Ritengo importante far conoscere quanto stabilito in una sentenza definitiva peraltro emessa da una Corte di Assise il 26 luglio 2016, all’esito di un dibattimento di oltre 4 anni.
Si tratta di un estratto della sentenza Capaci bis primo grado – confermata in appello ed in Cassazione – in cui si statuisce, alle pagg.132 e ss.:
“Nella citata sentenza ( ndr la Corte si riferisce alla sentenza della Corte di Assise di Appello del 2000 del Capaci Uno) si è segnalato quindi che dalle ulteriori precisazioni di Giovanni Brusca è emersa un’ulteriore spinta motivazionale che contribuì all’eliminazione di Giovanni Falcone: tale concausa, di natura preventiva, era volta a impedirgli di promuovere le investigazioni nel settore inerente alla gestione illecita degli appalti in maniera ancora più efficace di quanto aveva fatto in passato; un’azione che avrebbe inciso o, comunque, compromesso i nuovi rapporti in fase di consolidamento tra Cosa Nostra ed i nuovi referenti nei settori dell’economia e della politica.
Si è poi osservato che la indicata causale preventiva ha trovato ulteriore conferma nelle dichiarazioni rese da Angelo Siino, il quale «con specifico riferimento alle ragioni delle eliminazioni del giudice Falcone, ha riferito che nel corso del 1991 – quando già il Governo aveva emanato il decreto con cui si dispose il rientro in carcere dei boss imputati nel maxiprocesso, scarcerati per decorrenza dei termini – Salvo Lima gli aveva detto, alla presenza Ignazio Salvo, che il giudice Falcone “s ’avia futtuto ‘a testa ” in quanto “quel cane rognoso si voleva mettere l’Italia nelle mani” (pag. 62, ud. del 17 novembre 1999). Pertanto, egli aveva pensato che Lima desiderasse l’eliminazione del dr Falcone, dal momento che Ignazio Salvo era un esponente di prestigio di Cosa Nostra».
Sul tema, la suddetta sentenza della Corte di Assise di Appello di Caltanissetta ha soggiunto: «A dire del Siino, le indagini promosse dal giudice Falcone nel settore della gestione illecita degli appalti, verso cui aveva mostrato un “crescendo di interessi”, avevano portato alla sua eliminazione.
Difatti, in Cosa Nostra, e, in particolare, da parte di Pino Lipari e Antonino Buscemi, era cresciuta la consapevolezza che il dr Falcone avesse compreso la rilevanza strategica del settore appalti e che intendesse approfondirne gli aspetti: “questo sa tutte cose, questo ci vuole consumare” (pag. 74, ud. del 17 novembre 1999).
In maniera del tutto pertinente al tema, Siino ha rievocato l’esternazione pubblica del dr Falcone, avente ad oggetto il fatto che la mafia era entrata in Borsa; dichiarazione che aveva mandato su tutte le furie Antonino Buscemi, il quale, sentendo quelle parole, gli aveva manifestato la convinzione che il magistrato avesse compreso che dietro la quotazione in Borsa del gruppo Ferruzzi “c’era effettivamente Cosa Nostra” e che tra quest’ultima e una frangia del partito Socialista, riconducibile all’on. Claudio Martelli, era intercorso un accordo elettorale. Peraltro, anche Giuseppe Madonia aveva manifestato il convincimento che il dr Falcone aveva compreso i legami tra mafia, politica e settori imprenditoriali».
Si è poi osservato che la indicata causale preventiva ha trovato ulteriore conferma nelle dichiarazioni rese da Angelo Siino, il quale «con specifico riferimento alle ragioni delle eliminazioni del giudice Falcone, ha riferito che nel corso del 1991 – quando già il Governo aveva emanato il decreto con cui si dispose il rientro in carcere dei boss imputati nel maxiprocesso, scarcerati per decorrenza dei termini – Salvo Lima gli aveva detto, alla presenza Ignazio Salvo, che il giudice Falcone “s ’avia futtuto ‘a testa ” in quanto “quel cane rognoso si voleva mettere l’Italia nelle mani” (pag. 62, ud. del 17 novembre 1999). Pertanto, egli aveva pensato che Lima desiderasse l’eliminazione del dr Falcone, dal momento che Ignazio Salvo era un esponente di prestigio di Cosa Nostra».
Sul tema, la suddetta sentenza della Corte di Assise di Appello di Caltanissetta ha soggiunto: «A dire del Siino, le indagini promosse dal giudice Falcone nel settore della gestione illecita degli appalti, verso cui aveva mostrato un “crescendo di interessi”, avevano portato alla sua eliminazione.
Difatti, in Cosa Nostra, e, in particolare, da parte di Pino Lipari e Antonino Buscemi, era cresciuta la consapevolezza che il dr Falcone avesse compreso la rilevanza strategica del settore appalti e che intendesse approfondirne gli aspetti: “questo sa tutte cose, questo ci vuole consumare” (pag. 74, ud. del 17 novembre 1999).
In maniera del tutto pertinente al tema, Siino ha rievocato l’esternazione pubblica del dr Falcone, avente ad oggetto il fatto che la mafia era entrata in Borsa; dichiarazione che aveva mandato su tutte le furie Antonino Buscemi, il quale, sentendo quelle parole, gli aveva manifestato la convinzione che il magistrato avesse compreso che dietro la quotazione in Borsa del gruppo Ferruzzi “c’era effettivamente Cosa Nostra” e che tra quest’ultima e una frangia del partito Socialista, riconducibile all’on. Claudio Martelli, era intercorso un accordo elettorale. Peraltro, anche Giuseppe Madonia aveva manifestato il convincimento che il dr Falcone aveva compreso i legami tra mafia, politica e settori imprenditoriali».
Secondo la ricostruzione operata dalla sentenza della Corte di Assise di Appello di Caltanissetta, «attraverso la gestione illecita degli appalti ed il connubio con gruppi economico-finanziari ed esponenti della politica, si era coagulato un cospicuo grumo d’interessi in capo ai vertici di Cosa Nostra, che ben può avere contribuito o, comunque, rafforzato il proposito di eliminazione del dr Falcone. Quest’ultimo, infatti, aveva compreso i sottesi legami tra politici, imprenditori e mafia connessi agli appalti pubblici e, come per il passato, si apprestava ad incidere efficacemente su tale settore ricoprendo l’Ufficio di Procuratore Nazionale Antimafia.
Sul punto, Angelo Siino, il quale, pur non rivestendo il ruolo di uomo d’onore, ha impostato la propria esistenza criminale, all’interno dell’ambiente
imprenditoriale-politico-mafìoso, ha evidenziato di avere appreso che Pino Lipari aveva contattato l’on. Mario D’Acquisto affinché intervenisse nei confronti dell’allora Procuratore della Repubblica di Palermo, dr Giammanco, al fine di neutralizzare le indagini trasfuse nel rapporto c.d. “mafia-appalti” ed in quelle che si potevano stimolare in esito a tali risultanze.”