di Battista Villa – Presidente PSF
Serve una autentica svolta di cambiamento dell’azione sindacale attraverso la quale si tracci aggiornate priorità culturali, politico-sindacali e sociali che vadano oltre la storica e consolidata azione contrattuale e negoziale del sindacato italiano. Serve andare oltre la nostra consuetudine. Serve assumere un raggio di azione molto più largo, di ri-costruzione della fiducia della socialità e della comunità. La nostra storia di contrattazione si è sempre appoggiata ed affiancata al rispetto delle norme legali e statuali, spesso anticipandone la loro genesi politico-istituzionale, attraverso un idea forte di soggettualità politico-sociale del sindacato e del mondo dei corpi intermedi in generale, nella costruzione di cultura, prassi e cura della democrazia, sostanziale e non solo nominale, di tipo popolare e non elitaria. I fenomeni di mafiosità, di corruzione, di evasione-elusione fiscale, nell’economia reale scardinano nei fatti i presupposti di sana competitività e di sostenibilità che determinano la maggior parte delle problematiche occupazionali che il sindacato è chiamato a presidiare e a rispondere nel quotidiano ma anche con una strategia di medio-lungo termine.
Il sindacato che abbiamo conosciuto è giunto al termine della sua corsa e il suo cambiamento può essere ricondotto solo ad un allargamento ulteriore delle sue competenze su materie di gestione del Mdl, del welfare integrativo, della formazione professionale, della bilateralità contro la frammentazione, ma deve osare il rischio di prefigurare un idea antropologica di uomo, di persona, di comunità e di mondo. Non possiamo più solo intervenire sugli effetti del sistema politico, economico-finanziario e sociale che genera sulle persone e le famiglie ma dobbiamo soprattutto lavorare per prevenire, sperimentare, affrontare e possibilmente superare le cause che determinano questo sistema economico irresponsabile e di illegalità diffusa. Le mafie nell’economia riciclano le proprie risorse ottenute con la violenza dal traffico di droga, dal traffico di organi, dal traffico di esseri umani e dalla prostituzione, dall’usura e dal pizzo, dalla gestione del gioco d’azzardo e delle scommesse illegali, dal caporalato e dal ricatto occupazionale, dalla contraffazione e dal mercato nero in genere. Come è possibile che nello storico scontro tra capitale e lavoro non possiamo tenere conto innanzitutto che uno degli elementi fondamentali del sistema e cioè: il capitale mafioso ha un costo praticamente nullo o trascurabile per l’imprenditoria mafiosa e di conseguenza mette fuori gioco qualsiasi altra imprenditoria.
Ma non solo: il capitale mafioso uccide nella culla il tessuto sano della competitività sulla quale si fonda il nostro sistema economico e permettere la colonizzazione delle mafie nei nostri territori rendendoci sudditi spaventati del crimine mafioso e posti sotto il loro controllo stesso del territorio. Quale modello economico e sociale vogliamo indicare e perseguire oggi e per il futuro? La evidente crisi democratica e di sistema, le migrazioni che avvolgono tutto il pianeta e in particolare la crisi vocazionale della nostra U.E. non possono che farci ri-considerare anche il nostro ruolo educativo, sindacale e sociale per la realizzazione di un aggiornato compito di “sindacato nuovo” per un orizzonte moderno di uguaglianza, di solidarietà e di libertà nel solco di ritrovate alleanze per il bene comune, la pacifica convivenza e quindi per la pace.
Non basta annunciare: “non ci pieghiamo alle minacce” se non si fa corrispondere un profondo riformismo progettuale utile al mondo del lavoro e della politica e al contempo una sana attività culturale, cose che davvero spaventano i mafiosi e i loro amici.