MICHELE REINA

 

 

Michele Reina(1932 – Palermo9 marzo 1979), ucciso da Cosa nostraNel 1961 fu eletto nella lista DC nel primo Consiglio provinciale di Palermo eletto dal popolo. Il 4 dicembre 1961 fu il primo presidente di quella giunta, un bicolore Dc-Psdi, e quindi fu capogruppo del suo partito a palazzo Comitini. Nel 1970 fu eletto al consiglio comunale di Palermo e nel 1972 divenne assessore ai tributi nella giunta Marchello. All’interno della DC lasciò intanto la corrente fanfaniana per avvicinarsi a Salvo Lima. Nel 1975 fu confermato a palazzo delle aquile.

Fu dal 1976 segretario provinciale di Palermo della Democrazia Cristiana. Era anche consigliere comunale di Palermo, quando venne ucciso la sera del 9 marzo 1979 da killer mafiosi. Fu il primo politico di rilievo ucciso da Cosa Nostra dai lontani tempi di Emanuele Notarbartolo, ex sindaco di Palermo ed ex direttore generale del Banco di Sicilia, nel 1893.

L’omicidio La sera del 9 marzo 1979 Reina salì sulla sua Alfetta 2000 con la moglie Marina, di 35 anni, e una coppia di amici, Mario Leto (ex direttore amministrativo della più grande casa vinicola siciliana, la Corvo), 43 anni e amico d’infanzia, e la moglie, quando all’improvviso da una Fiat Ritmo grigia che affianca l’Alfetta di Reina scesero due giovani a volto scoperto che spararono con una calibro 38 a distanza uccidendo Reina sul colpo. È colpito al collo, alla testa e al torace. Mario Leto, ferito a una gamba, estrae la pistola che portava con sé per poi lanciarsi in strada sparando contro i sicari. L’omicidio venne subito rivendicato dall’organizzazione Prima Linea il giorno dopo dalle “Brigate Rosse”. La pista terroristica apparve però agli investigatori inverosimile e ritenuta con più probabilità una mossa della mafia per sviare le indagini. Le investigazioni proseguirono per lungo tempo, ma non portarono a grosse novità, fino a quando il 16 luglio del 1984, davanti a Giovanni Falcone e al dirigente della Criminalpol Giovanni De GennaroTommaso Buscetta iniziò il suo lungo racconto su Cosa Nostra rivelando che “anche l’onorevole Reina è stato ucciso su mandato di Salvatore Riina”. Per Cosa Nostra un avvicinamento della Dc ai comunisti rappresentava un pericolo enorme e fu questo uno dei motivi che spinse Totò Riina e i suoi a dare il via ad un altro eccellente delitto. Reina era anche entrato in contrasto con alcuni costruttori vicini a Vito CianciminoLo Stato ha onorato il sacrificio di Reina come vittima di mafia, con il riconoscimento concesso a favore dei suoi familiari, costituitisi parte civile nel processo, dal Comitato di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso di cui alla legge n. 512/99.

 

 

Nuova pista su omicidio Mattarella e Reina: unico killer I magistrati della procura di Palermo hanno riaperto il fascicolo sul delitto del segretario provinciale della Democrazia Cristiana, Michele Reina, ucciso il 26 marzo 1979, in quanto sarebbe emerso che i killer avrebbero utilizzato la stessa arma sia per Reina e un anno dopo anche per il presidente della Regione Sicilia, Piersanti Mattarella. L’arma in questione è una calibro “38” che sarebbe stata utilizzata da quei sicari ancora oggi a volto coperto. A riportare la notizia sono le pagine palermitane de “La Repubblica”.
I magistrati palermitani, guidati dal procuratore capo Francesco Lo Voi, già nei mesi scorsi avevano riaperto l’indagine riguardo l’omicidio Mattarella, visto che avevano chiesto agli specialisti del Ros e del Racis dei carabinieri di mettere a confronto una delle pistole utilizzate dal killer neofascista Gilberto Cavallini per uccidere il magistrato Mario Amato (a Roma, il 23 giugno 1980) con i proiettili sparati il giorno dell’Epifania a Palermo. Allo stato, però, non è possibile dire che Mattarella e il giudice antiterrorismo siano stati assassinati con la stessa pistola. Ma comunque la procura vorrebbe tentare altri esami, anche se i proiettili si sono ossidati.
Ad accomunare i due delitti, secondo le pochissime testimonianze, sarebbe quella strada di cambiamento intrapresa sia da Reina che Mattarella verso l’apertura ai Comunisti. Le due piste seguite per la nuova indagine sono quelle che vanno dalla matrice mafiosa ai suoi legami con il terrorismo nero. Per il delitto Mattarella, Cavallini e il suo compagno dei Nar Valerio Fioravanti sono stati comunque assolti definitivamente e quindi non potrebbero essere giudicati un’altra volta. Mentre per l’omicidio Reina, la posizione dei due è stata archiviata e quindi in qualsiasi momento, se verranno fuori altri elementi, potrebbero portare alla riapertura del capo d’accusa.
Nell’inchiesta che percorre una strada molto tortuosa piena di ombre e misteri, ci sono stati anche smarrimenti come il guanto sequestrato dalla Scientifica nell’auto dei killer, il 6 gennaio di 40 anni fa. Oltre a questo, non si trovano più due spezzoni di targhe sequestrate nel 1982 in un nascondiglio degli estremisti di destra a Torino: avevano gli stessi numeri, ma composti in modo differente, rimasti ai killer di Piersanti Mattarella, che avevano utilizzato delle targhe rubate per camuffare la 127 del delitto. A quel tempo gli spezzoni di targhe erano arrivati a Palermo, ma le comparazioni avevano smentito l’iniziale ipotesi. All’epoca rimase solo il racconto di Cristiano Fioravanti, che sosteneva di aver sentito il fratello parlare del caso Mattarella. Antimafia 2000 4.1.2020


Michele Reina. Un omicidio politico fra dubbi e certezze Le mafie hanno il potere di giocare con grande anticipo a discapito delle istituzioni che sono costantemente in ritardo nel recepirle e, successivamente, nell’opprimerle. Questa sembra un’affermazione di cronaca moderna, ma per capire di cosa si parlerà, è necessario tornare indietro alle passate pagine della storia siciliana e, con esattezza, compiere un salto temporale di circa cinquant’anni. Gli amanti della mafia agraria, “l’eroica e valorosa” organizzazione criminale, piansero per l’arrivo di una “nuova mafia”, definita così perché iniziava ad estendere i suoi tentacoli in luoghi mai esplorati prima quali la produzione e distribuzione di eroina, il traffico dei tabacchi e mostrava i primi interessi per le aree edificabili. Siamo di fonte allo scenario perfetto nel quale ambientare la tragedia che vede protagoniste le morti di giudici, politici, giornalisti, carabinieri, fino ad arrivare alla scoperta della definizione della mafia intesa in senso assoluto, prigioniera nel corpo di di mostri e omicida di donne e bambini. Nel 1970 muore il giornalista Mauro De Mauro, un anno dopo il procuratore capo di Palermo, Pietro Scaglione. La mafia, reputata salvatrice, diventa odio e distruzione con l’omicidio dell’ufficiale dei carabinieri Giuseppe Russo nel 1977. Un anno dopo l’obiettivo si sposta su Mario Francese, fino ad arrivare a Michele Reina, il segretario provinciale di Palermo della Democrazia CristianaEra il 9 marzo 1979, tutto ciò che egli avrebbe voluto era ritornare a casa, dopo una giornata di lavoro seguita da una piacevole serata con amici, ma prima che potesse entrare in macchina, con ancora un ampio sorriso rivolto alla moglie a pochi metri da lui, venne colpito da tre colpi di calibro 38. Non si ebbe il tempo di rendersi conto dell’accaduto che i due sicari, coraggiosi e convinti quanto erano, si diedero immediatamente alla fuga, a bordo di una Fiat Ritmo rubata poche ore prima con targa falsa. Dopo un’ora dall’attentato, ci fu una telefonata anonima al Giornale di Sicilia: “Abbiamo giustiziato il mafioso Michele Reina” firmato da “Prima linea”, in quel periodo uno dei gruppi armati più attivi del terrorismo rosso. Il giorno dopo, al quotidiano palermitano della sera “L’Ora”, un uomo non identificato parla a nome delle Brigate Rosse, minaccia altri attentati e afferma: “Faremo una strage se non sarà scarcerato il capo delle Brigate Rosse, Renato Curcio“. Tre giorni dopo: “Non abbiamo giustiziato Michele Reina, anche se la mafia fa di tutto per addossarci questo delitto”. E ancora: “Qui Prima Linea, abbiamo le prove di quanto detto poco fa. Faremo di tutto per farvele avere”.

A questo punto la domanda sorge spontanea: questione mafiosa o politica? Due rette parallele che potrebbero non accettare il loro destino, in quanto potrebbero incrociarsi creando un interesse politico-mafioso. L’allora capo della squadra mobile di Palermo, Boris Giuliano, affermò di trattare il caso come un delitto di sangue, senza privilegiare nessuna matrice, anche se non si ignorarono le telefonate ricevute. La verità sembra non voler emergere fino a quando, davanti a Giovanni Falcone e al dirigente del Criminalpol, Giovanni De Gennaro, uno dei pentiti più significativi, Tommaso Buscetta, eliminò alcuni punti interrogativi che si possono trovare nella frase verbalizzata: Anche l’onorevole Reina è stato ucciso su mandato di Salvatore Riina“. A sostegno della tesi iniziale, dopo tredici anni da quella notte iniziata nelle risate e conclusa nel sangue, il 22 aprile del 1992 a Palermo si aprono i processi per “omicidi politici”: Michele Reina è uno di questi. Nell’aprile del 1999 oltre a Salvatore Riina, si aggiungono Bernardo Provenzano, Pippo Calò, Michele Greco, Bernardo Brusca, Francesco Madonia e Antonino Geraci all’elenco di coloro che riuscirono ad estinguere tanti uomini ma non le loro idee. Emanuela Braghieri (Associazione InMovimento) – Cosa Vostra   2 marzo 2019


TESTIMONIANZE DI CORAGGIO: MICHELE REINA, IL PRIMO POLITICO UCCISO DALLA MAFIA Cadde in un agguato a Palermo la sera del 9 marzo 1979. Fu segretario provinciale della Dc, lavorò con determinazione per il rinnovamento della politica in Sicilia
Erano da poco passate le 22,30 del 9 marzo del 1979 a Palermo quando Michele Reina, che aveva da poco lasciato la casa di un amico dove aveva trascorso la serata, fu avvicinato in macchina da due sicari che da distanza ravvicinata gli sparano contro tre colpi di pistola, uccidendolo.

Michele Reina era il segretario provinciale della DC, eletto nel 1976, e il primo politico a cadere vittima della mafia. Dopo la sua elezione, aveva contribuito ad attuare una politica di apertura alle sinistre tentando, senza riuscirci, un accordo tra lo Scudocrociato e il Pci, un accordo che però aveva suscitato contrarietà nella maggioranza del suo partito. 

L’omicidio venne subito rivendicato da “Prima Linea” il giorno dopo dalle “Brigate Rosse”. La pista terroristica apparve però agli investigatori inverosimile e ritenuta con più probabilità una mossa della mafia per sviare le indagini. Le investigazioni proseguirono per lungo tempo, ma non portarono a grosse novità, fino a quando il 16 luglio del 1984, davanti a Giovanni Falcone e al dirigente della Criminalpol Giovanni De GennaroTommaso Buscetta iniziò il suo lungo racconto su Cosa Nostra rivelando che “anche l’onorevole Reina è stato ucciso su mandato di Salvatore Riina”. Per Cosa Nostra un avvicinamento della Dc ai comunisti rappresentava un pericolo enorme e fu sicuramente questo uno dei motivi che spinse Totò Riina e i suoi a dare il via ad un altro eccellente delitto. Michele era popolarissimo a Palermo e la sua morte fu l’inizio di una lunga seria di delitti che Cosa Nostra compì tra la fine degli anni settanta e l’inizio degli anni ottanta che ebbero come bersagli altri politici di grande spessore, su tutti Piersanti Mattarella (6 gennaio 1980) e Pio La Torre (30 aprile 1982), nonché esponenti delle forze dell’ordine e della magistratura.

Il sindaco di Palermo Leoluca ha definito Michele “un uomo che non accettò le connivenze tra politica e criminalità, né cedette alle pressioni sempre più forti che volevano impedire il rinnovamento politico della Sicilia”. Lo Stato ha onorato il sacrificio di Reina con il riconoscimento concesso a favore dei suoi familiari, costituitisi parte civile nel processo, dal Comitato di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso di cui alla legge n. 512/99. Ministero dell’Interno 13 Marzo 2018

 

9 marzo ’79, l’omicidio di Michele Reina. di Francesco Trotta. LA REPUBBLICA   Il 9 marzo 1979, poco dopo le 22, Michele Reina, segretario provinciale della Democrazia cristiana, viene ucciso con alcuni colpi di pistola. Il suo è indicato come il primo omicidio «politico-mafioso» di Palermo, teso a mutare la linea politica che Reina stava realizzando o era prossimo a compiere. Un altro modo per dire che quell’omicidio è una vicenda assai complessa. Un altro modo, forse, per affermare che non si sarebbe mai fatta piena luce…

Un venerdì sera di marzo. Michele Reina si prepara a rincasare insieme alla moglie e a una coppia di amici. Si è appena seduto in macchina e dal sedile del guidatore non si alzerà più. Indossa un impermeabile chiaro, completamente abbottonato. Tre colpi di pistola lo hanno ucciso sul colpo. I fotografi immortalano la scena dell’omicidio. Ha gli occhi spalancati, come pure la bocca; testa e corpo cedono sullo schienale mentre il viso appare leggermente inclinato di lato. Un rivolo di sangue sgorga dalle labbra e scende giù sul collo.

È l’immagine della morte a cui più di qualcuno chiede di non abituarsi. Perché la violenza mafiosa assuefà il «pubblico». Il rischio è quello che oltre a tollerare la Mafia, si possa fare altrettanto con quelle azioni così crudeli, drammatiche, scioccanti…

La dinamica del delitto è così ricostruita: «Alle ore 19.20 circa del 9 marzo 1979, i coniugi Michele Reina e Marina Pipitone, unitamente agli amici Mario Leto e Giulia Rossi, si erano recati a bordo dell’autovettura Alfetta 2000, targata PA520605, di proprietà del Reina e condotta dallo stesso, presso la famiglia del dr. Antonino Giammancheri, abitante in questa via Principe di Paternò […], per una visita di cortesia, programmata dalle due coppie nella sera precedente e nel corso di quella mattinata. Dopo avere parcheggiato l’autovettura nella via Principe di Paternò, […], i predetti si erano trattenuti a conversare con il Giammancheri ed i familiari di questo sino alle ore 22.15 circa, ora in cui, congedatisi, avevano attraversato la sede stradale raggiungendo l’autovettura, parcheggiata poco distante. Nulla di anormale era stato notato che potesse fare presagire ai quattro quanto, di lì a poco, sarebbe accaduto. Il Reina aveva preso posto alla guida dell’auto, il Leto sul sedile anteriore, le due donne sul sedile posteriore alle spalle dei rispettivi coniugi. Improvvisamente – il Reina non aveva ancora azionato l’accensione del motore e non aveva ancora chiuso lo sportello dell’auto – un giovane ben vestito, dall’aspetto distinto, che la signora Pipitone aveva notato avanzare sulla sua sinistra costeggiando il marciapiede, aveva cominciato a far fuoco, da distanza ravvicinata, contro il Reina, esplodendo con una rivoltella calibro 38 vari colpi, che attingevano la vittima in parti vitali, causandone l’immediato decesso. Il Leto, ferito ad una gamba, e la consorte erano riusciti ad aprire gli sportelli e a scendere dall’auto nel tentativo di trovare fuori un riparo. La moglie del Reina era rimasta prima attonita, seduta dietro il cadavere del marito, poi anch’ella era scesa dall’autovettura. Nel frattempo l’assassino, dopo avere esploso i colpi, era salito a bordo di una Fiat Ritmo celeste, ferma a breve distanza […]. Contro l’autovettura che si allontanava, il Leto era riuscito a sparare – inutilmente – un colpo d’arma da fuoco con la sua rivoltella cal. 38».

Poco dopo l’omicidio e nei giorni seguenti, sarebbero arrivate ai giornali sedicenti rivendicazioni dell’assassinio da parte di Prima Linea, gruppo terroristico di estrema sinistra (successivamente smentite proprio da parte del predetto gruppo). Perché queste chiamate? Un tentativo di depistare le indagini oppure una reale pista da seguire? Le cronache giornalistiche dell’epoca, in effetti, almeno inizialmente non avrebbero smentito questa ipotesi. Come pure non lo avrebbero fatto i colleghi di partito di Reina. Il terrorismo era l’emergenza nazionale. Ma quello rosso, almeno a Palermo, con l’omicidio di Reina non c’entrava affatto. Quello che apparve evidente agli inquirenti era che fosse un omicidio di natura mafiosa. Ma bisognava dimostrarlo e capirne le ragioni.

Sarebbero occorsi qualche anno e qualche altro omicidio eccellente – soprattutto quello del presidente della regione, Piersanti Mattarella – per comprendere il contesto in cui era maturato l’assassinio del segretario provinciale. Intanto, però, la storia di Michele Reina come pure quella della sua morte passavano in secondo piano.

Nel corso degli anni Ottanta le indagini riprendono nuovo vigore e le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, in particolar modo quelle di Tommaso Buscetta e poi quelle di Francesco Marino Mannoia, offrono importanti spunti di riflessione. Il primo accusa direttamente Totò Riina. Il secondo afferma: «Generalmente l’omicidio importante viene deliberato dalla ‘Commissione’ ma in ogni caso è impensabile che detto omicidio possa essere effettuato senza che ne sia a conoscenza il capo mandamento competente per territorio. […] La causale del suo omicidio non può che essere la stessa, trattandosi in ogni caso di indubbio omicidio di matrice mafiosa, connesso all’attività politica del Reina». E ancora Mannoia dichiara: «[…] non è senza significato – a mio avviso – che certi omicidi, aventi una certa valenza politica, siano avvenuti sempre in territori posti sotto il controllo di Francesco Madonia da Resuttana e di Pippo Calò, che, unitamente a Giuseppe Giacomo Gambino ed a Salvatore Riina, sono quei componenti della ‘Commissione’ che hanno mostrato maggiore propensione verso i fatti politici».

Perché Cosa Nostra decise di uccidere Michele Reina? L’apertura a sinistra di una parte della Democrazia cristiana siciliana era un segnale forte, che rompeva certi equilibri e certi interessi, laddove poi non solo si propugnava un rinnovamento morale ed etico della politica, ma si intendeva perseguire per davvero il progresso sociale; in antitesi con i vari Vito Ciancimino e Salvo Lima, e con la loro corrente politica di riferimento. La fine degli anni Settanta coincise con un nuovo corso politico, in piena sintonia con l’esempio di Aldo Moro a Roma. A Palermo, il nuovo sindaco Carmelo Scoma e la sua giunta avevano l’appoggio esterno del Partito comunista, cosa impensabile fino a poco tempo prima.

L’eliminazione di Reina «è stata voluta, sulla scorta delle risultanze acquisite, certamente da Cosa Nostra e […] da quel nucleo ‘corleonese’ della ‘Commissione provinciale’ che inizia a manifestarsi proprio con questo omicidio ‘eccellente’, portando un attacco frontale nei confronti della classe politica, in patente contrasto con l’antica e collaudata tecnica dell’infiltrazione nel tessuto istituzionale, che aveva uno dei suoi più autorevoli interpreti in Stefano Bontate, a quell’epoca leader dell’‘ala moderata’. Il delitto potrebbe ragionevolmente avere anche la funzione di ‘messaggio’ al mondo politico palermitano e siciliano, affinché comprendesse che i ‘nuovi equilibri’ che si erano determinati in esso, non dovevano ostruire i canali attraverso i quali Cosa Nostra si era, da sempre, raccordata al circuito politico-istituzionale».

Michele Reina come Piersanti Mattarella o un avvertimento proprio per il Presidente della Regione Sicilia? O c’è dell’altro ancora mai dimostrato?

L’omicidio di Michele Reina sicuramente rappresentò l’inizio di una nuova strategia della Mafia siciliana che, nel 1979, avrebbe portato ad ulteriori attacchi nei confronti degli uomini delle istituzioni: Giorgio Boris Giuliano, dirigente della squadra mobile, e il giudice Cesare Terranova, che tornava in procura dopo l’esperienza da parlamentare e, soprattutto, come componente della Commissione parlamentare antimafia. Senza dimenticare il giornalista Mario Francese, ucciso nello stesso anno, dopo aver intuito che dentro Cosa Nostra stava accadendo qualcosa, che i Corleonesi si stavano preparando a «prendere» la Mafia. E tale manifesta volontà proseguiva nel 1980, con l’uccisione del presidente della regione, Piersanti Mattarella, a gennaio; l’eliminazione del capitano dei carabinieri Emanuele Basile a maggio; l’omicidio del procuratore Gaetano Costa ad agosto.

I Corleonesi, infatti, già tra il 1978 e il 1979 avevano assunto una posizione predominante all’interno della «Commissione», dopo l’eliminazione dei capimafia Giuseppe Di Cristina, Giuseppe Calderone, Filippo Giacalone, l’espulsione di Gaetano Badalamenti e l’erosione costante di prestigio e potere ai danni di Stefano Bontate e Salvatore Inzerillo, esponenti della “borghesia mafiosa” di Cosa Nostra e da sempre fautori di una strategia più silente, corruttiva e collusiva, con il mondo imprenditoriale e istituzionale.

Per l’omicidio di Michele Reina, in seguito al processo sui delitti politici, sono stati condannati definitivamente Bernardo Brusca, Pippo Calò, Antonino Geraci, Michele Greco, Francesco Madonia, Bernardo Provenzano e Salvatore Riina. L’esecutore materiale del delitto, però, non è mai stato identificato.

 

a cura di Claudio Ramaccini  Direttore Centro Studi Sociali contro la mafia – Progetto San Francesco