Dalla Terra dei Fuochi all’ospedale Gaslini i viaggi della speranza dei bimbi avvelenati

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SONO viaggi tristi, a volte senza ritorno. Quelli dei bambini della Terra dei Fuochi e delle loro “mamme resistenti”, come le chiamano, verso il Gaslini.

«Ti dicono che la situazione è grave, che è meglio andare a Genova per dare al bambino le cure migliori. Parti senza pensarci troppo, arrivi magari in piena notte e senza un posto dove dormire». Marzia Caccioppoli ricorda le notti passate in piedi nei corridoi dell’ospedale ligure, e quelle di tanti altri genitori come lei fuori in macchina, in attesa di un alloggio di prima accoglienza. Ha perso suo figlio Antonio di 9 anni e mezzo il 2 giugno 2013, e oggi gira l’Italia – è passata anche da Savona, in un incontro organizzato da Libera, comune e Fiba Cisl con il Centro studi contro le mafie Progetto San Francesco – a raccontare la lotta della sua terra e dell’associazione Noi genitori di tutti, 13 mamme e papà con la stessa atroce storia. Benvenuti nel mondo in cui i bambini muoiono di tumori, avvelenati dai rifiuti tossici che le mafie, per conto delle aziende del nord, nascondono sottoterra. Un intrigo della peggiore politica, imprenditoria e criminalità che uccide soprattutto in Campania: le vittime si contano da anni, ma solo nel 2013, con le rivelazioni di Carmine Schiavone, l’Italia si è accorta di loro. E oggi l’attenzione va a ondate mediatiche: l’ultima di qualche giorno fa, con le critiche al premier Renzi che ha dirottato sull’Expo 10 milioni previsti per le emergenze della Terra dei Fuochi. I piccoli malati, nel frattempo, viaggiano silenziosi verso il Gaslini: «Già negli anni ’90 ricordo malattie linfoproliferative ed ematologiche strane, rare, in arrivo dalla Campania», dice Carlo Dufour, responsabile facente funzione dell’Unità operativa di Ematologia del Gaslini. Oggi il filo diretto tra la Terra dei Fuochi e la Liguria si legge ad esempio nei 570 ricoveri dalla Campania del 2013, che ne fanno la quarta Regione per provenienza di pazienti. «Non si può dire che ci sia un collegamento diretto tra lo smaltimento di rifiuti tossici e i nostri dati – spiega il direttore Scientifico del Gaslini Lorenzo Moretta – Ma in generale l’ospedalizzazione per leucemie è aumentata del 50%, e i bambini si ammalano certo anche per l’inquinamento ambientale». Si legge anche, il filo diretto, nel gemellaggio siglato nel 2011 con l’ospedale Santobono di Napoli, che manda a Genova i casi più gravi. Sospira, mamma Marzia. «Arrivammo in Liguria dopo vari errori negli ospedali locali. Dia- gnosticarono ad Antonio un glioblastoma multiforme, l’unico tumore cerebrale che non dà speranze, e quando l’oncologa del Gaslini mi chiese se vivevo vicino a qualcosa di radioattivo dissi di no. Non sapevo della Terra dei Fuochi». Eppure il tumore colpisce di solito in età avanzata e in zone inquinate. «Pensare che ci ero andata ad abitare per scappare dalla città e respirare aria buona… Un giorno vidi Antonio camminare male, e da lì iniziò il calvario. I mesi genovesi, gli ultimi, sono stati difficili. Io stavo con Antonio, mentre mio marito, che lavora in prefettura, ha ottenuto un trasferimento temporaneo qui. L’accoglienza al Gaslini è stata magnifica, le infermiere sono come tate». Poi Antonio se n’è andato. Marzia torna a Genova spesso. Tina Zaccaria, un’altra “mamma resistente”, invece non è più tornata. «Non ne ho avuto il coraggio – racconta – Ma ancora oggi sento i medici e l’infermiera Elda: il Gaslini è stata una famiglia». Sua figlia si chiamava Dalia, a 12 anni ha scoperto la malattia e un anno dopo, nel 2012, «è andata via». Anche lei gli ultimi mesi li ha passati a Genova, «in un appartamento dell’associazione Abeo(che ne ha appena inaugurati di nuovi dedicati ai piccoli pazienti onco-logici, ndr) un mondo sereno e con assistenza 24 ore su 24». «Di storie come le nostre ce ne sono tante», dice Tina. Non è facile raccontarle. «Lo facciamo perché non ci dimentichiate – conclude Marzia – La Terra dei Fuochi è un problema di tutti».
Nel 2013 sono stati 570 i piccoli pazienti arrivati a Quarto dalla Campania, già negli anni ’90 dei casi sospetti

17.2.2015

Di Giulia Destefanis

LA REPUBBLICA