uomo onesto!

 

Archivio digitale logo base