Interessante convegno ieri a Villa Filippina. Si è parlato della decisione del Consiglio Superiore della Magistratura di rendere pubblici tutti gli atti relativi ai procedimenti che hanno coinvolto Giovanni Falcone: “Chissà se a determinare questa scelta sia stato il nuovo presidente della Repubblica”. Oltre al giudice Giordano, c’era Claudio Martelli. Assente, per una “sciatalgia”, Giovanni Fiandaca. In platea anche Vincenzo d’Agostino, padre del poliziotto ucciso nel 1989 e la mamma del piccolo Claudio Domino, ucciso a 11 anni
Le offese e le calunnie subite anche da parte di chi oggi “lo chiama Giovanni, o il caro Giovanni”. L’invidia malevola dei colleghi. Le insidie del CSM. L’atmosfera avvelenata che fu costretto a respirare in Italia e il grande prestigio di cui godeva all’estero. La trattativa o il “cedimento dello Stato nei confronti della mafia”.
In tanti ieri sono accorsi a Villa Filippina, a Palermo, per seguire il convegno “La verità di Falcone. Non più segreti gli atti del CSM”. Per ascoltare il giudice Alfonso Giordano, l’uomo che, nel 1986, non ebbe paura ad andare a presiedere il maxiprocesso di Palermo (ruolo rifiutato da altri suoi colleghi). Lo stesso giudice che non è stato invitato alle commemorazioni show del 23 Maggio, particolare sul quale, con grande sobrietà, ieri ha sorvolato. Ad incuriosire i palermitani anche la presenza di Claudio Martelli, ex ministro della Giustizia, colui che volle Falcone a Roma. Una spiacevole “sciatalgia” ha, invece, impedito a Giovanni Fiandaca, autore del libro ‘La mafia non ha vinto’ (che nella vita è docente universitario di Diritto penale, impegnato in politica col PD) di partecipare all’incontro. Un’assenza che ha suscitato l’ironia un po’ inclemente della platea che ha ricordato la sua vicinanza a Leoluca Orlando, il quale- come era prevedibile – è stato citato più volte citato per la sua nota lite con Falcone. Chiacchiere, va da sé, ed un augurio di pronta guarigione da parte del moderatore, il giornalista Felice Cavallaro, che lo ha ringraziato “per la disponibilità”.
“Chissà – ha osservato il giudice Giordano- se il cambiamento alla Presidenza della Repubblica ha determinato questa decisione che noi apprezziamo molto. Certo è che leggendo quegli atti noi abbiamo trovato soltanto la persona di un magistrato integerrimo che difendeva le proprie posizioni, che spiegava tutto quello che il pool aveva fatto, come era nato il maxi processo che è stato un grandissimo processo, non solo per il numero di imputati”.
Giordano ha quindi ricordato la grande intuizione di Falcone: “Volle il maxi processo perché era convinto che per per sconfiggere una organizzazione unitaria come la mafia bisognava colpirla nella sua interezza. Ed è stato un successo”.
E ancora: “Nessuno gli dava atto della sua bravura quando era in vita. Io dimostrai con i fatti la mia stima nei suoi confronti e non poteva che essere così avendo letto tutte le carte del processo che lui ha voluto. Chi gli diceva bravo? Nessuno, tranne Martelli che io ringrazio, qui, in questo momento. E quando Martelli gli diede la possibilità di superare la canea che lo aveva investito sia a Roma che a Palermo, lo aggredirono con due esposti nei quali si contestava che Falcone teneva nel cassetto delle prove. Voi capite la sofferenza di un uomo dinnanzi a queste cose. Ricompense all’incontrario”.
I due esposti, come è noto, sono di Leoluca Orlando, Alfredo Galasso, Carmine Mancuso e l’altro è dell’avvocato Giuseppe Zupo (qui potete leggere gli atti del CSM sul caso inclusa l’audizione di Falcone).
Claudio Martelli, rispondendo ad una domanda precisa di Felice Cavallaro, ha parlato della decisione di Falcone di accettare il ruolo di Direttore degli Affari Penali:
“Per quello che mi risulta non ha avuto tentennamenti. Se li ha avuti, o se qualcuno gli avesse sconsigliato di accettare, come si dice abbia fatto Borsellino, io non posso saperlo. Voleva fare un passo in avanti, passare all’ingegneria dell’antimafia”.
“La sua azione era ostacolata anche da un formalismo esasperato. Ricordo, ad esempio, che il procuratore generale di Roma non si presentò ad una riunione convocata da Falcone perché era solo un sostituto procuratore. Ve lo immaginate uno Stato che deve combattere la mafia e che si trova ingessato in tali formalismi?”.
Quindi le indagini di Falcone che arrivarono in America: pizza connection, il narcotraffico, le raffinerie. Indagini lo fecereo conoscere ed apprezzare in tutto il mondo, negli USA in particolare:
“Il CSM credo sia stato ispirato dalla decisione del Fbi e del Dipartimento di Stato americano di rendere pubblica tutta la corrispondenza tra l’Ambasciata a Roma, il Consolato a Palermo e Fbi relativa al periodo di Falcone. Gli americani erano spaventatissimi dai veleni su Falcone, dalle mancate promozioni. Tanto che l’ambasciatore di allora arrivò a dire che i magistrati di Palermo erano troppo impegnati a farsi la guerra tra loro e non avevano tempo di fare la guerra alla mafia. Un giudizio sprezzante”.
“Ma non credo che sia la magistratura ad avere più responsabilità di tutti nella morte di Falcone, come diceva Borsellino. Ha enormi responsabilità nell’averlo denigrato, quasi perseguitato. Dovete leggere le domande insidiose di quella commissione del CSM che lo chiamò a rispondere delle accuse dell’allora sindaco, che è ancora sindaco, mi pare si chiami Leoluca Orlando Cascio, che lo accusava di tenere le carte nel cassetto”.
Veleni intorno ad un uomo che, invece “all’estero era tenuto in grandissima considerazione. E’ stato l’unico magistrato italiano invitato a parlare al Congresso USA. In Canada il presidente di un tribunale, quando vide Falcone in platea gli cedette il suo posto. Solo in Italia era circondato da malevolenze e invidie”.
Sulla trattativa, Martelli ha le sue idee: “Io non la chiamo trattativa, lo chiamo cedimento da parte dello Stato. Credo che la verità stia nelle dichiarazioni dell’ex Ministro della Giustizia Giovanni Conso che mi succedette. Disse ‘volevamo dare un segnale di disponibilità all’ala moderata di Cosa nostra di Provenzano per fermare nuove stragi e per questo sono stati tolti dal 41 bis alcune centinaia di mafiosi. Ma questo fu un errore politico perché non bloccò le stragi che furono invece esportate a Firenze, Milano e Roma. Credo anche che la decisione non sia stata di Conso, ma di qualcuno più in alto di lui”.
Parlando delle stragi, a parte i ricordi dolorosi, l’ex Ministro della Giustizia, si è soffermato su un particolare agghiacciante: “Resta il mistero della mancata sorveglianza della casa della mamma del giudice Borsellino. Tutti sapevano il rischio che stava correndo dopo l’uccisione di Falcone, eppure nessuno si prese cura di sorvegliare la casa della madre, dove lui andava spesso”.
Tra i momenti più caldi, non possiamo non citare la domanda rivolta dal cognato di Giovanni Falcone, l’ingegner Alberto Cambiano, a Martelli:” Perché il sindaco Orlando ha accusato il giudice Falcone? Quell’accusa ferì profondamente mio cognato, perché lo ha fatto?”
“Lo ha detto lo stesso Falcone- ha risposto Martelli- lo ha detto al CSM. Ha detto che ci sono appalti di poco conto e appalti miliardari per la rete fognaria e l’illuminazione e che, nonostante i cambiamenti, la politica dei grandi appalti a Palermo non era ancora trasparente. Con Orlando sindaco, Ciancimino era tornato a imperare”. Tratto da 6.6.2017 – I NUOVI VESPRI –
L’incontro è stato intenso e qui potete rivederlo per intero, è stato ripreso da Radio Radicale.
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