Le verità di Spatuzza e Graviano sulla stagione delle stragi

A Reggio Calabria, dove è imputato come mandante degli attentati contro i carabinieri, il boss di Brancaccio ha interrotto un silenzio di decenni

Per il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano è una vera propria bestia nera. Ma che sia un collaboratore credibile, “che ha avuto il pregio non solo di dire la verità, ma anche di spazzare via falsità” –  spiega il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo – è stato proprio Graviano.

 
A Reggio Calabria, dove è imputato come mandante degli attentati contro i carabinieri con cui i clan calabresi hanno firmato la propria partecipazione alla strategia stragista, il boss di Brancaccio ha interrotto un silenzio di decenni, interrotto solo da estemporanee dichiarazioni. E nelle quattro udienze in cui per ore ha parlato, “Graviano – dice il magistrato, che di quel processo sta tirando i fili in requisitoria – ci ha fornito contenuti fondamentali per ricostruire quella stagione drammatica”. Gli anni sono quelli degli attentati continentali, ultima fase di una strategia di lungo periodo con cui mafie e “altre componenti che devono essere pienamente ricostruite”, in uno scenario nazionale e internazionale che cambiava profondamente, puntavano a mantenere il potere acquisito nei decenni precedenti.
   
Per alcune di quelle bombe, Graviano è già stato condannato. Ma a quella scia di sangue – sostiene la procura di Reggio Calabria – manca un pezzo, l’ultimo, che è da cercare in Calabria, fra il dicembre ’93 e il febbraio ’94. Quando in quella partita nazionale e complessa, la ‘ndrangheta “entra in campo per dare un contributo decisivo” dice il procuratore. “Il messaggio che si vuol fare arrivare – aggiunge –  è che non c’è alcuna intenzione di rinunciare a quella componente politica che il cambio di equilibri politici nazionali e internazionali avrebbero potuto rideterminare”. E deve essere chiaro ed inequivocabile. Per questo bombe, attentati e sangue di quella stagione sono tutti firmati con la stessa sigla, Falange Armata, “che Riina eredita da Mico Papalia”, boss calabrese capo di quel Consorzio che sotto la Madonnina negli anni Novanta coordinava l’agire di tutte le mafie e per più di un pentito era in organici rapporti con i servizi. Per questo – ricorda il magistrato – nel gennaio ’94 Giuseppe Graviano si mostra impaziente.Il motivo lo spiega per primo e in modo chiaro il pentito Spatuzza nel 2008, quando rivela l’incontro al Bar Doney a Roma e la fretta di Graviano nel voler procedere con l’attentato all’Olimpico perché “i calabresi già si erano mossi”. E lo conferma il boss di Brancaccio, sottolinea il procuratore aggiunto  “quando gli racconta che bisogna sbrigarsi con l’attentato all’Olimpico, perché – gli dice – anche se ‘abbiamo il Paese nelle mani’ bisogna ‘dare il colpo di grazia’”. Ed è lo stesso Graviano a “fornire gli elementi più importanti per capire cosa significhi”. Un’altra rivelazione arrivata in aula a Reggio Calabria. Forse involontaria, forse no.  “Nelle sue dichiarazioni c’è un passaggio che da italiani non possiamo ignorare – dice Lombardo – Ci dice ‘chiesero di non far fermare le stragi’. Ecco perché anche se la partita è vinta, contro ogni logica si prosegue” con l’attentato poi fallito all’Olimpico. E non è un dato neutro che quell’ordine arrivi dopo il 18 gennaio ’94, data del secondo attentato contro i carabinieri a Reggio Calabria, costato la vita ai brigadieri Fava e Garofalo. “Solo un grande capo come Graviano  – ricostruisce il procuratore aggiunto – poteva sapere che ‘i calabresi si erano mossi’. Per questo era necessario ‘il colpo di grazia’. Ed era urgente. Tale urgenza non è un dato neutro, ma va contestualizzata nel quadro degli incontri accertati all’hotel Majestic”. È lì che Forza Italia preparava il proprio battesimo ufficiale, lì che Marcello Dell’Utri era ospite fisso ed incontrava – hanno riferito testimoni dell’epoca – “calabresi e siciliani interessati al nuovo progetto politico”. E quell’hotel era nei pressi del bar Doney di fronte al quale Spatuzza e Graviano, secondo il pentito, si sono incontrati. “Non posso approfondire su chi non è imputato in questo processo. Ma la ricostruzione del contesto storico in relazione a reati che hanno connotazioni politiche – e lo dicono le Sezioni Unite – è fondamentale. Quando Graviano dice che bisogna procedere con urgenza, sa che quella è l’ultima domenica utile” sottolinea il procuratore. E indica una data, che ha avuto un ruolo nel determinare quegli eventi. “Verificate cos’è successo tra 26 e 27 gennaio”. È in quella notte che con un videomessaggio Silvio Berlusconi annuncia la propria ufficiale discesa in campo. “Rimaniamo tutti in prudente attesa che anche su questa cosa si possano dare risposte – afferma Lombardo – Ma a mio parere, quello che avviene in quella settimana determina la fretta di Graviano. E lui sapeva che sarebbe successo. Chi glielo ha detto lo possiamo solo intuire. Ma ci sono 120 metri e non di più fra l’hotel Majestic e il bar Doney” LA REPUBBLICA 3.7.2020

 

“Il collaboratore Gaspare Spatuzza non mente su nulla. Ha spazzato via falsita’. Il percorso di ricostruzione di quella stagione e’ stato minato da una serie di devianze che lo hanno trasformato in un cammino estremamente accidentato e difficile”. Lo ha detto il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo nella seconda udienza del processo “ndrangheta stragista” dedicata alla sua requisitoria. Sul banco degli imputati della Corte d’Assise ci sono il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone, ritenuto dalla Dda espressione della cosca Piromalli. Entrambi sono accusati di essere i mandanti dell’omicidio dei due carabinieri Antonio Fava e Vincenzo Garofalo, avvenuto il 18 gennaio 1994 sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria, e di altri due attentati ai danni di quattro militari dell’Arma. Secondo l’accusa, quegli agguati rientravano nelle “stragi continentali”. Ricostruendo la strategia stragista che Cosa nostra ha attuato nei primi anni novanta, Lombardo ha ribadito che “il ruolo della ‘ndrangheta non è stato secondario ma è servito a far capire che Cosa nostra non era sola”. Il pm ha analizzato la frase (“Abbiamo il Paese nelle mani. Bisogna dare il colpo di grazia”) che Graviano ha riferito al pentito Spatuzza. Una frase pronunciata a Roma dal boss di Brancaccio mentre quest’ultimo si trovava al bar Doney con il futuro collaboratore di giustizia. “Che senso ha il colpo di grazia se hai gia’ il Paese nelle mani? – si e’ chiesto il pm durante la requisitoria -. E’ il contributo dichiarativo che Graviano ha voluto dare in questo processo. C’e’ un passaggio che noi, da italiani, non possiamo far finta di non aver sentito: ‘Mi chiesero di non fare cessare le stragi’. Ecco qual e’ la spiegazione. Ecco che cosa Graviano ci e’ venuto a raccontare rispondendo a determinate domande quando poteva non farlo. Ecco come si collega il ‘colpo di grazia’”. Il gesto eclatante doveva essere il fallito attentato ai carabinieri allo stadio Olimpico di Roma. La scelta di organizzarlo da parte di Graviano potrebbe essere collegata ad altri ambienti: “Verosimilmente – ha detto Lombardo – tra il 23 ed il 30 gennaio 1994 in Italia doveva succedere qualcosa. Trovate voi cosa. Rimaniamo tutti in prudente attesa che anche su questo fronte si possano dare risposte. Se tra il 23 e il 30 gennaio doveva succedere qualcosa, Graviano lo sapeva e per questo aveva fretta. La distanza tra il bar Doney e l’hotel Majestic e’ di 120 metri. Come direbbe Lucarelli: questa è un’altra storia. Ma non è un’altra storia”. Il riferimento, anche se non è stato esplicito, è alla nascita di Forza Italia. IL DISPACCIO 3.7.2020

 

 

‘Ndrangheta stragista. Lombardo: ”Graviano arrabbiato. Suo arresto non era parte dell’accordo”

Prosegue la requisitoria del pm: “Filippone riferimento al vertice del mandamento Tirrenico”

di Aaron Pettinari

“C’è una domanda che mi pongo e lascio a voi la risposta nella sentenza. Non sarà per caso che la fretta di Graviano (per l’attentato all’Olimpico, ndr) era legato al fatto che nella settimana successiva all’incontro nel bar Doney bisognava annunciare la discesa in campo di Berlusconi? Io altri accadimenti, alla luce del suo lungo e dettagliato esame, non li ho intravisti. Anzi, la sua particolare propensione ad indicare con precisione quel tipo di relazione mi fa pensare, ma potrei sbagliarmi, che l’accelerazione fosse proprio legata a questo”. E’ questo il quesito che il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo ha lasciato aperto, rivolgendolo alla Corte d’Assise, alla luce di una serie di elementi di prova passati in rassegna nel corso della requisitoria. Se nel corso della mattina il riferimento era stato fatto senza citare il partito che stava venendo alla luce, nel pomeriggio il pm non ha usato mezzi termini. Anzi si è spinto anche oltre dando una chiave di lettura rispetto alla rabbia manifestata dal capomafia siciliano durante l’esame nel corso del processo. “Che sia arrabbiato lo abbiamo sentito tutti. Ed è il suo arresto che gli fa rabbia – ha affermato Lombardo proseguendo la requisitoria nel processo ‘Ndrangheta stragistaVerosimilmente perché quello che succede il 27 gennaio non se lo aspettava. E non se lo aspettava nella misura in cui, se quello che dice Spatuzza è vero, ed è vero, lui aveva preso degli accordi. E la rabbia di Giuseppe Graviano ci consente di dire che gli accordi presi non comprendevano la sua cattura”.

Tradimento

La cronologia dei fatti non è di poco conto. 

Tra il 18 ed il 21 gennaio ci sarebbe stato l’incontro con Spatuzza. “Dal 18 gennaio – ha ricordato il pm – all’hotel Majestic saranno in corso una serie di incontri legati agli ultimi dettagli per definire la nascita ufficiale del movimento politico Forza Italia che ritengo debbano essere valutati anche alla luce di quanto ci è stato detto da Graviano ed anche rispetto a quanto emerso nel dibattimento quando sono stati sentiti i testimoni che al tempo erano in servizio nell’hotel e che hanno riferito che presero parte agli incontri anche persone dall’evidente e marcato accento siciliano e calabrese”. 

Ma vi è di più.

Il 27 gennaio 1994 i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, responsabili delle stragi di Capaci e di via D’Amelio nel ‘92, delle bombe contro Maurizio Costanzo e le basiliche di Roma nel ‘93, e delle stragi di Firenze e Milano, sempre nel ‘93, furono arrestati a Milano. Il giorno prima, 26 gennaio 1994, Silvio Berlusconi annunciava la sua discesa in campo. 

Lo stesso Berlusconi che Graviano ha tirato in ballo tanto nelle intercettazioni registrate nel carcere di Ascoli Piceno con Umberto Adinolfi quanto durante il suo esame nel corso del dibattimento. 

Lombardo, rivolgendosi alla Corte, ha ricordato alcuni passaggi in cui il capomafia ha manifestato il proprio sospetto di essere stato venduto. L’unica risposta possibile, a suo modo di vedere, di fronte alla “bella vita” che riusciva a fare, da latitante, tra la Sardegna e il nord Italia.

“E’ emerso in base all’istruttoria che a Graviano si arriva da una fonte confidenziale. Assolutamente legittimo. Ma è vero che non c’era alcuna indagine – ha ricordato Lombardo -. Noi possiamo comunque cogliere il dato che lui è arrabbiato per questo”. Un altro elemento importante, secondo il magistrato, è la risposta che Graviano dà al suo “colonnello” Spatuzza, in merito al motivo per cui era necessario andare avanti con l’attentato all’Olimpico anziché concentrarsi sull’attentato al pentito Totuccio Contorno che gli uomini di Cosa nostra avevano individuato proprio a Roma. Non si poteva utilizzare l’esplosivo delle stragi in Continente per il collaboratore perché avrebbe significato mettere la firma sugli stessi. Diversamente si poteva utilizzare per la strage dei carabinieri perché si doveva mandare un messaggio. “Un parallelismo importante – ha spiegato Lombardo – che riprende la stessa logica della firma degli M12, riferibile ai tre episodi calabresi. E’ quello il momento in cui viene chiesto che le stragi non si fermassero. Ed è lì che si fa il riferimento ai calabresi che si sono mossi”. Il pm calabrese, seguendo la logica temporale, ha anche evidenziato un altro aspetto: “Nella logica di non interrompere la strategia stragista il fallito attentato all’Olimpico per il malfunzionamento del telecomando è una mancata risposta rispetto a richieste non eseguite. 

Per riorganizzarsi serviva tempo perché non è un attentato come tanti altri. E allora, di fronte alla fretta, ecco che si è chiesto agli amici calabresi che il 1° febbraio interverranno con l’episodio più teatrale di tutti. Giuseppe Calabrò si mette di spalle in prossimità di una concessionaria d’auto Citroen e spara nuovamente contro le forze dell’ordine. Questo è il dato obiettivo. E la rivendicazione di questi attacchi (Falange armata, ndr) ha un peso enorme”.

Il ruolo di Rocco Santo Filippone

Un altro argomento affrontato nel corso della requisitoria anche il ruolo di Rocco Santo Filippone, imputato come mandante assieme a Graviano. Un ruolo inserito all’interno di un circuito criminale di alto livello di cui hanno riferito collaboratori di giustizia come Nino Lo Giudice e Consolato Villani. Lombardo ha ricordato le intercettazioni dell’inchiesta milanese Infinito, laddove Filippone viene indicato come il capo del mandamento Tirrenico. “I capi mandamentali hanno un compito di individuazione delle strategie che devono essere attuate – ha ribadito Lombardo – un compito diverso rispetto al Crimine di Polsi e alla Provincia. Le decisioni operative sono riservate ai soggetti di vertice dei tre mandamenti, Ionico, Centro e Tirrenico e all’interno si individuano quegli enti territoriali che guidano la macro area”. Per il lato Tirrenico, a nome dei Piromalli-Molé, quel ruolo lo avrebbe tenuto proprio Rocco Santo Filippone. “Ci hanno spiegato i collaboratori di giustizia – ha aggiunto il pm reggino – che c’è una ‘Ndrangheta dell’apparenza ed una della sostanza. Ed i capi delle famiglie storiche si affidano a uomini di loro fiducia. E per Pino Piromalli questa figura era Rocco Santo Filippone, come emerso dall’istruttoria”

ANTIMAFIA DUEMILA 03 Luglio 2020

‘Ndrangheta stragista, Lombardo: ”Tra Graviano e Piromalli un comune denominatore imprenditoriale”

ANTIMAFIA DUEMILA 03 Luglio 2020

“Strategia stragista si innesta in una serie di vicende politiche”

di Aaron Pettinari 

L’immagine della “guerra totale” allo Stato, con le stragi e gli attentati organizzati e perpetrati contro l’arma dei Carabinieri tra la fine del 1993 ed i primi mesi del 1994, si intravede un altro piano della storia del Paese, tratteggiata da uno “sfondo piduista e gelliano che ruota attorno ai progetti politici separatisti”. Anche di questo si è parlato nel secondo giorno di requisitoria del procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, nel processo ‘Ndrangheta stragista. 

Il magistrato, dopo aver evidenziato i motivi che si nascondevano dietro al “massacro dei carabinieri” in Calabria e nel cuore di Roma con la strage dell’Olimpico (“Si destabilizzava la tenuta di uno Stato democratico colpendo i rappresentanti di quella sicurezza per i cittadini che ognuno di noi identifica con le forze dell’ordine”), ancora una volta ha evidenziato i contorni di un disegno criminale che partiva da lontano.

L’asse Graviano-Piromalli e il comune denominatore imprenditoriale

Nella ricostruzione del pm un ruolo importante viene rappresentato dall’asse Cosa nostra-‘Ndrangheta che si concretizza anche sul fronte imprenditoriale. Lombardo ha ricordato le parole di Giuseppe Graviano rispetto all’esistenza di rapporti preesistenti nel tempo tra la sua famiglia e un determinato gruppo imprenditoriale, con tanto di riferimento ad una presunta scrittura privata da cui questi rapporti dovrebbero essere confermati(nello specifico il boss di Brancaccio aveva fatto riferimento a venti miliardi di lire che sarebbero finiti a “Milano 3, e nelle televisioni Mediaset”, ndr). Quindi ha evidenziato alla corte come vi fosse un “comune denominatore imprenditoriale tra la famiglia Graviano, come lui stesso ha raccontato, e la famiglia Piromalli. E questo comune denominatore imprenditoriale è il gruppo Fininvest”.

Il dato viene rimarcato dal pm partendo dalla vicenda che ha visto protagonista l’imprenditore Angelo Sorrenti, una figura da ritenere a tutti gli effetti come “un uomo di Pino Piromalli“. “E’ a quest’ultimo – ha ricordato il pm – che il giovane imprenditore si rivolge per portare avanti il proprio progetto imprenditoriale. E per farci capire come si colloca la figura di Pino Piromalli in quegli anni Sorrenti lo paragona al Procuratore della repubblica di Palmi dicendo, sostanzialmente, che sul territorio ci sono due autorità. Uno che rappresenta l’antistato e l’altro lo Stato”.

Il processo “Tirreno” mise in evidenza i rapporti tra il Sorrenti e la famiglia Piromalli e fece luce sulla causale di una serie di attentati che a partire dal dicembre del ’93 Sorrenti (gestore di ripetitori tv per conto di Mediaset, all’epoca Fininvest) iniziò a subire i primi attentati agli impianti per essere venuto meno a dei pagamenti. “La sentenza Tirreno – ha ricordato Lombardo in aula – afferma che l’estorsione ai danni di Sorrenti non esiste e che quello altro non era che un dividendo mafioso tra il prestanome ed il suo dominus”. Dunque si afferma che Angelo Sorrenti è un Piromalli”.

Nel corso della requisitoria Lombardo ha anche ripercorso la storia e l’evoluzione della ‘Ndrangheta, che ha attraversato le guerre di mafia e che in un dato momento ha visto trionfare le famiglie dei Piromalli e De Stefano. Le stesse famiglie che, ha ricordato il pm, “ci dicono i collaboratori di giustizia, sono Cosa nostra”. Un discorso che vale per “tutti i discendenti di questi storici capimafia. Un livello più alto di tutto i resto, insieme a pochissimi altri, che coincidono con i nomi fatti da Giuseppe Di Giacomo“.

L’eversione dell’ordinamento democratico

Secondo il magistrato calabrese “questa solida alleanza di organizzazioni criminali si traduce in una complessiva intesa sul tema dell’eversione dell’ordinamento democratico con strategia che opera su più piani”.

Un evoluzione che si manifesta all’interno di una situazione di “instabilità politica e della caduta di una serie di stabili riferimenti, non soltanto ideologici”. 

“Guardando al ruolo della ‘Ndrangheta e Cosa nostra in quegli anni – ha proseguito Lombardo – avrete questa immagine davanti agli occhi: la componente politica vacilla, mentre Cosa nostra e ‘Ndrangheta sono al massimo dei loro splendore. In quel momento storico dei primi anni Novanta sono potentissime, ricche, inserite in tutti i gangli vitali di un sistema economico e politico che ovviamente è fortemente inquinato dalle mafie. Però questo rischia di crollare”. 

Per questo motivo vi è la necessità di intervenire, di evolvere i rapporti per non interrompere il circuito di potere di cui esse facevano parte. 

“Tra le iniziative – ha concluso Lombardo – quelle dei movimenti separatisti, di cui Calabria Libera sarà la prima componente già nel 1991; e poi le leghe meridionali”. A tal proposito il magistrato ha anche ricordato le parole dell’ideologo della Lega Nord, Gianfranco Miglio, che in un’intervista a Il Giornale arrivò ad affermare che “non tutto era male di quello che ruotava attorno alle mafie. E che quasi quasi era il caso che alcuni aspetti andassero costituzionalizzati. Un discorso che, raccontava, aveva fatto con Giulio Andreotti“. Un argomento che verrà approfondito alla prossima udienza.