FIAMMETTA BORSELLINO – Rassegna Stampa Luglio 2021

 

22.7.2021 – Lucia, Manfredi e Fiammetta, figli Paolo Borsellino/ “La strage? Eravamo preparati”  Lucia, Manfredi e Fiammetta sono i tre figli di Paolo Borsellino. Il loro rapporto con papà Paolo è stato tutto sommato ‘normale’. LuciaManfredi e Fiammetta Borsellino sono le persone che più di tutte hanno conosciuto Paolo Borsellino. Insieme alla loro madre Agnese, infatti, i tre hanno condiviso molto con papà Paolo, dalle difficoltà del vivere perennemente sotto scorta all’orgoglio di essere in qualche modo associati alla lotta contro la mafia. Memori di ciò che hanno vissuto in famiglia, anche loro hanno deciso di impegnarsi nel sociale: Lucia in campo politico (è ex assessore regionale alla Sanità nella giunta di Crocetta), Manfredi come poliziotto e Fiammetta in qualità di ‘portavoce ufficiale’ della famiglia Borsellino. Quest’ultima, in particolare, è stata per anni la più defilata tra i tre fratelli, ma oggi risulta super impegnata tra interviste ed eventi organizzati per onorare la memoria del padre Fiammetta Borsellino: “Accanto a mio padre Paolo mi sentivo sicura”

Lucia Borsellino è nata nel 1969, Manfredi nel ’72 e Fiammetta nel ’73. Il loro rapporto con Borsellino (che loro chiamavano semplicemente ‘papà’) è sempre stato normale, basato sull’ascolto, sul dialogo e sui valori dell’obbedienza e del rispetto. “Il rapporto con mio padre era come quello che hanno tutte le figlie con il loro genitore”, ha raccontato Fiammetta a maggio in un’intervista al Giornale. “Prima che gli fosse assegnata la scorta, quando mi accompagnava a scuola scendevo sempre prima e non proprio vicino all’ingresso, perché mi vergognavo e la stessa cosa facevo quando magari rientravo la sera in compagnia di alcuni miei amici. I miei fidanzati, come capita spesso, ovviamente temevano già solo di incrociare lo sguardo di mio padre sotto casa. Ho vissuto in casa con lui 19 anni e devo dire che, nonostante le scorte le minacce e le pressioni, accanto a lui mi sono sempre sentita forte, non ho mai temuto per la mia vita”.

Lucia, Manfredi e Fiammetta Borsellino: “La strage? Sapevamo che sarebbe successo” Il ruolo del bravo padre è proprio quello di trasmettere sicurezza, e Paolo – al di là della sua situazione – è sempre riuscito ad assolvere al meglio a questo compito. L’ulteriore merito di Borsellino è stato quello di far sentire protetti i suoi tre figli: “Non abbiamo mai vissuto all’interno di una campana di vetro antiproiettile né mio padre ha mai voluto mettercene una sulla testa”, spiega ancora Fiammetta. “Negli anni, crescendo, sono maturate nuove consapevolezze, purtroppo per niente piacevoli. Sembra brutto da dire, ma è stato un po’ come se fossimo preparati alla strage del 19 luglio in via D’Amelio. Non sapevamo quando sarebbe successo, ma sapevamo che sarebbe successo. Ma prevedere una mazzata che ti sta per arrivare tra capo e collo non allevia il dolore che ti provoca. E per noi quel giorno è iniziata una devastazione, era come se avessero annientato anche noi”. Oggi, comunque, i tre sono sereni, e coltivano le loro carriere nel ricordo di un papà giusto ed esemplare. Il SUSSIDIARIO

 

19.7.2021 – 29° Anniversario della strage Via D’Amelio, CNDDU: proposte didattiche per ricordare  Il Coordinamento Nazionale dei Docenti della disciplina dei Diritti Umani commemora la strage di Via D’Amelio in occasione del suo 29° anniversario.
Erano le ore 16.58 di domenica 19 luglio 2021 quando un boato squarciava Palermo; alle 17:06 l’Ansa batteva la notizia di un’esplosione in Via D’Amelio 21.
Sotto quel fuoco, nemico della Giustizia, cadevano
 Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Vissuto per la giustizia sociale, per la verità e per l’onore dello Stato, 
Paolo Borsellino è stato, assieme a Giovanni Falcone, uno dei “Padri fondatori di una nuova stagione possibile della storia, una stagione in cui la legge diventa davvero uguale per tutti”, (cit. Dott. Roberto Scarpinato, Procuratore Generale della Corte d’Appello di Palermo).
La Repubblica con le sue Istituzioni non è ancora riuscita a fare luce sulla strage, né sulla trattativa tra mafia e i “pezzi deviati dello Stato”, lasciando oscura l’enigmatica affermazione dello stesso Borsellino: “Mi uccideranno quando altri lo consentiranno”.
Ricordare 
Paolo Borsellino e il suo impegno per la giustizia è un dovere morale di tutti gli Italiani e di tutti coloro che intendono vivere come giusti e rafforzare la coscienza collettiva della società civile.
Negli ultimi anni della sua vita, Borsellino ebbe una particolare attenzione per i giovani. Ai quali in più occasioni volle lasciare in eredità le sue riflessioni. “Quando i giovani le negheranno il consenso, la mafia finirà”, riferiva spesso, individuandone l’antidoto nell’educazione alla cultura della pace e della giustizia.
La mafia, dunque, si combatte nelle aule giudiziarie al pari delle aule scolastiche.
In entrambi i contesti è necessario assicurare un presupposto indefettibile: la fiducia nelle Istituzioni. Bisogna assicurare ed avvalorare il rispetto verso le istituzioni unito alla fiducia nel rigore morale di tutti coloro che le rappresentano con abnegazione.
Di recente è stata ritrovata negli archivi dell’Istituto siciliano di studi politici ed Economici (Isspe) l’inedita registrazione dell’intervento del giudice ad un convegno tenuto a Palermo nella Sala delle Lapidi nel gennaio 1989. In esso Borsellino ci indica che “La via obbligata per la rimozione delle cause che costituiscono la forza di cosa nostra passa attraverso la restituzione della fiducia nella pubblica amministrazione” 
(trascrizione e audio).
Bisogna dunque poter individuare con chiarezza il bene dal male, serve una testimonianza di verità.
In via D’Amelio 21 oggi si erge un albero della pace: un ulivo betlemita piantato per volontà della madre del giudice come simbolo di rinascita, solidarietà e giustizia per tutti i popoli. Su di esso è apposta una targa che recita “Tu che vieni qui a contemplare ricorda che: non tutti i siciliani siamo mafiosi e non tutti i mafiosi sono siciliani”. Il fenomeno mafioso infatti ha una natura globalizzata scissa, oramai, da qualsiasi circoscrizione territoriale e sociale.
Si trova proprio in quel luogo impresso nella memoria storica del Nostro Paese nelle sue fattezze della devastazione del 19 luglio 1992. Devastazione che non ha coinvolto la borsa di 
Paolo Borsellino all’interno della quale v’era l’agenda rossa con gli appunti sulle verità apprese dal giudice nei 57 giorni trascorsi dalla strage di Capaci al giorno della sua morte.
Verità ancora celate alla giustizia ed alla storia che, lo ribadiamo, devono essere svelate con urgenza perché non esiste giustizia senza verità.
La sparizione dell’agenda rossa rappresenta oggigiorno una macchia per la Nostra Repubblica che ci auguriamo possa presto dissolversi con il suo ritrovamento.
Ci uniamo alla denuncia di 
Fiammetta Borsellinoche da anni si batte per l’accertamento della verità sulla morte di suo padre, perché “un Paese che non riesce a fare luce su questo mistero è un paese fermo che non può progredire”.
In occasione della giornata, il CCNDU sollecita tutti i docenti a inviare una mail agli studenti o condividere sulle classrooms contenuti che rievochino l’impegno di 
Paolo Borsellino per la Giustizia, la verità e la nostra libertà.
Per dare un senso accettabile delle loro morti – come disse lo stesso Borsellino riferendosi all’uccisione dei magistrati Falcone e Morvillo – occorre pagare il debito che abbiamo verso di loro continuando gioiosamente la loro opera.
A noi docenti è affidata l’opera culturale, importante al pari di quella giudiziaria e ad essa complementare.
Lanciamo l’hashtag ridateci l’agenda rossa a voler alzare una richiesta comune di restituzione dell’agenda rossa di Borsellino, l’agenda di tutti gli Italiani.
“C’è un equivoco di fondo. Si dice che il politico che ha avuto frequentazioni mafiose, se non viene giudicato colpevole dalla magistratura, è un uomo onesto. No! La magistratura può fare solo accertamenti di carattere giudiziale. Le istituzioni hanno il dovere di estromettere gli uomini politici vicini alla mafia, per essere oneste e apparire tali.”  Borsellino, “Lezione sulla mafia”, 1989)
Antimafia duemila

 

19.7.2021 – Strage di via D’Amelio, oggi sono 29 anni: gli appuntamenti  La ricorrenza dell’attentato di via D’Amelio, quest’anno giunta al suo 29° Anniversario, è sempre stato un momento dedicato alla riflessione, alla memoria e alla celebrazione del sacrificio di 6 uomini dello Stato morti per aver adempiuto con onore il loro servizio alla comunità. Il 19 luglio del ’92 , a meno di due mesi dalla strage di Capaci, a Palermo, un’autobomba con 50 chili di tritolo esplode in via D’Amelio uccidendo il giudice Paolo Borsellino e cinque membri della scorta: Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. La morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, accomunati dall’impegno contro la mafia e dal sacrificio della vita, diede il via a una reazione che non si è ancora esaurita. Il sindaco Leoluca Orlando nell’ambito delle celebrazioni di oggi del 29° anniversario della strage di via D’Amelio, conferirà alla Polizia di Stato la cittadinanza onoraria  che sarà consegnata al prefetto Lamberto Giannini, capo della polizia – direttore generale della pubblica sicurezza. Un riconoscimento a tutte le donne e a tutti gli uomini della Polizia di Stato che è simbolo di unione tra la città di Palermo e coloro che con professionalità difendono ed hanno difeso i valori della giustizia, della legalità e della libertà, anche con il sacrificio della vita. “Consegnare la cittadinanza onoraria al prefetto Giannini e simbolicamente a tutta la Polizia di Stato nel giorno della strage di via D’Amelio – ha detto il sindaco Orlando -, mi riempie di grande emozione. Ventinove anni fa venivano uccisi dalla mafia e da chi se ne è servita, appartenenti alla Polizia di Stato che con coraggio e impegno hanno servito lo Stato e creduto in un grande cambiamento culturale. Ed altre ed altri prima e dopo quel terribile 1992 hanno sacrificato la loro vita per la legalità e per i valori costituzionali. Lo stesso impegno che ogni giorno, in un tempo diverso e in una Palermo non più governata dalla mafia, la Polizia di Stato profonde per tutelare la legalità e proteggere la comunità. Il conferimento della cittadinanza onoraria, inoltre, intende fare memoria, quindi stimolare una riflessione e chiedere piena verità e giustizia su tanti eccidi  che hanno segnato la storia del nostro paese e della nostra città. E dei quali sono ancora troppi i buchi neri e le domande senza risposta”.

Alle celebrazioni non ci sarà invece Fiammetta Borsellino, la figlia del giudice, che spiega: “Lascio che siano gli altri – dice -, la gente e chiunque ne avverta il bisogno, a ricordare e a riflettere. Io lo faccio sempre incontrando i giovani e andando nelle scuole”.

Le stragi di Capaci e via D’Amelio costituirono l’atto estremo della violenza mafiosa che negli anni aveva colpito gli uomini dello Stato e della società civile che con intelligenza, coraggio ed alto senso del dovere si erano opposti ad un sistema perverso: la prepotenza criminale organizzata di cosa nostra.  Fu un attentato al cuore dello Stato ed alla centralità delle sue Istituzioni, ordito da criminali efferati, che attraverso l’annientamento di vite e storie personali e familiari di poliziotti e magistrati, tentarono di far vacillare le solide fondamenta democratiche del nostro Paese.  Per sottolineare il significato del conferimento, che si lega non ad un momento contingente ma ad una lunga storia di onore, abnegazione e sacrificio, il Questore di Palermo, Leopoldo Laricchia, ha voluto invitare alla cerimonia tutti i suoi predecessori, i Questori dei decenni precedenti, per rendere concretamente visibile quel filo ideale di continuità tra tutti i poliziotti che, negli anni, si sono avvicendati nel servire la città di Palermo. Gli appuntamenti di oggi Saranno gli studenti ad aprire la giornata, alle 9, attorno all’albero della pace, con le letture e le animazioni di «Coloriamo via D’Amelio» e con la presentazione della sesta edizione del Concorso nazionale «Quel fresco profumo di libertà» dedicato ai temi della legalità e della cittadinanza attiva. A seguire

  • la visita del Questore, Leopoldo Laricchia, alle tombe del Giudice Paolo Borsellino e dei poliziotti della sua scorta alla presenza dei loro familiari ; 
  • la celebrazione, alle ore 11:00 in Cattedrale, di una Santa Messa in Suffragio, officiata dall’Arcivescovo di Palermo, Monsignor Corrado Lorefice nella quale si raccoglieranno tutti i poliziotti di Palermo e le massime Autorità locali;
  • la deposizione, alle ore 17:00, di una Corona d’alloro da parte del Capo della Polizia – Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, prefetto Lamberto Giannini, presso la lapide che, all’interno dell’Ufficio Scorte della Questura di Palermo, ricorda il sacrificio dei Caduti della Polizia di Stato nelle stragi di Capaci e via D’Amelio.
  • La cerimonia di deposizione presso la lapide dell’Ufficio Scorte, alle ore 17:00, e quella di conferimento della Cittadinanza Onoraria, alle ore 18:00, saranno trasmesse in diretta sul profili Facebook della Questura di Palermo.
  • La giornata dedicata al ricordo della strage di via D’Amelio ed al conferimento della Cittadinanza Onoraria si concluderà, in serata,  con un concerto organizzato dalla Polizia di Stato e la cui realizzazione è stata possibile grazie al prezioso contributo e alla disponibilità della Fondazione Teatro Massimo, in uno degli spazi culturali all’aperto più belli della città, il Teatro di Verdura dove, a partire dalle ore 21:00, quale tangibile segno di ringraziamento verso la comunità palermitana, la Polizia di Stato regalerà ai palermitani un concerto eseguito dalla sua prestigiosa Banda musicale, accreditata quale una delle migliori orchestre internazionali di fiati .  SICILIA NEWS

 

19.7.2021 Gravi insinuazioni e scorrettezze contro il pm Di Matteo  Claudio Fava e la Commissione regionale antimafia dell’ArsCi risiamo. Ogni volta che si approssima la data del 19 luglio, con sistematica precisione, piovono insinuazioni e scorrettezze volte a colpire in particolare un magistrato: Nino Di Matteo.
Stavolta a colpire non sono le parole di qualche familiare vittima di mafia, ma le considerazioni della Commissione regionale antimafia dell’Ars che nei giorni scorsi ha presentato la propria relazione (la seconda per l’esattezza) sul depistaggio della strage di via d’Amelio.
Considerazioni che, ovviamente, i soliti giornaloni non hanno mancato di riportare.
E’ tutto contenuto nel capitolo dedicato a 
Gaspare Spatuzza, il reo confesso dell’omicidio di don Pino Puglisi, che nel 2008 si autoaccusò anche del furto della Fiat 126 usata per la strage di via D’Amelio. E’ grazie a lui se oggi su via d’Amelio è stata scritta un’altra pagina di storia. 
La Commissione regionale parte dalla trascrizione, riportata nella richiesta di archiviazione della Procura di Messina – poi accolta dal Gip – nell’inchiesta contro i magistrati 
Anna Maria Palma e Carmelo Petralia, di una riunione del 22 aprile 2009 davanti la Direzione nazionale antimafia. I magistrati delle Procure di Firenze, Caltanissetta e Palermo erano stati convocati per una prima valutazione su quella collaborazione e per esprimere un parere sull’inserimento di Spatuzza nel programma di protezione.
Ebbene viene evidenziato che in quella riunione ci furono due interventi di Di Matteo, a stralci.
Entrambi estrapolati senza contestualizzare il momento in cui erano stati detti.
Perché misurandosi con sentenze che comunque erano definitive è ovvio che l’approccio degli organi inquirenti è di cautela.
Il primo riferimento riportato dalla Commissione è il seguente: “Il dottor Di Matteo ha pure rilevato che non sempre Spatuzza, a suo giudizio, ha affermato il vero; ha aggiunto che la collaborazione di Spatuzza, a suo giudizio, non è di particolare rilevanza (…)”.
Il secondo: “Il dott. Di Matteo ha manifestato la sua contrarietà alla richiesta di piano provvisorio di protezione sia perché essa attribuirebbe alle dichiarazioni di Spatuzza una connotazione di attendibilità che ancora non hanno, sia perché le dichiarazioni di Spatuzza potrebbero mettere in discussione le ricostruzioni e le responsabilità delle stragi, ormai consacrate in sentenze irrevocabili, sia perché l’attribuzione, allo stato, di una connotazione di attendibilità alle dichiarazioni di Spatuzza potrebbe indurre l’opinione pubblica a ritenere che la ricostruzione dei fatti e le responsabilità di essi, accertate con sentenze irrevocabili, siano state affidate alle dichiarazioni di falsi pentiti protetti dallo Stato, e potrebbe, per tale ultima ragione, gettare discredito sulle istituzioni dello Stato, sul sistema di protezione dei collaboratori di giustizia e sugli stessi collaboratori della giustizia”.
Quindi nella relazione della Commissione Antimafia di Fava si conclude con gravissime insinuazioni sulla natura delle considerazioni, al tempo, del pm Di Matteo.
Partiamo da una premessa che è stata omessa. Il magistrato palermitano non è stato mai iscritto nel registro degli indagati per il depistaggio sulla strage di via d’Amelio. E’ ovvio che con queste affermazioni si cerca di tirare in ballo il consigliere togato in una vicenda che non lo riguarda.
E’ vero che nel 2009 ha espresso quelle considerazioni, ma gravemente la Commissione regionale di Fava omette ciò che è avvenuto dopo, con una ricostruzione che è parziale e che condiziona le possibili valutazioni sulla vicenda.
Ci spieghiamo meglio.
Le difficoltà di Spatuzza per ottenere la patente di attendibilità sono state ripercorse dalla Commissione regionale antimafia ricordando come nel 2010 la Commissione centrale del Viminale per la definizione e applicazione delle misure speciali di protezione, allora presieduta da 
Alfredo Mantovano, non lo ammise nel programma di protezione definitivo. E soltanto successivamente il Tar accolse il ricorso del collaboratore di giustizia.
Perché fu revocato il programma di protezione a Spatuzza?
Perché aveva fatto delle dichiarazioni su due figure di primissimo piano riferendo alla fine del 2009, nell’aula bunker di Torino, dell’incontro avuto con 
Giuseppe Graviano, prima dell’attentato allo stadio Olimpico. “Con espressione gioiosa – raccontò l’ex boss di Brancaccio di fatto parlando della trattativa Stato-mafia – Giuseppe Graviano mi riferisce che abbiamo chiuso tutto e ottenuto quello che volevamo grazie alla serietà delle persone che ci hanno messo il Paese nelle mani”. Com’è noto, le persone in questione sono Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri (oggi entrambi indagati a Firenze come mandanti esterni sulle stragi) con il secondo che è condannato definitivo per concorso esterno e a dodici anni in primo grado proprio per “attentato a corpo politico dello Stato”.
Dichiarazioni che erano al di fuori dei 180 giorni previsti da una legge (assurda) in cui si delimitano i tempi per cui un collaboratore di giustizia deve dire tutto ciò che sa alla magistratura inquirente.
Quella mancata ammissione al programma di protezione fu contestata duramente proprio dal magistrato 
Nino Di Matteo, all’epoca pm della Dda di Palermo e presidente della giunta distrettuale dell’Anm, che si espose in più sedi proprio per difendere e promuovere il programma di protezione e l’attendibilità di Spatuzza.
“Per quanto ricordi, è la prima volta che si nega l’ammissione al programma di protezione per i pentiti in presenza della richiesta di ben tre Procure della Repubblica – disse nel giugno 2010 Di Matteo -. Comunque, la valutazione sull’attendibilità delle dichiarazioni resta di competenza delle autorità giudiziarie che hanno sentito e continueranno a sentire Gaspare Spatuzza”.
Ma di questo nulla si riporta nella relazione della Commissione parlamentare antimafia. Una grave omissione, che dimostra una certa faziosità nella ricostruzione.
Le valutazioni nel 2009, appare evidente, venivano effettuate nell’attesa dei dovuti riscontri. Una prassi.
Ed è gravemente scorretto, prima ancora verso i cittadini che meritano di essere messi a conoscenza di tutti i fatti, effettuare ricostruzioni parziali condite da pericolose insinuazioni.

Il vero ed il falso mescolato

Ciò di cui non si tiene mai conto nelle ricostruzioni sul depistaggio di via d’Amelio è che molte dichiarazioni di Spatuzza coincidono, incredibilmente, anche con quelle del “falso pentito” 
Vincenzo Scarantino. La stessa Corte d’assise di Caltanissetta, nelle motivazioni del processo Borsellino Quater dedica una parte alle dichiarazioni dello Scarantino che, “pur essendo sicuramente inattendibili, contengono elementi di verità”.
Alcuni di questi elementi furono ricordati anche dal Procuratore generale Scarpinato, proprio in occasione della presentazione del precedente lavoro della Commissione regionale antimafia.
In quell’occasione venne smontato anche il caso dei verbali di confronto tra Scarantino ed i collaboratori di giustizia Cancemi, La Barbera e Di Matteo: “Quei verbali sono stati depositati in tutti i processi. Nel ‘Borsellino uno’ sono stati depositati in appello, quindi prima che il processo avesse la sua conclusione in Cassazione. Ciò significa che i giudici hanno avuto la possibilità di valutare quei verbali. Nonostante quei verbali di confronto si è arrivati alla condanna di Profeta; Orofino è stato assolto nel concorso in strage ma non per il favoreggiamento; 
Pietro Scotto non è stato condannato nonostante la figlia di Rita Borsellino ed il marito avessero riconosciuto in lui l’operaio che qualche giorno prima era andato ad armeggiare sui fili del telefono in via d’Amelio. Ancora era accaduto che nel Borsellino bis i giudici di primo grado hanno ritenuto Scarantino inattendibile mentre la Corte d’appello, nonostante quei verbali di confronto, ha ribaltato il giudizio. Quindi ci sono 80 magistrati che hanno fatto valutazioni differenti sugli stessi verbali di confronto”.
Il segno chiaro di come il “pupo” era stato ben vestito dai depistatori rendendo ancora più difficile e complesso l’accertamento della verità si ha proprio nella coincidenza delle dichiarazioni tra Spatuzza e Scarantino. “E’ accaduta una cosa diabolica – ricordava sempre Scarpinato – Scarantino e Spatuzza indicano le stesse persone come partecipi della fase cruciale della strage. Scarantino dice che quando la macchina viene portata nel garage per essere imbottita di esplosivo c’erano Graviano, Tagliavia e Tinnirello, così come poi dirà in perfetta coincidenza Spatuzza. Quest’ultimo dice anche che presente era un uomo che non apparteneva a Cosa nostra. Secondo le regole della mafia quando un uomo d’onore commette un reato con un altro uomo d’onore devono essere presentati a vicenda, in caso contrario si tratta di un soggetto esterno. Ebbene abbiamo Andriotta che riferisce che Scarantino in carcere gli aveva detto che era presente anche un uomo che non era di Cosa nostra, uno specialista di esplosivi italiano. Quindi abbiamo magistrati che si trovano a dover valutare una persona che dirà cose costruite a tavolino con informazioni sulla fase esecutiva che coincidono con le stesse che dirà Spatuzza”.
Altre difficoltà si aggiungono quando vengono compiuti dei sopralluoghi con un altro dei falsi pentiti, Candura, che viene accusato di aver rubato la macchina. “Lui – aggiungeva il Pg – indica il luogo dove si trovava la macchina e quel luogo corrisponde a quanto fu detto dalla signora Valenti a cui l’auto fu rubata. Molti anni dopo Spatuzza dice di aver trovato la macchina in un altro posto. E la Valenti cambierà la sua versione. Inoltre Spatuzza, in un colloquio investigativo del 26 maggio 1998, dirà che la macchina è stata rubata da persone della Guadagna e che poi è stata ‘riarrubata’”.
Alla luce di tutto ciò, dunque, è evidente che la storia del depistaggio è tutt’altro che semplice e lineare.
E stupisce notare che il Presidente 
Claudio Fava insiste, nella sua visione unidirezionale, a non voler audire Salvatore Borsellino o il suo legale, Fabio Repici. O ancora non fa cenno alcuno, nella relazione, all’indagine sulla trattativa Stato-mafia che ha visto le pesantissime condanne in primo grado contro boss, ufficiali dell’arma e ex senatori.
Un processo che, guarda caso, ha visto come protagonista, assieme agli altri membri del pool 
Teresi-Tartaglia e Del Bene, proprio Nino Di Matteo.
Nelle ricostruzioni viene omesso il dato che quest’ultimo è uno di quei magistrati che ha impegnato la propria vita proprio nella ricerca della verità sulle stragi ed in particolare sui mandanti esterni che si celano dietro ad esse.
La storia dice che è lui ad aver condotto proprio a Caltanissetta inchieste pesantissime, assieme al collega 
Luca Tescaroli, che si sono sviluppate negli anni successivi, come quelle su “Alfa e Beta” (ovvero Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri) oppure sulla presenza in via d’Amelio di Bruno Contrada, che fu anche accusato di concorso in strage (e poi archiviato).
Si dimentica troppo spesso che, rispetto alle indagini del Borsellino bis (uno dei due processi oggetto di “revisione”), Di Matteo si occupò di esse solo marginalmente. Diversamente istruì in toto le indagini sul “Borsellino ter” che portarono alla condanna di tutti i capi della Commissione provinciale e regionale, tracciando il percorso delle indagini sui cosiddetti mandanti esterni.
E invece ogni scusa diventa buona per colpire il magistrato e delegittimarlo.
Tutto all’interno di una “campagna” che, purtroppo, 
ha visto coinvolti anche familiari vittime di mafia, una in particolare, cioè Fiammetta Borsellino.
Un fatto tanto grave quanto pericoloso, considerato che Di Matteo è oggetto di una condanna a morte espressa direttamente dal Capo dei capi Totò Riina e dal super latitante Matteo Messina Denaro.  Una condanna a morte emessa “perché si è spinto troppo oltre”, racconta il collaboratore di giustizia Vito Galatolo secondo quanto richiesto, appunto, dal Messina Denaro.
Ci sono inchieste, come quella della trattativa, che sono scomode. Così come scomodi sono i magistrati che non si arrendono nella ricerca della verità.
Una Commissione regionale antimafia che lavora nel nome del popolo siciliano dovrebbe essere capace di andare oltre la politica o l’ideologia in cui viene offerta una ricostruzione monca.
Un peccato se si considera che, per alcuni aspetti nella relazione della Commissione ci sono degli spunti di interesse come ad esempio l’esistenza di un’informativa dei servizi che già pochi giorni dopo la strage di Capaci lanciava l’allarme sulla vita di 
Paolo Borsellino; il depistaggio di Maurizio Avola e gli approfondimenti sulla presenza di uomini “dei servizi” in Via D’Amelio.
Un punto su mafia-appalti  
Tornando alla trattativa va ricordato che essa rientra perfettamente tra i motivi dell’accelerazione della strage, ben più di quel rapporto mafia-appalti sbandierato a destra e manca come la risoluzione di ogni mistero. La Commissione regionale non prende posizione, ma riporta le parole di Roberto Scarpinato che così sintetizzata la vicenda da una parte confermando il clima tumultuoso, al tempo, all’interno della Procura di Palermo. Dall’altra conferma le omissioni nel rapporto: “Quando noi abbiamo l’informativa, nel febbraio ’91, non sappiamo che c’è una intercettazione tra Lima e un soggetto coinvolto negli appalti. Viene ucciso Lima, i Carabinieri non ci dicono niente, non ci dicono che esiste una intercettazione che riguarda Salvo Lima neppure dopo l’omicidio. Questa cosa come si spiega secondo lei? Nell’informativa del 1991, ben 900 pagine, non si citano queste intercettazioni: spuntano soltanto nel settembre del 1992 dopo che ci sono stati gli articoli di stampa in cui dice che la Procura di Palermo è insana… Cosa hanno fatto i Carabinieri? Quale è la scelta che hanno fatto? Io, sinceramente, questo non lo so. Quello che è inammissibile è che da parte di alcuni si spaccia l’archiviazione temporanea con l’archiviazione dell’inchiesta, tutta, che è un falso perché l’inchiesta non fu mai archiviata, continuò…”.
Scarpinato ha anche confermato di aver personalmente avvisato Borsellino degli sviluppi dell’indagine prima dell’archiviazione del 14 luglio. “Glielo avevo detto io: ‘abbiamo deciso di concentrarci su quelle posizioni forti in modo da avere la legittimazione della Corte di Cassazione…’. Il problema quale era? Archiviare venti posizioni che poi si potevano riaprire in qualsiasi momento, perché la archiviazione è momentanea? Si disse dell’archiviazione di mafia-appalti: ma quando mai è stata archiviata mafia-appalti?”.
Ed infine concludeva: “Una serie di falsità su questa storia è stata messa in giro proprio per creare un’artificiosa connessione di questa vicenda con la strage di via D’Amelio. Questo risponde all’interesse difensivo di alcuni imputati, e questo è pienamente legittimo, ma io credo che corrisponda all’interesse ulteriore di molti che hanno interesse a blindare la causale della strage di Via D’Amelio dentro Cosa nostra, tagliando fuori invece tutti pezzi deviati dei Servizi”.
Altro spunto nella relazione della Commissione Fava è il dato che già nel 1998 Spatuzza, in un colloquio investigativo con i giudici 
Pier Luigi Vigna e Piero Grasso (all’epoca capo e vice della procura nazionale antimafia), per la prima volta disse che la storia della strage di via D’Amelio, come raccontata dal falso pentito Vincenzo Scarantino, era una balla, autoaccusandosi e spiegando perché Scarantino aveva mentito accusando se stesso e altri innocenti di reati mai compiuti.
Ad onor del vero Spatuzza, diede indicazioni già un anno prima, sempre davanti gli stessi giudici, addirittura aggiungendo di “fare attenzione a Milano 2”. In quale processo riferì del colloquio investigativo? Neanche a dirlo. Nella trasferta romana del processo trattativa Stato-mafia presso l’aula bunker di Rebibbia. Dove anche Di Matteo era presente.
Ma anche questo, ovviamente, è l’ennesimo dato omesso.
Quindi, a nostro giudizio, lo ribadiamo, dietro alla relazione del Presidente 
Claudio Fava c’è un intento che non guarda alla ricerca della verità. Piuttosto a quei facili consensi, soprattutto da quei partiti che hanno perso i grandi ideali per i quali sono stati fondati, per poi diventare falsi movimenti politici al servizio del potere.
Consensi sempre utili con l’approssimarsi delle elezioni politiche-amministrative.
Giorgio Bongiovanni ANTIMAFIA DUEMILA

 

17.7.2021 – Borsellino: figlia Fiammetta, non sarò a Palermo Nessuna polemica, lascio che siano altri a ricordare e riflettere  , 17 LUG – “In questi giorni non sarò a Palermo”, dice Fiammetta Borsellinomentre si prepara a lasciare la città alla vigilia delle manifestazioni per la strage di via D’Amelio. “Lascio ora – aggiunge la figlia del magistrato ucciso 29 anni fa con la scorta – che siano gli altri, la gente e chiunque ne avverta il bisogno, a ricordare e a riflettere. Io lo faccio sempre incontrando i giovani e andando nelle scuole”.  Non c’è un risvolto polemico nella decisione. I tre figli di Borsellino e, fino a quando era in vita, la moglie Agnese hanno sempre mantenuto un profilo riservato. E assicurato la loro presenza solo in alcune occasioni. (ANSA).

 

17.7.2021 – Anniversario della strage di via D’Amelio, Fiammetta Borsellino: “Non sarò in città”  La figlia del magistrato si prepara a lasciare la città alla vigilia delle manifestazioni in ricordo del padre e degli agenti di scorta uccisi. “Che siano gli altri, la gente e chiunque ne avverta il bisogno, a ricordare e a riflettere”. Salvatore Borsellino: “Con Paolo ancora in vita, la trattativa Stato-mafia non sarebbe mai potuta andare avanti”

“In questi giorni non sarò a Palermo”. Così Fiammetta Borsellino mentre si prepara a lasciare la città alla vigilia delle manifestazioni per la strage di via D’Amelio.

Lunedì saranno trascorsi 29 anni dall’eccidio in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta. “Lascio ora – aggiunge la figlia del magistrato all’Ansa – che siano gli altri, la gente e chiunque ne avverta il bisogno, a ricordare e a riflettere. Io lo faccio sempre incontrando i giovani e andando nelle scuole”. Non c’è un risvolto polemico nella decisione. I tre figli di Borsellino e – fino a quando era in vita – la moglie Agnese hanno sempre mantenuto un profilo riservato, assicurando la loro presenza solo in alcune occasioni. In via D’Amelio ci sarà invece Salvatore Borsellino, il fratello del magistrato. Che torna sulle ipotesi di depistaggio e su chi “non vuole che venga fuori la verità su quanto accadde quella maledetta domenica”. “Tante volte si dice che lo Stato non può processare se stesso – afferma all’Adnkronos -. Sono stati proprio pezzi deviati dello Stato che hanno intavolato la trattativa. E quella trattativa, con Paolo ancora in vita, non sarebbe mai potuta andare avanti. Paolo doveva morire per potere portare avanti quella scellerata trattativa e doveva anche sparire la sua agenda rossa”.

 

17.7.2021 – Anniversario Borsellino, la figlia Fiammetta: “Non sarò a Palermo” Lunedì saranno trascorsi 29 anni dalla strage di via D’Amelio“In questi giorni non sarò a Palermo”, dice Fiammetta Borsellino  mentre si prepara a lasciare la città alla vigilia delle manifestazioni per la strage di via D’Amelio. “Lascio ora – aggiunge la figlia del magistrato ucciso 29 anni fa con la scorta – che siano gli altri, la gente e chiunque ne avverta il bisogno, a ricordare e a riflettere. Io lo faccio sempre incontrando i giovani e andando nelle scuole”. Non c’è un risvolto polemico nella decisione. I tre figli di Borsellino e, fino a quando era in vita, la moglie Agnese hanno sempre mantenuto un profilo riservato. E assicurato la loro presenza solo in alcune occasioni.

Alla vigilia dell’anniversario arriva poi anche la presa di posizione del fratello, Salvatore: “La verità su via D’Amelio – dice – si saprà, purtroppo, solo quando tutti gli attori di questa scellerata storia saranno morti…”. Salvatore Borsellino, maglietta rossa e cappellino intonato, è seduto sotto l’albero piantato in via D’Amelio per tenere vivo il ricordo del fratello Paolo Borsellino e dei cinque agenti di scorta uccisi nella strage del 19 luglio 1992. Incontra dei bambini a cui racconta chi era il giudice ucciso dalla mafia. Ma parla anche di Rita Borsellino, la sorella. Poi, il viso si rabbuia, e parla del “depistaggio sulla strage”, anzi “dei depistaggi” e di chi “non vuole che venga fuori la verità su quanto accadde quella maledetta domenica”. “Tante volte si dice che lo Stato non può processare se stesso – dice in una intervista all’Adnkronos – E sono stati proprio pezzi deviati dello Stato che hanno intavolato la trattativa. E quella trattativa, con Paolo ancora in vita, non sarebbe mai potuta andare avanti. Paolo doveva morire per potere portare avanti quella scellerata trattativa e doveva anche sparire la sua agenda rossa”.

Per Salvatore Borsellino “il depistaggio comincia nel momento in cui un capitano dei carabinieri si allontana dalla macchina di Paolo con la sua borsa che poi viene rimessa nel sedile, sperando in un ritorno di fiamma dell’inferno che c’era in via D’Amelio. E sperando che andasse tutto perduto, compresa la borsa. Ma su questo non si è mai veramente indagato, perché se è vero che il capitano Arcangioli è stato assolto dal reato di avere sottratto l’agenda, a mio avviso si sarebbe dovuto indagare su che fine abbia fatto l’agenda di mio fratello e chi fine ha fatto prima che borsa venisse restituita alla moglie e alla figlia”.

 

15 LUGLIO 2021 – ARIDIOCESI DI PALERMO  PROIEZIONE SPECIALE IN OCCASIONE DEL FESTINO DEL DOCUFILM DI TV2000 “IL DONO DELLA LUNA” Tv2000 organizza una proiezione speciale a Palermo del docufilm di Tv2000 “Il dono della luna”, in occasione del 397° Festino di Santa Rosalia e l’anniversario della strage di via D’Amelio (19 luglio). Appuntamento giovedì 15 luglio ore 21.30 sul sagrato della Cattedrale, subito dopo la messa conclusiva delle celebrazioni per la santa patrona della città. Intervengono: l’arcivescovo di Palermo, mons. Corrado Lorefice, Fiammetta Borsellino e il direttore di Tv2000, Vincenzo Morgante. “Il dono della Luna”, diretto da Gianni Vukaj, scritto con Beatrice Bernacchi e prodotto da Tv2000Factory, intreccia tre storie che prendono forma attraverso la voce di Antonio, un bambino palermitano che ama gli eroi, le storie epiche dei cavalieri e le loro gesta, colleziona Pupi e cita a memoria l’Orlando Furioso. È lui il cantastorie che introduce nella vita quotidiana di tre famiglie ferite per mano della mafia. Tra queste quella di Paolo Borsellino attraverso un’intensa testimonianza di Fiammetta, la figlia del giudice ucciso con gli uomini della scorta dalla mafia a Palermo in via d’Amelio il 19 luglio 1992. “Bellezza e amore – sottolinea Fiammetta Borsellino – sono le parole dominanti nella nostra vita. Mio padre anche nei momenti più difficili non smetteva mai di sorridere anche utilizzando come antidoto alla paura l’ironia, che permetteva di sdrammatizzare. Il 19 luglio 1992 noi eravamo ragazzi adolescenti, tra i 19 e i 22 anni. A quell’età è facile lasciarsi un po’ andare e se non si trovano delle risorse interiori. Abbiamo scelto la strada della vita, se non avessimo fatto così avremmo totalmente sconfessato quelli che sono stati gli insegnamenti di mio padre”. “Il tema della lotta alle mafie – dichiara il direttore di Tv2000, Vincenzo Morgante – lo abbiamo voluto trattare da un’angolatura diversa rispetto al consueto privilegiando le testimonianze intime e personali dei famigliari delle vittime di mafia. Il racconto di Fiammetta Borsellino va proprio in questo senso. La sua narrazione del padre Paolo – aggiunge il direttore Morgante – fa emergere la grandezza di un uomo non solo sul fronte civile e giudiziario ma anche nel rapporto speciale con i figli e con la fede”. “La mafia è ‘un’invenzione dell’uomo e solo l’uomo può sconfiggerla’. Siamo partiti da qui con Beatrice Bernacchi autrice insieme a me di questo docufilm – spiega il regista Gianni Vukaj – convinti che la mafia si combatte prima di tutto cambiando la mentalità mafiosa nella vita di tutti i giorni di ognuno di noi. ‘Il dono della Luna’ è un docufilm di 75 minuti, tre capitoli, tre storie di vita quotidiana di famiglie italiane che hanno perso un caro per mano della mafia”.  Trailer: https://youtu.be/OMSVJQTtGpw

 

12.7.2021 – Strage via D’Amelio: Palermo, giovedì sera proiezione del docufilm di Tv2000 “Il dono della luna” con mons. Lorefice, Fiammetta Borsellino e Morgante Fiammetta Borsellino nel docufilm “Il dono della luna” di Tv2000 In occasione del 397° Festino di Santa Rosalia e del ventinovesimo anniversario della strage di via D’Amelio che ricorre il 19 luglio, Tv2000 organizza una proiezione speciale a Palermo del docufilm “Il dono della luna”. L’evento è in programma per giovedì 15 luglio con inizio alle 21.30 sul sagrato della cattedrale, subito dopo la messa conclusiva delle celebrazioni per la santa patrona della città. Interverranno l’arcivescovo di Palermo, mons. Corrado Lorefice, Fiammetta Borsellino e il direttore di Tv2000, Vincenzo Morgante.  “Il dono della Luna”, diretto da Gianni Vukaj, scritto con Beatrice Bernacchi e prodotto da Tv2000Factory, intreccia tre storie che prendono forma attraverso la voce di Antonio, un bambino palermitano che ama gli eroi, le storie epiche dei cavalieri e le loro gesta, colleziona Pupi e cita a memoria l’Orlando Furioso. È lui il cantastorie che introduce nella vita quotidiana di tre famiglie ferite per mano della mafia. Tra queste quella di Paolo Borsellino attraverso un’intensa testimonianza di Fiammetta, la figlia del giudice ucciso con gli uomini della scorta dalla mafia a Palermo in via D’Amelio il 19 luglio 1992.  “Bellezza e amore – sottolinea Fiammetta Borsellino – sono le parole dominanti nella nostra vita. Mio padre anche nei momenti più difficili non smetteva mai di sorridere anche utilizzando come antidoto alla paura l’ironia, che permetteva di sdrammatizzare. Il 19 luglio 1992 noi eravamo ragazzi adolescenti, tra i 19 e i 22 anni. A quell’età è facile lasciarsi un po’ andare e se non si trovano delle risorse interiori. Abbiamo scelto la strada della vita, se non avessimo fatto così avremmo totalmente sconfessato quelli che sono stati gli insegnamenti di mio padre”.  “Il tema della lotta alle mafie – dichiara Morgante – lo abbiamo voluto trattare da un’angolatura diversa rispetto al consueto privilegiando le testimonianze intime e personali dei famigliari delle vittime di mafia. Il racconto di Fiammetta Borsellino va proprio in questo senso”. “La sua narrazione del padre Paolo – aggiunge il direttore di Tv2000 – fa emergere la grandezza di un uomo non solo sul fronte civile e giudiziario ma anche nel rapporto speciale con i figli e con la fede”.

 

12.7.2021 – Tv 2000: docufilm ‘Il dono della luna’ a Palermo per Festino Proiezione davanti Cattedrale, Testimonianza Fiammetta Borsellino  (ANSA) – PALERMO,  Proiezione speciale a Palermo del docufilm di Tv2000 ‘Il dono della luna’, in occasione del 397° Festino di Santa Rosalia e l’anniversario della strage di via D’Amelio (19 luglio). Appuntamento giovedì 15 luglio ore 21.30 sul sagrato della Cattedrale, subito dopo la messa conclusiva delle celebrazioni per la santa patrona della città. Intervengono l’arcivescovo di Palermo, mons. Corrado Lorefice, Fiammetta Borsellino e il direttore di Tv2000, Vincenzo Morgante.  ‘Il dono della Luna’, diretto da Gianni Vukaj, scritto con Beatrice Bernacchi e prodotto da Tv2000Factory, intreccia tre storie che prendono forma attraverso la voce di Antonio, un bambino palermitano che ama gli eroi, le storie epiche dei cavalieri e le loro gesta, colleziona Pupi e cita a memoria l’Orlando Furioso. È lui il cantastorie che introduce nella vita quotidiana di tre famiglie ferite per mano della mafia. Tra queste quella di Paolo Borsellino attraverso un’intensa testimonianza di Fiammetta, la figlia del giudice ucciso con gli uomini della scorta dalla mafia a Palermo in via D’Amelio il 19 luglio 1992. “Bellezza e amore – sottolinea Fiammetta Borsellino – sono le parole dominanti nella nostra vita. Mio padre anche nei momenti più difficili non smetteva mai di sorridere anche utilizzando come antidoto alla paura l’ironia, che permetteva di sdrammatizzare. Il 19 luglio 1992 noi eravamo ragazzi adolescenti, tra i 19 e i 22 anni. A quell’età è facile lasciarsi un po’ andare e se non si trovano delle risorse interiori. Abbiamo scelto la strada della vita, se non avessimo fatto così avremmo totalmente sconfessato gli insegnamenti di mio padre”.“Il tema della lotta alle mafie – dichiara il direttore di Tv2000, Vincenzo Morgante – lo abbiamo voluto trattare da un’angolatura diversa rispetto al consueto privilegiando le testimonianze intime e personali dei famigliari delle vittime di mafia. Il racconto di Fiammetta Borsellino va proprio in questo senso. La sua narrazione del padre Paolo – aggiunge Morgante – fa emergere la grandezza di un uomo non solo sul fronte civile e giudiziario ma anche nel rapporto speciale con i figli e con la fede”. (ANSA).