La sinergia con le istituzioni va rafforzata

 

 

di Lionello Mancini

Il traguardo non è vicino e la strada resta in salita, ma è buona l’idea del seminario di formazione su “Criminalità organizzata e impresa” (20-21 maggio) voluta da Assolombarda e Scuola della magistratura.

Due sessioni di analisi, testimonianze, riflessioni, simbolicamente iniziate nella sede milanese degli industriali e concluse, il giorno successivo, a Palazzo di Giustizia. Perché il lento progredire della coscienza antimafia, si alimenta anche di lutti indelebili quali l’assassinio, 25 anni fa, del giudice Rosario Livatino o la strage di Capaci (23 maggio 1992).

La strada di una collaborazione piena tra Stato e imprese è in salita per numerosi motivi: una cultura giuridica ricca e dinamica, ma anche autocentrata e che ha spesso mostrato di ignorare o non tenere in alcun conto le dinamiche aziendali e di mercato; le mille sentenze che hanno svelato patti indecenti tra economia e criminalità; i timori non infondati per gli effetti devastanti di strumenti repressivi mal pensati o mal gestiti, che fanno il paio con le diffidenze altrettanto fondate delle toghe per le manovre di nebulose di potere dalle finalità e dai metodi per nulla trasparenti.

Accanto a questi ostacoli, reali e verificati, cresce però la consapevolezza che solo forti sinergie tra mondo istituzionale e mondo economico – a oggi poco comunicanti e reciprocamente diffidenti – potrà consolidare l’area della legalità.

Per citare solo qualche esempio, deve far riflettere l’esperienza di Alessandro Giuliano, esperto capo della Squadra mobile di Milano, che nelle sue indagini ha scoperto in ogni settore produttivo e dei servizi, imprenditori collusi o fintamente vittime che si prestano ai ruoli più diversi, da riciclatore a prestanome, da finanziatore ad adescatore di nuove vittime per gli usurai. E, soprattutto, quando conclude chiedendo – nuovamente – con forza una collaborazione che in Lombardia continua a scarseggiare, nonostante i successi repressivi. E deve parimenti inquietare il richiamo della Pm antimafia Alessandra Dolci, a quell’«insano pragmatismo lombardo» che per oltre un ventennio ha indotto decine di imprenditori in doppiopetto a preferire i servizi a buon prezzo delle cosche calabresi per smaltire illegalmente i rifiuti, recuperare crediti, per garantirsi la quiete nei cantieri, fino allo sfruttamento di manodopera clandestina assai prossima alla schiavitù.

Spunti di riflessione che si sono confrontati con le proposte altrettanto stimolanti del mondo imprenditoriale, come quella dei 63 manager formati per gestire ogni tipologia di beni e aziende tolti alle mafie, e che però restano senza incarichi mentre il patrimonio sequestrato va in malora. Eppure, la task force pronta a misurarsi con realtà destinate a sicuro fallimento, rinvia all’altro grande tema degli amministratori e custodi giudiziari – diretta emanazione e longa manus dei giudici della prevenzione – che reggono l’ordinario senza aver sempre il tempo e le competenze necessari. Altrettanto privo di risposta per carenze di personale, boicottaggi procedurali e spietata burocrazia, rimane a tutt’oggi l’attivazione virtuosa di selezioni preventive quali le white list o il rating di legalità, che nel seminario milanese lo stesso presidente della Corte d’appello, Giovanni Canzio, ha indicato come meritevoli di riconoscimenti oggi indisponibili. Per non citare la diversa percezione del tempo giudiziario e di quello gestionale, oppure le necessarie tagliole amministrative (per esempio, le interdittive antimafia) che si trasformano in tagliole in grado di bloccare o strangolare imprese anche se poi risulteranno incolpevoli.

Ricchezza di idee e proposte da entrambe le parti, dunque, obiettivi comuni e anche ambiti nei quali è già possibile collaborare con successo, accertato che la migliore buona volontà e la repressione più efficiente, da sole non potranno mai imprimere la svolta decisiva di cui ha bisogno il Paese. Si tratta, ora, di implementare conoscenza e fiducia reciproche, affinando le aree di contatto, anche con il necessario supporto di modifiche normative già reclamate all’unisono da magistrati e imprenditori. In questo caso, certamente, l’unione fa la forza.

Sole 24 Ore 25.5.15