CAPACI 🟥 PAOLO BORSELLINO e il verbale ritrovato…

«Report aveva ragione sulla pista nera!», proclama trionfalmente Sigfrido Ranucci sulla sua pagina Facebook, allegando un articolo de Il Fatto Quotidiano che annuncia la nuova udienza fissata dalla gip nissena Graziella Luparello, la quale ha disposto lo stop all’archiviazione della pista nera relativa alla strage di Via D’Amelio.
Peccato che i titoli di molti giornali lascino intendere al lettore l’esistenza di un verbale in cui Paolo Borsellino si sarebbe interessato al coinvolgimento di Stefano Delle Chiaie, detto “er caccola” — politico di estrema destra e fondatore di Avanguardia Nazionale — nella strage di Capaci. Completamente falso.
In sintesi, la gip ha accolto l’istanza dell’avvocato Fabio Repici, legale di Salvatore Borsellino, che il 25 giugno scorso ha depositato nuovi documenti relativi a Paolo Borsellino.
Tra questi spicca un verbale – riemerso grazie all’atto del gip Santi Bologna (quello che aveva archiviato la pista nera sulla strage di Capaci) – relativo a una riunione di coordinamento tra la procura di Caltanissetta, diretta da Celesti, e quella di Palermo sulla strage di Capaci.
Sappiamo che Borsellino stava indagando – e ben oltre in modo informale – a 360 gradi sul tragico attentato in cui perse l’amico Giovanni Falcone. In quella riunione emerge che si era interessato alle dichiarazioni di Alberto Lo Cicero: del suo proposito di collaborare e del fatto di essere stato “agganciato” dalla polizia giudiziaria, in particolare dai carabinieri. Ma la pista nera? Non c’entra nulla. L’interesse di Borsellino per il procedimento su Lo Cicero non dimostra affatto che stesse coltivando un’indagine sulla destra eversiva legata a Stefano Delle Chiaie.
Per quale motivo? Perché Lo Cicero, prima del famoso colloquio irrituale del 2007 con il magistrato Donadio, all’epoca alla Procura nazionale, non aveva mai fatto cenno a un presunto coinvolgimento di Delle Chiaie davanti alle autorità giudiziaria di Caltanissetta o di Palermo.
Non basta: lo stesso ex brigadiere Walter Giustini (oggi sotto processo per depistaggio della pista nera) ha escluso di aver mai parlato a Borsellino di Delle Chiaie. Dunque risulta incomprensibile il trionfalismo di Report.
Eppure sorprende anche l’entusiasmo del Movimento 5Stelle, che sostiene addirittura che Borsellino fosse in attesa della delega sulle indagini di Palermo per poter sentire Lo Cicero, tanto da sollecitare insistentemente i colleghi di Caltanissetta.
Insomma, non troppo tra le righe, la tesi è questa: la strage di Via D’Amelio sarebbe stata organizzata proprio per impedire a Borsellino di occuparsi di Lo Cicero.
A tutto c’è un limite. Era più serio il teorema della trattativa Stato- Mafia: almeno c’era una motivazione credibile, seppur priva di fondamento.
Ma chi era Lo Cicero? Un soggetto che, pur di ottenere lo status di pentito, ha mentito spudoratamente sulla sua affiliazione a Cosa Nostra (e non solo). Ha conosciuto alcuni fatti solo per via accidentale, essendo stato vicino al boss mafioso Mariano Tullio Troia, detto “O Mussolini”, capomandamento di San Lorenzo.
Ormai è noto che Totò Riina non solo sceglieva persone fidate di Cosa Nostra per partecipare all’esecuzione delle stragi, ma soprattutto compartimentava: ognuno aveva un compito specifico, in modo che, se uno di loro si pentiva, sarebbe stato impossibile risalire a tutti i componenti e a ogni fase preparatoria della strage.
Lo Cicero non avrebbe mai avuto titolo alcuno per partecipare. Pensiamo alla fase preparatoria: addirittura Report riportò acriticamente la dichiarazione dell’ex compagna di Lo Cicero, la quale affermò che quest’ultimo si sarebbe messo d’accordo con Stefano Delle Chiaie per procurare l’esplosivo. Praticamente rasenta il fallimento logico, a meno che non si ammetta che Riina non compartimentasse nulla e facesse partecipare qualsiasi “pinco pallino” alla strage.
Ma soprattutto è un’offesa a Borsellino, che indagava sulla strage di Capaci e aveva appreso (interessa a qualcuno dell’autorità giudiziaria approfondire?) che l’esplosivo proveniva dall’ex- Jugoslavia, come confidato al prete Cesare Rattoballi. Sappiamo con certezza che a procurarlo furono i catanesi.
Una ricostruzione interessante e documentata sul punto si trova nell’ultimo libro di Vincenzo Ceruso, ” Paolo Borsellino – La toga, la fede, il coraggio”, edito da San Paolo.
Ma ad oggi, cosa che desta perplessità, si perde tempo e risorse su Delle Chiaie (d’altronde il procuratore nisseno Salvatore De Luca ha affermato che la pista nera è ancora aperta), mentre non si ricostruisce il percorso di reperimento dell’esplosivo né si tengono in considerazione – vagliandole con le dovute scrupolosità – le dichiarazioni di Maurizio Avola (a differenza di Lo Cicero, organico a Cosa Nostra), utili per ricostruire scientificamente tutta la vicenda.
Ma a chi interessa?
È provato che Paolo Borsellino stesse indagando principalmente sulla questione degli appalti. Diverse testimonianze e indizi confermano che, dai delitti eccellenti alla strage di Capaci, il fil rouge fosse la gestione mafiosa degli appalti pubblici in concorso con importanti colossi imprenditoriali e politici al servizio di Cosa Nostra. Allo stesso modo, stava indagando sull’esecuzione della strage e sull’esplosivo utilizzato.
Si parla esclusivamente della scomparsa dell’agenda rossa (e in una sola direzione), che rischia di diventare un alibi per non parlare e valorizzare i suoi appunti di lavoro.
Che Borsellino, negli ultimi giorni di vita, stesse da solo ricostruendo il dossier mafia- appalti lo confermano i verbali desecretati dalla Commissione Antimafia.
Qualcuno, in Procura, remava contro. Ancora oggi nessuno reclama di rendere pubblici almeno i manoscritti rinvenuti nel suo ufficio.
Borsellino, tra le tante carte, aveva: appunto dattiloscritto, in fotocopia, di 4 pagine, con foglietto adesivo recante la scritta a “Scarpinato (Contorno)”; missiva numero 340822/ 40554 del 29.05.1992 del ministero della Giustizia, diretta al Dr. Borsellino, con allegato tabulato; copertina colore verde contenente diversi suoi manoscritti e dattiloscritti, comprese diverse note; fascicoli riservati, note dell’alto commissario, deleghe e varie intercettazioni della procura di Palermo.
L’invito, su queste stesse pagine, era stato rivolto al Partito Democratico, ma può essere utile anche all’avvocato Repici stesso: magari troverà la prova inaspettata dell’interessamento di Borsellino a Delle Chiaie. Della verità non ci si deve mai spaventare, neppure al rischio di mettere tutto in discussione. Il Dubbio, eventualmente, sarà il primo ad ammettere di aver sbagliato.
Si perde tempo dietro tesi del tutto inconsistenti. Il rischio è che lo faccia anche la Procura di Caltanissetta attuale. Le indagini sull’allora procuratore Giovanni Tinebra, presunto massone deviato (solo voci e aderenza a un Rotary club), e sul super poliziotto Arnaldo La Barbera si possono sovrapporre alla memoria del M5S inviata alla presidente Chiara Colosimo della Commissione Antimafia e redatta dal senatore Roberto Scarpinato.
In realtà, però, si sovrappongono anche alle commissioni precedenti, come quelle presiedute da Rosy Bindi e da Nicola Morra, visto che nell’indagine nissena compaiono soggetti e consulenti già coinvolti nei lavori di allora. Poco importa che, per la caccia ai massoni promossa dalla Commissione Bindi, l’Italia sia stata condannata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
L’osmosi tra procure e Commissioni Antimafia è un problema antico. Il giurista Giovanni Fiandaca, intervistato qualche tempo fa su Il Foglio, ha individuato il nodo, ma ha sbagliato bersaglio. Per ora. Anche perché il rischio che l’attuale Commissione non mantenga l’autonomia dalla Procura è sempre all’orizzonte.