PASQUALE DI FILIPPO


DI FILIPPO Pasquale Genero di SPADARO Tommaso – uomo donore” della famiglia” di Porta Nuova che aveva per qualche tempo sostituito anche il CALO’ nella reggenza di questo mandamento nel periodo in cui questi si trovava a Roma – il DI FILIPPO era stato egli stesso molti anni dopo uomo di fiducia” del BAGARELLA, essendo legato da vincoli di affinità con MARCHESE Antonino, a sua volta cognato del BAGARELLA. Dopo larresto del RIINA il BAGARELLA aveva accresciuto il suo ruolo operativo allinterno di COSA NOSTRA ed il DI FILIPPO si era reso responsabile per suo conto dellesecuzione di gravissimi delitti, di cui si è spontaneamente autoaccusato dopo linizio della sua collaborazione. Sottoposto, infatti, a fermo nel giugno del 1995 per il reato di cui allart. 416 bis c.p., il DI FILIPPO manifestò subito la volontà di fornire indicazioni che consentirono dopo tre giorni la cattura del latitante BAGARELLA. Le sue propalazioni portarono, inoltre, allindividuazione di alcuni immobili utilizzati dallorganizzazione mafiosa.  La spontaneità delle confessioni rese dal DI FILIPPO in ordine a gravi reati per i quali non era raggiunto da alcun indizio di reità e le indicazioni dallo stesso fornite per la cattura del BAGARELLA denotano la lealtà della collaborazione dallo stesso intrapresa con lA.G. ed il suo elevato grado di affidabilità. Nellambito del presente processo il suo apporto probatorio si è rivelato utile in particolar modo per le conferme fornite alle indicazioni, già da altre fonti emergenti, circa lesistenza di canali attraverso i quali il CALO’ riceveva informazioni e trasmetteva le sue decisioni sulle più importanti vicende che interessavano lorganizzazione mafiosa. Indicazioni che appaiono significative anche perché derivanti da una sua personale conoscenza dei fatti, dato il suo rapporto di parentela con lo SPADARO, inserito nella stessa famiglia” del CALO’ e con lui a lungo detenuto. 


Il killer amico di Messina Denaro: “Matteo hai perso, ora arrenditi” Parla il pentito Di Filippo: “Lo conoscevo bene, lui custodisce ancora i segreti delle stragi. Tutta la sua famiglia è finita in carcere ed è sempre più isolato, prima o poi qualcuno lo tradirà” La voce al telefono è rotta dall’emozione: «Mia figlia non mi parla più da un anno, da quando ha scoperto cosa facevo a Palermo guardando un film in Tv». Lui è Pasquale Di Filippo, ha 56 anni, è stato un killer di Cosa nostra, dal 1995 è uno dei pentiti più importanti dell’antimafia e vive lontano dalla Sicilia. Dice: «A mia figlia, che ha 15 anni, ho spiegato che ho fatto arrestare il superlatitante Leoluca Bagarella, ma non le basta. Non le basta che ho svelato il nome dell’assassino di don Pino Puglisi, e che ho fermato i responsabili delle stragi di Roma, Milano e Firenze. È arrabbiata con me, mi saluta appena. Le ho detto: amore di papà, mi impegnerò ancora di più per fermare l’ultimo grande pericolo, che è Matteo Messina Denaro, latitante da troppo tempo. Voglio sfidarlo con le mie parole, non mi fa paura. Ecco perché le ho telefonato».

Cosa vorrebbe dire a Messina Denaro?  «Io lo conosco bene, ci siamo incontrati più volte fra il 1994 e il 1995, quando era latitante a Palermo. È un tipo molto intelligente, scaltro, amava vestire sempre alla moda. Vorrei dirgli che lui sarà pure sfuggito all’arresto, ma i familiari sono tutti in galera per causa sua. Matteo, Cosa nostra è finita, lo Stato è più forte. Rifletti, ti resta solo una cosa da fare: costituisciti e liberati da quel diavolo che prende chi fa parte dell’organizzazione, io mi sono liberato».
Quali segreti custodisce Messina Denaro? «Quelli della stagione delle bombe. Gli vorrei dire: io lo so che le stragi le avete fatte voi, ma ci sono stati altri poteri che vi hanno suggerito, oppure obbligato. Tu sai chi sono questi poteri, io no altrimenti lo avrei già detto. I poteri che vi hanno sfruttato e rovinato». Anche Messina Denaro ha una figlia. «Deve costituirsi per riabbracciare quella ragazza che soffre. Anche se questi non sono affari miei».
Dove lo incontrava a Palermo? «Fra il 1994 e il 1995 ci vedevamo in un appartamento nella zona di viale Michelangelo, messo a disposizione da Nino Mangano, il reggente del mandamento di Brancaccio, di cui facevo parte. C’erano anche Leoluca Bagarella, il cognato di Riina, e Salvatore Grigoli, l’insospettabile titolare di un negozio di articoli sportivi che ha fatto una quarantina di omicidi, fra cui quello del parroco. Una volta, Messina Denaro chiese a me e a Grigoli di andare ad Enna, per spedire una lettera. C’era l’indirizzo di una donna straniera, all’estero».
Come si spostava Messina Denaro? «Si metteva accanto a Pizzo, che andava in giro con il Fiorino dell’azienda acquedotti, per cui lavorava».
Possibile che da anni sia diventato un fantasma nonostante le indagini incessanti coordinate dalla procura di Palermo?
«Matteo ama la bella vita, ma è anche capace di restare rinchiuso dentro una grotta. Oggi, ho solo un rimpianto».
Quale? «Quando fui arrestato, dissi che presto dovevo rivedere tutti, in un appartamento di via Pietro Scaglione: dovevano darmi le ultime direttive per organizzare l’omicidio di Claudio Martelli a Roma. Mi fu risposto che era troppo rischioso tornare in libertà».
Chi è oggi Messina Denaro?
«Ovunque egli sia, ha sempre qualcuno che comanda al suo posto in provincia di Trapani. E comunque l’ultima parola è sempre la sua per le cose importanti»STA]
Chi è oggi Pasquale Di Filippo?
«Negli anni Ottanta, facevo da autista a mio suocero, il capomafia Tommaso Spadaro, mio fratello era invece un componente del gruppo di fuoco di Ciaculli. Oggi sono una persona che fa una vita normale, finalmente. Ho scontato 11 anni fra carcere e domiciliari per i quattro omicidi che ho confessato. Ma la vera condanna la porto dentro. Chiedo perdono a mia figlia e alle persone a cui ho fatto del male. Ho cercato di rimediare, fermando quei folli che volevano portare avanti le stragi. E per questo mi hanno condannato a morte. So di alcune lettere di minacce arrivate nelle redazioni di due giornali».
Perché sua figlia non vuole parlarle? «Sapeva che eravamo andati via da Palermo per la cattura di Bagarella. Niente altro. Poi, vedendo la serie Tv “Il Cacciatore” ha sentito cose non vere: che avrei commesso una ventina di omicidi, che sarei stato un torturatore. Tutte falsità, ho dato mandato ai miei avvocati, Sergio Maglio, Mario Geraci e Carlo Fabbri, di fare causa alla Rai. Ma, intanto, mia figlia non mi vuole più parlare. Alcuni psicologi la stanno aiutando, devo dire grazie al servizio centrale di protezione».
Come finirà con Messina Denaro? «Stringerà ancora di più la cerchia dei suoi fidati. Ma prima o poi qualcuno lo tradirà».  SALVO PALAZZOLO15 SETTEMBRE 2019 la repubblica


Ex killer di Cosa nostra: “Ho paura, se Bagarella esce dal carcere mi uccide”  “Se uno come lui sa che deve uscire in permesso, si organizza prima e prepara non uno ma sei omicidi”. A parlare è Pasquale Di Filippo, 56 anni, pentito: teme che i latitanti che ha fatto arrestare dal 1995 possano tornare liberi con le sentenze della Corte Europea e della Corte Costituzionale Una telefonata alla redazione del Fatto Quotidiano e l’allarme: “Se Leoluca Bagarella esce dal carcere con un permesso premio mi viene a cercare e mi uccide”. A parlare è l’ex killer di Cosa Nostra, del gruppo di fuoco del clan Brancaccio, Pasquale Di Filippo, 56 anni, pentito dal 1995.  Lui, genero di don Masino, è un uomo tormentato, che ha deciso di affidare le sue paure alla redazione del Fatto. Di Filippo teme che i capi mafia che ha fatto arrestare dal 1995 (anno del suo percorso di collaborazione con la giustizia) possano ricevere permessi premio e uscire dalla galere con le sentenze della Corte Europea e della Corte Costituzionale.  “Queste persone si stanno facendo l’ergastolo, mi riferisco a Bagarella, Nino Mangano, Giorgio Pizzo, Cosimo Lo Nigro, Fifetto Cannella – ha detto -. Io ho paura perché lo so che Bagarella si è fatto 24 anni di carcere al 41-bis e non ha pensato ad altro che a me. Come Nino Mangano. Come gli altri. Non c’è stata una notte che non hanno pensato a me. Io li ho fatti arrestare. Se uno come Bagarella sa che deve uscire in permesso, si organizza prima e prepara non uno ma sei omicidi”. Di Filippo teme che questi personaggi, Bagarella su tutti, una volta in libertà gliela faranno pagare cara. Dopo le stragi “non avevano finito. Era pronto un missile da lanciare contro il Tribunale di Palermo. Non fosse stato per me – ha confidato al giornalista del Fatto quotidiano – mi creda, Bagarella avrebbe ucciso molti giudici e pure giornalisti. Non aveva più niente da perdere”. “Io sono protetto? Sì, ma io so che Bagarella e altri come Graviano hanno sempre avuto agganci con soggetti strani che gli raccontano le cose. Con quelle amicizie un domani mi potrebbero trovare. Mi dice come facevano a sapere che Falcone doveva partire a quell’ora con l’aereo da Roma?”. Per questo Di Filippo chiede allo Stato di fare una legge che constringa i boss “irriducibili” a rimanere dietro le sbarre. “Uno che non si è pentito vuol dire che fa parte ancora di Cosa Nostra e gli pagano gli avvocati e gli mantengono la famiglia – ha detto -. Come fa la Corte di Strasburgo a pensare che si riabiliti solo perché in carcere fa il bravo? Bagarella e gli altri si sarebbero rieducati in carcere? Ma di cosa stiamo parlando?”. Quindi l’appello al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. “Io sono sicuro che se il presidente Sergio Mattarella fosse stato lì non avrebbe mai firmato una sentenza del genere. Il presidente è palermitano, sa cos’è la mafia perché gli ha ucciso il fratello. Io gli chiedo di non fare mai passare questa legge”. PALERMO TODAY 23.11.2019


Il pentito Di Filippo: ”Nino Sacco, uomo di Bagarella, è ai domiciliari. Ora ho paura L’ex killer di Brancaccio: “L’ho fatto arrestare io, è legatissimo ai corleonesi che vogliono vendicarsi” E sulle scarcerazioni dei boss assicura: “Hanno festeggiato”  Novembre 2019, il pentito di Cosa nostra Pasquale Di Filippo telefona preoccupato a Il Fatto QuotidianoLeoluca Bagarella (in foto) si è fatto l’ergastolo perché io l’ho fatto arrestare – dice al giornalista Marco Lillo – Ora ho paura perché so che in questi 24 anni di carcere al 41-bis non ha pensato ad altro che a me e se dovesse uscire in permesso verrà a cercarmi”Era il periodo in cui l’Italia subiva l’ennesimo schiaffo dalla Corte di Strasburgo con la discussa sentenza che permetteva anche ai boss irriducibili di poter accedere a permessi premio. Da quella telefonata sono passati alcuni mesi. Bagarella è rimasto in cella in isolamento, e l’Italia è nel pieno di una pendemia senza precedenti, ma quella paura non è andata via. Anzi, si è fatta ancor più concreta perché questa volta dalle carceri qualcuno che gliel’ha giurata è uscito sul serio. Si tratta di Nino Sacco“componente del triumvirato che reggeva il mandamento di Brancaccio”, in pratica un altro degli uomini di Cosa nostra che PasqualeDi Filippo ha fatto arrestare negli anni con la sua collaborazione con la giustizia avviata nel 1995. Nino Sacco è tra i 376 boss che nell’ultimo mese e mezzo sono tornati a casa perché secondo i giudici in carcere erano maggiormente esposti a rischio contagio da Covid-19. “Adesso, ho paura. – dice l’ex killer sempre al telefono ma questa volta a Repubblica – Perché io ho raccontato tanti segreti di quel capomafia, ho svelato che era uno dei fidati di Leoluca Bagarella,il cognato di Salvatore Riina“Sacco è legatissimo ai Corleonesi – aggiunge – che mi hanno condannato a morte. E quella sentenza non è stata mai revocata”. Nel corso della sua telefonata Di Filippo afferma inoltre che a suo dire “i boss di Palermo hanno di sicuro festeggiato per quelle scarcerazioni. So come ragionano, sono stato anche io un mafioso. Hanno festeggiato per la disorganizzazione dell’antimafia”. Secondo il pentito, così come Nino Sacco è riuscito ad ottenere i domiciliari, anche altri potrebbero avere successo. “Loro le proveranno tutte – assicura – perché fanno questo di mestiere: approfittare delle occasioni per trarre il massimo del vantaggio. Ecco perché le istituzioni, in cui ho piena fiducia, devono recuperare al più presto, facendo capire che si è trattato solo di un momento di confusione e di disorganizzazione”.Sempre su questo punto il collaboratore di gustizia afferma che tutto ciò “non sarebbe dovuto accadere”. “Perché Cosa nostra vive anche di segnali. E ques to è stato davvero brutto. Davanti ai mafiosi non si indietreggia, mai. Altrimenti – conclude – ti fregano, un’altra volta”ANTIMAFIA DUEMILA 09 Maggio 2020 di Karim El Sadi


L’appello del pentito Di Filippo a Messina Denaro: ”Consegnati, hai perso”  L’ex killer: “Lui custodisce ancora i segreti delle stragi” “Vorrei dire a Messina Denaro che lui sarà pure sfuggito all’arresto, ma i familiari sono tutti in galera per causa sua. Matteo, Cosa nostra è finita, lo Stato è più forte. Rifletti, ti resta solo una cosa da fare: costituisciti e liberati da quel diavolo che prende chi fa parte dell’organizzazione, io mi sono liberato”. E’ questo l’appello del collaboratore di giustizia, Pasquale Di Filippo, 56 anni, killer di Cosa nostra e dal 1995 è uno dei pentiti più importanti, nei confronti del superlatitante Matteo Messina Denaro in un’intervista su “La Repubblica” edizione Palermo di oggi. L’ex boss conosce bene la primula rossa di Castelvetrano, e sa anche qualI segreti custodisce: “Quelli della stagione delle bombe. Gli vorrei dire: io lo so che le stragi le avete fatte voi, ma ci sono stati altri poteri che vi hanno suggerito, oppure obbligato. Tu sai chi sono questi poteri, io no altrimenti lo avrei già detto. I poteri che vi hanno sfruttato e rovinato”. Di Filippo ha ricordato gli episodi in cui ha incontrato il super boss trapanese: “Fra il 1994 e il 1995 ci vedevamo in un appartamento nella zona di viale Michelangelo, messo a disposizione da Nino Mangano, il reggente del mandamento di Brancaccio, di cui facevo parte. C’erano anche Leoluca Bagarella, il cognato di Riina, e Salvatore Grigoli, l’insospettabile titolare di un negozio di articoli sportivi che ha fatto una quarantina di omicidi, fra cui quello di un parroco. Una volta, Messina Denaro chiese a me e a Grigoli di andare ad Enna, per spedire una lettera. C’era l’indirizzo di una donna straniera, all’estero”. Il pentito ha poi raccontato che dopo il suo arresto sarebbe dovuto tornare in libertà: “Quando fui arrestato, dissi che presto dovevo rivedere tutti in un appartamento di via Pietro Scaglione: dovevano darmi le ultime direttive per organizzare l’omicidio di Claudio Martelli a Roma. Mi fu risposto che era troppo rischioso tornare in libertà”. Mentre per quanto riguarda gli spostamenti e la latitanza di Messina Denaro, Di Filippo ha spiegato che il boss “si metteva accanto a Pizzo, che andava in giro con il Fiorino dell’azienda acquedotti, per cui lavorava – ha continuato – Matteo ama la bella vita, ma è anche capace di restare rinchiuso dentro una grotta”.
L’ex killer, che ha fatto arrestare il super boss corleonese Leoluca Bagarella e rivelato il nome dell’assassino di padre Pino Puglisi, ha raccontato del rapporto conflittuale che vive con sua figlia: “A mia figlia, che ha 15 anni, ho spiegato che ho fatto arrestare il superlatitante Leoluca Bagarella, ma non le basta. Non le basta che ho svelato il nome dell’assassino di don Pino Puglisi, e che ho fermato i responsabili delle stragi di Roma, Milano e Firenze. È arrabbiata con me, mi saluta appena. Le ho detto: amore di papà, mi impegnerò ancora di più per fermare l’ultimo grande pericolo, che è Matteo Messina Denaro, latitante da troppo tempo. Voglio sfidarlo con le mie parole, non mi fa paura”. Di Filippo ha anche spiegato la “condanna” che porta dentro di sé: “Chiedo perdono a mia figlia e alle persone a cui ho fatto del male. Ho cercato di rimediare, fermando quei folli che volevano portare avanti le stragi. E per questo mi hanno condannato a morte. So di alcune lettere di minacce arrivate nelle redazioni di due giornali”. E riguardo il motivo per cui la figlia non vuole più sentirlo, il pentito ha raccontato: “Sapeva che eravamo andati via da Palermo per la cattura di Bagarella. Niente altro. Poi, vedendo la serie Tv “Il Cacciatore” ha sentito cose non vere: che avrei commesso una ventina di omicidi, che sarei stato un torturatore. Tutte falsità, ho dato mandato ai miei avvocati, Sergio MaglioMario Geraci e Carlo Fabbri, di fare causa alla Rai. Ma, intanto, mia figlia non mi vuole più parlare. Alcuni psicologi la stanno aiutando, devo dire grazie al servizio centrale di protezione”.
In conclusione, il giornalista di “La Repubblica” ha ricordato al pentito che anche Messina Denaro ha una figlia: “Deve costituirsi per riabbracciare quella ragazza che soffre. Anche se questi non sono affari miei”.  
16 Settembre 2019 di AMDuemila

 

a cura di Claudio Ramaccini, Direttore Centro Studi Sociali contro la mafia – PSF