5 luglio 1991 – Confronto sulla Giustizia con il ministro Claudio Martelli e il giudice Paolo Borsellino – Registrazione integrale
- 13 Settembre 2012 Trattativa Stato mafia – Intervento di Claudio Martelli alla Festa Nazionale Socialista VIDEO
- Non fu una trattativa, fu un cedimento
- Martelli e la strage di Capaci
- Senza parole
- La trattativa non fu la causa della fine delle stragi
- La memoria confusa di Claudio Martelli
- Conso é Mancino coinvolti nella trattativa
- Il regista della trattativa era il Presidente Scalfaro
- Amato ha mentito,ma il dominus era Scalfaro
CLAUDIO MARTELLI – deposizioni ai processi per mafia – AUDIO
- 25 ottobre 2010 COMMISSIONE PARLAMENTARE D’INCHIESTA sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, anche straniere – Dalla audizione di CLAUDIO MARTELLI, SUI GRANDI DELITTI E LE STRAGI DI MAFIA DEGLI ANNI 1992-1993, IN QUALITA DI MINISTRO DELLA GIUSTIZIA
Come tutti sapete, l’assassinio di Giovanni Falcone desto` un allarme e un’emozione immensa nel mondo intero. Credo che mai vicenda italiana abbia ricevuto una tale attenzione come questa. Falcone era il giudice piu` noto, il piu` popolare, l’antipadrino, come io lo chiamavo. Naturalmente, anche in questo caso si dovette subito cercare di fare chiarezza in ordine ai polveroni, secondo i quali l’ordine era partito da Roma, oppure vi era una talpa al Ministero, laddove era ab- bastanza evidente che era stato sufficiente seguire i movimenti della scorta di Falcone a Palermo per capire che questi era in arrivo. Non vi era biso- gno di speculare su chissa` quale ipotesi. Questo, del resto, era l’insegna- mento che Giovanni Falcone stesso mi aveva impartito e che io avevo accolto.
Quando lo incontrai per la prima volta, ero vice segretario socialista ed ero capolista a Palermo per la prima volta in vita mia. La prima cosa che feci fu andare a trovarlo nell’ufficio blindato in cui si trovava pallido e quasi febbricitante. Quanto era vitale e sereno nel periodo in cui si tra- sfer`ı a Roma, tanto lo ricordero` in questa condizione di enorme tensione all’epoca del maxiprocesso a Palermo. Gli chiesi, con un’aria di politico che la sa lunga, se fosse proprio possibile che il capo della mafia fosse quel contadinotto con la faccia da modesto sensale di provincia, Toto` Riina. Falcone mi rispose di s`ı, che era proprio lui e mi invito` a non sbagliare e a non applicare i miei schemi alla realta` siciliana. Riina era il capo – mi disse – perche ́ era il piu` feroce, perche ́ era colui che aveva or- ganizzato, dentro l’esercito di cosa nostra, l’esercito piu` combattivo e combattente, il piu` spietato nella liquidazione dei avversari, sia quelli in-
terni sia quelli esterni. Per diventare capo della mafia – mi spiegava – non bisogna essere laureati a Harvard; se la mafia fosse una lobby finanziaria, non sarebbe la mafia, ma sarebbe un’altra realta`; la mafia si fonda, innan- zitutto, su questa sua capacita` e spietatezza nel somministrare morte; e` perche ́ uccide ed ammazza che la mafia incute rispetto e che la gente, molta gente, si piega e fa quello che la mafia ordina. Questa legge feroce richiedeva proprio gente come Toto` Riina ed era per questo che egli era il capo dei capi. Pensavo di rendergli solo una breve visita, invece, rimasi in quell’ufficio un intero pomeriggio e, probabilmente, fu uno dei pomeriggi piu` istruttivi della mia vita.
Quando Giovanni fu assassinato, ero memore della sua lezione di di- stinguere sempre, di non avviare e di non richiedere rinvii a giudizio quando non si erano raccolte prove adeguate, perche ́ niente e` peggio per la fama della giustizia di un processo mal combinato, in cui l’accusa si mostra impreparata e non ha argomenti e prove adeguate alle accuse che sostiene.
Domandai a Falcone anche dei rapporti tra mafia e politica ed egli mi rispose che la mafia aveva rapporti con tutti, sicuramente anche con i politici, ma che non dovevo credere che Toto` Riina prendesse ordini da qual- che politico. Questo era un abbaglio, un colossale abbaglio. I mafiosi, pro- segu`ı Falcone, possono stringere patti o imporre condizioni, ma non pren- dere ordini da politici. Dunque, memore anche di questa lezione, oltre che della evidenza della situazione, mi rifiutai di seguire chi parlava delle pi- ste romane e politiche, e dello Stato colpevole, o anche di mancata protezione. Ricord Progetto San Francesco – CENTRO STUDI SOCIALI CONTRO LE MAFIE – Cermenate (CO) o che Giovanni Falcone viaggiava con il rango di un presi- dente del Consiglio, con aerei dei Servizi segreti, blindato e scortato. Qualche volta a Roma, forse con qualche leggerezza, abbiamo voluto se- minare le nostre scorte per andare al cinema o al ristorante con serenita`.
A Palermo, come sappiamo, non fu ucciso soltanto Falcone, ma anche sua moglie, Francesca Morvillo, e gli agenti della scorta. Si sa tutto della dinamica di quell’attentato, come si sa che sono stati necessari 600 chili di tritolo per divellere 200 metri di autostrada. Vi fu un salto qualitativo negativo, mai compiuto prima da cosa nostra, con un attentato di stile colombiano piu` che siciliano: qualcosa di nuovo, effettivamente. Fu messa in atto una strategia terroristica e stragista, come nel caso dell’allarme lanciato, inascoltato, nel febbraio di quell’anno. Ma, ripeto, era difficile prendere sul serio Ciolini. Ripeto, era stato sufficiente seguire i movimenti della scorta.
Reagimmo alla tragedia stringendoci fianco a fianco. Fra l’altro, era un momento politico molto difficile. Si era all’indomani delle elezioni po- litiche del 1992 e del mezzo cataclisma elettorale che vi era stato. Il pre- sidente della Repubblica, Francesco Cossiga, si era dimesso un mese prima della scadenza del suo mandato e imperversava il toto-Presidente e il toto-Governo. La strage di Capaci colse la politica in un momento di trapasso fisiologico, e anche patologico, viste le dimissioni del Presi- dente della Repubblica, che il maggior partito dell’opposizione voleva porre sotto impeachment per la vicenda Gladio. Eravamo gia` piu` che nel- l’anticamera di «mani pulite» e di una lunga contestazione, ormai sistema- tica, dei partiti di Governo da parte dell’establishment economico, proba- bilmente preoccupato per Maastricht e per le conseguenze di un protezio- nismo non piu` possibile; eravamo alla vigilia di quella che poi, nell’estate, sarebbe stata la tempesta della lira, che fece bruciare prima 40.000 miliardi di riserve, nel tentativo di mantenere quel livello di cambio all’interno del cosiddetto serpente monetario europeo, per poi doversi arrendere, svalutare del 30 per cento e poi varare una finanziaria da 100.000 miliardi, fino al prelievo dai conti correnti. Questo era il contesto in cui cosa nostra sferro` la sua offensiva. Reagimmo con il cosiddetto decreto Falcone, come il presidente Pisanu ha ricordato. Tutte le norme che prima avevano un po’ stentato in Parlamento furono l`ı raccolte e potenziate con il regime carcerario del 41-bis e con modifiche anche alla procedura, soprattutto ai fini della preservazione della prova, che era cio` che il codice Vassalli certamente non garantiva e che, invece, e` indispensabile nei processi di mafia per la capacita` intimidatoria sui testimoni che cosa nostra puo` esercitare.
Dopo l’assassinio di Falcone, si colloca un singolare episodio del quale ho sempre avuto memoria – non sono uno smemorato e sono stato un bravo studente – che ho sempre collocato, e tuttora penso di collocare, in una luce diversa da quella in cui lo collocano i magistrati inquirenti. Mi riferisco alla cosiddetta trattativa. Nel giugno 1992 Liliana Ferraro era la direttrice degli affari penali, essendo succeduta a Giovanni Falcone. Era la sua vice e anche la prima persona che mi chiese di avere come collabo- ratrice quando assunse la direzione degli affari penali. Lavorava gia` al Ministero e fui contento di accordargli questa collaboratrice come altri quali Piero Grasso, Giannicola Sinisi.
Liliana Ferraro mi informo` che era andato a trovarla il capitano De Donno, il quale le aveva fatto, grosso modo, il seguente ragionamento: abbiamo agganciato il figlio di Ciancimino, Massimo, e pensiamo attraverso lui di poter arrivare al padre; vorremo coltivare questa possibilita` (ricordo che siamo tra l’assassinio di Falcone e quello di Borsellino) per fermare questa strategia mafiosa e questo stragismo. La dottoressa Ferraro mi riferì di aver risposto al capitano De Donno che se avevano notizie di questa natura era bene che ne parlassero con il magistrato competente, cioe` Borsellino.
Quando ricevette la richiesta del capitano De Donno di una copertura politica e di un appoggio politico per poter coltivare questa relazione con Ciancimino disse che non credeva che il Ministro gli avrebbe dato ascolto e che su questo punto, comunque, avrebbe riferito.
Io non solo non le diedi ascolto, ma mi irritai profondamente perche ́ ritenevo il comportamento del capitano De Donno, che diceva di parlare anche a nome del colonnello Mori, un vero e proprio abuso di potere. Dico questo perche ́ si trattava di due ufficiali (uno di alto grado, l’altro un capitano) del Raggruppamento operativo speciale dei Carabinieri (ROS), ma la competenza in materia di contrasto alla criminalita` organiz- zata, proprio in conseguenza della legge istitutiva della DIA, era stata trasferita alla DIA. Non avevano, quindi, piu` competenza per fare indagini contro la mafia: in questo senso era un abuso di potere.
Ne informai il capo della DIA, che era il superiore gerarchico all’interno dell’Arma Mori e De Donno, il generale Tavormina e il Ministro dell’interno.
Credo di aver parlato con Scotti, che pero` non era piu` ministro dell’interno perche ́ la Democrazia Cristiana gli aveva proposto di fare il ministro degli esteri. Inizialmente aveva accettato, poi la Democrazia Cristiana introdusse per la prima volta nella sua storia l’incompatibilita` tra mandato parlamentare e quello di Ministro e Scotti opto` per la carica parlamentare.
Anche se in quel momento non era piu`Ministro dell’interno, lo era comunque formalmente perche ́ non era ancora subentrato il nuovo ministro, Mancino, al quale ricordo di aver parlato in epoca successiva chiedendogli di esercitare la sua autorita` politica nei confronti dell’Arma dei carabinieri e, in particolare, di questi due ufficiali perche ́ rientrassero nei ranghi. Avvertii un arbitrio, un abuso di potere contra legem, una legge appena fatta. Non avvertii assolutamente sentore di trattativa, ma ebbi la sensazione che si trattasse di due ufficiali che intendevano coltivare le loro relazioni e, magari, fare il colpo e arrivare attraverso Ciancimino a saperne di piu` di Toto` Riina e del suo nascondiglio. Non si puo` dimenticare che alla fine si arrivo`, il 15 gennaio del 1993, all’arresto di Riina anche con il ROS.
Dopo l’assassinio di Borsellino vi fu un momento forse ancora peggiore che dopo Capaci. Fu un momento in cui avvertii un cedimento, un crollo intorno. Basta pensare che un magistrato come Caponnetto disse che era finita, che non c’era piu` niente da fare e che avevamo perso.
I segnali non solo di scoramento, ma di scotimento politico, istituzionale e morale si ripetevano dopo l’assassinio di Paolo Borsellino.
Si dovette fare il massimo sforzo per ottenere la rapida conversione in legge del decreto che ancora non era passato al Senato. I frutti del decreto si videro molto presto perche ́ la morsa della legislazione sui pentiti con la formula del «se parli e collabori, ci sara` protezione per te e la tua famiglia; se non parli, andrai incontro al carcere duro» si dimostro` efficace. Naturalmente sto banalizzando, oltre che rendendo le cose chiare e semplici. Nell’arco circa di un anno e mezzo, comunque, ci furono quasi mille pentimenti di collaboratori di giustizia.
A Caltanissetta vennero impiegati in via straordinaria magistrati come Ilda Boccassini e Giuliano Turone da Milano che, insieme con i colleghi naturalmente, lavorarono per una procura che creammo l`ı per l`ı perche ́, ripeto, sino a quel momento era stato poco piu` che un ufficio: la poten- ziammo, la dotammo di un capo e di sostituti all’altezza di quelle inda- gini. Con l’azione poi dei Carabinieri, della DIA e delle procure distret- tuali in un lasso di tempo relativamente breve si arrivo` alla cattura di Riina e di altri boss mafiosi.
Avevo dimenticato di dire dell’applicazione immediata del 41-bis in un contesto tutt’altro che facile. Lo ricordo non per farmi merito, ma per richiamare il periodo in cui si effettuo` il trasferimento dei boss da tante carceri, in cui erano sparpagliati in Italia e in cui, talvolta, spadroneggia- vano disponendo di mezzi di comunicazione con l’esterno potendo conti- nuare a impartire ordini. Ne trasferimmo 400 a Pianosa e all’Asinara, isole che erano state convertite a scopi turistici e che dovemmo riconvertire a scopi detentivi con grandi proteste, piu` che comprensibili, dei Verdi e dei sindaci. Non si trovava chi firmasse questi trasferimenti dei boss. Il direttore del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria non c’era e non era molto d’accordo con questa misura, anzi non aveva mai fatto mi- stero del fatto che per la verita` riteneva che anche per i mafiosi il regime carcerario dovesse essere ispirato a principi costituzionali di umanita`. Lo stesso ragionamento era valido per i direttori delle carceri interessate. Quindi firmai io il provvedimento, anche se era assolutamente inusuale che il Ministro firmasse un atto amministrativo di quella portata «speciale».
I risultati dell’applicazione del decreto furono rapidi e straordinari. Naturalmente, cio` non significa che si sia debellata la mafia, pero` si sono sconfitti l’esercito mafioso e la banda dei corleonesi (questo, s`ı, e` stato fatto grazie a quelle leggi) e si e` inaugurata una storia diversa. La mafia in Sicilia certamente c’e` ancora, ma non credo prosperi piu` come prima, anche se il pizzo continua a essere una vessazione sistematica e le lotte per impadronirsi degli appalti continuano a inquinare lo spazio pubblico e privato. Tuttavia, quella specifica battaglia contro l’esercito mafioso, contro la cosca dei corleonesi e Toto` Riina e` stata vinta.
Ho dimenticato di fare una brevissima postilla. Nell’ottobre del 1992 la dottoressa Ferraro, che vedevo tutti i giorni, mi riferì di un ulteriore incontro con il capitano De Donno (non so precisare esattamente la data, ma credo fosse ottobre).
In questo colloquio il capitano De Donno le aveva chiesto di poter disporre di colloqui investigativi in carcere, come gli ufficiali di polizia giudiziaria autorizzati dal magistrato, e per questo venivano dal Ministro sperando in una delega speciale da parte sua.
La seconda richiesta che De Donno rivolse alla dottoressa Ferraro, da cui si evince perche ́ si era rivolto a lei, era quella di poter far riavere il passaporto a Vito Ciancimino. Quando la dottoressa Ferraro mi riferì di questo colloquio mi arrabbiai molto di piu` della volta precedente e pensai che non si davano proprio ragione del fatto di non essere competenti e di non avere nessun diritto di occuparsi di questa materia.
Quanto al passaporto di Ciancimino, chiamai il procuratore generale di Palermo (all’epoca era Siclari, che poi divento` procuratore nazionale antimafia), che era competente su questa materia, gli feci presente questa strana richiesta e in conseguenza dell’allarme che gli trasmisi Ciancimino venne riarrestato.
Non che avessi qualcosa di personale con lui; sapevo qual era la sua pericolosita` perche ́ me l’aveva raccontata Falcone, che ancora nel periodo dicembre 1991-gennaio 1992 era esposto alle accuse di Orlando Cascio di non fare il suo dovere di magistrato perche ́ aveva sol- levato la questione di Ciancimino, accusando appunto Orlando Cascio (sindaco di Palermo) di aver consentito a Ciancimino di rimpadronirsi degli appalti palermitani. Tale accusa fu sostenuta davanti al CSM; quindi non rivelo delle confidenze fatte da Falcone a me, ma ricordo degli atti pubblici circostanziati di enorme gravita`. Conoscevo dunque la pericolosita` di Ciancimino e il fatto che egli era stato uno del principali capi di cosa nostra, di collegamento tra tale organizzazione e la vita politica isti- tuzionale; pertanto non vedevo motivo di poter coltivare la sua fiducia da parte di ufficiali dei carabinieri.
- PRESIDENTE. La ringrazio per la sua esposizione, onorevole Martelli. Come avvenuto nella precedente audizione, anche in questo caso ini- zierei dalle domande disciplinatamente predisposte dal Gruppo del Partito Democratico, di cui le do una copia del testo in modo che lei possa se- guire e rispondere volta per volta man mano che ne do lettura.
- Mi sembra che abbia gia` risposto alla prima domanda, comunque gliela leggo.
- Quando e da chi viene a sapere esattamente della cosiddetta trattativa tra l’allora colonnello Mori e Vito Ciancimino?
- MARTELLI. Mi sembra di aver risposto nell’introduzione.
PRESIDENTE. Perche ́ invio` la dottoressa Ferraro da Borsellino e non dal procuratore capo di Palermo? - MARTELLI. Io non l’ho inviata da Borsellino, ci e` andata di sua iniziativa e molto opportunamente perche ́ lo considerava, dopo Falcone, il magistrato piu` esperto nella materia. Capisco l’insidia contenuta nella se- conda parte della domanda, ma non ci casco.
- PRESIDENTE. Non si rese conto in quel momento che mettere solo Borsellino a conoscenza di quella trattativa significava esporlo a pericoli ulteriori? Da chi venne avanzata, senza interpellarlo prima, la candidatura di Borsellino a capo della DNA, come pure l’ipotesi di candidarlo alla Presidenza della Repubblica?
- MARTELLI. Innanzitutto non fu messo a conoscenza di quella cosiddetta trattativa solo Borsellino, ma, come ho detto prima, anche il generale Tavormina e i due successivi Ministri dell’interno.
- La candidatura di Borsellino alla DNA era la cosa piu` naturale del mondo, quindi non occorreva Einstein per capire che, dopo Falcone, lui era il candidato naturale a quel posto; mi adirai tuttavia quando il mio amico Scotti la fece, ma per la verita` disse quello che era sulla bocca di tutti. La candidatura alla Presidenza della Repubblica francamente non la ricordo e comunque non mi pare rilevante.
- PRESIDENTE. All’epoca, a quali motivazioni pensava per questi incontri tra Mori e Ciancimino? Perche ́ lei non penso` di riferire la vicenda al Presidente del Consiglio, prima Andreotti e poi Amato?
- MARTELLI. Le motivazioni le ho gia` dette. Pensavo che quegli ufficiali volessero coltivare una loro iniziativa e dimostrare all’universo mondo che il ROS, che era stato fatto confluire nella DIA, da solo sconfiggeva cosa nostra muovendosi in quel modo – come ho detto – arbitra- rio. Andreotti non era piu` presidente del Consiglio e Amato lo era appena diventato; in verita` mi si consenta di ricordare che io ero stato vice pre- sidente del Consiglio e ministro della giustizia e la lotta di contrasto alla mafia l’avevo impostata io, non Andreotti ne ́ Amato.
- PRESIDENTE. Nella sua recente deposizione al processo al generale Mori in corso a Palermo, lei ha affermato di aver riferito anche al Ministro dell’interno dei contatti tra ROS e Ciancimino; ha anche detto di non essere sicuro se il Ministro fosse ancora Scotti o Mancino. Ha avuto modo di ricordare meglio a quale Ministro ha riferito una vicenda cos`ı delicata?
- MARTELLI. Non so chi ha fatto questa domanda.
- PRESIDENTE. Sempre il Gruppo del Partito Democratico.
- MARTELLI. E difficile rispondere ad un Gruppo; da ex collega, si risponde volentieri ad un collega. La vicenda cos`ı delicata come io la riferii riguardava due ufficiali dei Carabinieri, del servizio segreto dei Carabinieri, del Raggruppamento operativo speciale…
- PRESIDENTE. Del ROS.
- MARTELLI. … che agivano per conto loro. Purtroppo, o per fortuna, a seconda dei punti di vista, di queste iniziative individuali e` piena la storia, sono pieni gli archivi. Se uno andasse, per l’appunto, a guardare nei cas- setti dove si conservano note relative a tante indagini scoprirebbe che tante volte poliziotti e carabinieri si muovono ai limiti, specialmente quando si opera in quella zona grigia, o terra di nessuno, in cui si devono raccogliere confidenze di pregiudicati, di delinquenti, di esponenti di organizzazioni criminali.
Se sono sicuro? Siccome non ricordo bene chi dei due sia stato, pro- pendo a pensare di averlo detto ad entrambi, in momenti successivi. Se ho un dubbio pero` e` relativamente a Scotti perche ́, ripeto, non era piu` presente, attivo.
A Mancino l’ho detto di sicuro ma nel tono di cui vi ho gia` detto; non gli dissi che c’era un colpo di Stato o una trattativa segreta tra Carabinieri e cosa nostra, gli dissi di fare attenzione perche ́ due ufficiali dell’Arma non si erano arresi al fatto che il ROS non fosse piu` tito- lare di questo tipo di investigazioni, che spettavano, viceversa, alla DIA.
- PRESIDENTE. Ritiene credibile che Mori abbia fatto riferire di queste cose alla dottoressa Ferraro e non ai suoi superiori nei Carabinieri e neppure al Ministro della difesa e a quello dell’interno?
- MARTELLI. Che abbia fatto riferire alla dottoressa Ferraro non c’e` dubbio. Ai suoi superiori nei carabinieri non credo, perche ́ il suo superiore era il generale Tavormina, che era capo della DIA, esattamente l’organismo al quale voleva tenere nascosto quello che stava facendo. E perfettamente credibile.
- GARAVINI. E Subranni?
- MARTELLI. Subranni era il capo del ROS, Tavormina era il capo della DIA. Se mi lamentavo del fatto che il ROS continuasse ad occuparsi di cosa nostra, andavo a parlarne con Tavormina, cioe` con il capo della DIA, non con il capo del ROS. E nell’ordine delle cose.
- SPECIALE. Credo che con la domanda i colleghi intendessero Su- branni, che era il superiore di Mori.
- MARTELLI. Io ho riferito a Tavormina, non a Subranni.
- SPECIALE. Ma non lei.
- MARTELLI. Non ne ho la piu` pallida idea.
- SPECIALE. Ovviamente.
- PRESIDENTE. Secondo la sua esperienza, e` credibile che l’abitazione romana di Ciancimino non fosse sottoposta – s’intende in quel periodo – a nessun controllo, tanto da permettere anche a Provenzano di frequentarla senza che nessuno ne sapesse niente?
- MARTELLI. Non ho mai pensato ne ́ mi sono mai occupato dell’abitazione di Ciancimino. Ho trovato incredibile che non venisse protetta l’abitazione della madre di Borsellino, dove il magistrato si recava tutte le settimane a colazione. Nonostante l’allarme che io, come Ministro di giu- stizia, trasmisi al procuratore generale di Palermo dopo che era stata confermata in modo quasi ufficiale la candidatura di Borsellino a procuratore nazionale e l’allerta del Ministro dell’interno alle Forze dell’ordine di Palermo, la casa della madre di Borsellino, luogo in cui egli si recava abitualmente, non venne in alcun modo messa sotto vigilanza. In conse- guenza di questo, quando ci fu la strage di via D’Amelio, mi recai poche ore dopo a Palermo, convocai un vertice in prefettura di tutte le Forze dell’ordine, feci la piu` violenta scenata della mia vita e chiesi la rimozione del prefetto e dei responsabili.
- PRESIDENTE. A cavallo tra le stragi di Falcone e di Borsellino ci fu un cambio di Governo con la sostituzione del Ministro dell’interno. Ha mai collegato questa vicenda con i colloqui in corso tra Mori e Ciancimino?
- MARTELLI. No.
- PRESIDENTE. Sul 41-bis nel 1992 ci fu un parere contrario del capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Nicolo` Amato, che raccoglieva anche i pareri negativi del capo della polizia, Parisi, e del ministro dell’interno, Nicola Mancino?
- MARTELLI. Di Nicolo` Amato ho gia` detto. Ne approfitto per aggiungere (la verita` spesso non e` un equilibrismo ma un equilibrio nel racconto dei fatti) che Nicolo` Amato era stato chiamato a dirigere l’amministrazione penitenziaria parecchi anni prima, dopo che nelle carceri si erano manifestate rivolte virulente. Certamente era riuscito nel compito che gli era stato affidato dai Governi e dai Ministri precedenti di pacificare la si- tuazione nelle carceri. Quindi non penso a chissa` quale recondita e nasco- sta volonta` da parte sua quando dico che era contrario al 41-bis e si rifiuto` di firmare il trasferimento di boss mafiosi. Era coerente con il suo atteg- giamento professionale.
- Vengo al capo della polizia, Parisi, e alla sua contrarieta`. Ricordo che nei colloqui che avemmo all’indomani della strage di Capaci con Scotti, con il comandante dei Carabinieri, con il comandante della Guardia di fi- nanza, con i vertici dei Servizi segreti, Parisi non mostro` mai dubbi. Nei colloqui precedenti, s`ı, qualche dubbio me lo manifesto` – immagino lo ab- bia manifestato anche al Ministro dell’interno –, ma non mi risulta che abbiamo poi ostacolato l’iniziativa.
- PRESIDENTE. E Nicola Mancino?
- MARTELLI. Ricordo il colloquio nel quale gli feci presente la cosa e mi stupisco di quanto dice. Forse non ricorda, ma non ha nulla di cui pre- occuparsi. Non gli dissi che era in corso una trattativa tra Carabinieri e mafia; gli dissi che c’erano due ufficiali del ROS che non si arrendevano …
- PRESIDENTE. Ma sul 41-bis?
- MARTELLI. Mi ricordo di questo colloquio. Non ricordo assoluta-
- mente che lui abbia manifestato contrarieta` all’introduzione del 41-bis. `
- MARTELLI. Perlomeno con me non l’ha fatto.
- PRESIDENTE. Se posso aggiungere una parola, per quel che ricordo io, le obiezioni nascevano da un atteggiamento garantista, con motivazioni diversamente percepibili. Poi e` trascorso del tempo.
- MARTELLI. La ringrazio, Presidente. Mi permetta allora di aggiun- gere queste due circostanze. Quando venne predisposto il decreto, dopo l’assassinio di Falcone, che conteneva l’introduzione del 41-bis, ambienti della Presidenza della Repubblica mi fecero sapere che il presidente Scal- faro, appena eletto, desiderava chiarimenti, perche ́ aveva timori relativa- mente alla costituzionalita` del testo proprio su questo punto specifico. Allora mi recai dal Presidente della Corte costituzionale – trattandosi della Costituzione, andavo alla fonte dell’autorita`, se non della verita` –, gli prospettai il problema e fu lui a suggerirmi di rendere temporanea la misura, in questo modo superando l’obiezione di costituzionalita`.
- PRESIDENTE. E stato dichiarato da molti collaboratori …
- MARTELLI. Dunque, quando arrivai in Sicilia, nel maggio del 1987, oltre che andare a trovare subito Falcone e, il giorno successivo, Giuseppe Ayala, mi trovai immediatamente alle prese con un problema.Procediamo, pero`, con ordine con le risposte. Fui invitato a capeggiare le liste del partito socialista in Sicilia, quando all’epoca ero vice segretario nazionale del partito socialista e deputato di Mantova e di Cremona, proprio perche ́ ero il vice segretario nazionale del partito e perche ́ la parte giovane del partito socialista intendeva scrollarsi dalle spalle la lunga primazia di Salvatore Lauricella e anche di Nicola Capria. Ne parlarono con Craxi e con me ed io accettai di essere il capolista del partito a Palermo, nella circoscrizione occidentale. Appena arrivato, uno di quelli che avevano caldeggiato la mia candidatura a capolista a Palermo, il segretario regionale del partito, il professor Nino Buttitta, preside della facolta` di lettere a Palermo, mi informo` di aver querelato padre Pintacuda, il quale aveva accusato i socialisti siciliani di avere ricevuto voti di mafia nelle precedenti elezioni regionali del 1986. Risposi che aveva fatto benissimo e, per fugare ogni dubbio, affittammo uno spazio all’interno di una televisione privata e vi tenemmo, tutte le sere, un filo diretto con i telespettatori, all’insegna di una lotta intransi- gente contro la mafia. Inoltre, siccome ero stato avvertito dell’esistenza di ambienti mafiosi che guardavano con interesse ai socialisti, perche ́ erano il partito nuovo, che esprimeva il Presidente del Consiglio, li misi in guardia, invitandoli a non sbagliare. Un conto era, infatti, la tutela dei diritti, che noi avevamo condotto anche attraverso il referendum sulla giustizia giusta, ma che non doveva essere confusa pero` con la protezione dei delitti. Voi siete gente che delinque – affermai – e dei vostri voti non ne vogliamo sapere e non ne vogliamo neanche uno! Detto questo, nel 1987 il partito socialista italiano realizzo` il record dei suoi consensi elettorali in tutta Italia. Quello e` stato il record storico del PSI e il fatto che lo abbiamo ottenuto anche a Palermo non sorprende. Ancora, che lo abbia ottenuto il capolista, che era il segretario di fatto del partito, vicesegretario unico vicario perche ́ Craxi era presidente del Con- siglio, non mi sembra strano. In genere, infatti, il capolista e` quello che riceve piu` voti, e viene scelto per questo. Inoltre, nel corso della mia espe- rienza politica, quando mi sono candidato ho sempre ottenuto il record di preferenze, anche a Roma, a Mantova, a Cremona e nelle elezioni eurpee. Naturalmente, affrontai questo argomento con Giovanni Falcone la prima volta che lo incontrai e ne parlai soprattutto con Giuseppe Ayala
- PRESIDENTE. Questa domanda la riguarda piu` da vicino. E stato dichiarato da molti collaboratori di giustizia che nel 1987 cosa nostra appoggio` il PSI, che infatti ottenne un buon risultato in Sicilia, e lei risulto` il primo degli eletti in quella regione per la Camera dei deputati. Come mai si candido` in Sicilia? In quella campagna elettorale ebbe modo di percepire questa attivita` a favore del suo partito da parte di cosa nostra? Ne parlo` mai con Giovanni Falcone il giorno dopo. Entrambi mi invitarono a non preoccuparmi assolutamente perche ́ non c’era niente di cui preoccuparsi.
- PRESIDENTE. Onorevole Martelli, lei diviene ministro della giustizia nel 1991, per sostituire Giuliano Vassalli, nominato giudice della Corte costituzionale dal presidente Cossiga. Come mai la scelta cadde su di lei? Mi sembra che lei abbia gia` dato questa risposta.
- MARTELLI. No, Presidente.
- PRESIDENTE. Ha ragione, mi sto confondendo con la lettura del verbale relativo alla sua testimonianza alla procura di Palermo, quando le hanno posto una domanda simile.
- MARTELLI. Presidente, la scelta cadde su di me perche ́, in primis, io ero il vice Presidente del Consiglio; inoltre, all’epoca si pensava che la legislatura non sarebbe durata piu` di un anno. Craxi, che decideva, mi spiego` che non era opportuno far scendere in pista un nuovo Ministro, per- che ́ saremmo stati poi obbligati a confermarlo nel nuovo Governo. Forse sarebbe stato meglio che io assumessi tale interim. Accettai perche ́ ero ben felice di fare il Ministro della giustizia.
- PRESIDENTE. Lei era Ministro della giustizia quando, il 12 marzo 1992, fu ucciso Salvo Lima, capo della corrente andreottiana in Sicilia. Ha mai parlato di questo omicidio con l’allora Presidente del Consiglio, Giulio Andreotti? Come fu vissuto quel momento nel Governo? Quali motivazioni deste dell’omicidio all’epoca?
- MARTELLI. Presidente, mi sembra di avere gia` risposto a questa domanda.
- PRESIDENTE. Cosa pensa dell’affermazione del fratello di Emanuele Piazza sul ruolo della polizia, o di organi dello Stato, nel fallito attentato dell’Addaura?
- MARTELLI. Ne penso cio` che mi disse Giovanni Falcone, e non ne so nulla di piu`. Egli mi disse che quell’attentato non era una messa in scena, e neanche una generica intimidazione, ma era stato organizzato per colpire lui e, probabilmente, anche chi si trovava con lui. E con lui c’erano Carla Del Ponte e Claudio Lehmann. Questo attentato, disse an- cora Falcone, e` opera di menti raffinatissime.
- PRESIDENTE. Do quindi la parola a chi intende intervenire.
- SALTAMARTINI. Presidente, ministro Martelli, vorrei sviluppare il mio intervento su due punti.
In primis, esso mira a ripercorrere come si giunge al decreto-legge Falcone e, in particolare, alla ragione per la quale – a seguito dell’appro- vazione del codice del 1988 e nonostante alcune sentenze della Corte co- stituzionale che avevano messo in discussione il processo di formazione della prova in particolare sul ruolo della polizia giudiziaria – il Parlamento e il Governo non ritennero di adeguarsi a queste sentenze della Corte costituzionale, adeguamento che poi avvenne per opera s`ı del decreto-legge Falcone, ma a seguito degli eventi della strage di Capaci. La prima domanda chiede esattamente di sapere perche ́, prima di quella strage, non si comprese che tra i difetti del codice di procedura penale vi erano non solo quelli della formazione della prova (perche ́ il processo penale tende appunto all’accertamento della verita`), ma anche la compressione del ruolo della polizia giudiziaria.
La seconda domanda riguarda le affermazioni da lei fatte poco fa. Parlando della trattativa, lei ha detto di essersi adirato per le investigazioni che i due ufficiali dei Carabinieri compivano. In prima analisi, non e` vero che il ROS e` un servizio segreto: il ROS dei Carabinieri e` un servizio di polizia giudiziaria e, nel nostro Paese, per principio costituzionale, la polizia giudiziaria dipende dall’autorita` giudiziaria. Con il decreto-legge di cui lei e` stato, da Ministro della giustizia, proponente, fu istituita una figura di vice capo della polizia addetto al collegamento dei servizi di po- lizia giudiziaria. Quindi, nel momento in cui lei e` intervenuto, esistevano i tre servizi (il GICO della Guardia di finanza, il ROS dell’Arma dei cara- binieri e lo SCO della Polizia di Stato) e la neofita DIA. In questi servizi ne ́ allora ne ́ oggi si prevedeva l’esclusiva della DIA in termini di investi- gazioni criminali. Quindi, non capisco perche ́ lei possa affermare oggi che, all’epoca, anche a seguito dell’approvazione del decreto-legge, la DIA avesse il monopolio delle investigazioni. Bene facevano gli ufficiali di polizia giudiziaria a investigare su un fenomeno cos`ı grave come la ma- fia, perche ́ non c’era affatto, ne ́ all’epoca ne ́ oggi, un’esclusiva della DIA. Infatti, il sistema, in questo caso, era appunto di competenza dell’autorita` giudiziaria e degli ufficiali di polizia giudiziaria che hanno il compito di raccogliere notizie di reato e di riferire all’autorita` giudiziaria.
L’altra questione che non riesco a comprendere e` il rapporto tra que- sti due ufficiali dell’Arma dei carabinieri e il Ministro della giustizia e, in particolare, il suo Gabinetto. Lei sostiene che i due ufficiali avessero due gradi da ufficiale molto elevati.
MARTELLI. Solo uno dei due.
SALTAMARTINI. D’accordo. In realta`, pero`, e` difficile che un capitano dei Carabinieri possa essere considerato il capo di un servizio dell’Arma dei carabinieri, che ha 100.000 uomini. Per quale ragione, allora, lei o la dottoressa Ferraro non riferiste le vostre preoccupazioni al coman- dante dei Carabinieri o al vice comandante generale dei Carabinieri, che erano i superiori dai quali i due ufficiali del ROS dipendevano?
In seconda analisi, ricordando che sara` ascoltato gioved`ı prossimo in audizione l’allora ministro dell’interno, Vincenzo Scotti, come mai non fu neppure sfiorata la figura, istituita con legge, del vice capo della polizia addetto al collegamento dei servizi di polizia giudiziaria, cioe` colui che doveva legare queste investigazioni per riferire all’autorita` giudiziaria? Eppure, con questo decreto-legge, questo vice capo della polizia addetto al collegamento dei servizi di polizia giudiziaria fu nominato.
MARTELLI. Se mi permette, su questo punto il suo ragionamento mi sembra un po’ tortuoso. Dico questo perche ́, se fosse vero quello che lei dice, a maggior ragione Liliana Ferraro avrebbe fatto bene a informarne Borsellino. Escludo tassativamente che De Donno e Mori stessero agendo in qualita` di ufficiali di polizia giudiziaria, altrimenti avrebbero agito per conto di un magistrato.
SALTAMARTINI. No.
MARTELLI. Sta sostenendo due cose che fanno a pugni: che si puo` essere ufficiali di polizia giudiziaria ma agire senza mandato del magistrato. Questo e` impossibile.
SALTAMARTINI. La polizia giudiziaria del nostro Paese agisce anche di propria iniziativa.
MARTELLI. Lei sta scherzando; lei sta proponendo un colpo di Stato.
SALTAMARTINI. Ci sono anche dei magistrati qui! Le posso dire quali sono le funzioni della polizia giudiziaria.
MARTELLI. Abbiamo stabilito in modo tassativo che chi dirige le indagini e` il pubblico ministero che «dispone» della polizia giudiziaria.
SALTAMARTINI. Posso interloquire? L’articolo 55 del codice di procedura penale di oggi, di quando era lei Ministro e del codice precedente recita: «La polizia giudiziaria deve, anche di propria iniziativa, prendere notizia dei reati».
`MARTELLI. E vero che non abbiamo sciolto il ROS, il GICO e le altre strutture, ma abbiamo concentrato in un nuovo organismo le strutture competenti nelle indagini e, in questo caso, nella prevenzione. Non stiamo parlando della polizia giudiziaria, ma di Polizia, Carabinieri e Guardia di finanza quando fanno prevenzione antimafia. In questo compito il ROS era stato sostituito dalla DIA, quindi non aveva titolo per muoversi, salvo che un magistrato avesse chiamato questi ufficiali e avesse affidato loro una qualche indagine. Questo non e` accaduto; di conseguenza, non pote- vano agire autonomamente, tanto meno chiedere colloqui investigativi in carcere.
Qual era l’altra domanda?
SALTAMARTINI. Perche ́ prima della strage, nonostante le sentenze della Corte costituzionale, il Governo, il Parlamento e la maggioranza di cui lei era espressione non intervennero? Perche ́ si aspetto` la strage per intervenire su una materia cos`ı delicata, alla luce del fatto che c’erano state delle sentenze della Corte costituzionale?
MARTELLI. Non ricordo quanto tempo sia passato tra le sentenze della Corte e la loro traduzione in norme di legge da parte del Parlamento o, comunque, da parte del decreto-legge n. 306 dell’8 giugno 1992. Non ricordo francamente, ma non credo sia passato molto tempo, forse qualche mese, non di piu`. Se lei tiene conto che di mezzo ci sono state le elezioni politiche del 1992, non mi sembra ci sia stato questo grande ritardo.
SALTAMARTINI. Dovrei rivolgere l’ultima domanda.
PRESIDENTE. Raccomando la celerita`.
SALTAMARTINI. Compensiamo i tempi concessi ad altri Gruppi.
PRESIDENTE. Gli altri hanno avuto pero` lo scrupolo e la disciplina di preparare prima le domande. Questa facolta` era data a tutti: c’e` chi se ne e` avvalso e chi no.
SALTAMARTINI. Se l’audizione serve per sentire l’onorevole Mar- telli, non capisco come si possano presentare prima le domande. Ho vo- luto prima ascoltare l’audito.
Onorevole Martelli, c’e` un altro problema che ho sollevato nella Commissione antimafia ed e` il procedimento disciplinare a carico di Giovanni Falcone davanti al Consiglio superiore della magistratura. Gia` da due anni ho chiesto nella Commissione antimafia, che ha poteri parificati a quelli dell’autorita` giudiziaria, di acquisire la memoria di Giovanni Falcone, ma sembra che questa sia sparita.
MARTELLI. Gliela posso dare io.
PRESIDENTE. Informo che in data odierna e` stato trasmesso un documento dal CSM.
SALTAMARTINI. Mi puo` spiegare quali sono i campi che all’in- terno della magistratura si opposero cos`ı ferocemente e contestarono la collaborazione che il giudice Falcone offr`ı al Ministro di grazia e giustizia e se queste resistenze abbiano poi influito anche sulle investigazioni o sul- l’operato del giudice Falcone alle sue dipendenze o comunque quale direttore del DAP.
MARTELLI. Credo che all’origine della convocazione di Falcone da- vanti al CSM ci sia stata una specie di esposto-denuncia del sindaco di Palermo, il quale accuso` Falcone di tenere nel cassetto le indagini relative ai mandanti degli omicidi politici accaduti a Palermo e, in particolare, di quello di Piersanti Mattarella. Com’e` noto, Falcone non tenne nulla nel cassetto e quando si trovo` di fronte un falso pentito come Pellegriti, che dichiaro` di aver saputo per certo – ed enumero` le circostanze, che francamente non ricordo, in cui era stato edotto – che il mandante dell’as- sassinio di Piersanti Mattarella era l’onorevole Salvo Lima, Falcone, fedele a se stesso, gli pose domande sufficienti a farlo cadere in contraddi- zione aperta e, anziche ́ prendere sul serio le sue dichiarazioni, lo accuso` di calunnia. Orlando Cascio, che si aspettava probabilmente un esito diverso, accuso` a quel punto Falcone di tenere nel cassetto le indagini relative ai mandanti degli assassini eccellenti a Palermo. Non ricordo in quali circo- stanze, se in modo diretto e formale da parte di Orlando Cascio o di altri, comunque, questa denuncia arrivo` al Consiglio superiore che convoco` Falcone, il quale davanti al CSM fece un’accorata difesa del proprio operato non tanto per se stesso, ma per la gente che si stava esponendo a causa di questa accusa che lui riteneva assolutamente folle nei suoi confronti. Si riferiva ai suoi collaboratori, ufficiali di polizia giudiziaria, colleghi, gio- vani che potevano ricavarne un’immagine tragica. Ricordo quello che prima avevo gia` ricordato e cioe` che, in realta`, la ragione del rancore di Orlando Cascio nei suoi confronti, suo ex amico, nacque nel momento in cui Falcone aveva sollevato la questione del ruolo di Ciancimino nel- l’amministrazione comunale di Palermo, retta dal sindaco Orlando Cascio.
Per quanto riguarda la memoria di Falcone posso trasmetterla io.
LI GOTTI. Faro` alcune domande secche con dei titoli che richiamano il tema su cui potra` rispondere.
Innanzi tutto mi interessa l’episodio Delfino e l’annuncio del regalo per Natale. Enuncio il fatto, poi lei potra` spiegarlo. Quando le fu comunicato del secondo colloquio tra De Donno e Liliana Ferraro, il cui contenuto era, questa volta, addirittura piu` spinto perche ́ si parlo` della possi- bilita` di un passaporto per Ciancimino, la sua reazione fu simile a quella che aveva avuto quando era venuto a sapere del primo contatto con il De Donno? Insisteva in questi atti poco ortodossi?
MARTELLI. L’ho detto, onorevole Li Gotti. Ho ricordato prima che chiamai il procuratore generale di Palermo Siclari.
LI GOTTI. Anche per il secondo episodio?
MARTELLI. Certo e la conclusione fu l’arresto di Ciancimino.
LI GOTTI. Ritiro la domanda.
Avevo raccolto alcune sue dichiarazioni rese alla stampa. Questo ufficio ci ha dato la possibilita` di consultarle agevolmente. In modo particolare, c’e` una sua dichiarazione riguardante un contatto che lei ebbe con il presidente Mancino successivamente alle sue dichiarazioni alla stampa. Non mi riferisco a quelle rese a Palermo, ma alle dichiarazioni apparse successivamente sulla stampa. Mancino l’avrebbe chiamata dicendo che non aveva mai saputo nulla della vicenda De Donno. Inoltre, un comunicato del presidente Mancino recita testualmente: «Ho sempre escluso e coerentemente escludo anche oggi che qualcuno» – percio` neppure il mi- nistro Martelli – «mi abbia mai parlato dell’iniziativa del colonnello Mori del ROS di voler avviare contatti con Vito Ciancimino.» Il comunicato fa quindi riferimento a questo fatto specifico; inoltre, grazie ad altre fonti an- che di natura processuale, apprendiamo la stessa cosa da Scotti. Questo e` dunque un nodo che dobbiamo riuscire a sciogliere, perche ́ non e` possibile che su un fatto due Ministri dicano in maniera cos`ı ermetica di non ricordare.
Vorrei inoltre che venisse affrontata un’altra questione che lei non ha trattato in questa sede. In una dichiarazione relativa al momento succes- sivo alla strage di Capaci – ovviamente e` possibile che il giornalista sia imperfetto ma una dichiarazione e` stata resa nel forum de «Il Tempo», quindi e` testuale – lei ha detto: « Si entro` in una fase opaca, i 55 giorni trascorsi tra le due stragi furono giorni di cedimento, si diffuse il pensiero che forse bisognava allentare la morsa, come se lo Stato aveva provocato la mafia e ora doveva fare un passo indietro. Io e Scotti, all’epoca mini- stro degli interni, cercammo di reagire rendendo ancora piu` forti i gesti di lotta alla criminalita` organizzata. Preparammo il »decreto Falcone« e lo portammo in Parlamento. Craxi e Scalfaro, eletto Presidente della Repub- blica, diedero ad Amato l’incarico di formare il Governo. E l`ı successe qualcosa. Amato mi chiamo` e mi disse che dovevo lasciare il Dicastero. Lo stesso fece con Scotti che accetto`. Io invece mi rifiutai di interrompere il lavoro».
A una successiva domanda in cui si chiedeva se dietro la decisione della sostituzione di Scotti ci fosse un disegno lei risponde: «No, credo piuttosto che ci fosse il bisogno da parte della politica siciliana di ripren- dere fiato. Deputati, senatori, venivano da me e mi dicevano »basta, non se ne puo` piu`, e` un clima di guerra continuo«. Un po’ come quando si e` in guerra da troppo tempo e si e` stanchi, allora nasce col nemico una sorta di tacito accordo: i ritmi si rallentano e la pressione cala. Forse si sentiva il bisogno di questo, ma io non volevo mollare, avevo anche inviato per la prima volta i soldati a Palermo. Inoltre in quel periodo ero entrato in urto con Craxi».
Le chiedo pertanto se ci vuole descrivere quel momento, perche ́ emerge una sorta di dibattito nel mondo della politica sulla linea che do- veva essere assunta nel contrasto a cosa nostra e a quella che ancora a quel momento era la prima strage. Infatti lei si meraviglio` molto quando De Donno parlo` di stragi al plurale, invece che al singolare.
MARTELLI. Probabilmente lui si riferiva anche all’omicidio di Lima.
LI GOTTI. S`ı, anche se quella non era una strage; ad ogni modo lei disse che all’epoca si meraviglio`. Questo clima e` il motivo per cui le pres- sioni affinche ́ lei lasciasse il Dicastero della giustizia e Scotti il Dicastero dell’interno venivano collegate a queste due linee politiche, una morbida e una piu` intransigente.
Vorrei che ci spiegasse questo passaggio ed infine la ragione che la indusse ad affidare al capo del DAP, il dottor Capriotti, la delega …
MARTELLI. Quando avvenne?
LI GOTTI. Il direttore generale del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Adalberto Capriotti, nel 1993.
MARTELLI. Non ero piu` Ministro.
LI GOTTI. Ci fu questa delega al dottor Capriotti per i decreti appli- cativi del regime previsto dall’articolo 41-bis.
MARTELLI. Nel 1993?
LI GOTTI. Queste sono le dichiarazioni rese da Capriotti a questa Commissione: «Il ministro era Martelli, i decreti delegati sono stati 567 e lui non ne firmo` neanche uno. Io ritenevo di non doverli firmare, perche ́ la competenza era del Ministro e io non mi volli assumere nessuna respon- sabilita`.». Quindi, su 567 decreti delegati al responsabile del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, il dottor Capriotti disse che il Guarda- sigilli era Martelli e pertanto, per questa sua presa di posizione, lui non ne firmo` neanche uno.
MARTELLI. Non ne firmai neanche uno io o lui?
LI GOTTI. Capriotti dice: «Dico che effettivamente i decreti delegati sono stati 567 e che il guardasigilli fu Martelli. Le ragioni per le quali sono state delegate le ignoro, ne ́ sono scritte».
MARTELLI. Credo sia un banale equivoco burocratico. Io non ho fir- mato uno per uno gli ordini di trasferimento di ogni singolo detenuto ma- fioso (chiamiamolo cos`ı), pero` ho firmato l’elenco nel suo assieme che ri- guardava appunto circa 560 detenuti.
LI GOTTI. La domanda che fa il componente della Commissione era la seguente: «Vorrei intanto soddisfare una curiosita` e chiedere al presi- dente Capriotti chi fosse il Ministro che ha delegato al direttore generale la possibilita` di emanare decreti e perche ́, tra i decreti emanati dal diret- tore generale, 567 non siano stati rinnovati: sono mutate le condizioni o sono stati riconosciuti inopportuni?».
PRESIDENTE. Sono i decreti di proroga del regime previsto dall’articolo 41-bis.
MARTELLI. Sono successivi. Sbaglia dicendo che il Guardasigilli ero io, perche ́ non lo ero piu`. Tutto qua. Io ho introdotto il regime di cui all’articolo 41-bis e l’ho applicato per la prima volta; lui sta parlando dei rinnovi. Fra l’altro, mi colpisce il fatto che io non applicai il regime di cui all’articolo 41-bis a 560 detenuti, ma a 400. Chiaramente, nel frattempo erano aumentati, per questo si tratta di un’epoca successiva.
LI GOTTI. Probabilmente si sbaglia Capriotti, perche ́ lei fu Guarda- sigilli fino a febbraio.
MARTELLI. Fino al 10 febbraio.
LI GOTTI. Capriotti, invece, fa riferimento ad un momento successivo. Pero` si verifico` questo fatto ed egli disse: ebbi una delega, non spet- tava a me, ma al Ministro firmarli e io non ne firmai neanche una. Lei quindi non era a conoscenza di questo.
MARTELLI. Inizio a rispondere dal cosiddetto caso Delfino. Nel lu- glio (credo sia stato dopo l’assassino di Borsellino, anche se non ne sono sicuro), o forse ai primi di agosto, mi chiamo` l’onorevole Aniasi – ex sindaco di Milano, noto tra i partigiani come comandante Iso – dicendo che era amico di un bravissimo generale dei Carabinieri chiamato Delfino, il cui padre tra l’altro era di simpatie socialiste, e chiedendomi di riceverlo perche ́ aveva delle cose da dirmi. L’ho ricevuto. Il generale Delfino si presento`; cominciammo a parlare della situazione e, vedendomi particolar- mente accorato (per questo immagino fosse subito dopo l’assassinio di Paolo Borsellino), a un certo punto mi disse di stare tranquillo, perche ́ per Natale mi avrebbe «portato» Toto` Riina, s’intende arrestato. Su questa circostanza non ho altro da aggiungere, salvo che ha sbagliato di 15 giorni.
LI GOTTI. Parte da lui l’operazione.
MARTELLI. S`ı, parte da lui; lo fece per darmi coraggio; voleva dirmi che c’era gente che combatteva, che faceva sul serio, di non temere di es- sere rimasto solo.
Torno su Scotti e Mancino. Non credo mi facciano velo la consuetu- dine e l’amicizia per Vincenzo Scotti; semplicemente non era piu` ministro dell’interno; siamo infatti a dopo che De Donno ha parlato con la Ferraro. La Ferraro recentemente, nell’ultima deposizione che ha fatto a Palermo o a Caltanissetta, non ricordo …
PRESIDENTE. A Palermo.
MARTELLI. … ha precisato che la data di questo colloquio con il capitano De Donno dovrebbe essere il 28 giugno; quindi di questo episodio parlo, per forza di cose, dopo il 28 giugno. Scotti non era piu` ministro dell’interno e si era gia` insediato come ministro degli esteri o forse si era gia` dimesso anche da quell’incarico. Dal 1o luglio, comunque, ministro dell’interno e` Nicola Mancino. Ne deduco che e` per questa ragione – pro- pendo per questa spiegazione – che ne ho parlato con lui piuttosto che con Scotti. Capisco che Mancino, messo in una situazione difficile da accuse roventi ed incontrollate, sia portato a dire no su tutto, ma in questa circo- stanza non gli ho rivelato qualcosa sulla trattativa, di cui non sapevo nulla; gli ho rivelato che due ufficiali dell’Arma dei carabinieri, nonostante quel che ne pensi l’esimio collega, secondo me si comportavano in modo arbi- trario e peggio che non ortodosso. Potrebbe ricordare tranquillamente, non cambia nulla; pero` se non ricorda, non ricorda. Che dobbiamo farci? Io non posso farci niente.
Il clima politico dopo la strage di Capaci. Onestamente mi e` difficile sceverare in quello che accadde – per quel che riguarda me, poi parlero` di Scotti – quello che c’entra con cio` di cui stiamo parlando da una vicenda politica piu` generale. Sta di fatto che (credo fossimo intorno al 15 giugno) Giuliano Amato, che era stato incaricato di formare il Governo, mi chiamo` al telefono e mi disse che voleva parlarmi. Lo invitai a colazione nel ri- storante sotto casa mia. Sedendosi mi disse che Craxi non voleva che io rimanessi alla Giustizia, invitandomi a non chiedergli il perche ́, e che mi offriva di andare alla Difesa. Risposi di dire a Craxi che o rimanevo a fare il ministro della giustizia o tornavo al partito e davo battaglia l`ı, perche ́ era cominciata una lotta in questo ruolo, avevo appena perso Gio- vanni Falcone e non ero uno buono per tutti i Ministeri. Qualche giorno dopo Giuliano Amato mi richiamo` dicendomi che per Craxi i miei erano buoni argomenti. Quindi, sono rimasto Ministro della giustizia. Propendo a ritenere pero` che Craxi fosse mosso da motivazioni che non c’entrano niente con quello di cui stiamo parlando. Tra di noi, infatti, era intervenuta la rottura grazie a Oscar Luigi Scalfaro, che aveva detto a Craxi che ero andato, insieme con Vincenzo Scotti, a candidarmi al posto suo come Presidente del Consiglio. Era una cosa assolutamente inventata. Era stato lui, viceversa, a dirci che era angosciato perche ́ sapeva che, se- condo gli accordi politici, avrebbe dovuto dare l’incarico a Craxi ma, tut- tavia, non poteva non tenere conto di una campagna stampa – quella le- gata all’inchiesta «mani pulite», dopo gli avvisi di garanzia agli ex sindaci Tognoli e Pillitteri ed altri numerosi arresti nella cerchia dei compagni e degli amici di Bettino Craxi – che si rivolgeva a lui direttamente. Dunque, il presidente Scalfaro comincio` a chiedersi a chi dare l’incarico al posto di Craxi. Parlo` di Forlani, anche se disse che era meglio se rimaneva segre- tario della DC (pure se si era dimesso, era pero` rimasto in carica). Parlo` di Martinazzoli. Poi si chiese perche ́ privare i socialisti di questo incarico senza Craxi; e disse che i socialisti comunque avevano: «Amato, De Mi- chelis, Martelli», indicandoli esattamente in questo ordine, e non solo al- fabetico come poi dira` Craxi. Ricavai cos`ı la convinzione, che ho sempre mantenuto e tuttora mantengo, che l’idea fosse stata di Scalfaro e non di Craxi. Tuttavia, mentre ero nella macchina e lasciavo il Quirinale, mi rag- giunse una telefonata di Marco Pannella, che mi chiese cosa fosse suc- cesso tra me e Scalfaro. Gli dissi che, in teoria, avrebbe dovuto parlare del decreto e della sua costituzionalita`, invece aveva parlato solo di poli- tica e della sua angoscia, perche ́ non sapeva a chi dare l’incarico di for- mare il Governo. Pannella mi invito` a stare attento perche ́ Scalfaro mi stava giocando uno scherzo da prete, perche` stava dicendo in giro che mi ero andato a candidare al posto di Craxi. Ribattei che non era vero, che nemmeno conoscevo Scalfaro e che era la prima volta che gli parlavo. Sta di fatto che Craxi gli credette e segu`ı il suo indirizzo. Presento` una finta terna: «Amato, De Michelis, Martelli», aggiungendo: «e non e` un or- dine solo alfabetico»; Scalfaro scelse Amato, che sette giorni dopo mi fece quel discorso di cui vi ho detto prima. Io lo attribuii all’ira di Craxi nei miei confronti e non ad altre strane ragioni. Quando successe la cosa di Scotti qualche dubbio lo ebbi, perche ́ la simultaneita` colpiva: si dovevano togliere quel Ministro della giustizia e quel Ministro dell’interno. Scotti accetto` di fare il ministro degli esteri, anche se poi si dovette dimettere per incompatibilita`. L’idea che si fossero turbati troppi equilibri – io, per un verso, Scotti, lui stesso me lo disse, per un altro, con lo scioglimento sulla base di suoi decreti di tanti consigli co- munali in odor di mafia – e che avessimo turbato un modus vivendi, so- prattutto siciliano, meridionale (forse anche di altre parti d’Italia), di con- vivenza con la mafia, mi venne. Ma scusate, l’Italia e gli uomini delle isti- tuzioni non hanno convissuto con la mafia dallo sbarco degli alleati, quindi dal 1943, al 1992?
LI GOTTI. Forse anche dopo.
MARTELLI. Forse anche dopo. Non e` stato sempre così?
LI GOTTI. Ci furono manifestazioni di questo clima?
MARTELLI. Bisognerebbe rileggere gli atti parlamentari. Occorre pero` stare attenti ad accusare qualcuno di collusione, vilta` o vigliaccheria, perche ́ fa ragionamenti suoi o perche ́ e` un garantista abituale e non gli piaceva il decreto Falcone. Certo pero` diverse persone erano poco con- vinte, sia nei corridoi sia in Aula, dove vi furono quelli che votarono con- tro. Si potrebbero accusare i radicali di collusione con la mafia? I radicali non potevano votare un decreto del genere e lo stesso valeva per qualche liberale; lo ritenevano, ed era, ai limiti della costituzionalita`. Infatti lo ren- demmo temporaneo proprio perche ́, visto che implicava l’idea del doppio binario, rappresentava evidentemente una normativa per tutti i cittadini e una per i mafiosi, con misure di prevenzione cautelari ai limiti della co- stituzionalita`. Ho capito le ragioni per cui poi queste misure sono state rese permanenti e Governo e Parlamento si sono sottratti alla discussione ricorrente sul rinnovo del provvedimento relativo al 41-bis, che all’inizio mi pare dovesse avvenire ogni due o tre anni. Rinnovare questo provvedi- mento potrebbe anche essere una prova della volonta` di contrasto a cosa nostra; mi convince poco renderlo automatico per poi magari svuotarlo nell’applicazione effettiva.
NAPOLI. Onorevole Martelli, prima di porle le domande faccio una breve premessa. Nel suo intervento iniziale lei ha ricordato la tragicita` dei fatti accaduti a Taurianova nel 1991. Io abito a Taurianova adesso e vi abitavo anche nel 1991. Ero consigliere comunale di opposizione e ricordo tutta la vicenda: l’inaugurazione della caserma e del commissariato di po- lizia, la sua visita, ma anche la legge istitutiva dello scioglimento dei con- sigli comunali per infiltrazione mafiosa, che ha visto Taurianova essere il primo comune d’Italia ad essere sciolto per infiltrazione mafiosa. Tut- t’oggi, purtroppo, il comune di Taurianova e` sciolto per infiltrazione ma- fiosa. Se ho esulato dall’oggetto di questa audizione, ministro Martelli, e` solo perche ́ lei ha ricordato Taurianova nel suo intervento. Le pongo ora velocemente tre domande.
Ritiene che la decisione, la scelta di De Donno e di Mori fosse davvero autonoma e ispirata solo su dettato e su spinta di Ciancimino? Oppure pensa che, alle loro spalle, possa essere stato qualcun altro, a suo tempo, a spingere davvero per questi rapporti? Lei non ha mai definito queste richieste come una trattativa; anzi ha detto che, in termini di trat- tativa, questa forse non si e` mai verificata. Non ritiene un po’ strana la circostanza che due ufficiali dei Carabinieri come De Donno e Mori inol- trassero tale richiesta solo al fine di ottenere, magari, il passaporto per Ciancimino? Non poteva esistere un obiettivo molto piu` importante ri- spetto alle richieste e, quindi, anche qualche personaggio piu` importante?
MARTELLI. Onorevole Napoli, ho detto all’epoca quanto pensavo e continuo a pensarla così. Naturalmente, se dalle indagini condotte dai magistrati arrivassero delle prove, serie, in ordine al fatto che vi e` stata una vera e propria triangolazione con scambio di documenti e di richieste, come il papello pubblicato anche sui giornali, dovrei dire che all’epoca io non lo capii.
All’epoca dei fatti, compresi che De Donno e Mori volevano agire di testa loro. Il senatore Saltamartini, che prima ho interrotto, ritiene che essi fossero perfettamente nel lecito facendolo; io ritengo, invece, che non lo fossero affatto. Queste pero` sono opinioni e divergenze relative, nel senso che non mettono in discussione il punto cruciale, cioe` che non fossimo di fronte a una trattativa tra ufficiali dell’Arma ed esponenti di cosa nostra nel corso della quale si ipotizzasse, addirittura, di poter disporre della volonta` del Parlamento sino a cancellare la legge antimafia, il cosiddetto de- creto Falcone, che era stato appena varato. Se avessi soltanto sospettato una possibilita` del genere, avrei scatenato l’inferno; all’epoca, infatti, stavo varando, con grande difficolta`, il decreto-legge Falcone. Non ritiene che, se la direttrice degli affari penali del Ministero della giustizia fosse stata avvicinata da un ufficiale dei Carabinieri che le riferiva di essere in trattative con la mafia, si sarebbe scatenato un inferno?
LUMIA. Onorevole Martelli, mi scusi se la interrompo, ma il fatto grave e` che la politica non capì in base agli strumenti importanti di cui lei e gli altri disponevate, che cosa nostra non vi sfidava solo sul versante militare, ma su di un terreno che poi produsse delle stragi che mai nella storia della nostra democrazia si sono verificate. E un fatto che la politica non cap`ı ed e` un fatto sul quale dobbiamo riflettere, anche rispetto alla percezione che avevate della sfida con cosa nostra.
MARTELLI. Lei ritiene quindi che siamo di fronte a due ufficiali felloni?
LUMIA. No, onorevole. Sostengo che voi, che avevate delle responsabilita` cos`ı importanti, non capiste la portata di quella trattativa e della sfida che cosa nostra vi lanciava.
MARTELLI. Se lei sostiene che c’era una trattativa che vedeva impegnati, da una parte, due ufficiali e, dall’altra parte, cosa nostra, lei afferma che questi due ufficiali erano dei felloni.
PRESIDENTE. Onorevole Martelli, senatore Lumia, ritengo di dover restituire la parola all’onorevole Napoli.
MARTELLI. Mi perdoni, Presidente, ma e` sempre un piacere discu- tere con i colleghi.
NAPOLI. Onorevole Martelli, lei ha gia` citato il presidente Scalfaro rispetto alla titubanza da questi dimostrata, dal punto di vista costituzionale, con riferimento all’applicazione dell’articolo 41-bis.
MARTELLI. Per la verita`, egli non manifesto` mai tale titubanza. Erano voci che dagli ambienti del Quirinale raggiunsero il Ministero; per questo motivo, il sottoscritto, insieme al ministro Scotti, affermo` di essere pronto a chiarire al presidente Scalfaro i suoi dubbi. Egli pero` non li ha mai manifestati; dunque non posso onestamente fare tale affermazione.
NAPOLI. Il presidente Scalfaro quindi non ha mai manifestato ne ́ dubbi sull’applicazione dell’articolo 41-bis ne ́ su altri decreti, sempre in materia di contrasto alla mafia?
MARTELLI. Onorevole Napoli, lei sa senz’altro cosa accade nei Palazzi. Il Quirinale fece sapere di avere dei dubbi. Non posso affermare pero` che il presidente Scalfaro mi rifer`ı di nutrire dei dubbi perche ́ sa- rebbe una menzogna, in quanto egli non mi ha mai detto nulla.
NAPOLI. Onorevole Martelli, le chiedo infine perche ́ lei sia uscito allo scoperto e abbia fatto tutte queste dichiarazioni a distanza di tanti anni dalle stragi e solo dopo la sua intervista ad «AnnoZero».
MARTELLI. Ho rilasciato un’intervista ad «AnnoZero» alla vigilia di presentarmi a testimoniare alle procure di Caltanissetta e di Palermo, che mi avevano convocato come teste in ordine alla questione della trattativa. Ho fatto tali dichiarazioni a ragion veduta. Molto semplicemente, ho vo- luto rendere pubblico quanto avrei poi riferito ai magistrati. L’ho fatto solo in quel momento perche ́ solo in quel momento sono stato chiamato a testimoniare su una presunta trattativa. Cosa avrei dovuto fare? Affermare, citando una data a caso, il 1996 piuttosto che il 1994, che avevo avuto l’impressione che il capitano De Donno e il colonnello Mori avessero una loro idea su come condurre la guerra a cosa nostra, coltivando un rapporto con Vito Ciancimino? I due inoltre sono stati anche bravi perche ́ poi sono riusciti ad arrestare Toto` Riina; questo, infatti, e` quanto e` risul- tato. Non capisco, davvero, cosa avrei dovuto dire in precedenza.
NAPOLI. Onorevole Martelli, le ho posto una domanda, lei mi ha risposto e di questo la ringrazio.
PRESIDENTE. Sussiste anche un dato di cronaca, volendo definirlo cos`ı: nel corso dell’estate scorsa il dibattito sulle stragi si e` riacceso alla luce di nuovi eventi di carattere giudiziario.
Avendo cos`ı esaurito le domande, do la parola al senatore Lumia che vorrebbe chiedere qualche precisazione sui quesiti gia` posti dal suo Gruppo. Ricordo che abbiamo seguito la regola di sottoporre prima le do- mande scritte avanzate dal vostro Gruppo e di lasciare poi intervenire gli altri colleghi.
LUMIA. Presidente, ritengo possa essere utile approfittare di questa occasione preziosissima ai fini dei lavori della Commissione.
In merito all’attentato dell’Addaura, Giovanni Falcone fece un’affer- mazione che l’onorevole Martelli ha qui ripreso. Egli affermo` di avere di fronte menti raffinatissime. Poi, pero`, sembra che queste menti raffinatis- sime siano andate in esilio e che, nella ricostruzione da lei fatta, non ci si trovi piu` di fronte a quanto da lei affermato, anche poco fa, circa il fatto che nel nostro Paese dal 1943 in poi vi sia un sistema di coabitazione e di collusione con la mafia.
MARTELLI. Semmai ho usato il termine connivenza. `
LUMIA. E proprio questo il punto che non mi convince nella sua ri- costruzione, nella quale sembra che tutti i tasselli vadano a posto e che chi era contro il decreto-legge lo era per motivi legittimi di garantismo (per molti sara` stato davvero cos`ı). Sembra che il capitano De Donno e il colonnello Mori lo abbiano fatto per una sorta di protagonismo, per non accettare il nuovo assetto che si voleva fornire con la DIA.
MARTELLI. Non ho detto questo. Ho detto quello che allora pensai. Non ho detto: questa e` la verita`.
LUMIA. Falcone l’aveva avvisata che dietro l’Addaura vi erano menti raffinatissime. In tutta questa vicenda lei non ha mai ritrovato in atti scelti queste menti raffinatissime? Oltre ai Carabinieri, del ROS in questo caso, nella Polizia e nei Servizi noto` mai delle anomalie simili a quelle che ci furono e che dopo avete ricostruito con il capitano De Donno e con il colonnello Mori? Ha mai notato un’anomalia di questo tipo sui Servizi, come ora sembra emergere dalle indagini? Presidente, penso che questo punto sia importante. Dal vostro osservatorio, in quei momenti cos`ı cruciali, avete mai avuto la percezione che ci potesse essere qualcosa di anomalo? Faccio riferimento, ad esempio, ad un periodo antecedente la strage di Capaci, quando cosa nostra valuto` – valutazione che abbiamo adesso conosciuto – l’ipotesi di colpire una serie di politici (tra i quali pare vi fosse anche lei), oltre all’omicidio di Lima. Poi pero`, tutto ad un tratto, l’idea di colpire i politici fu messa da parte e l’organizzazione mafiosa punto` sul nemico classico: Falcone. Non avete mai avuto sentori al riguardo? I Servizi non vi avvisarono mai? Visto che facevate continui comitati per l’ordine e la sicurezza, non poteva essere quella la sede per confrontarsi e far emergere difficolta` e anomalie?
MARTELLI. Non so sulla base di quale equivoco o fraintendimento lei ha detto che Falcone mi avviso` che dietro l’Addaura c’erano menti raf finatissime: e` una dichiarazione pubblica.
LUMIA. Fu una dichiarazione pubblica ma, come lei ha detto, gliela trasmise anche personalmente.
MARTELLI. No, non l’ho detto. Fu solo una dichiarazione pubblica, anche perche ́ l’attentato all’Addaura avvenne nel 1989 e Falcone venne a lavorare al Ministero nel 1991; ci sono dunque tre anni di mezzo. Non c’entra niente.
PRESIDENTE. Se mi consente, intervengo per inquadrare meglio la domanda. Nel nostro dibattito abbiamo assunto come preludio della stagione delle stragi il fallito attentato dell’Addaura; e` in quell’ottica che va collocata la domanda del senatore Lumia.
MARTELLI. Se fosse possibile, bisognerebbe fare questa domanda a Giovanni Falcone. Dato il tenore della domanda, potrei tradurla nel se- guente modo: come mai Giovanni Falcone e` venuto a lavorare a Roma ben felice di farlo? Se avesse avuto dubbi …
LUMIA. Chiarisco subito a scanso di equivoci. Sull’Addaura Falcone dice di aver di fronte non solo un’ala militare ma menti raffinatissime.
MARTELLI. La frase completa che disse e` la seguente: questa non e` opera di picciotti ma di menti raffinatissime.
LUMIA. Successivamente queste menti raffinatissime andarono via o svolsero un ruolo nell’organizzare le stragi di Capaci e di via d’Amelio? Non percepiste mai questa presenza di menti raffinatissime? Ho parlato di Servizi e di altre anomalie che ci sono state: avete mai riscontrato una presenza di questo tipo?
MARTELLI. Se l’avessi riscontrata avrei fatto qualcosa; quindi, non l’ho riscontrata. Bisogna vedere cosa si intende per menti raffinatissime. Non sono portato a pensare che tutti i politici abbiano menti raffinate; ci sono politici che ce l’hanno e altri che non ce l’hanno; ci sono avvocati di mafia che hanno menti molto raffinate e altri che non le hanno. Ci sono magistrati collusi; pensiamo alle stagioni che ha attraversato Giovanni Fal- cone o alla storia del corvo di Palermo: tutti erano sicuri che fosse lui il colpevole, poi e` stato assolto. Bisogna stare attenti a gettare la croce ad- dosso alla gente sulla base di ipotesi; bisogna pensarci bene, soprattutto se si fa il Ministro della giustizia.
Le ho raccontato di quando sono andato a trovare Falcone e non credevo che Toto` Riina potesse essere il capo di questa mafia galattica. Chi ha imposto un volo diretto giornaliero tra Palermo e New York in quegli anni? E questa la prima curiosita` che mi viene da soddisfare. Come nasce?
C’era allora tutto questo movimento di passeggeri che ogni giorno dovevano andare da New York a Palermo e viceversa? Viene da pensare che ci sia stato qualcuno a dare una spintarella in quella direzione. Questo vuol dire che sono menti raffinatissime? No, vuol dire semplicemente che le menti raffinatissime ci sono ma che e` difficile che a scovarle sia un Mi- nistro. Mi permetto di ricordare che i Servizi segreti non si fanno osser- vare tanto, specialmente da chi magari potrebbe metterli in difficolta`. Ci sono state deviazioni pro cosa nostra nei Servizi segreti dello Stato? Se- condo la magistratura, viste le condanne che ha emesso, ci sono state, ec- come. Mi piacerebbe pero` che qualcuno mi desse ascolto per una volta; ma- gari potrebbe farlo questa Commissione.
Perche ́ non chiedete che si aprano le indagini sulle responsabilita` nella mancata tutela di Paolo Borsellino a Palermo? E un punto cruciale. Perche ́ non e` mai stata fatta un’indagine su questo punto? Perche ́? Ho rivolto tale implorazione a tutti quelli che mi hanno sentito come testimone, dagli avvocati della difesa che mi volevano dipingere come il cieco giustizialista antimafia che ha travolto tutti i limiti costituzionali, ai magistrati che mi volevano tirare perche ́ di- cessi chi sono i politici che sono i veri mandanti. Cerchiamo le cose che si possono trovare e questa, se si fa un’indagine seria, si puo` verificare. Per- che ́ non e` mai stata fatta questa indagine? Qualcuno avra` dato disposizioni o no? O la scorta decideva per conto proprio con questa leggerezza?
LUMIA. Ha raccontato di esser sceso, quando era Ministro, a Pa- lermo dopo la strage di via D’Amelio, e di aver fatto una scenata che non aveva mai fatto in vita sua per chiedere la rimozione del prefetto.
MARTELLI. Ho chiesto la rimozione del prefetto e di tutti i vertici; quella del prefetto l’ho ottenuta, quella degli altri purtroppo no.
LUMIA. Quale resistenza trovo` sugli altri vertici?
PRESIDENTE. No, senatore Lumia, non possiamo impostare una nuova conversazione. Se non sbaglio, l’onorevole Marchi voleva fare una richiesta di precisazione.
MARCHI. Presidente, riguardava la vicenda dell’Addaura, ma e` gia` stata data risposta.
GARAVINI. Vorrei un breve chiarimento. Onorevole Martelli, lei di- ceva che con la strage di Capaci ci si e` confrontati con una modalita` stra- gista completamente diversa, di tipo terroristico. Ha maturato una sua va- lutazione sulle motivazioni di questo nuovo modo di agire? Anch’io, sulla scorta di quanto chiedeva il senatore Lumia, avrei una precisazione da chiederle. Lei citava Falcone escludendo sostanzialmente un terzo livello, che ci fossero cioe` degli interlocutori esterni; viceversa, pero`, abbiamo autorevoli dichiarazioni. Cito, ad esempio, il ministro Amato e il procura- tore nazionale antimafia Grasso, i quali invece ne parlano e ipotizzano, in particolare per le stragi del 1992, condizionamenti esterni.
MARTELLI. Parlano di mandanti occulti.
GARAVINI. Che idea si e` fatto a questo proposito?
Per finire, dove individua o in quale direzione ci consiglia di interve- nire per individuare quelle responsabilita` di cui lei parlava relativamente alla mancata tutela di Borsellino?
MARTELLI. Come lei sa, si tratta di un terreno molto scivoloso, per- che ́ di ipotesi in deduzione si puo` impiccare il piu` innocente degli uomini o delle donne. Io cerco di restare fedele non solo alla memoria, ma all’in- segnamento di Giovanni Falcone. Non dico che queste realta` sono escluse in linea di principio e, secondo me, non lo ha detto neanche Giovanni Fal- cone. Egli ha detto che per lui era incredibile l’idea che ci fosse un terzo livello, se con questa espressione s’intende il livello politico che dava or- dini a Toto` Riina: questo secondo me non e` possibile, non esiste. Tuttavia, cio` non esclude affatto il contrario di questa idea (il che e` quasi peggio), vale a dire che ci siano politici sottoposti alla mafia. Escludere il terzo livello significa escludere l’idea che ci sia un capo politico che governa la mafia; non significa escludere il contrario, cioe` che ci siano uomini po- litici sottomessi alla mafia, anzi forse autorizza questo pensiero. Anch’io penso che ci siano stati, e forse ci siano ancora, politici sottomessi alla mafia e oggi anche alla ’ndrangheta, alla camorra, alla sacra corona unita. E questo non perche ́ la mafia non ci sia piu`. Ho chiarito prima che non c’e` piu` quell’esercito mafioso, ma la mafia del pizzo c’e` tuttora.
Consiglierei, ad esempio, una straordinaria attenzione e vigilanza da parte di questa Commissione sul fenomeno del pizzo, che non va considerato come una realta` minore. Il controllo del territorio non e` fatto soltanto con i grandi appalti, ma con questo ricatto minuto e quotidiano che ri- scuote un salario della paura da migliaia di negozianti. Se fossi oggi al Governo o in Parlamento, sarei curioso di sapere cosa si fa per contrastare questo fenomeno. Non voglio contestare l’opportunita` di fare indagini su fatti risalenti a 20 anni prima, perche ́ altrimenti susciterei critiche. Conti- nuiamo a indagare tutta la vita e anche la prossima, ma occupiamoci an- che dei viventi di oggi, dei palermitani che vivono sotto il ricatto della paura. Liberiamo dal ricatto queste persone o quelle che si trovano a Gioia Tauro, a Reggio Calabria, a Crotone o negli slum di Napoli. Occupiamoci almeno anche di questo. O l’esercizio fondamentale di tutta la vita deve essere capire se c’era o meno il terzo livello e quali sono le menti raffi- natissime a cui si fa riferimento? Sono convinto che ci siano state fior di connivenze politiche degli apparati dello Stato (ai piu` diversi livelli, locali e anche centrali), che hanno consentito alla mafia di continuare a vivere e prosperare. Ne sono convinto e tali connivenze, specialmente quelle attuali, vanno scovate. Se si partisse, ad esempio, dalle indagini concrete sul territorio, forse si arriverebbe anche a quello. Certo, se non si fanno mai e si continua ad almanaccare e a tirare ogni dichiarazione in una di- rezione piuttosto che in un’altra, e` piu` difficile che ci si arrivi.
PRESIDENTE. Vorrei soltanto precisare che nel programma generale della nostra Commissione l’indagine sulle stragi del periodo 1992-1993 e` soltanto una parentesi che si e` aperta a causa di specifiche vicende giudi- ziarie nuove, dovute a testimonianze che sono emerse. Per il resto, debbo dire che per due anni abbiamo indagato soprattutto sui condizionamenti esercitati dalle mafie sull’economia, la societa` e le istituzioni del Mezzo- giorno e tutta la prossima fase sara` dedicata soprattutto ad esplorare il ver- sante economico-finanziario delle mafie, non solo al Sud, ma soprattutto nelle aree del Centro-Nord, che sono diventate luoghi privilegiati d’inve- stimento dei capitali mafiosi.
Fatta questa piccola precisazione, ringrazio davvero e cordialmente l’onorevole Martelli per la collaborazione che ci ha dato questa sera, prima con la sua introduzione, poi rispondendo apertamente a tutte le do- mande che gli sono state poste.
MARTELLI. Vorrei anche io ringraziare i colleghi e lei, che e` un ot- timo Presidente della Commissione antimafia, come e` stato uno splendido Ministro dell’interno.
PRESIDENTE. Dichiaro conclusa l’audizione.
LI GOTTI. Signor Presidente, vorrei fare una richiesta.
Nella scorsa seduta rivolsi una domanda al procuratore Vigna in or- dine a un’informativa del Sisde che parlava del progetto di eliminazione dell’onorevole Dell’Utri e dell’onorevole Previti. Il procuratore Vigna disse di non avere alcuna memoria di questo fatto. Poiche ́ questi atti, avendo avuto ampia risonanza sulla stampa, sono stati gia` acquisiti dalla Commissione antimafia nel 2002 ma sono segretati, vorrei chiedere di valutare la possibilita` di desegretazione di tale documento.
Claudio Martelli (Gessate, 24 settembre 1943) politico, giornalista, scrittore e conduttore televisivo italiano. È stato esponente del Partito Socialista Italiano, dei Socialisti Democratici Italiani e del Nuovo PSI. Attualmente è il direttore del giornale Avanti!.
A soli 13 anni si iscrive al Partito Repubblicano Italiano. Ha frequentato il Liceo ginnasio statale Giosuè Carducci di Milano, lo stesso frequentato da Massimo Fini (che gli fu compagno di banco) e Bettino Craxi. Si è laureato in Filosofia presso l’Università degli Studi di Milano e ha lavorato come assistente nella facoltà di Lettere e Filosofia del medesimo ateneo, prima di entrare in politica. Aderisce all’unità socialista nel 1966 e comincia la carriera nei quadri locali milanesi socialisti. Viene chiamato a Roma da Bettino Craxi nel 1976, lascia la carriera accademica ed entra nella direzione nazionale del Partito Socialista Italiano. Nel 1979 viene eletto deputato nella circoscrizione di Mantova e Cremona. In occasione del congresso del PSI a Palermo (1981) diviene uno dei due vicesegretari del partito accanto a Valdo Spini.
Nel 1984 al congresso di Verona diviene vicesegretario unico e in giugno viene eletto al Parlamento europeo nella Circoscrizione Italia centrale. È nuovamente eletto deputato nel 1987 nella circoscrizioni di Mantova e Cremona, e Palermo, Trapani, Agrigento, Caltanissetta. Su indicazione di Craxi, nel luglio 1989 diviene vicepresidente del Consiglio dei ministri dei governi Andreotti VI e Andreotti VII. Nel 1990 è autore di un importante decreto-legge sull’immigrazione che di lui porta il nome (convertito in legge, legge Martelli).
Ministro di grazia e giustiziaNel 1991 diviene anche Ministro di grazia e giustizia. Come Guardasigilli Martelli diventa il principale sostenitore del magistrato Giovanni Falcone, che viene da lui chiamato al Ministero a dirigere la Direzione Generale degli Affari Penali.[1] In quel periodo Martelli e Falcone lavorarono al progetto della Superprocura antimafia. La vicinanza di Giovanni Falcone a Claudio Martelli costò al magistrato siciliano violenti attacchi da parte del PDS e del sindaco di Palermo Leoluca Orlando: quest’ultimo sferrò un attacco personale a Falcone durante il programma televisivo Samarcanda su Rai 3, accusandolo di “tenere nei cassetti i dossier”.
In merito Martelli dichiarerà: “È lo stesso Falcone a dare una spiegazione a quella insinuazione atroce rivolta verso il giudice che debellò la cupola mafiosa”. Secondo Martelli, Falcone non aveva una gran voglia di affrontare quell’argomento durante l’audizione al CSM, poi, dopo l’insistenza dei componenti: “lo dice chiaro e tondo: “Forse il sindaco di Palermo non ha sopportato che io indagassi su grandi appalti che riguardano l’illuminazione e le fognature di una grande città, perché ci sono appalti e appalti: i piccoli e quelli miliardari. E io indagando su quelli miliardari, nel caso di Palermo ho scoperto che con Orlando sindaco, Ciancimino era tornato a imperare””. Martelli ricorda poi il contesto nel quale collocare quegli eventi: “Eravamo nel 1991, e si voleva considerare Ciancimino fuori dai giochi, ma non era così. Questa era la cosa che fece impazzire di rabbia Orlando. L’accusa rivolta a Falcone sarebbe una ritorsione polemica”[2]. La nomina di Falcone all’UAP fu peraltro valutata negativamente dall’Associazione Nazionale Magistrati.
A seguito della strage di Capaci del 23 maggio 1992, dove persero la vita Falcone, la moglie e gli uomini della sua scorta, fu introdotto dal decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 (cosiddetto Decreto antimafia Martelli-Scotti), convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356, il regime di carcere duro ed un secondo comma all’articolo 41bis, che consentiva al Ministro della Giustizia di sospendere per gravi motivi di ordine e sicurezza pubblica le regole di trattamento e gli istituti dell’ordinamento penitenziario nei confronti dei detenuti facenti parti dell’organizzazione criminale mafiosa.
Anche sul fronte opposto l’impegno antimafia del Ministro fu ferocemente criticato, in quanto suppostamente in conflitto con scambi elettorali che in precedenza avrebbero visto confluenze di consensi siciliani sul PSI: pentiti come Angelo Siino, Nino Giuffrè e Gaspare Spatuzza lamentarono – nelle loro confessioni di un decennio dopo – che «quei quattro “crasti” socialisti (…) prima si erano presi i nostri voti, nell’87, e poi ci avevano fatto la guerra». L’addebito fu risolutamente respinto da Martelli, che si è sempre riconosciuto solo nella seconda parte della frase, quella per cui lui stesso dice di sé: “sono io uno di quei “crasti” (cornuti) socialisti che hanno fatto la guerra alla mafia».
Durante Mani Pulite, nel 1993, Martelli è candidato ad assumere la guida del PSI, ma a seguito di un avviso di garanzia – per concorso sulla bancarotta fraudolenta del Banco Ambrosiano, da cui il PSI aveva attinto il “conto protezione” su cui per quindici anni i giudici di Milano avevano invano indagato, fino alle decisive chiamate in correità di Licio Gelli e Silvano Larini – il 10 febbraio si dimette da ministro della Giustizia. Successivamente, fonderà l’associazione umanitaria Opera e quella civile Società Aperta nel 1996. Diventa direttore di Mondoperaio nel 1997.
Dopo l’abbandono temporaneo della politica, nel 1998 è consulente del Ministro Livia Turco nella commissione per le politiche d’integrazione degli immigrati e della Consulta degli immigrati, incarico da cui si dimette a seguito di divergenze politiche con il governo. È eletto eurodeputato nel 1999 per lo SDI nella circoscrizione Marche–Umbria–Toscana–Lazio. Esce dallo SDI nel 2000 e successivamente aderisce al Nuovo PSI: di conseguenza viene espulso dal gruppo socialista al Parlamento europeo ed entra in quello liberaldemocratico. Nel 2001 fonda assieme a Gianni De Michelis e Bobo Craxi il Partito Socialista – Nuovo PSI, di cui diventa portavoce. Abbandona la politica ancora una volta nel 2005, stavolta definitivamente.
Nel 2005 conduce il programma televisivo Claudio Martelli racconta su Canale 5; dal 4 ottobre 2005 al 27 aprile 2006 presenta il programma di seconda serata L’incudine su Italia 1; nell’autunno 2006 conduce Flash Back, su Canale 5, la mattina del sabato. Sempre dal 2005 cura fino al 2008 un suo spazio editoriale: Osservatorio, sul settimanale Oggi. Un anno dopo, torna in tv, stavolta a spiegare, attraverso appuntamenti giornalieri su Canale 5, la Costituzione Italiana. Nel 2011 si candida per il consiglio comunale di Siena, nelle file del Nuovo Polo[4], ma non viene eletto.
Il 1º maggio 2020 torna in edicola l’Avanti! con Martelli come direttore e la rivista Critica Sociale come editore; il giornale ha cadenza quindicinale e una tiratura di 5.000 copie. La riapertura è criticata dal Partito Socialista Italiano, che edita l’Avanti! online come testata di partito sotto la direzione di Mauro del Bue.
Nello scandalo Tangentopoli, a riguardo del finanziamento illecito al PSI, Martelli è stato condannato a 8 mesi di reclusione nel 2000, pena sospesa con la condizionale, dopo aver confessato, per aver ricevuto 500 milioni di lire nel caso della maxitangente Enimont.Secondo gli atti processuali, Roberto Calvi avrebbe pagato tangenti a Martelli durante la vicenda del Banco Ambrosiano; tuttavia in questo caso non è stato condannato.
Il suo nome è stato nuovamente all’attenzione delle cronache giudiziarie nell’ambito del processo sulla “trattativa“, allorquando l’ex killer di Cosa nostra Francesco Onorato ha raccontato dell’avvio della strategia stragista disposta da Totò Riina dopo la sentenza del maxiprocesso: “Nella lista delle persone da uccidere, come seppi da Salvatore Biondino, l’ambasciatore della commissione, c’erano Lima, Andreotti e suo figlio, gli ex ministri Mannino, Vizzini, ma anche Martelli. Siamo stati noi a far eleggere Martelli come ministro della Giustizia: nel 1987 avevamo finanziato la sua campagna elettorale con 200 milioni di lire. E poi Martelli mantenne le promesse, perché fece dare gli arresti ospedalieri ad alcuni mafiosi”.
a cura di Claudio Ramaccini Direttore Centro Studi Sociali contro la mafia – Progetto San Francesco