25 maggio 1992 Orlando li sposò a mezzanotte

 

 
Orlando li sposò a mezzanotte Orlando li sposò a mezzanotte Francesca e Giovanni, l’amore egli stessi ideali Bella, intelligente, dolce ma con un sorriso triste che forse nascondeva un presentimento, determinata non meno del marito che adorava.
Viveva nella sua ombra, conservando però i suoi spazi e la consapevolezza di essere, a 46 anni, un magistrato di Corte d’appello chiamata a decidere casi scottanti, ultimo quello dell’ex sindaco Vito Ciancimino accusato di essere mafioso. Francesca Morvillo aveva sposato civilmente Giovanni Falcone pochi anni fa dopo una breve convivenza.
La loro love story dopo il fallimento dei precèdenti matrimoni a Palermo fece rumore. Li sposò una sera a tarda ora (era quasi mezzanotte) Leoluca Orlando, il sindaco delle «giunte anomale» fondatore poi del movimento «La Rete» che a quel tempo era grande amico di Falcome. Un’amicizia infranta di lì a poco per le ripetute prese di posizione di Orlando sulle inchieste per i delitti politici dei mafiosi a suo dire rimaste sepolte nei cassetti a Palazzo di Giustizia.
Un’ipotesi, questa, respinta con sdegno da Falcone. Preferirono andare in munici¬ pio a così tarda ora per, non dare nell’occhio. Lui era già una celebrità, un uomo da copertina.
A Trapani Giovanni Falcone aveva rotto con la moglie Rita Bennici, originaria di Catania, laurea in psicologia dopo il diploma di maestra conseguito a Palermo, una bella donna che ora ha 47 anni e che si è unita ad un altro giudice. E a Palermo, dove nel frattempo era stato trasferito, Falcone era stato spesso invitato da Francesca Morvillo sposata con il figlio dell’ex prefetto Lietta.
Senza figli lui, senza figli lei, fu quasi un amore a prima vista.
Gli amici più intimi raccontano che lui in quei giorni era piuttosto depresso per la brutta fine del suo matrimonio e che questo colpì Francesca, a sua volta in crisi, che lo consolò. Colpo di fulmine o quasi, la notizia del flirt fra i due magistrati fece rumore e suscitò la diffidenza se non proprio l’ostilità di alcuni parenti, ma soprattutto una scossa a un certo «perbenismo» di facciata nel Palazzo di Giustizia che qualche anno dopo è stato chiamato «Palazzo dei veleni». L’allora presidente della Corte d’appello Giovanni Pizzillo, un omone con gli occhi di ghiaccio che conosceva a menadito i codici, un giorno affrontò, Falcone e gli suggerì di chiedere” il trasferimento. «La sua tresca dà scandalo» gli disse senza mezze parole.
Un suggerimento che recava il sapore acre dell’ultimatum e, che Falcone lasciò però cadere nel nulla. In giro li si vedeva pochissimo, anche allora per ragioni di sicurezza dato che lui era; già condannato alla «vita blinda-; ta». Pochissimi amici selezionati e una gran voglia di svagarsi, di fare quattro risate senza pensieri, sempre pronti a scherzare perfino sui pericoli ai quali era-! no esposti. «Non voglio nemmeno pensare a quel che può succedere a Giovanni – aveva confidato Francesca Morvillo pochi giorni fa a un’amica – per quanto mi riguarda mi basta andare con mia madre in via Ruggiero Settimo (la strada più in di Palermo, ndr) per fare shopping». 
Lei non voleva scorta, ma iquando era con il marito era obbligata a sottostare agli asfissianti controlli degli agenti con mitra e pistole automatiche che, per farli passare, bloccavano il traffico.
Da quando lui era a Roma, al ministero, con l’alloggio ricavato in un’impenetrabile caserma della polizia, lei non riusciva a stargli lontano malgrado abitasse nello, stesso edificio della madre.
Aveva ottenuto di fair parte a Roma di una commissione per l’ammissione di nuovi giudici. Per i fine settimana venivano a Palermo, nel loro alloggio pieno di libri, fascicoli, raccolte giurisprudenziali della Cassazione. A 24 anni Francesca Morvillo aveva seguito le orme del padre, Guido, morto giovane che dopo essere stato dipendente delle Ferrovie era diventato sostituto procuratore della Repubblica. Una famiglia, i Morvillo, con il senso della giustizia fortemente radicato.
Anche il fratello minore di Francesca, Alfredo, è sostituto procuratore della Repubblica, titolare di inchieste scottanti e membro della Procura distrettuale antimafia. Lei era rimasta per 16 anni al Tribunale per i minorenni attiguo al carcere «Malaspina», quello dei ragazzi di «Mery per sempre», il film-verità sul microcosmo dei ragazzi sbandati che la mafia recluta per poche lire. Poi nel 1988 il balzo come consigliere di Corte d’appello nel palazzo dove Falcone stava per diventare procuratore aggiunto della Repubblica. Antonio Ruvide