Sono anche i ragazzi, le nuove generazioni, a rigettare il sistema mafia. Se un’indagine sociologica di 20 anni fa aveva provato che c’erano giovani, soprattutto in Sicilia, che avevano nei confronti dei mafiosi un sentimento di ammirazione, di rispetto, oggi questa inclinazione sembra non esistere più. Lo documenta un libro appena uscito, «Io non c’ero. Cosa sanno i giovani di Falcone e Borsellino», firmato da Nicolò Mannino, presidente del Parlamento della Legalità Internazionale, e da Pino Nazio, giornalista Rai e scrittore, per le Edizioni Ponte Sisto di Roma. Nel libro sono riportati i risultati della ricerca condotta intervistando più di 1500 ragazzini, da Palermo a Napoli, da Taranto a Bergamo. L’indagine conferma che i ragazzini hanno sentito parlare di mafia soprattutto in tv (88%), poi a scuola (57%), attraverso Internet (42,7%), in famiglia (39,3%) e tra gli amici (23,3%). Secondo loro, la mafia «è quella situazione violenta che si crea quando il popolo ha fame e non trova aiuto nello Stato», «Coloro che hanno pieno potere sugli altri», «Un polipo i cui tentacoli si diffondono ovunque e arrivano in ogni ambito». E, come spiega Marco, terza media, «anche posteggiare in doppia fila, credendosi più furbi e ritenendo che tutto ci sia sempre dovuto, è un atto mafioso che rivela un atteggiamento di prepotenza e di superiorità rispetto agli altri ed anche rispetto alle leggi». Da Bagheria Riccardo, tredici anni: «La mafia non sente, non parla, non vede; noi giovani, invece, vogliamo sentire, parlare e vedere perché vogliamo essere liberi». E Sabrina, di un anno più grande: «Adesso ho capito che i veri eroi non salvano principesse dal drago o indossano una calzamaglia. I veri eroi siete voi!».