di Lionello Mancini
In molti si chiedono: com’è possibile che dopo tante mazzate giudiziarie sui casi di corruzione – anche eclatanti, come Mafia Capitale, Expo, Mose, grandi lavori – ci sia ancora gente che riesce a taroccare gli appalti uccidendo così la concorrenza nella culla? Quali sofisticate alchimie si attivano nelle segrete stanze delle stazioni appaltanti e delle commissioni aggiudicatrici, tali da stravolgere gare di ogni genere, settore, importo? Ed è vero che nulla si possa fare, se non attendere gli esiti di intercettazioni e pedinamenti?
Non è proprio così. È vero che, a volte, entrano in azione menti esperte e sofisticate, che solo indagini altrettanto raffinate possono contrastare. Ma, molto più di frequente, questi fenomeni affondano le radici nella banalità più prevedibile e intercettabile, ben prima che debbano occuparsene le laboriose investigazioni di procure e forze dell’ordine.
Una delle tante conferme della minuscola quotidianità di cui si pasce il malaffare, si ritrova anche in un documento redatto dall’Antitrust nel settembre 2013, il “Vademecum per le stazioni appaltanti”, una guida all’“Individuazione di criticità concorrenziali nel settore degli appalti pubblici”. Il vademecum è stato condiviso lo scorso dicembre dall’Autorità anticorruzione, nell’ambito di un’intesa sullo scambio di informazioni tra le due Authority.
Nell’agile condensato (11 punti, 1.380 parole) ispirato alle linee guida dell’Ocse, l’Agcm elenca «le anomalie comportamentali che in taluni casi sono indizio della presenza di fenomeni anticoncorrenziali». Un elenco ovviamente non esaustivo e che va inteso soprattutto come una piccola guida all’osservazione dei fatti.
Si fa innanzitutto notare (punto 6) che, specie «in particolari contesti di mercato, caratterizzati da pochi concorrenti; da concorrenti caratterizzati da analoga efficienza e dimensione; da prodotti omogenei; perdurante partecipazione alle gare delle stesse imprese», le stazioni appaltanti dovrebbero stare molto attente a cogliere quei fenomeni che possono risultare «associati a comportamenti anticoncorrenziali» finalizzati a boicottare la gara. Una strategia segnalata da indizi come: «nessuna offerta presentata; presentazione di un’unica offerta o di un numero di offerte insufficiente per l’assegnazione dell’appalto; offerte caratterizzate tutte dal medesimo importo».
A occhio nudo, è anche possibile notare le offerte di comodo (o “di cortesia”, “fasulle”), che servono solo a dare una verniciata di «regolarità concorrenziale alla gara e a celarne l’innalzamento dei prezzi di aggiudicazione» con «offerte presentate dalle imprese non aggiudicatarie, con importi palesemente troppo elevati o comunque superiori a quanto gli stessi soggetti hanno offerto in analoghe procedure di appalto». E via così, passando per «una sequenza di gare in cui risulta aggiudicataria sempre la stessa impresa», subappalti che «consentono il superamento di limiti dimensionali e di specializzazione delle imprese più piccole», la rotazione delle offerte che consentono la ripartizione del mercato, segnalando così la possibile presenza di un cartello.
Ancora più nel dettaglio, il vademecum elenca alcuni semplicissimi indicatori di rischio offerti proprio dagli aderenti a un cartello che «presentino le domande di partecipazione all’asta con modalità tali da tradire la comune formulazione. È il caso di: comuni errori di battitura; stessa grafia; riferimento a domande di altri partecipanti alla medesima gara; analoghe stime o errori di calcolo; consegna contemporanea, da parte di un soggetto, di più offerte per conto di differenti partecipanti alla medesima procedura di gara». Il documento termina con l’invito alle «stazioni appaltanti, nei casi in cui si imbattano in qualcuno dei descritti fenomeni, a informare l’Autorità».
Non sappiamo quante delle migliaia di stazioni abbiano messo in pratica i consigli dell’Antitrust. A giudicare dalle cronache, si può affermare che non sono ancora sufficientemente diffuse la consapevolezza dei danni che provoca la corruzione né la volontà di stroncare queste costose (per la collettività) manipolazioni della libertà d’impresa.
Sole 24 ore 8.6.15