VITO GALATOLO racconta

4.2.2019 Primo giorno di trasferta a Roma per il collegio del tribunale di Caltanissetta, presieduto da Francesco D’Arrigo, che sta celebrando il processo che vede imputati i tre poliziotti Mario BoFabrizio Mattei e Michele Ribaudoaccusati di calunnia aggravata dall’aver favorito Cosa nostra. Chiamati a deporre all’udienza di ieri sono stati i collaboratori di giustizia Vito GalatoloAntonino Giuffrè e Ciro VaraIl primo di questi, ex boss dell’Acquasanta, rispondendo alle domande del Procuratore aggiunto nisseno Gabriele Paci ha raccontato diversi episodi vissuti, seppur da giovanissimo, negli anni delle stragi. Prima di entrare nel vivo della questione, però, ha ripercorso l’inizio della propria collaborazione con la giustizia spiegando di averlo fatto per “dare un futuro ai propri figli” ma anche “per fermare l’attentato contro il pm Antonino Di Matteo. “Stava andando troppo oltre” “In me era maturato il senso di colpa – ha detto rivolgendosi alla Corte -. Vincenzo Graziano, che era stato arrestato con me nel blitz Apocalisse, era uscito dal carcere. Io sapevo che lui era in possesso dell’esplosivo e sapevo che lo avrebbe portato a termine. E dovevo dare un taglio con tutta la situazione”. Il pentito ha spiegato, ancora una volta, che l’ordine arrivò nel dicembre 2012, tramite Biondino, capomafia di San Lorenzo, direttamente da Matteo Messina Denaro“Per me era lui il capo di Cosa nostra all’epoca perché era l’unico figlioccio di Totò Riina. Inviò due lettere. Nella prima mi voleva come capo mandamento di Resuttana. Nella seconda ci chiedeva il favore, se ce la sentivamo, perché stava andando troppo avanti e si doveva fermare. Per fare quell’attentato doveva esserci anche una persona estranea a Cosa nostra, che noi la conoscevamo di viso ma non dovevamo fare domande. A lui dovevamo dare una base logistica e quattro persone di fiducia. Del resto io ho visto l’esplosivo ma non ho mai né fatto né usato telecomandi. Doveva esserci una persona di esperienza”.

4.2.2019 ANTIMAFIA DUEMILA