di Lionello Mancini
di Lionello Mancini
Gli sviluppi di alcuni casi giudiziari a Roma e a Milano, confermano come la magistratura sia alla continua ricerca di formule sempre più efficaci per colpire le cellule criminogene limitando i danni al corpo sociale. Finora, però, la mancata adesione della politica ai canoni della legalità, ha vanificato lo sforzo delle toghe, proprio come accadde vent’anni fa, quando la scoperta di Tangentopoli rimase una pratica giudiziaria, bloccata sulla soglia di ogni decisiva riforma politica.
A Roma, nei giorni scorsi, una serie di inchieste per corruzione – niente a che fare con la mafia – hanno imboccato la strada del sequestro dei beni, utilizzando la stessa procedura che permette allo Stato di svuotare il portafogli dei boss (pratica odiatissima: rende le cosche meno potenti e più difficili i loro affari). Un’applicazione solida, ma anche originale, che ha debuttato in modo clamoroso nel processo sui “Grandi eventi”, dove la Procura ha ottenuto dal Tribunale della Prevenzione il sequestro di beni per 25 milioni riferibili ad Angelo Balducci, ex provveditore alle Opere pubbliche. Con questa mossa, che pone plasticamente (e giustamente) nello stesso mazzo corrotti e picciotti, Gdf e Carabinieri hanno potuto sigillare palazzi, auto, moto, quote societarie, conti bancari. Aspettiamo pure la conferma definitiva, ma intanto il segnale è arrivato forte e chiaro. Resta l’incognita usuale: saprà la politica inventare qualche rimedio perché un Balducci o una signora Asl o (nel suo imponente piccolo) un Batman, non riescano più ad accumulare tanti illeciti malloppi? A voler essere ottimisti, forse anche su questo versante qualcosa si sta muovendo.ù
Sole 24 Ore 24.6.2013