Fiammetta Borsellino: “Le ommissioni sono state funzionali al depistaggio“. ”L’inchiesta di Messina sarà solo il punto d’inizio”
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FIAMMETTA BORSELLINO “Quanto accaduto sicuramente è un tassello, ma costituisce un punto di inizio di un percorso difficile, perché chi ha lavorato male, ha compromesso, ahimè, quasi per sempre la possibilità di compimento di questo giusto percorso di verità, quindi ha una responsabilità morale gravissima, morale prima di quella giudiziaria”. Lo ha detto Fiammetta Borsellino, figlia del giudice ucciso dalla mafia, ai giornalisti con riferimento ai magistrati indagati per la strage di via D’Amelio, a margine del dibattito a palazzo Steri. E sul fatto che a restare coinvolti sono magistrati come il papà Paolo, Fiammetta Borsellino ha replicato ai cronisti: “Fa male, è ovvio che fa male, ma sappiamo benissimo che in questo Paese delle cose si compiono anche perché all’interno delle istituzioni, della politica, e vediamo oggi anche della magistratura come il caso del Csm è lampante, alcune cose avvengono anche perché certi ambienti a volte vengono contaminati”.
Secondo il Procuratore di Messina, Maurizio de Lucia, che coordina l’inchiesta, due magistrati, in concorso con tre poliziotti avrebbero depistato le indagini sulla strage di via D’Amelio. Nuovo colpo di scena nell’inchiesta sul depistaggio sulla strage di via D’Amelio. A distanza di 27 anni dall’attentato in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta, la Procura di Messina, come apprende l’Adnkronos, ha iscritto nel registro degli indagati, con l’accusa di calunnia aggravata, almeno due magistrati che indagarono sulle stragi del 1992. I loro nomi sono Annamaria Palma, Avvocato generale dello Stato, e Carmelo Petralia, Procuratore aggiunto di Catania. Secondo il Procuratore di Messina, Maurizio de Lucia, che coordina l’inchiesta, i due magistrati, in concorso con i tre poliziotti sotto processo a Caltanissetta, Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, avrebbero depistato le indagini sulla strage di via D’Amelio. Un depistaggio che i giudici della sentenza del processo Borsellino quater definirono “clamoroso”. Ai magistrati oggi è stato notificato dalla Procura di Messina, che indaga in quanto è coinvolto un magistrato in servizio a Catania, un avviso di accertamenti tecnici irripetibili. Nello scorso novembre la Procura di Caltanissetta, che ha istruito il processo per il depistaggio delle indagini sull’attentato, aveva trasmesso una tranche dell’inchiesta ai colleghi messinesi perché accertassero se nella vicenda, ci fossero responsabilità di magistrati. Così la Procura di Messina ha aperto in un primo tempo un fascicolo di atti relativi, una sorta di attività pre-investigativa sfociata adesso in una inchiesta per calunnia aggravata in concorso per due magistrati, che potrebbero diventare presto tre. Nel documento inviato dai pm di Caltanissetta a Messina si fa riferimento alla sentenza del processo Borsellino quater. Nelle motivazioni della sentenza i giudici della corte d’assise parlavano di depistaggio delle indagini sull’attentato al magistrato. Depistaggio su cui i pm di Caltanissetta hanno indagato e poi incriminato tre poliziotti del pool che indagò sull’eccidio, Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei. Ma nella sentenza si denunciavano anche gravi omissioni nel coordinamento dell’indagine, costata la condanna all’ergastolo di otto innocenti, coordinamento che spettava ai pm dell’epoca. Tra cui Carmelo Petralia, ora aggiunto a Catania. “Preferisco non parlare di indagini ancora in corso…”, commenta a caldo Fiammetta Borsellino, figlia minore del giudice Paolo Borsellino. La donna, che ha partecipato a numerose udienze del processo sul depistaggio sulle indagini sulla strage del 19 luglio 1992, dove si è costituita parte civile, più volte ha lamentato il comportamento dei magistrati che indagarono sull’attentato. “Mio padre è stato lasciato solo, sia da vivo che da morto. C’è stata una responsabilità collettiva da parte di magistrati che nei primi anni dopo la strage – ha sempre ripetuto Fiammetta – hanno sbagliato a Caltanissetta con comportamenti contra legem e che ad oggi non sono mai stati perseguiti né da un punto di vista giudiziario né disciplinare”. Gli accertamenti tecnici irripetibili disposti dalla Procura di Messina che indaga sul depistaggio dell’indagine sulla strage di via D’Amelio e che ha iscritto nel registro degli indagati gli ex pm Anna Maria Palma e Carmelo Petralia, riguardano le cassette con le intercettazioni delle conversazioni del falso pentito Vincenzo Scarantino registrate durante il periodo in cui quest’ultimo era sottoposto al programma di protezione. Secondo l’accusa il pentito, che proprio nelle scorse udienza, è stato ascoltato nel processo a carico dei tre poliziotti, sarebbe stato indotto, dal pool di poliziotti che indagava sull’attentato a mentire sulla strage incolpando persone innocenti. Si tratta di 19 microcassette, cioè supporti magnetici contenenti registrazioni prodotte con vecchie strumentazioni dell’epoca contenenti le parole di Scarantino. Proprio per questo motivo si farà il prossimo 19 giugno un “accertamento tecnico non ripetibile” al Racis di Roma. L’atto è stato notificato oggi pomeriggio ai magistrati indagati e alle parti offese. ADNKRONOS
CLAUDIO FAVA Presidente Commissione Antimafia Regione Sicilia ‘stessa mano dietro strage Borsellino e depistaggio’ Palermo, 13.6.2019 (AdnKronos) – “Metterei la firma se dopo 27 anni avessimo una verità compiuta ma non è così, dopo 27 anni abbiamo solo la certezza che ci fu un depistaggio. Io continuo a pensare che la mano che ha accompagnato la strage di via d’Amelio è la stessa che ha accompagnato i depistatori, allontanando investigatori e opinione pubblica dalla direzione dovuta di questa indagine e facendo pensare che fosse soltanto una vendetta mafiosa”. “Una soluzione comoda per tutti, digeribile per il Paese – aggiunge Fava -C’era un movente che non faceva paura, del resto i mafiosi si vendicano, c’erano dei colpevoli, c’era un testimone d’accusa, e la vicenda si chiudeva li. Io credo che tutto questo non sia frutto di un abbaglio collettivo o di manipolazioni rimesse alla scarsa capacità investigativa di alcuni poliziotti, credo che ci sia stato altro dietro”.
Depistaggio Borsellino, Bindi ‘indagine su magistrati arriva dopo 27 anni‘ (AdnKronos) – “Finalmente dopo 27 anni si è aperta l’inchiesta a Messina, segno che non c’è potere che non può essere sottoposto al giudizio della legge, tanto più la magistratura. Il problema è che questo avviene dopo 27 anni”. Così l’ex presidente della commissione Antimafia Rosi Bindi, durante un incontro allo Steri, a Palermo, ha commentato l’indagine, nell’ambito dell’inchiesta sul depistaggio Borsellino, della procura di Messina nei confronti dei magistrati che indagarono sulla strage di via d’Amelio.
Depistaggi Borsellino, è giallo sulle bobine scomparse con intercettazioni di Scarantino
Il 19 giugno gli accertamenti tecnici sulle cassette che il procuratore De Lucia sta valutando anche per verificare eventuali impronte. Gli interrogativi nell’ambiente giudiziario sulle ragioni che hanno portato l’inchiesta a Messina Cosa contengono le 19 bobine su cui il prossimo 19 giugno verranno effettuati, al Racis dei Carabinieri di Roma, degli accertamenti tecnici non ripetibili nell’ambito dell’inchiesta di Messina sul depistaggio sulla strage di Via D’Amelio? E’ l’interrogativo che serpeggia negli ambienti giudiziari di Caltanissetta e Messina, in vista degli accertamenti dei 19 supporti magnetici. E come mai le bobine sono finite da Caltanissetta alla Procura di Messina, pur non essendo noto il loro contenuto? Altre domande. L’unica certezza è che le microcassette riguardano l’ex pentito di mafia Vincenzo Scarantino, che ha più volte ritrattato le sue dichiarazioni nell’ambito dei processi sulla strage in cui persero la vita Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta. Le 19 bobine contengono registrazioni prodotte con strumentazione della Radio Trevisan, denominata RT2000 trasmessi alla Procura di Messina “in originale dalla Procura di Caltanissetta”, come si legge nell’avviso di accertamento tecnico non ripetibile inviato due giorni fa sia alle parti offese che ai due magistrati indagati nell’ambito dell’inchiesta, Annamaria Palma e Carmelo Petralia, che devono rispondere di calunnia aggravata in concorso. Da qui si evince che si tratta di intercettazioni e non di interrogatori, perché RT2000 sono apparecchi per intercettare, nel frattempo ovviamente obsolete. E’ davvero “un punto di inizio di un percorso difficile”, come lo ha definito Fiammetta Borsellino l’indagine finita a Messina. Perchè se è vero che “chi ha lavorato male ha compromesso quasi per sempre la possibilità di arrivare alla verità e quindi ha una responsabilità morale gravissima, prima che di quella giudiziaria, altrettanto vero è che in una inchiesta dove si sono messi in atti – cosa ormai accertata – depistaggi ad altissimo livello, gli stessi magistrati ora indagati potrebbero a loro volta essere vittime di raggiri e trappole che hanno costellato le tappe di una delle indagini piuù tortuose del secolo. Chi ha lavorato a fianco e ha conosciuto i due magistrati, ha difficoltà a credere in un loro consapevole coinvolgimento in depistaggi o calunnie. Entrambi hanno fatto parte del pool di magistrati che ha indagato, sin dalle prime battute, sulla strage di via D’Amelio del 19 luglio 1992 che è costata la vita al giudice Paolo Borsellino e agli uomini della scorta. Intanto, il Procuratore di Messina Maurizio de Lucia, che coordina l’inchiesta, vuole verificare se su alcune cassette con le intercettazioni di Scarantino, ritrovate di recente dalla procura di Caltanissetta, ci siano impronte o altre tracce utili. Il contenuto delle bobine potrebbe aiutare a ricostruire la complessa macchina del depistaggio attorno al falso pentito, condannato in passato per calunnia proprio nei confronti di alcuni magistrati che indagarono su via D’Amelio. Cosa c’è in quelle intercettazioni? Bisogna fare un salto indietro nel tempo, all’estate del 1995, quando Scarantino, che aveva cominciato a collaborare con la giustizia, venne portato, con la sua famiglia, in una località protetta, in Liguria, a San Bartolomeo al Mare, in provincia di Imperia. Un periodo pieno di contraddizioni, con molte lacune, tra racconti fatti da Scarantino ai poliziotti che lo seguivano e poi ritrattati. Più e più volte. Di recente sono stati depositati agli atti del processo sul depistaggio che vede alla sbarra, a Caltanissetta, tre poliziotti: Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, accusati di calunnia aggravata, nuovi atti tra cui anche l’esistenza di un decreto di autorizzazione alle intercettazioni del telefono fisso di Scarantino nella sua abitazione a San Bartolomeo al Mare. Ma mancano sia i brogliacci sia i singoli decreti autorizzativi. E, naturalmente, non c’è traccia delle relative bobine. Il tutto ruota attorno alla ritrattazione di Scarantino, un vero e proprio valzer. Prima il falso pentito ha raccontato ai magistrati di conoscere i retroscena della strage di via D’Amelio, poi ha cambiato idea dicendo di non avere mai saputo nulla, salvo poi cambiare idea. E se in un primo momento Scarantino aveva detto che i ‘suggeritori’ sarebbero stati i tre poliziotti e i magistrati che conducevano le indagini, successivamente ha cambiato idea anche su questo. Come è accaduto anche nell’ultima udienza, a fine maggio, davanti al Tribunale di Caltanissetta, nel corso del controesame: “Il dottor Di Matteo non mi ha mai suggerito niente, il dottor Carmelo Petralia neppure. Mi hanno convinto i poliziotti a parlare della strage. Io ho sbagliato una cosa sola: ho fatto vincere i poliziotti, di fare peccare la mia lingua e non ho messo la museruola…”, aveva detto Scarantino nascosto da un paravento bianco. Un colpo di scena arrivato a metà udienza del processo sul depistaggio sulla strage Borsellino, quando l’ex pentito di mafia Vincenzo Scarantino ha ritrattato, a sorpresa, le accuse che aveva lanciato in passato ai magistrati che indagavano sulla strage di via D’Amelio. Scarantino aveva accusato i giudici, che all’epoca prestavano servizio a Caltanissetta, di aver accusato dei mafiosi imputati perché “sollecitato” dai pm Antonino Di Matteo, Annamaria Palma e Carmelo Petralia ma anche Giovanni Tinebra. Poi, negli anni, la retromarcia. L’ennesima. “I poliziotti mi hanno fatto credere che i magistrati sapevano ogni cosa”, disse in aula a fine maggio. “Io mi trovavo nel deserto dei tartari – raccontava – La Polizia mi aveva convinto che poliziotti del gruppo ‘Falcone e Borsellino’ e i magistrati fossero la stessa cosa ecco perché sono arrivato ad accusare i magistrati. Io ero un ragazzo rovinato dalla giustizia, non ero un collaboratore di giustizia. I magistrati mi contestavano le cose tre o quattro volte, quando non capivo niente, io uscivo e poi trovavo la risposta che dovevo dare ai magistrati. Se io ho coinvolto i magistrati è perché i poliziotti mi hanno fatto credere che fossero un’unica cosa”. Sono numerosi, poi, i misteri attorno al telefono di Scarantino a San Bartolomeo. Nel processo Borsellino bis è stato sentito tra i testi anche Luigi Mangino, un funzionario del servizio di protezione. Al quale venne chiesto se nella casa di San Bartolomeo Scarantino avesse un telefono, ma Mangino non ricordava. Solo successivamente, era stato accertato che Scarantino avesse un’utenza fissa. Ma, spulciando tra le carte, emerge pure che non si trovano i brogliacci e le bobine ma solo un decreto di intercettazione disposto dalla Procura di Caltanissetta sul telefono fisso di San Bartolomeo, a partire dalla stessa giornata in cui viene messo il telefono. Un altro giallo riguarda l’intervista rilasciata in quel periodo da Scarantino al giornalista di Mediaset Angelo Mangano. Nel contratto di collaborazione firmato quando decise di parlare con i magistrati c’era scritto che se avesse rilasciato una intervista sarebbe stato subito espulso dal programma di protezione. Ma non è accaduto nulla di tutto ciò. Perché? E Mangano, sentito sull’intervista, disse di non averne mai saputo niente di quella intervista. L’interrogativo che ci si pone, a prescindere dal contenuto dei 19 supporti magnetici, e che non sono mai stati aperti, è perché quei nastri siano finiti sul tavolo del Procuratore di Messina, quando le inchieste di Caltanissetta finiscono per competenza al Tribunale di Catania
Si riportano, per dovere di cronaca, le argomentazioni del Dr. Petralia comprese le affermazioni relative alla dottoressa Fiammetta Borsellino che, peraltro, non riteniamo meritevoli di commento.
Catania, la lunga autodifesa del pm Petralia indagato nell’inchiesta di via D’Amelio: “Contesto termine depistaggio”
Dopo essere finito indagato per concorso in calunnia aggravato dall’aver favorito Cosa nostra nell’ambito dell’inchiesta sul depistaggio per la strage di via D’Amelio, il procuratore aggiunto di Catania Carmelo Petralia reagisce con stizza. In un’intervista al quotidiano catanese “la Sicilia”, il magistrato dice: “Ciò che mi ha sconvolto e amaramente colpito sul piano umano, familiare, e mi fermo qui, è stata la gestione mediatica della notizia, perché se c’è una cosa sacra nella fisiologia del nostro codice di procedura penale è la segretezza delle iscrizioni sul registro previsto dall’articolo 335. Ammesso pure che vi fosse l’assoluta necessità di fare un accertamento tecnico irripetibile, che impone la comunicazione anche alle parti offese, si sarebbero dovute adottare cautele idonee a sconsigliare la ‘macelleria mediatica’ a buon mercato”.
“Della gestione della collaborazione di Scarantino (il pentito falso del caso Borsellino, ndr) si occupava un pool di magistrati molto più ampio” ma “in concreto solo io e la collega Palma siamo rimasti vittime” della “‘macelleria mediatica’ a buon mercato”. Lo afferma il procuratore aggiunto di Catania Carmelo Petralia, indagato per concorso in calunnia aggravato dall’aver favorito Cosa nostra nell’ambito dell’inchiesta sul depistaggio per la strage di via D’Amelio, in un’intervista al quotidiano catanese “la Sicilia”. “Della gestione della collaborazione di Scarantino si occupava un pool di magistrati molto più ampio – è in particolare l’affermazione del pm – Il dato conosciuto e amplificato dai media manca di molti nominativi e mi chiedo ancora perché”.
Rispetto alle accuse mosse da Fiammetta Borsellino circa le “responsabilità morali prima che giudiziarie” di chi “ha lavorato male compromettendo il percorso di verità”, il procuratore aggiunto di Catania Carmelo Petralia, indagato per concorso in calunnia aggravato dall’aver favorito Cosa nostra nell’ambito dell’inchiesta sul depistaggio per la strage di via D’Amelio, replica così in un’intervista a ‘la Sicilia’: “A lei che domanda dov’era lo Stato, dove erano i magistrati durante le indagini, dico dov’era lei nei giorni drammatici precedenti l’assassinio di suo padre e degli altri servitori dello Stato in quei giorni tremendi che separarono Capaci da via D’Amelio. Sa bene che fu addirittura difficile riuscire a rintracciarla per comunicarle quello che era accaduto il 19 luglio”. “Da allora – continua Petralia – da parte della famiglia Borsellino l’unico vero contributo ampio, sincero e incondizionato di collaborazione, anche alla conoscenza dei fatti e alle indagini in senso stretto, è venuto dalla signora Rita, la sorella di Paolo, e dalla sua famiglia”.
Il procuratore aggiunto di Catania Carmelo Petralia, indagato per concorso in calunnia aggravato dall’aver favorito Cosa nostra nell’ambito dell’inchiesta sul depistaggio per la strage di via D’Amelio, in una lunga intervista a ‘la Sicilia’, sostiene che solo dalla sorella del giudice Paolo Borsellino, Rita, sia venuto un contributo agli inquirenti, mentre, afferma, “tutto il resto della famiglia Borsellino è stato assolutamente assente. E mi riferisco anche – dice – al fratello di Paolo Borsellino, Salvatore, che, sentito come persona offesa in dibattimento nel primo processo, alla domanda dei pm se avesse qualche idea, qualche notizia, una qualche informazione da poter fornire su possibili motivazioni o altro che potesse ricollegarsi a quei drammatici fatti, rispose che non sapeva nulla. Viveva lontano, disse, e non aveva alcuna idea. Oggi invece sa tutto. Ha chiarissime tutte le dinamiche politiche, mafiose e stragiste che agitavano l’Italia in quei primi anni ’90”. L’amarezza di Petralia si estende ai parenti più stretti del giudice ammazzato dalla mafia: “Personalmente dalla famiglia Borsellino non mi aspettavo gratitudine, ma il rispetto, questo sì, e non ho visto rispetto quando, come riferito da recenti cronache, alle ultime dichiarazioni dibattimentali di Scarantino, secondo cui nessun magistrato lo aveva indotto alla falsa collaborazione, ha fatto seguito la domanda posta dal legale delle parti offese Borsellino se ‘qualcuno lo avesse contattato ultimamente per spingerlo a tale affermazione’. Sia chiaro, non è da tali mutevoli dichiarazioni di Scarantino che dipende la sorte delle odierne indagini, ma pensare che qualcuno, magari un mio emissario, le abbia determinate a scagionare i magistrati è veramente offensivo”.
Nella lunga intervista al quotidiano catanese “la Sicilia”, il procuratore aggiunto di Catania Carmelo Petralia, indagato per concorso in calunnia aggravato dall’aver favorito Cosa nostra nell’ambito dell’inchiesta sul depistaggio per la strage di via D’Amelio, torna ad attaccare “quella grancassa mediatica che fa seguito a ogni dichiarazione della signora Fiammetta, che a indagare erano persone impreparate, che non capivano nulla di mafia, che erano gli ultimi arrivati della magistratura requirente”. Petralia replica: “Non eravamo tutto ciò, è stucchevole autocelebrarsi, ma basta ricordare anche i soli processi nati dalla collaborazione di Calderone che avevano determinato a Catania le indagini collegate con quelle condotte a Palermo da Falcone. A Caltanissetta nel ’92 si partiva da zero. E’ facile oggi denigrare, offendere e avanzare sospetti. Chi arriva per l’ultimo sa sempre molto di più di chi è arrivato primo, ma ciò non autorizza a gettare fango, ad avanzare accuse di collusione. Tutti noi oggi sappiamo molte più cose di quante ne sapesse Aristotele ma non per questo siamo più intelligenti di lui”. Poi, il pm, riferendosi al processo ‘Borsellino Quater’, interviene su quella che definisce la “pietra angolare di questa accusa, il passo della sentenza in cui suo redattore dice ‘tutti gli atti di questo processo devono essere trasmessi alla procura per verificare se oltre a quelle dei tre poliziotti ci sono responsabilità di altri soggetti, in questo caso dei magistrati”. “Per cosa? Per una cosa – continua Petralia – che nei passaggi della sentenza viene ripetutamente chiamata ‘depistaggio’. Senza entrare nel merito delle indagini in corso a Messina (la procura che ha indagato Petralia, ndr), contesto l’uso semanticamente inappropriato di questo termine. Depistaggio significa che in presenza di una pista che io conosco ne seguo consapevolmente un’altra. Così non è stato, ad ogni verità si arriva faticosamente e per gradi. Già nel 1996-1998, con l’ampliarsi del patrimonio conoscitivo dovuto a molte nuove collaborazioni, la ricerca di cosiddetti mandanti esterni mi aveva portato all’iscrizione di Bruno Contrada e poi, ancora, a proporre l’iscrizione di Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi per concorso in strage. L’esito di queste indagini, alle quali non partecipai essendo rientrato alla procura nazionale, è noto. Ma se sono un depistatore…”.
CORRIERE ETNEO 15.6.2019
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