12 marzo 1992 Il “tradimento” di Salvo Lima e la vendetta di Cosa nostra

 

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OMICIDIO SALVO LIMA

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L’omicidio che segnò l’inizio della stagione  delle stragi


L’omicidio di Salvo Lima

 

Trent’anni fa a Palermo la mafia corleonese uccise il suo referente politico, per vendicarsi delle condanne del maxiprocesso

 

La mattina del 12 marzo 1992 viene ucciso a Palermo Salvo Lima, il più potente politico siciliano, leader della Democrazia cristiana nell’isola. A decidere il suo assassinio furono Totò Riina e Bernardo Provenzano, i capi dei corleonesi, la mafia vincente di quegli anni. Secondo le indagini e i processi che seguirono, Lima fu ucciso perché non era riuscito a impedire le tante condanne inflitte ai mafiosi al termine del maxiprocesso, il più grande processo penale mai svolto in Italia.
Gli imputati erano stati 475: al termine del processo, dopo 22 mesi di dibattimento, furono decise 346 condanne. Ci furono 19 ergastoli, tra cui quelli di Riina e Provenzano, latitanti, e 2.665 anni complessivi di carcere. I boss mafiosi avevano sperato che, come già era accaduto in passato, la Corte di cassazione potesse annullare l’esito dei processi d’assise e d’appello invece, il 30 gennaio di quell’anno, tutte le condanne vennero confermate. I vertici di Cosa Nostra, che avevano già deciso di colpire i politici considerati non più affidabili e i magistrati del pool che aveva reso possibile il maxiprocesso, diedero così inizio alla catena di omicidi e attentati portando, con le stragi del 1992 e del 1993, l’attacco direttamente allo Stato.
Negli anni Sessanta Salvo Lima era stato due volte sindaco di Palermo, con Vito Ciancimino assessore ai Lavori pubblici. Fu il periodo del cosiddetto «sacco di Palermo», durante il quale la giunta comunale concesse 4mila licenze edilizie (di cui 1.600 a prestanome) e decise un’infinità di varianti al Piano regolatore. Eletto parlamentare e poi europarlamentare, Lima fu il referente di Giulio Andreotti in Sicilia. Il sospetto che avesse rapporti con Cosa Nostra comparve più volte in varie relazioni della Commissione parlamentare antimafia, e la Camera respinse quattro volte richieste di autorizzazione a procedere nei suoi confronti.
Vari collaboratori di giustizia negli anni seguenti alla sua morte sostennero che Lima avesse stretti rapporti con i costruttori legati alle cosche palermitane e che fosse il referente politico dei corleonesi. Tommaso Buscetta, collaboratore di giustizia, raccontò ai magistrati di conoscere bene Lima in quanto il padre era un “uomo d’onore”, cioè affiliato alla mafia, e che lo stesso Lima poteva contare sui pacchetti di voti elettorali delle cosche. Nel 1993, la Commissione parlamentare antimafia guidata da Luciano Violante concluse che «risultano i collegamenti di Salvo Lima con uomini di Cosa Nostra. Egli era il massimo esponente, in Sicilia, della corrente democristiana che fa capo a Giulio Andreotti. Sulla eventuale responsabilità politica del senatore Andreotti, derivante dai suoi rapporti con Salvo Lima, dovrà pronunciarsi il Parlamento».
La mattina del 12 marzo 1992 Lima uscì dalla sua villa in viale delle Palme, a Mondello, assieme all’amico professore universitario Alfredo Li Vecchi. Ad attenderli c’era l’Opel Vectra di un altro amico, l’assessore provinciale al Patrimonio Nando Liggio. Erano attesi all’hotel Palace dove si stava preparando un convegno a cui avrebbe dovuto partecipare anche Andreotti. Lima, in auto, si sedette davanti. Furono sorpassati da una moto con sopra due uomini con il casco integrale. La persona seduta dietro iniziò a sparare, ma lo fece quando la moto aveva già superato l’auto. L’Opel Vectra si fermò e i tre occupanti scesero di corsa e scapparono a piedi.
Lima gridò: «Tornano, Madonna santa tornano…» e corse lungo la strada. La moto fece inversione e tornò indietro, il passeggero scese e sparò due colpi alla schiena di Lima e poi un terzo alla nuca. I due amici dell’europarlamentare si nascosero dietro a un cassonetto della spazzatura: gli attentatori li ignorarono e scapparono. Si seppe dopo che Riina aveva invece dato l’ordine di uccidere tutti, anzi per la precisione di «rompere le corna a tutti. Tutta la razza. Non deve restare niente». Raccontò Liggio nella sua deposizione: «Ho sentito soltanto le ultime parole di Salvino e l’ho visto scappare a piedi. È riuscito a percorrere una trentina di metri, ma è stato raggiunto da un killer che lo ha finito con un colpo alla nuca. Poi con Li Vecchi siamo scesi e ci siamo nascosti dietro i cassonetti. Solo quando non abbiamo sentito più sparare e il rombo della moto che andava via abbiamo capito che ci avevano risparmiato».
A uccidere Lima furono Giovanbattista Ferrante e Francesco Onorato, due mafiosi della cosca di San Lorenzo. Fu lo stesso Onorato, poi divenuto collaboratore di giustizia, a raccontare ai magistrati la pianificazione e l’esecuzione dell’attentato. Gli uomini di Cosa Nostra indossavano giubbotti antiproiettile, la moto era stata rubata da tempo ed era stata ferma, in attesa che servisse, in un garage dei corleonesi. «Appena lo abbiamo visto ci siamo avvicinati alla sua auto, Lima era con altri due», raccontò Onorato, «chi guidava la moto era emozionato, li ha sorpassati troppo. Così mi sono girato e gli ho sparato dei colpi di pistola per bloccarli. Sono sceso dalla moto, ho inseguito Lima e gli ho sparato».
Onorato spiegò poi nella sua confessione che Riina aveva dato ordine di uccidere tutti, «anche se non era solo. Allora ho cambiato pistola perché in Cosa Nostra mi dissero che dovevo andare con due o tre pistole perché un uomo d’onore non deve mai caricare, ma deve essere sempre pronto. Così ho preso l’altra pistola per uccidere gli altri due ma non me la sono sentita, mi sono sentito di graziarli. Poi Riina mi ha rimproverato».
Un altro mafioso, Antonino Giuffrè, anche lui divenuto collaboratore di giustizia, raccontò invece di come si svolse la riunione in cui venne deciso l’omicidio di Lima:

«Io ho partecipato alla riunione in Cosa Nostra dove appositamente c’è stata la famosa riunione della resa di conti tra Cosa Nostra e le persone ostili a Cosa Nostra, tra cui i politici da un lato e tra cui Salvo Lima e altri politici, e la resa dei conti nei confronti dei magistrati, quali Falcone e Borsellino… Da tenere presente che nella lista dei politici vi erano… Non vi era solo Lima, ma vi erano i Salvo, che poi Ignazio Salvo è stato ucciso, Mannino, Vizzini, Andò e altri personaggi importanti nell’ambito politico, appositamente per il discorso che era partito politicamente della inaffidabilità, ed ecco il discorso dell’87, quando c’è stato il cambiamento di rotta, venivano… Erano stati considerati inaffidabili questi politici».

Andreotti, allora presidente del Consiglio, arrivò a Palermo 24 ore dopo. Disse: «I calunniatori sono peggio degli assassini. O almeno uguali. E il mio amico Salvo Lima è stato per decenni un calunniato». Il leader socialista Bettino Craxi, intervistato quella sera dai telegiornali Rai, disse: «Non capisco, e le cose che non capisco mi preoccupano». Giovanni Falcone invece fece una previsione: «Adesso succederà di tutto», aggiungendo che temeva che l’omicidio di Lima «fosse solo il primo della reazione della mafia che, se non vuole perdere potere e prestigio, deve dimostrare di essere ancora la più forte».
Per l’omicidio di Lima vennero condannati all’ergastolo i boss mafiosi Totò Riina, Francesco Madonia, Bernardo Brusca, Pippo Calò, Giuseppe Graviano, Salvatore Montalto, Giuseppe Montalto, Salvatore Buscemi, Nenè Geraci, Raffaele Ganci, Antonino Giuffrè, Salvatore Biondino, Michelangelo La Barbera, Simone Scalici e Salvatore Biondo. Tra i nomi non fu incluso quello di Bernardo Provenzano perché allora si riteneva che fosse morto. Salvatore Cancemi e Giovanni Brusca furono condannati a 18 anni. I due esecutori materiali del delitto, poi divenuti collaboratori di giustizia, furono condannati a 13 anni di carcere.
A riassumere le motivazione dell’uccisione di Salvo Lima fu Giovanni Brusca, l’esecutore materiale dell’attentato a Giovanni Falcone: «Dopodiché viene la sentenza [del maxiprocesso n.d.r.] e si comincia a fare tutta una serie dì omicidi per… per toglierci le spine dal fianco, come si suol dire, o quelli che prima, tramite la mafia hanno avuto del bene, tipo l’onorevole Lima, la corrente andreottiana e lo stesso onorevole Andreotti… ne hanno avuto beneficio e poi ci hanno abbandonato, cioè si sono un po’ defilati e si sono guardati i suoi fatti e ci hanno un po’ abbandonati». IL POST


L’ultimo giorno dell’intoccabile.

 
C’era solo un intoccabile che se ne andava per Palermo senza scorta e senza paura. Era Salvo Lima. Per trentacinque anni aveva stretto nelle mani il governo della città. Era stato due volte sindaco e due volte sottosegretario. Da tre legislature era a Strasburgo, al Parlamento europeo. Salvo Lima era il protettore degli <>. Era il garante dell’equilibrio tra il potere legale e il potere criminale che lo Stato italiano aveva accettato per l’isola. Salvo Lima era un uomo d’onore. Era sano come un pesce ed era convinto di campare fini a cent’anni.
La storia di Palermo -e non solo quella- cambiò il giorno che il Corto lo fece uccidere.
A Palermo si può vivere o morire in tanti modi. Quello che i corleonesi scelsero per ammazzare Salvo Lima fu il più semplice e chiaro. Gli spararono alle spalle. Rincorrendolo lungo i vialetti di Mondello, tra i banani e i ficus che nascondevano le ville liberty della borghesia palermitana, tra le strade che portano il nome di giovani nobildonne dei primi del Novecento. Via Principessa Adelasia, via Principessa Iolanda, via Principessa Giovanna. Nel labirinto verde di Mondello, Salvo Lima fu abbattuto alle nove del mattino del 12 marzo 1992 vicino a un cassonetto dell’immondizia. Coprirono con un lenzuolo il cadavere. Arrivarono anche i pompieri. Con i getti d’acqua lavarono il marciapiede dove scorreva ancora il sangue. Nell’ultimo giorno della sua vita Salvo Lima si era svegliato all’alba. Aveva bevuto due caffè aspettando che arrivassero i suoi amici, i fedelissimi della corrente andreottiana, Una riunione alle sette del mattino le ultime mosse della campagna elettorale, il voto di aprile per il rinnovo del Parlamento. <> raccomandò Salvino ad Alfredo Li Vecchi, il professore universitario che gli faceva da autista quando era a Palermo. Il viaggio siciliano del presidente del Consiglio Giulio Andreotti era stato fissato per il 23 di marzo; quel giorno si sarebbe aperta anche una convention al Palace Hotel di Mondello.  (Da -IL CAPO DEI CAPI- Attilio Bolzoni e Giuseppe D’Avanzo)

<<Per anni sono stato ambasciatore che andava e veniva per riferire i messaggi più delicati>>.
(Giovanni Brusca)

Il discorso sui cugini Salvo mi permette di allargare l’argomento ai rapporti fra mafia e politica in quegli anni. Lo farò in modo molto riassuntivo per tante ragioni. Ma qualcosa da dire sui rapporti fra i Salvo, Salvo Lima -l’eurodeputato democristiano ucciso a Palermo il 12 marzo 1992-, Buscetta e Andreotti, ce l’ho. In alcuni fatti sono stato parte in causa.
Tocca proprio a me, quando scoppia la terza guerra di mafia, portare un messaggio degli esattori a Riina e a mio padre. Il messaggio viene da Andreotti: <<Manda a dire di darci una calmata perché diversamente lui non è più in grado di coprirci>>. Cosa che io faccio.
Per anni sono stato un ambasciatore che andava e veniva per riferire i messaggi più delicati. A quel che so io -di questo ebbi modo di parlarne con mio padre- il senatore era molto preoccupato della piega che stavano prendendo le vicende siciliane e palermitane in particolare.
Riina e mio padre non gradiscono. Mandano a dire ad Andreotti, sempre attraverso i Salvo, di <<farsi i fatti suoi>> perché noi gli avevamo dato tanto aiuto. Per aiuto si intendono voti. Avevamo sempre votato e fatto votare sia Lima che Mario D’Acquisto, anche lui della corrente andreottiana e che diventò presidente della Regione siciliana dopo l’uccisione di Mattarella. Si intendeva anche l’eliminazione dei loro avversari politici. Per esempio Michele Reina, segretario provinciale della DC, che essendo andreottiano era contro l’operato di Vito Ciancimino; Piersanti Mattarella; Pio La Torre, segretario del PCI siciliano; tutti avversari politici che si opponevano alla corrente siciliana del senatore. Molti di questi favori Riina li aveva fatti ai Salvo, proprio in considerazione della loro particolarissima posizione. Non ho mai dubitato che loro sapessero e che sapesse Andreotti.
Mattarella, per esempio, si opponeva alla costruzione delle ville a Pizzo Sella, la collina che sovrasta Mondello, cosa che interessava a Michele Greco, visto che la persona che stava lottizzando tutto era suo cognato. Gli altri politici che si vedevano uccisi i colleghi si preoccupavano e si mettevano sull’attenti di fronte a Cosa Nostra. (Saverio Lodato -HO UCCISO GIOVANNI FALCONE)

Salvo Lima, all’anagrafe Salvatore Achille Ettore Lima (Palermo, 23 gennaio 1928 – Palermo, 12 marzo 1992) siciliano della Democrazia Cristiana, ucciso da Cosa Nostra nel 1992. Figlio di un’archivista del comune di Palermo[1], si laureò in giurisprudenza e trovò un impiego presso il Banco di Sicilia[2]. Nel 1956 Lima venne eletto consigliere comunale a Palermo e divenne un sostenitore di Giovanni Gioia, aderendo alla corrente politicadi Amintore Fanfani nella Democrazia Cristiana, e divenendo nello stesso anno assessore ai lavori pubblici[3][4]La carriera politica e il “sacco di Palermo”. Nel 1958 Lima venne eletto sindaco di Palermo e il consigliere comunale Vito Ciancimino (anch’egli sostenitore di Gioia) gli subentrò nella carica di assessore ai lavori pubblici: durante il periodo della giunta comunale del sindaco Lima, delle 4.000 licenze edilizie rilasciate, 1.600 figurarono intestate a tre prestanome, che non avevano nulla a che fare con l’edilizia[5]; vennero apportate numerose modifiche al piano regolatore di Palermo che permisero alla ditta di Nicolò Di Trapani (pregiudicato per associazione a delinquere) di vendere aree edificabili ad imprese edili mentre il costruttore Girolamo Moncada (legato al boss mafioso Michele Cavataio) ottenne in soli otto giorni licenze edilizie per numerosi edifici[6]; il costruttore Francesco Vassallo (genero di Giuseppe Messina, capomafia della borgata Tommaso Natale[7]) riuscì ad ottenere numerose licenze edilizie nonostante violassero le disposizioni del piano regolatore[8].
Nel 1962 Lima divenne segretario provinciale della Democrazia Cristiana di Palermo fino al 1963 e poi dal 1965 al 1966 venne rieletto sindaco[9].
Nel 1968 Lima venne eletto alla Camera dei deputati ed abbandonò la corrente fanfaniana passando a quella andreottiana[10], dopo essersi accordato con l’onorevole Franco Evangelisti[11]: grazie al contributo elettorale di Lima, la corrente andreottianariuscirà ad ottenere rilievo nazionale[12][13]. Nel 1972 Lima venne nominato sottosegretario alle Finanze nel Governo Andreotti II e riconfermato durante i Governi Rumor IV e V mentre nel 1974 venne nominato sottosegretario al Bilancio e programmazione economica durante il Governo Moro IV[14]. Nel 1979 Lima venne eletto al Parlamento europeo, venendo riconfermato per altre due legislature.
L’agguato e la morte. Il 12 marzo 1992, dopo essere uscito dalla sua villa a Mondello per recarsi all’hotel Palace a organizzare un convegno in cui era atteso Giulio Andreotti, Lima era a bordo di un’auto civile Opel Vectra guidata da un docente universitario, Alfredo Li Vecchi, con un suo collaboratore e assessore provinciale, Nando Liggio; un commando con alla testa due uomini in motocicletta sparò alcuni colpi di arma da fuoco contro la vettura bloccandola. Gli altri occupanti del mezzo non furono presi di mira dagli assassini. Lima scese dall’auto di corsa cercando di mettersi in salvo, ma fu subito raggiunto dai killer e ucciso con tre colpi di pistola[15].
Nel 1998, nel processo per l’omicidio Lima, vennero condannati all’ergastolo i boss mafiosi Salvatore Riina, Francesco Madonia, Bernardo Brusca, Pippo Calò, Giuseppe Graviano, Pietro Aglieri, Salvatore Montalto, Giuseppe Montalto, Salvatore Buscemi, Nenè Geraci, Raffaele Ganci, Giuseppe Farinella, Benedetto Spera, Antonino Giuffrè, Salvatore Biondino, Michelangelo La Barbera, Simone Scalici e Salvatore Biondo mentre Salvatore Cancemi e Giovanni Brusca vennero condannati a 18 anni di carcere e i collaboratori di giustizia Francesco Onorato e Giovan Battista Ferrante (che confessarono il delitto) vennero condannati a 13 anni come esecutori materiali dell’agguato[16]. Nel 2003 la Cassazione annullò la condanna all’ergastolo per Pietro Aglieri, Giuseppe Farinella, Giuseppe Graviano e Benedetto Spera mentre confermò le altre condanne[17][18].
I legami con “Cosa Nostra”  Nel 1963, nel corso di un’indagine, Lima ammise di conoscere superficialmente il boss mafioso Salvatore La Barbera e tale fatto venne riportato nella sentenza istruttoria sulla prima guerra di mafia depositata dal giudice Cesare Terranova nel 1964, venendo poi ripreso negli atti della Commissione parlamentare antimafia e nella relativa relazione di minoranza del 1976 redatta anche dagli onorevoli Pio La Torre e Cesare Terranova[19]:
Nel 1974 Paolo Sylos Labini si dimise dal comitato tecnico-scientifico del ministero del Bilancio, di cui faceva parte da circa dieci anni, quando Giulio Andreotti, ministro in carica per quel dicastero, nominò come sottosegretario Salvo Lima, che già all’epoca era comparso varie volte nelle relazioni della Commissione Parlamentare Antimafia ed era stato oggetto di quattro richieste di autorizzazioni a procedere nei suoi confronti per peculato, interesse privato e falso ideologico[20]. Prima delle dimissioni, Sylos Labini sollevò il problema col presidente del consiglio Aldo Moro, il quale affermò di non poter fare nulla in quanto «Lima è troppo forte e troppo pericoloso».[21] Sylos Labini si rivolse allora direttamente ad Andreotti, affermando: «O lei revoca la nomina di Lima, che scredita l’immagine del ministero, o mi dimetto». Andreotti non lo lasciò nemmeno finire e lo liquidò rinviando il discorso.[21][22][23]
Come afferma nel 1996 un teste (l’ispettore della Polizia di Stato Salvatore Bonferraro) del processo a carico di Giulio Andreotti, Lima fu in rapporti di affari con il costruttore Francesco Vassallo (uno dei protagonisti del «sacco di Palermo»), come già documentato in passato dagli atti della Commissione Parlamentare Antimafia[4]:
«Ho svolto accertamenti anagrafici presso il Municipio di Palermo, dal quale accertamento è emerso che Lima Salvatore Achille Ettore di Vincenzo in altri atti generalizzato, ha risieduto anagraficamente dal 04/08/1961 al 09/07/1979 in un appartamento sito al civico 175 della via Marchese di Villabianca. Vi ha risieduto per diciotto anni. La via Marchese di Villabianca comunemente è nota, per la maggior parte dei palermitani, come via Roma Nuova. Per detto appartamento ho acquisito anche presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari di Palermo la nota di trascrizione 19866 del 15/07/1961 e dalla quale si evince che l’appartamento è stato acquistato, intestato a Lima Salvatore, dal costruttore Vassallo Francesco nato a Palermo il 18/07/1909 deceduto, noto come costruttore Ciccio Vassallo»[24].
Nel settembre 1992 il collaboratore di giustizia Tommaso Buscetta rilasciò alcune dichiarazioni secondo cui il padre di Lima era un affiliato della Famiglia di Palermo Centro (guidata dal boss Angelo La Barbera) ed aveva “raccomandato” il figlio ai fratelli La Barbera perché lo sostenessero elettoralmente[13][25]. Buscetta inoltre affermò di aver conosciuto Lima alla fine degli anni cinquanta, quando era già sindaco di Palermo, e con lui si sarebbe scambiato una serie di favori, incontrandosi con il deputato nel 1980 durante la sua latitanza[26][27]. Nel 1993 l’onorevole Franco Evangelisti dichiarò inoltre che Lima gli aveva confidato di conoscere bene Buscetta[11].
Nella sentenza di primo grado del processo a carico di Andreotti (pronunciata il 23 ottobre del 1999), la Corte dichiarò nella seconda sezione del provvedimento emanato che «…dagli elementi di prova acquisiti si desume che già prima di aderire alla corrente andreottiana, l’on. Lima aveva instaurato un rapporto di stabile collaborazione con “Cosa Nostra”»[25]. Infatti secondo le dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia, l’onorevole Lima era strettamente legato ai cugini Ignazio e Nino Salvo(imprenditori affiliati alla Famiglia di Salemi), ed attraverso loro anche ai mafiosi Stefano Bontate e Gaetano Badalamenti[13]; sempre secondo i collaboratori di giustizia, Lima era il contatto per arrivare al suo capocorrente Giulio Andreotti, soprattutto per cercare di ottenere una favorevole soluzione di vicende processuali[28]. In particolare il collaboratore Francesco Marino Mannoiariferì che l’onorevole Andreotti, accompagnato da Lima, incontrò due volte Bontate ed altri boss mafiosi a Palermo nel 1979 e nel 1980, i quali gli espressero le loro lamentele sull’operato del presidente della Regione Piersanti Mattarella (tali dichiarazioni sono state ritenute veritiere dalla sentenza della Corte d’Appello nel processo a carico di Andreotti e confermate in Cassazione)[29]. Marino Mannoia dichiarò anche che l’onorevole Lima era un affiliato “riservato” della Famiglia di viale Lazio[13].
La sentenza definitiva del processo Andreotti inoltre ritiene provato che, dopo l’inizio della seconda guerra di mafia, i cugini Salvo«[…] si mettono a disposizione della fazione vincente [dei Corleonesi guidati dal boss Salvatore Riina e furono risparmiati per] i possibili collegamenti con Lima ed Andreotti», venendo incaricati di curare le relazioni soprattutto con l’onorevole Lima: secondo il collaboratore di giustizia Salvatore Cancemi, un altro tramite tra Riina e Lima furono soprattutto i fratelli Salvatore e Antonino Buscemi (imprenditori e mafiosi di Boccadifalco) poiché «l’on. Lima era “nelle mani” dei Buscemi, cioè […] erano in grado di fargli fare tutto quello che volevano»[13].
Secondo la sentenza del processo per l’omicidio dell’onorevole (emessa nel 1998), Lima si attivò per modificare in Cassazione la sentenza del Maxiprocesso di Palermo che condannava molti altri boss all’ergastolo; tuttavia però il 30 gennaio 1992 la Cassazioneconfermò gli ergastoli del Maxiprocesso[30] e sancì la validità delle dichiarazioni del pentito Tommaso Buscetta: per queste ragioni Lima venne ucciso, anche per lanciare un avvertimento all’allora presidente del consiglio Andreotti, che aveva firmato un decreto-legge che aveva fatto tornare in carcere gli imputati del Maxiprocesso scarcerati per decorrenza dei termini e quelli agli arresti domiciliari[31].
Nella cultura di massa
Compare nel film Giovanni Falcone di Giuseppe Ferrara del 1993, dove è interpretato dall’attore Arnaldo Ninchi; ne Il divo di Paolo Sorrentino è Giorgio Colangeli a dargli un volto,[32] mentre Totò Borgese ricopre il ruolo di Lima nella pellicola La mafia uccide solo d’estate (2013) di Pierfrancesco Diliberto (in arte Pif).


 

Note

  1. ^ Il Viandante – Sicilia 1954
  2. ^ UN DOSSIER DEI VERDI SUL DC SALVO LIMA – Repubblica.it
  3. ^ Il Viandante – Mafia – Ciancimino
  4. ^abc Relazione di minoranza della Commissione Parlamentare Antimafia VI LEGISLATURA (PDF).
  5. ^ab La mafia urbana – Documenti della Commissione Parlamentare Antimafia VI LEGISLATURA (PDF).
  6. ^ RITIRATO IL PASSAPORTO A CIANCIMINO – Repubblica.it
  7. ^ aggiungi titolo pagina Archiviato il 3 luglio 2013 in Internet Archive.
  8. ^ la discesa comincio’ con i pentiti Corriere della Sera, 13 marzo 1992
  9. ^ Mafia, politica e poteri pubblici attraverso la storia di Luciano Leggio – Documenti della Commissione Parlamentare Antimafia VI LEGISLATURA (PDF).
  10. ^ l’era di Lima e Ciancimino Corriere della Sera, 14 marzo 1992
  11. ^ab ” divideva tutti in uomini e ricchioni “ Corriere della Sera, 14 marzo 1992
  12. ^ ANDREOTTI E IL VATICANO – Repubblica.it
  13. ^abcde Esposizione introduttiva del PM nel processo penale instaurato nei confronti di Giulio Andreotti (PDF).
  14. ^ Incarichi politici di Salvatore Lima
  15. ^ E la mafia si vendicò dell’ex amico – Repubblica.it
  16. ^ Processo Lima: 18 ergastoli ai padrini di Cosa Nostra Corriere della Sera, 16 luglio 1998
  17. ^ Omicidio Lima: annullati gli ergastoli a 4 boss – Corriere.it
  18. ^ Sentenza della Corte di Cassazione per l’omicidio Lima (PDF).
  19. ^ L’IMPERO SICILIANO DI SALVO LIMA & C. – Repubblica.it
  20. ^ [1] [2] [3] [4] [5] [6] [7] [8] [9]
  21. ^ab Documenti del Senato della Repubblica XIV LEGISLATURA (PDF).
  22. ^ Gli Intoccabili Saverio Lodato e Marco Travaglio, ed. BUR
  23. ^ Andreotti, la mafia, la storia d’Italia Di Salvatore Lupo, Ilvo Diamanti 1996 Donzelli Editore ISBN 88-7989-255-X pag 53
  24. ^ Processo Andreotti, Banca Dati della Memoria. URL consultato il 7 marzo 2009 (archiviato dall’url originale il 1º settembre 2007).
  25. ^ab Cap. IV – Sez. II – § 2 – I rapporti intrattenuti da Salvatore Lima con esponenti mafiosi
  26. ^ LA VERITÀ DI BUSCETTA ‘ LIMA? GLI DAVO DEL TU LO AIUTAVO ALLE ELEZIONI – Repubblica.it
  27. ^ E In Nome Di Falcone Buscetta Ha Rotto Il Silenzio Sui Politici – Repubblica.it
  28. ^ ‘ LIMA GARANTIVA COSA NOSTRA E IL SUO CAPOCORRENTE SAPEVA’ – Repubblica.it
  29. ^ Sentenza della Cassazione per il processo Andreotti (PDF).
  30. ^ Archivio – LASTAMPA.it Archiviato il 19 ottobre 2013 in Internet Archive.
  31. ^ Diciotto ergastoli per l’omicidio di Lima – Repubblica.it
  32. ^ Divo, Il (2008)e anche nel film I Giudici di Riky Tognazzi 1999 Nella fiction “Il capo dei capi” Salvo Lima è interpretato da Gianfranco Jannuzzo (2007)Internet Movie Database. URL consultato il 7 marzo 2009.

Sottosegretario di Stato del Ministero del bilancio e della programmazione economica

Durata mandato

23 novembre 1974 –

30 luglio 1976

Presidente

Aldo Moro

Predecessore

Tommaso Morlino

Successore

Vincenzo Scotti

 

Sottosegretario di Stato del Ministero delle finanze

Durata mandato

26 giugno 1972 –

23 novembre 1974

Presidente

Giulio Andreotti

Mariano Rumor

Predecessore

Luigi Borghi

Barbaro Lo Giudice

Successore

Giuseppe Cerami

Luigi Michele Galli

Filippo Maria Pandolfi

 

Sindaco di Palermo

Durata mandato

maggio 1958 –

gennaio 1963

Predecessore

Luciano Maugeri

Successore

Francesco Saverio Diliberto

 

Durata mandato

gennaio 1965 –

luglio 1968

Predecessore

Paolo Bevilacqua

Successore

Paolo Bevilacqua

 

Deputato della Repubblica Italiana

Legislature

V, VI, VII

Gruppo

parlamentare

Democrazia Cristiana

Collegio

Palermo

Incarichi parlamentari

  • Componente della VII Commissione (Difesa) dal 10 luglio 1968 al 24 maggio 1972, dal 25 maggio 1972 al 4 luglio 1976 e dal 5 luglio 1976 al 19 giugno 1979
  • Sottosegretario di Stato alle Finanze dal 30 giugno 1972 al 7 luglio 1973, dal 12 luglio 1973 al 14 marzo 1974 e dal 16 marzo 1974 al 23 novembre 1974
  • Sottosegretario di Stato al Bilancio e Programmazione Economica dal 28 novembre 1974 al 12 febbraio 1976 e dal 13 febbraio 1976 al 29 luglio 1976

Sito istituzionale

 

Dati generali

Partito politico

Democrazia Cristiana

Titolo di studio

Laurea in Giurisprudenza

Università

Università degli Studi di Palermo

Professione

Dirigente d’azienda

 WIKIWAND 


Salvo Lima ma non solo lui, la mafia attacca la Democrazia cristiana

Fu come quando alla festa del santo patrono c’è il gioco di fuoco finale, con tutti che stanno con il naso all’aria, nel fresco della sera di mezza estate, che già ha fatto buio da un pezzo, e si attende che il santo torni in chiesa e che il parrino dia l’ok al presidente del comitato organizzatore, che dice a quello dei fuochi che si può cominciare. E il primo colpo, solitamente, è una specie di colpo d’avvertimento, una cosa a mezza botta, puuum, pam!, ma serve a svegliare i picciriddri e a fare scantare i cani, a interrompere la noia dell’attesa dei mangiatori di simenza e a dire che lo spettacolo sta per cominciare, puuum, pam!, e dopo c’è la masculiata. Viva il santo!

E fu così, per noi, l’omicidio dell’onorevole Salvo Lima, in Via delle Palme, a Palermo, il 12 marzo del 1992, che veniva di giovedì, e fu poco prima delle dieci del mattino. Come già sapevamo, si fece trovare impreparato, senza possibilità di scampo e di fuga.

Gli sparammo diversi colpi con le nostre scariche di precisione, mentre lui faceva i movimenti di bestia ammazzata: un colpo al sindaco di Palermo, uno al sottosegretario, uno alla punta di diamante della Dc, uno all’europarlamentare. Uno al santo. Uno al traditore. «Tornano, tornano» furono le sue ultime parole. Non un granché come epitaffio. Anche perché noi mica eravamo mai andati via.

Il messaggio fu bello forte per Giulio Andreotti, che l’indomani doveva venire in Sicilia, e anche per farlo desistere nella sua idea di diventare presidente della Repubblica. E sapete quando parli a suocera per fare capire a nuora? La suocera era Andreotti, la nuora era il dottore Falcone, che siccome ci conosceva benissimo sembrava quasi aver capito tutto, e il giorno dopo scrisse un articolo su «La Stampa»: «La mafia vuole comandare. E se la politica non obbedisce, la mafia si apre la strada da sola».

Sul concetto di «strada» forse aveva avuto una mezza visione, che più di strada era un’autostrada quella che si sarebbe aperta, nel vero senso della parola, da lì a breve. Sulla politica, invece, neanche noi ci capivamo più nulla. Perché eravamo in guerra, e ne avremmo voluti eliminare di politici traditori, ma era cominciata quella cosa del pool Mani Pulite, a Milano, e il popolo fibrillava, e i politici un po’ venivano arrestati, qualcuno si ammazzava, altri scomparivano. Che casino.

Gli occhi di Riina facevano come una saetta, nelle riunioni, sembrava avesse un tic, non stava mai fermo, tutta un’eccitazione. Matteo no, Matteo era calmissimo, come sempre, elegante, come lo conoscevamo noi. Aveva sempre la risposta pronta e una pistola carica. Avremmo capito solo dopo che stava preparando il suo regolamento di conti, la sua piccola battaglia nella grande guerra, la rivoluzione silenziosa nella linea di successione.

Il signor Riina pareva sempre più una “cafittera” pronta a esplodere. Anche su ’sta cosa di Mani Pulite non ci vedeva chiaro, gli dava fastidio, e anche se non ce lo voleva dire, perché non poteva dirlo – se no saremmo diventate le bestie che eravamo, lo avremmo scannato, altro che la rivoluzione silenziosa di Matteo – lui sapeva di essere anche lui una pedina di qualche altro tavolo, ed era manovrato, e qualcuno tirava i dadi per lui, e lo faceva avanzare di casella in casella fino all’esplosione finale, alla dissoluzione.

Non solo lo sapeva, e non poteva dirlo, ma sapeva anche che in questo gioco grande in cui era finito non conosceva il regolamento. E quindi, sì, anche ’sta cosa degli arresti di Mani Pulite ci dava fastidio. Innanzitutto, perché ci mancavano gli interlocutori. Se un poco li ammazzavamo noi, un poco li arrestavano, noi con chi dovevamo parlare? Della Dc tra poco non c’era in giro manco l’usciere, Craxi aveva paura a girare per strada che gli lanciavano le monetine.

Chi restava? Vedrete, vedrete, qualcuno di nuovo affaccerà, dicevano quelli di noi più avvezzi alle cose della politica; i Graviano, in particolare, avevano buoni contatti a Milano, e a Milano già le cose si muovevano per non lasciarci orfani: male che vada avremmo rifatto il trucco a qualche troia.

Ma la cosa che ci dava ancora più inquietudine di questa roba di Mani Pulite, di questi pezzenti con il sorcio in bocca, che si facevano prendere mentre buttavano i soldi nel cesso, era il fatto che il nostro sesto senso ci diceva che anche lì c’era lo zampino del dottore Falcone; che quello magari era un giro largo, e anziché partire dalla mafia per arrivare agli imprenditori, voleva partire dagli imprenditori del nord per poi scendere giù giù e arrivare a noi. Anche là, comunque, ci fate un piccolo torto quando parlate solo dell’attentato a Salvo Lima, in quel periodo.

Capiamo che era la portata principale, ma c’erano tanti contorni, perché avevamo deciso di mandare segnali precisi alla fu Democrazia cristiana e ai suoi esponenti, con tutta una serie di attentati: il 31 marzo a Misilmeri, al comitato elettorale di Calogero Mannino, il 1 aprile a Monreale alla sede della Dc; sempre il 1 aprile, ma a Partinico, abbiamo dato fuoco all’auto di un assessore Dc; il 3 aprile a Messina, altra sede della Dc, stessa data a Scicli, a casa del vicepresidente della Provincia di Ragusa, democristiano.

Erano piccole cose, si dirà; certo, erano puntini, come un segnale in codice morse, e il messaggio era: il peggio deve ancora venire. E Matteo è stato bravo anche in questa pianificazione di piccoli attentati, perché abbiamo delegato le famiglie di ogni parte della Sicilia, abbiamo individuato sedi di partito e comitati elettorali in ogni angolo, ma non in provincia di Trapani.

Ancora una volta, stava in prima fila, Matteo, ma mandando avanti gli altri; voleva mantenerci nel nostro cono d’ombra, coccolati fin quando era possibile dalla mamma, sconosciuti al mondo. Era come se non esistessero obiettivi sensibili da colpire in provincia di Trapani, come se non esistesse la Dc. Come se non esistesse la mafia.