4.6.1992 ARCHIVIO 🟧 Intercettati i piani per uccidere Falcone

 

 

Intercettati i piani per uccidere Falcone Catania, una donna captò due cellulari: «Arriva con la moglie, salterà al secondo ponte» Ma la polizia fece controlli sull’autostrada sbagliata La strage di Capaci, l’annientamento del giudice Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e della loro scorta, era prevista per venerdì 22 maggio.
Fu rinviata di un giorno perché, all’ultimo momento, cambiarono i programmi del magistrato.
Questa è più di un’ipotesi. Quasi una certezza, se si deve dar credito ad una notizia clamorosa che costituisce la pista principale battuta dagli investigatori.
Una notizia che suscita anche un inquietante interrogativo: poteva essere evitata la strage di Capaci? E’ stato fatto tutto quanto era possibile per prevenire il colpo di mano di Cosa Nostra? Catania, giovedì 21 maggio.
Una donna, una radioamatrice, «gioca» con la sua ricetrasmittente.
Com’è normale, le arrivano brandelli di discorsi captati da telefonini cellulari portatili. Ad un certo punto, la signora ascolta qualcosa che la mette in allarme, la sconvolge.
Due uomini parlano in dialetto. Uno dice: «Lo facciamo al secondo ponte…
Questa volta gli facciamo saltare le palle». La donna entra in agitazione, pensa a qualcosa di terribile. La prima cosa che gli viene in mente è che quei signori al telefono stiano parlando di un attentato.
La conferma arriva qualche secondo dopo, raggelando il sangue all’incredula ascoltatrice. «Lo facciamo venerdì», riprende la voce maschile. «Si, venerdì lo bastoniamo…».
Quindi un particolare raggelante: «Lui arriva con la moglie…». Il discorso si spezzetta, la donna ascolta terrorizzata, intuisce, non riesce a cogliere il senso del dialogo. Tutto diventa più chiaro quando il misterioso siciliano precisa: «Lo facciamo al secondo ponte dell’autostrada… Gli strizziamo le palle».
Un attimo di silenzio, quindi un commento rabbioso: «…così capiscono chi comanda… Gli facciamo saltare le palle!». La donna capisce e si preoccupa. Ne parla al marito, una rapida consultazione e la decisione di avvertire gli investigatori.
Quel giorno, giovedì 21 maggio, la polizia catanese raccoglie la denuncia e decide di compiere un controllo al secondo ponte dell’autostrada di Catania. Non trovano nulla e la cosa finisce lì, dando per scontato che quel dialogo poteva riferirsi solo a qualcosa che si stava preparando a Catania. E perché non a Palermo, o Trapani, le altre due città che dispongono di aeroporti e rete autostradale?
Una domanda senza risposta. Ma sono state le indagini svolte nei giorni successivi alla strage di Capaci che hanno contribuito a chiarire come quella involontaria intercettazione, se fosse stata capita in tutta la sua importanza, avrebbe forse potuto evitare la strage. Si è appreso, infatti, che Falcone aveva in programma di arrivare in Sicilia venerdì 22 maggio, pomeriggio, per proseguire verso Favignana ad assistere alla mattanza nella vecchia tonnara dei Florio.
Il programma fu modificato perché dall’isoletta lo avvertirono che la mattanza si sarebbe svolta il giorno seguente, per lo scarso numero di tonni già prigionieri nella «camera della morte».
L’aereo della presidenza del Consiglio era stato prenotato per venerdì. Sulla scorta della intercettazione di Catania, era davvero impossibile fare una rapida analisi dei «probabili obiettivi di attentati» che arrivavano in Sicilia? Quanti ne sarebbero arrivati con le mogli? Perché limitare i controlli a Catania?
Che il giudice sarebbe arrivato a Palermo, con la moglie, lo sapevano anche i servizi segreti per il «Falcon 200» predisposto a Ciampino, disdetto per venerdì e riconfermato per sabato.
L’intercettazione di Catania, ora rimane ugualmente un punto di partenza importante, ma solo per cercare di incastrare due persone che sicuramente erano al corrente di quanto stava per accadere.
Gli investigatori cercano nei tabulati della Sip i misteriosi interlocutori captati dalla signora catanese. Non sarà un’operazione facile: si tratta di controllare migliaia di abbonati sparsi in una zona vastissima, che potrebbe arrivare anche in Calabria.
Ma in serata è arrivata la prima smentita: il questore di Catania, Carmelo Bonsignore, ha definito «tutte fandonie» le ipotesi secondo cui la telefonata intercettata a Catania potesse riferirsi alla strage di Capaci.
Gli anonimi, secondo lui, avrebbero fatto riferimento alla località San Gregorio, vicino Catania. La pista «catanese», comunque, potrebbe rivelarsi davvero importante. Ed è proprio la città, Catania, ad avere fatto alzare le antenne agli investigatori.
Sono infatti i clan catanesi che vengono considerati come i veri «esperti artificieri» di Cosa Nostra. Ritorna d’attualità la segnalazione dell’Alto Commissario del luglio ’91, a proposito di un carico di esplosivo partito dalla Toscana e destinato alla mafia catanese. Secondo quella segnalazione, l’esplosivo doveva servire per un attentato.
Anche Antonino Calderone, il pentito che sa tutto della mafia di Catania, fratello di Giuseppe, capoclan ucciso dai nemici del gruppo Santapaola, dimostra di credere molto alla «pista catanese».
Intervistato sull’assassinio del giudice Falcone, ha detto: «Anche la mia “famiglia”, quella guidata da Nitto Santapaola, deve aver votato a favore e forse procurato l’esplosivo o la manovalanza». Non è la prima volta che il pentito parla di Santapaola e della sua «famiglia» come di esperti dinamitardi.
Nel suo libro di memorie Gli uomini del disonore (edito da Mondadori), Calderone fa persino il nome dell’uomo che maneggia gli esplosivi per conto di «Nitto»: Pietro Rampulla, uomo d’onore della «famiglia» di Mistretta. Francesco La Licata LA STAMPA