GIOVANNI GIOIA

 

 Atti parlamentari 

Giovanni Gioia (Palermo16 gennaio 1925) , più volte deputato e ministro.  Rampollo dell’establishment palermitano di fine Ottocento, nipote dell’industriale Filippo Pecoraino e con rapporti di parentela con gli armatori Tagliavia. Questi ultimi ebbero, come affittuari dei fondi Tagliavia, i Greco di Ciaculli. Gioia fu uno dei più influenti membri della corrente politica di Amintore Fanfani all’interno della Democrazia Cristiana negli anni cinquanta e sessanta. Laureatosi in Giurisprudenza e avvocato a Palermo, Gioia ricoprì subito incarichi di prestigio divenendo nel 1953 a soli ventotto anni segretario provinciale DC di Palermo, carica che mantenne sino al 1958 e inoltre capo dell’Ufficio Organizzazione del partito, che vigilava sulle tessere d’iscrizione: Gioia inaugurerà la cosiddetta “strategia delle tessere”, che consistette nella distribuzione di tessere a parenti, amici e persino ai defunti, arrivando ad aprire 59 sezioni democristiane solo a Palermo[3][4]. Intorno agli anni 19541957 la rottura del blocco agrario permise a Gioia di trasferire verso la Democrazia Cristiana esponenti liberali e monarchici (spesso compromessi con la mafiI due principali luogotenenti di Gioia, Salvo Lima e Vito Ciancimino, riuscirono ad arrivare ai vertici dell’amministrazione comunale di Palermo: durante il periodo della giunta comunale del sindaco Lima e dell’assessore ai lavori pubblici Ciancimino (19581964), delle 4.000 licenze edilizie rilasciate, 1600 figurarono intestate a tre prestanome, che non avevano nulla a che fare con l’edilizia, inaugurando la stagione del cosiddetto «sacco di Palermo»[5]. Durante questo periodo, il costruttore Francesco Vassallo (genero di Giuseppe Messina, capomafia della borgata Tommaso Natale, e uno dei protagonisti del «sacco di Palermo») riuscì ad ottenere numerosi prestiti di comodo rilasciati senza garanzia dalla Cassa di Risparmio, presieduta da Gaspare Cusenza, suocero di Gioia[6]; in base ai loro rapporti, le famiglie di Gioia e Cusenza andarono ad abitare nei numerosi appartamenti edificati da VassalloDal 1956 consigliere nazionale del partito e capo della segreteria politica della direzione centrale (1956-1959) Nel 1958 Gioia venne eletto alla Camera dei deputati nella III Legislatura, venendo rieletto per altre cinque legislature[8] Nel 1966 Gioia fu nominato sottosegretario alle Finanze col ministro Luigi Preti nel terzo Governo Moro e col ministro Mario Ferrari Aggradi nel secondo governo Leone, in carica dal 24 giugno 1968 al 12 dicembre 1968. Giovanni Gioia fu vicesegretario politico della DC nazionale dal 22 gennaio 1969 al 22 novembre 1969. Qualche giorno prima Flaminio Piccoli era succeduto a Mariano Rumor quale segretario del partito.

 

Il caso Pasquale Almerico e la Commissione Parlamentare Antimafia   Nel 1957 Pasquale Almerico, segretario della sezione democristiana di Camporeale, negò la tessera d’iscrizione a Vanni Sacco, capo della cosca mafiosa locale che fino ad allora aveva militato nel Partito Liberale Italiano. Almerico decise di informare con un memoriale il segretario della DC siciliana, Nino Gullotti, ma anche Gioia, nel suo ruolo di segretario provinciale della DC e di capo dell’Ufficio Organizzazione, ma non ottenne alcuna risposta: il 25 marzo 1957 Almerico venne barbaramente assassinato a Camporeale[. Gioia replicò alle accuse di aver abbandonato Almerico al suo destino di morte violenta, accogliendo tra le file della DC il mafioso di Camporeale, dicendo che “Il partito ha bisogno di gente con cui coalizzarsi, ha bisogno di uomini nuovi, non si possono ostacolare certi tentativi di compromesso”

Nel 1958 il quotidiano palermitano L’Ora dedicò una puntata della sua straordinaria inchiesta sulla mafia al caso di Pasquale Almerico, denunciando le responsabilità di Gioia e dei vertici della DC locale per la sua uccisione, e immediatamente giunsero al giornale le prime querele del segretario democristiano[12]. In seguito la querela venne ritirata dopo la pubblicazione di una smentita concordata tra il querelante e i giornalisti interessati[13].

Nei primi anni settanta l’onorevole Gioia sarà indagato dalla Commissione Parlamentare Antimafia per i suoi legami con il costruttore Vassallo (Il Tribunale di Palermo ha escluso che Vassallo avesse legami con la mafia, decisione confermata dalla Corte di appello di Potenza con decreto del 24 maggio 1974. Giornale di Sicilia 21/11/92) e con esponenti mafiosi[7][14]. Infine nel 1976 la relazione di minoranza della Commissione Parlamentare Antimafia, redatta anche dai deputati Pio La Torre e Cesare Terranova, accusò duramente l’onorevole Gioia e i suoi luogotenenti Vito Ciancimino e Salvo Lima (nel frattempo passato alla corrente andreottiana) di avere rapporti con la mafia; infatti nella relazione, facendo riferimento al caso di Almerico, si leggeva: «L’onorevole Gioia non batté ciglio e proseguì imperterrito nell’opera di assorbimento delle cosche mafiose nella DC»[15]. Tuttavia, negli anni del pentitismo di mafia, nessun pentito ha mai messo in relazione la figura di Gioia con fatti, circostanze e personaggi legati al fenomeno mafioso. Ciò dimostra la natura politica delle accuse per lo più mosse al personaggio politico. WIKIPEDIA 

 

Il suo nome emerge già nella commissione parlamentare Antimafia del 1976, ma gli atti che lo riguardano sono coperti da segreto. Vengono riportati su libro dallo scrittore Michele Pantaleone, che definisce Gioia un politico mafioso. Il Ministro lo querela insieme all’editore Einaudi. Si arriva a processo dove Pantaleone riesce a produrre gli atti della commissione Antimafia, quelli coperti dagli omissis e firmati da Dalla Chiesa (che pure testimonia): Gioia così, finalmente, può mostrare i suoi legami con Cosa Nostra, certificati direttamente dal Tribunale. Successivamente il nome di Gioia viene comunque fatto da Buscetta, che ha dichiarato di averlo personalmente conosciuto (“aveva un carattere glaciale” dice), come pure di aver frequentato tutti i politici democristiani che gli gravitavano intorno in Sicilia: Michele Reina, Rosario Nicoletti, Giuseppe Cerami, Margherita Bontà, Franco Barbaccia, Mario D’Acquisto, Ernesto Di Fresco. Qualcuno di questi è morto prima del tempo, qualcun altro ha avuto problemi con la legge.