Di Lionello Mancini
Di Lionello Mancini
«Applica a Celeste Alfredo, nato a Fasano (Br) il 7.4.1953, la misura cautelare degli arresti domiciliari presso l’abitazione di sua residenza, sita in Sedriano (Mi) disponendo che lo stesso sia accompagnato a mezzo scorta presso il suindicato domicilio. Prescrive all’indagato di non allontanarsi dalla suddetta abitazione.
Delega per i necessari controlli la stazione dei CC territorialmente competente in relazione al luogo degli arresti». Lo scorso 26 settembre, un Gip milanese firmava queste severe disposizioni, che di lì a pochi giorni sarebbero state eseguite con clamore e sconcerto in quella stessa retata che avrebbe portato in carcere l’assessore regionale Zambetti, ‘ndranghetisti professionisti di varie discipline.
Perché, allora, soffermarsi su dei “banali” domiciliari per una “modesta” accusa di corruzione? Perché Celeste, di professione insegnante di religone, non è un semplice residente del paesino del Milanese: ne è il sindaco. Dal 1988, dopo essere stato vicensindaco, assessore ai Lavori pubblici, consigliere comunale (dal 1985), coordinatore cittadino del Pdl e oggi vicecoordinatore vicario provinciale del partito di Milano. Dopo il tonfo giudiziario di ottobre, dovuto ai sui rapporti poco limpidi con faccendieri e presunti boss, alcuni sedrianesi gli avevano pubblicamente chiesto di dimettersi.
Certo, da settimane una commissione prefettizia sta valutando se non sia il caso di affidare per un po’ Sedriano allo Stato, sostituendo il sindaco con un commissario; né è escluso che, in attesa della Cassazione, la magistratura provveda per altre vie a sterilizzare i delicati snodi del potere locale, non ancora al sicuro.
Al di là dello specifico caso giudiziario (e magari di coscienza), il punto rimane uno: nel nostro Paese le uniche partite che si giocano sono quelle codice penale alla mano.
In un Paese ancora vivo, non ipnotizzato dalle sirene dell’illegalità, un amministratore arrestato per corruzione sente il dovere di lasciare immediatamente ogni incarico per non trascinare in Tribunale anche ciò che rappresenta grazie ai voti ricevuti. Proprio così vanno le cose alle latitudini in cui le istituzioni – come la politica e l’economia da essa generata – sono questioni estremamente serie, rispettate, sorvegliate e ben manutenute. In Italia no. In Italia sembra valere la sola sanzione penale: ma se questa non arriva o finché non arriva, tutto resta come prima, gli ambiti partitici, associativi, amministrativi, professionali, non si assumono alcuna responsabilità, continuano a tenersi in pancia persone discutibili, discusse, indagate, arrestate, condannate, omertose, colluse, ammiccanti, servizievoli con chi non dovrebbero. Tanto, se l’ammiccamento non è reato, non violano nessuna legge…
L’Italia ha bisogno di previsioni di legge specifiche e dettagliate per ognuno dei multiformi profili che assumono le pastette tra il potere e i criminali, fino all’impazzimento mediatico-politico che impone l'”ex” a un ministro per faccende di Imu e fa spallucce davanti a un sindaco indagato, anche se le sue debolezze (o peggio) lambiscono la sua funzione, le sue prerogative, l’immagine stessa dello Stato.
Sole 24 Ore 5.8.2013