GASPARE MUTOLO: “Voglio Paolo Borsellino. Mi fido solo di lui”

 – Gaspare Mutolo annunciò per la prima volta di voler collaborare con gli inquirenti all’inizio del 1992, a una condizione: avrebbe rivelato i segreti della mafia solo a Falcone. Ma il nuovo incarico romano del giudice non gli consentiva più di farlo, e quindi il pentito si rifiutò di parlare con altri. Solo dopo la sua morte, cambiò idea. Come tanti, sia dentro che fuori dalla mafia, considerava Borsellino l’erede naturale di Falcone e annunciò:  <<Voglio Paolo Borsellino. Mi fido solo di lui>>.  Questi aveva grandi aspettative su quanto Mutolo fosse disposto a dirgli. <<Siamo qui ai livelli di Tommaso Buscetta, forse al di sopra>>, disse il procuratore a un collega.  Quando Borsellino incontrò Mutolo a Roma, il collaboratore rivelò senza indugio che la mafia aveva degli infiltrati sia in polizia che in tribunale. Fece il nome di due presunte spalle: Bruno Contrada, l’ex capo della squadra mobile di Palermo che ora lavorava per il servizio segreto SISDE di Roma, a il giudice antimafia Domenico signorino, amico e collega di Borsellino. Una telefonata inaspettata interruppe l’interrogatorio di Borsellino. Dopo aver risposto alla chiamata, il procuratore disse a Mutolo che era stato convocato dal neonominato ministro dell’Interno Nicola Mancino, che si era insediato in carica quel giorno: sarebbe tornato entro mezz’ora. Borsellino fu di ritorno dopo un’ora, ed era infuriato e preoccupato. Mutolo gli domandò cos’era successo.Borsellino gli disse che, invece il ministro, aveva visto Vincenzo Parisi, capo della polizia, e il generale Contrada, proprio quello che il collaboratore aveva appena indicato come spalla della mafia. Borsellino era infuriato perché entrambi erano venuti a conoscenza del suo incontro con Mutolo. <<L’interrogatorio è segreto, come diavolo ha fatto Contrada a scoprirlo?>>, gridò Borsellino, ignorando Mutolo. Il procuratore era così agitato che accese due sigarette contemporaneamente e le tenne entrambe nella mano. <<Dottore, ha due sigarette!>>, gli disse Mutolo. Borsellino rise, ma era ancora nervoso. Continuò a insistere che dovesse fargli mettere per iscritto la sua dichiarazione, ma Mutolo rifiutò: non voleva perché era sicuro che sarebbe stato ucciso e preferiva mettere nero su bianco ciò che riguardava le gerarchie nella mafia. Non si sa se Mutolo disse a Borsellino di avere sentito nel 1980, dodici anni prima, che la mafia voleva eliminare il procuratore, perché aveva firmato un mandato d’arresto per il boss Francesco Madonia, accusato dell’omicidio, avvenuto quell’anno, del capitano dei carabinieri Emanuele Basile. Gli assassini spararono a Basile mentre, con la figlioletta in braccio, si dirigeva in caserma con la moglie. Entrambe rimasero illese. Nel 2007 la Cassazione condannò Contrada a dieci anni di prigione per i legami con la mafia; l’anno successivo gli concessero i domiciliari per motivi di salute. Signorino, l’altra spalla secondo Mutolo, si suicidò nel dicembre del 1992. – JOHN FOLLAIN i 57 giorni che hanno sconvolto l’Italia