Le nuove armi per la lotta alla corruzione

 

di Lionello Mancini 

Ormai lo sappiamo. Il silenzio della politica o il suo parlar d’altro sono il segnale certo che è stato detto qualcosa di sensato su un tema cruciale per l’interesse del Paese. Magari qualcosa che sarebbe bene approfondire, affinare con un dibattito serio, qualcosa cui applicare uno sforzo distillato dall’esperienza e dal buonsenso. Quando, invece, sui media prevalgono il silenzio e le chiacchiere degli opinion makers, siamo senz’altro di fronte a una proposta succosa e alla disarmante reiterazione dell’usuale schema depistante. È appena accaduto di nuovo. Il responsabile dell’Anticorruzione, Raffaele Cantone, l’8 agosto, in una lunga intervista al Messaggero, ribadisce alcuni concetti e lancia alcune proposte. Sopra, ben evidenziata nel titolo del quotidiano romano: «Per battere la corruzione servono agenti provocatori». I concetti ribaditi sono puro buon senso: «Se persone già condannate come Frigerio e Greganti ricominciano, c’è qualcosa che non funziona»; «L’attenzione alla criminalità del Sud ha fatto sì che si trascurassero le tangenti al Nord» e anche «Spero di incontrare presto Squinzi: so bene che spesso gli imprenditori nemmeno si rendono conto di commettere un reato. Dobbiamo trovare un modus operandi comune». Quanto alle proposte, ribadita l’importanza di ricevere notizie dalle Procure e l’invito a non arrendersi al malaffare rinunciando alle grandi opere, il presidente dell’Anac parla degli strumenti: auspica benefici di legge per chi (da imputato) collabori alle indagini e definisce “fondamentale” l’utilizzo delle intercettazioni. Infine invita a prendere esempio dai Paesi che combattono davvero (e da tempo) la corruzione: permettere ad agenti provocatori di offrire denaro a pubblici dipendenti e se questi accettano di “vendere” vantaggi, vanno ammanettati.

C’erano da attendersi polemiche, plausi, perplessità, alzate di scudi e disquisizioni sul perché e il percome il Paese abbia o meno bisogno di figure come queste. E invece silenzio generale. Per 10 giorni, l’Italia ha avuto tempo di parlare di molto altro: di cose serie come il voto sulle riforme al Senato o anche gravi, come il disastro umanitario in Iraq. Ma senza privarsi dell’ascesa del discusso Tavecchio, delle lezioni dell’antipatico Schettino, fino alle uscite di Alfano sui vu’ cumprà. Ma di corruzione e di agenti provocatori nessuno si è interessato. Fino al 18 agosto, quando Cantone ha rilasciato più o meno le stesse parole al Corriere della Sera. A questo punto la reazione non poteva mancare e il vicepresidente del Senato Gasparri si è guadagnato il suo piccolo spazio: «Questo Cantone proponga idee migliori invece di proporre metodi degni di Pol Pot». Poi, di nuovo il silenzio. Raffaele Cantone porta sulle spalle enormi responsabilità, in particolare sui lavori dell’Expo che il Governo gli ha affidato come extrema ratio dopo il fallimento di 24 organismi di controllo. E non parla a vanvera. Sarebbe bello che proposte così schiette, non dessero luogo a stupidaggini ferragostane, ma al varo di una legge che garantisca queste nuove armi indicate come necessarie per mettere in sicurezza il Paese.

Sole 24 Ore 25.8.2014