- La SCHEDA PERSONALE
- La SCHEDA ANAGRAFICA
- La SCHEDA DEL C.S.M
- PAOLO BORSELLINO E IL C.S.M.
- VERBALE DEL GIURAMENTO
PERCORSO PROFESSIONALE
documentazione relativa al tirocinio presso il Tribunale di Palermo:
- rapporto conclusivo del tirocinio e parere sull’idoneità alle funzioni giudiziarie (18 giugno 1965)
- piani di tirocinio (23 settembre e 3 novembre 1964; 20 marzo 1965)
- relazione sul tirocinio presso la I sezione civile
- relazione sul tirocinio presso la IV e V sezione penale (10 giugno 1965)
- relazione sul tirocinio presso la II sezione civile (22 febbraio 1965)
- relazione sul tirocinio presso la III sezione civile (2 aprile 1965)
- relazione sul tirocinio presso la Procura della Repubblica (16 giugno 1965)
Valutazioni di professionalità:
nomina a magistrato di tribunale: parere del Consiglio giudiziario di Palermo (6 ottobre 1969)
nomina a magistrato di appello:
- parere del Consiglio giudiziario di Palermo (20 ottobre 1979)
- statistiche allegate al parere
- delibera plenaria (verbale 5 marzo 1980)
idoneità alla nomina a magistrato di cassazione:
- comunicazione relativa alla delibera del CSM (17 aprile 1985)
- proposta della IV commissione (21 marzo 1985)
- atti istruttori della IV commissione
- scheda sintetica di Paolo Borsellino
- istanza di Paolo Borsellino di essere dichiarato idoneo alla nomina a magistrato di cassazione (12 settembre 1984)
- parere del Consiglio giudiziario di Palermo (6 novembre 1984)
- statistiche
Trasferimenti
pretore di Mazara del Vallo:
- delibera plenaria (verbale 23 giugno 1967)
giudice tribunale di Palermo:
- delibera plenaria (verbale 20 marzo 1975)
- verbale di immissione in possesso con lettera di accompagnamento (14 luglio 1975)
Note di elogio
- nota di elogio del Presidente del Tribunale di Palermo (11 ottobre 1977)
- relazione del Presidente del Tribunale di Palermo sull’attività dell’Ufficio Istruzione nell’anno 1981 (25 febbraio 1982)
- relazione sull’attività del Tribunale di Palermo nell’anno 1981 (atto originariamente allegato alla domanda di Borsellino per Procuratore di Mistretta) (13 aprile 1982)
- nota di elogio del Presidente del Tribunale di Palermo (27 agosto 1982)
- nota di elogio del Presidente del Tribunale di Palermo (23 novembre 1985)
Incarichi extragiudiziari
- componente della commissione per lo sviluppo del progetto di informatizzazione globale del sistema penale, costituita presso la Direzione generale affari penali del Ministero della Giustizia (autorizzazione – verbale plenum 12 giugno 1991)
- posto di Presidente del Tribunale di Mistretta (28 luglio 1982) con allegate statistiche
- posto di Procuratore della Repubblica di Mistretta (7 giugno 1982) con allegate statistiche
Nomina a Procuratore di Marsala:
- domanda e rapporto del capo dell’ufficio (4 maggio 1985)
- delibera di nomina: verbali di plenum del 21 maggio 1986 e del 22 maggio 1986 e del 11 giugno 1986
Nomina a Procuratore aggiunto di Palermo:
- domanda (settembre 1991)
- verbale di plenum del 11 dicembre 1991
La serie di documenti pubblicati nella sezione PERCORSO PROFESSIONALE offre uno straordinario spaccato del percorso professionale di Paolo Borsellino.
L’attenzione prestata al profilo curriculare di questo magistrato vuole essere non solo momento di ostensione e valorizzazione delle sue qualità professionali, ma anche occasione di riflessione, più ampia, sul valore ordinamentale di alcune esperienze e di alcuni tratti, di cui a breve si dirà. Per un’appropriata contestualizzazione dei diversi atti pubblicati è opportuno illustrare, con la necessaria sintesi, i passaggi essenziali del percorso magistratuale di Paolo Borsellino.
Nato a Palermo il 19 gennaio 1940, fu nominato, appena ventiquattrenne, uditore giudiziario con D.M. 11/9/1964, e assegnato al Tribunale di Palermo per il tirocinio, all’esito del quale fu destinato con funzioni di giudice al Tribunale di Enna, ove prese possesso nel settembre 1965.
Successivamente, dall’8 settembre 1967, esercitò le funzioni di pretore mandamentale presso la Pretura di Mazara del Vallo.
Il 20 ottobre 1967, a seguito di superamento del relativo concorso, il C.S.M. ne deliberò la nomina ad aggiunto giudiziario; nell’aprile del 1970 fu nominato magistrato di tribunale.
A domanda fu successivamente trasferito come Pretore presso la Pretura di Monreale, ove prese possesso il 30 settembre del ‘70, per trasferirsi, poi, nel luglio del 1975, presso il Tribunale di Palermo con funzioni di giudice. Risale a questi anni, ed in particolare agli ultimi di essi, l’istruzione formale, svolta assieme al dott. Giovanni Falcone e ad altri validissimi colleghi, del notissimo procedimento penale (c.d. “maxi-processo”) per associazione per delinquere di stampo mafioso nei confronti di diverse centinaia di imputati, molti dei quali di estrema ferocia.
Con delibera del C.S.M. dell’11 giugno 1986 furono conferite al dott. Borsellino le funzioni di magistrato di corte d’appello e nella stessa data ne fu deliberato il tramutamento presso la Procura della Repubblica di Marsala, con funzioni di Procuratore della Repubblica.
Infine, l’11 dicembre 1991 il C.S.M. ne deliberò il tramutamento, a domanda, quale Procuratore Aggiunto presso la Procura della Repubblica di Palermo, ufficio del quale prese possesso il 6 marzo 1992.
Dopo solo quattro mesi, il 19 luglio 1992, cadde, assieme ai componenti della scorta preposta alla sua tutela, nella strage mafiosa di via D’Amelio a Palermo.
Tra le diverse riflessioni che scaturiscono dalla lettura degli atti curriculari del dott. Borsellino ve ne sono alcune particolari, che meritano, anche alla luce dei temi ancora oggi al centro della politica giudiziaria, specifico risalto.
Una di queste attiene al bagaglio professionale ed al patrimonio di competenze del magistrato.
Emerge ex actis con particolare evidenza il dato inerente alla versatilità della preparazione teorica di Paolo Borsellino ed alla poliedricità del suo percorso professionale.
Il tracciato documentale testimonia dell’avvenuto svolgimento, da parte del medesimo delle diverse funzioni giudiziarie nei più svariati settori, dal civile ordinario al societario e bancario e al lavoro, dalla volontaria giurisdizione al penale, dalla materia dello stato civile all’attività requirente. Sono molteplici i richiami, operati negli atti, al valore della cultura giuridica tanto ricca e varia di questo magistrato, del quale si legge, per esempio, che “è di preziosa versatilità, dato che, con pari amore e competenza, si dedica alla materia civile e penale” e che “ha dimostrato capacità e completa preparazione giuridica”.
È fondato pensare che la capacità, la finezza giuridica e l’equilibrio con cui Paolo Borsellino portò successivamente avanti la propria attività nello specifico settore dell’Antimafia si giovassero particolarmente, da un lato, della sua eccezionale competenza nei diversi settori del diritto, dall’altro, di quella complessiva cultura della giurisdizione che egli aveva ormai acquisito interiormente come dato strutturale della propria identità.
Di questa ricchezza culturale costituisce “luminosa prova” la stessa attività svolta da Paolo Borsellino in occasione del citato maxi-processo, tanto che uno degli elementi di esplicito apprezzamento, all’epoca espressi, fu che l’attività investigativa svolta implicò “l’applicazione di norme e principi non soltanto di diritto strettamente penale e processuale penale, ma anche di diritto internazionale, amministrativo, societario e bancario” (elogio del 23 novembre 1985).
Un ulteriore profilo che merita di essere messo in luce è certamente quello dello spirito di servizio e del senso di responsabilità che hanno costantemente animato la vita lavorativa di Borsellino. Uno dei leitmotiv delle valutazioni che lo hanno riguardato è, infatti, la sua straordinaria, eppure riservata e non ostentata, dedizione al lavoro. “Ha ritardato l’inizio del godimento del periodo feriale … ha anticipato il rientro dalle ferie … non esita a sacrificare anche i periodi di riposo … non ha conosciuto tempi di sosta”, sono alcune delle tante testimonianze scritte del suo impegno, di cui si potrà prendere atto attraverso la pubblicazione dei documenti, dalla quale emerge altresì la “tenace, straordinaria costanza di propositi e un impegno e una dedizione spinti fino alla totale abnegazione…” e la sua rinunzia alla sua vita privata “finanche con il sacrificio dei rapporti familiari”. “Il dott. Borsellino – si legge ancora – ha interpretato il suo servizio e il suo dovere verso lo Stato con tanta lealtà e tanta dedizione fino ad impegnare in favore di esse tutte le energie fisiche, intellettuali e morali e – con drammaticamente presaga considerazione – a mettere a repentaglio, e in maniera così concreta, la propria incolumità personale e quella della sua famiglia”. Né si manca di far cenno, negli atti, ad “incomprensioni, non sempre disinteressate, che avrebbero potuto smontare chi, a differenza di lui e dei colleghi del suo ufficio, non avesse avuto la ferma convinzione e la ferrea volontà di operare veramente e in via esclusiva per il trionfo della giustizia e la difesa degli onesti, per altro nel pieno rispetto della legalità”.
Una professione vissuta come una missione, eppure senza alcuna visione salvifica della funzione magistratuale, bensì con la umiltà di un fedele servitore dello Stato, votato alla affermazione ed al trionfo delle regole della convivenza civile.
È da rimarcare anche che le relazioni danno conto di importantissimi risultati in termini di miglioramento dell’efficienza del servizio complessivo, anche in contesti di carenza di risorse e di arretrati endemici, grazie proprio allo straordinario impegno di chi non si è fermato di fronte alle criticità, ma anzi le ha personalmente sfidate. In tale ambito si inquadra il conferimento al dott. Borsellino dell’incarico, conferitogli dal Ministero della Giustizia (all’epoca, di Grazia e Giustizia) nel periodo in cui ricopriva le funzioni di Procuratore della Repubblica di Marsala, di componente della “Commissione per lo sviluppo del progetto di informatizzazione globale del sistema penale”: un segnale di attenzione alla speciale attitudine del magistrato alla modernizzazione e razionalizzazione del Servizio Giustizia.
Infine, ma non per ultimo, il rilievo, davvero commovente ed emozionante, delle qualità umane di Paolo Borsellino. Gli atti pubblicati non presentano mai una cesura descrittiva netta tra profilo professionale e profilo umano di questo magistrato. Evidentemente, il primo è stato da sempre un modo di essere di questa straordinaria persona e viceversa. Un uomo plasmato e conformato nell’intimo dalla vocazione magistratuale e, di converso, un lavoro vissuto come parte di sé.
Pubblico e privato si confondono in Paolo Borsellino, in uno slancio ideale assoluto, dell’uomo e del professionista.
È, del resto, possibile anche intravvedere ed apprezzare il clinamen della sua maturazione professionale. Un giovanissimo magistrato, caratterizzato dalla “gentilezza di modi, dalla pronta e vivace intelligenza”, ma anche “corretto, serio di carattere”; poi, da Pretore Dirigente di Monreale, definito “di esemplare comportamento”, “di condotta, sia in privato che in pubblico, irreprensibile… con una innata gentilezza”, tale da garantirgli “le simpatie e la stima profonda di quanti … colleghi, avvocati e pubblico, gli sono stati a contatto”; e poi ancora, da giudice dell’ufficio istruzione, ecco spiccare “l’eccezionale coraggio e la peculiarità delle doti di professionalità e fermezza”: è un “magistrato di valore straordinario … che dà prestigio e lustro all’ordine giudiziario”. (testo curato dal Cons.CSM Maria Rosaria San Giorgio)
Gli atti contenuti nella sezione INCARICHI DI DIREZIONE documentano, da un lato, le straordinarie capacità professionali del dott. Borsellino, dall’altro le difficoltà che il C.S.M. ha dovuto affrontare, in termini di regolamento interno e di contesto culturale, per consentirgli di ottenere l’incarico direttivo di Procuratore della Repubblica di Marsala, prevalendo su magistrati con maggiore anzianità di servizio, ma recessivi sotto il profilo delle attitudini e della esperienza nella repressione del fenomeno mafioso.
La nota in data 6 maggio 1985 del Presidente del Tribunale di Palermo è il parere espresso dal Presidente del Tribunale di Palermo, a corredo dell’istanza con la quale il dott. Borsellino chiedeva che il Consiglio Superiore della Magistratura, conferendogli le funzioni di consigliere di Corte di Appello, lo trasferisse a Marsala come Procuratore della Repubblica presso quel Tribunale.
Si tratta di un atto inusuale per la procedura amministrativa interessata, significativo della straordinaria stima goduta dal dott. Paolo Borsellino presso l’ufficio di provenienza.
Nella nota viene posta in risalto la non comune capacità professionale del dott. Borsellino, già emergente nei primi anni dell’esperienza professionale e sempre più consolidatasi.
In particolare, la nota sottolinea che le doti professionali del dott. Borsellino hanno trovato puntuale e ancor più luminosa dimostrazione nel corso dei mesi, durante i quali egli, insieme con il dott. Giovanni Falcone e con la validissima collaborazione di altri colleghi, ha svolto l’istruzione formale del notissimo ponderoso procedimento penale per associazione per delinquere di stampo mafioso, per più di centotrenta omicidi e per numerosissimi altri gravi reati, nei confronti di centinaia di imputati, molti dei quali di estrema ferocia e pericolosità.
Si afferma infatti “in tale lunga (anche se breve in rapporto alla stragrande quantità di adempimenti compiuti), ardua, geniale e coraggiosa attività istruttoria, davvero rara e probabilmente irripetibile per mole, complessità e rischi e per gli importanti risultati conseguiti, assolutamente impensabili sino a qualche tempo fa, il dott. Borsellino ha profuso tutta la ricchezza della sua eccezionale competenza e preparazione, che spazia dal campo strettamente penale, a quello amministrativo, societario e di tecnica bancaria, nonché una tenace, straordinaria costanza di propositi e un impegno e una dedizione spinti fino alla totale abnegazione, rinunziando alla sua vita privata finanche con il sacrificio dei rapporti familiari; né mai si è fermato davanti agli ostacoli, non soltanto di mezzi e di strutture ma, a volte, anche di incomprensioni, non sempre disinteressate, che avrebbero potuto smontare chi, a differenza di lui e dei colleghi del suo ufficio, non avesse avuto la ferma convinzione e la ferrea volontà di operare veramente e in via esclusiva per il trionfo della giustizia e la difesa degli onesti, per altro nel pieno rispetto della legalità”.
Emerge, quindi, il valore della versatilità e della ricchezza culturale di Paolo Borsellino, ed ancora le doti di coraggio, abnegazione e l’altissima spinta ideale.
I verbali delle sedute del 21 e 22 maggio 1986 concernenti la copertura del posto di Procuratore della Repubblica di Marsala sono indubbiamente documenti di enorme rilievo, sia ordinamentale, che politico. Quanto al primo profilo, tenuto conto del quadro regolativo, all’epoca vigente, il dibattito svoltosi in Plenum evidenzia come il principio, cosiddetto delle fasce, introdotto nel 1983, fosse nato dall’esigenza di limitare certi eccessi di discrezionalità, e fosse stato temperato successivamente dalla cosiddetta «direttiva antimafia» elaborata dal Comitato Antimafia del C.S.M., che valorizzava invece attitudini, meriti ed esperienza nella lotta alla criminalità organizzata.
Secondo tale prospettiva, il Plenum, aderendo alla proposta della commissione incarichi direttivi, ed alle tesi del relatore prof. Tosi, ha rilevato che, in relazione allo specifico posto vacante e avuto riguardo anche alla peculiarità ambientale e delinquenziale, che caratterizzava il circondario del Tribunale presso cui opera la Procura della Repubblica di Marsala, i maggiori titoli di specifica competenza e professionalità non potevano non riconoscersi in capo al dott. Borsellino, magistrato operante, fin dal suo ingresso in carriera, in uffici fortemente interessati dal fenomeno mafioso, con i risultati a tutti già ben noti.
In particolare, merita rilievo, per quanto appresso si dirà, circa il valore politico della delibera, soprattutto nella lettura datane da Leonardo Sciascia, in un editoriale, pubblicato sul Corriere della Sera il 10 gennaio 1987, la posizione dell’altro aspirante più anziano, dott. Giuseppe Alcamo.
Con riferimento a quest’ultimo magistrato, il relatore chiariva che: “la positiva impressione, che già deriva dalla lettura degli atti è stata ai suoi occhi, maggiormente amplificata, dalla audizione, la quale ha messo in evidenza le eccellenti doti di tale magistrato. Nel corso della audizione è stato però questi stesso anche nel tratto di grande dignità definibile come, «magistrato gentiluomo» che con schiettezza e lealtà ha indicato quella che può essere una sua lacuna, a lui assolutamente non imputabile, con riferimento al posto in discussione. Vale a dire il fatto che egli non fosse stato investito, e ciò ovviamente non per sua responsabilità, di particolari processi di stampo mafioso.”.
Nel corso della discussione plenaria, è emersa quindi prepotentemente la questione del parametro nodale per l’attribuzione degli incarichi direttivi, all’epoca fondato sul principio dominante dell’anzianità senza demerito. Considerato però che il demerito era difficile da dimostrare, questo meccanismo si risolveva essenzialmente nel criterio dell’anzianità pura. Il criterio opposto era ovviamente quello della scelta discrezionale basata solo su valutazioni professionali.
Dall’analisi del dibattito in Plenum si intuisce in modo chiaro la preoccupazione di qualche componente, che, nelle sue scelte, il C.S.M. potesse farsi condizionare dalla notorietà dei magistrati interessati, “perché ciò significherebbe incentivare il protagonismo dei giudici che, tra i suoi deleteri effetti, avrebbe anche il ritorno ad un deprecabile carrierismo”.
Contro l’idea di privilegiare i magistrati, che godono di maggiore notorietà a livello nazionale, si sosteneva che “elementari criteri di buona amministrazione avrebbero dovuto invece indurre all’applicazione delle regole vigenti, respingendo l’illusione, smentita dall’esperienza dei magistrati, di poter individuare sempre l’uomo giusto al posto giusto e attribuendo gli opportuni riconoscimenti ai magistrati più bravi, nel rispetto delle suddette regole”.
Altro consigliere intervenuto nella discussione criticava il carattere «emblematico» del magistrato da scegliere, quale pericolosa forma di arretramento rispetto alla cultura dell’indipendenza del Giudice che “appare estremamente rischioso, in quanto non consente al magistrato di esercitare le proprie funzioni nel modo più sereno e regolare: pertanto, i giudici avrebbero tutto da perdere e ben poco da sperare dal consolidamento di criteri di questo tipo”.
Il dibattito in Plenum sulla delibera in questione è risultato quindi particolarmente teso e lacerante, in quanto la scelta di derogare al criterio delle fasce appariva oggettivamente priva di precedenti, e costituiva una eccezione ai principi, di carattere legislativo e regolamentare, fino ad allora sempre applicati per il conferimento degli incarichi direttivi.
Taluni osservatori fanno risalire addirittura a tale travagliata deliberazione e alle polemiche, che ne inevitabilmente ne scaturirono, compreso il già citato articolo di Leonardo Sciascia, le radici più profonde della decisione del C.S.M. di due anni dopo, nel merito diametralmente opposta, di preferire il dott. Antonino Meli a Giovanni Falcone per l’incarico di capo dell’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo. (testo curato dal Cons. CSM Pierantonio Zanettin)
a cura di Claudio Ramaccini Direttore Centro Studi Sociali contro la mafia – Progetto San Francesco