FIBA Cisl Toscana denuncia rischio criminalità nel mondo bancario

La situazione del settore creditizio in Toscana è particolarmente difficile non solo a causa della crisi generale ma anche per una improvvida gestione delle aziende che da tempo contraddistingue le scelte del Management.


La situazione del settore creditizio in Toscana è particolarmente difficile non solo a causa della crisi generale ma anche per una improvvida gestione delle aziende che da tempo contraddistingue le scelte del Management.

•             La situazione del settore nella Regione Toscana rischia di compromettere non solo l’aggancio ad una possibile futura ripresa ma anche a trasferire la direzione strategica del volano creditizio tutto fuori del Territorio e può contribuire ad aumentare il Disagio Sociale già evidente per cittadini ed imprese (il fenomeno dell’Usura è stimato in forte aumento)

•   Le Istituzioni (anche a livello Locale e Regionale..) non hanno sicuramente competenze e strumenti adeguati per intervenire ma comunque non brillano neppure per iniziativa politica e spesso esse stesse sono cadute nella trappola della cosiddetta “finanza creativa”

• Ci sono sicuramente Ritardi e Disattenzioni della Politica ma anche delle Parti Sociali

Le banche (sicuramente per colpa della crisi ma anche e molto per colpa propria, altrimenti la Crisi diviene un comodo alibi dove nascondere le Responsabilità del Management) hanno cambiato la disponibilità di credito per aziende e famiglie, si riduce la liquidità disponibile e questo crea un terreno favorevole per una finanza parallela dove possono giocare le grandi masse di denaro in mano alle mafie contaminando l’economia reale anche di Regioni come la Toscana e mettendo una seria ipoteca sul suo sviluppo. Tutto il settore mostra da anni i segni di una debolezza intrinseca anche generata dall’incapacità di fare sistema per l’emergere continuo di particolarismi, soggettività e poteri locali per cui non si è riusciti a costruire una realtà di riferimento e di gestione regionale, spesso si sono inseguiti modelli nefasti di far finanza sia da un punto di vista organizzativo che per i prodotti adottati. Intanto il sistema produttivo fatto in gran parte di piccole e medie imprese, spesso di qualità, ma Fragili per dimensioni e organizzazione, e senza un volano finanziario adeguato impossibilitate a reggere i mercati iper competitivi e speculativi, di questo ne soffrono anche tutti i cittadini e i lavoratori. Anche il settore delle Banche di credito Cooperativo è stato messo in gravi difficoltà.

La Crisi, in questo contesto, rischia di rivelarsi una ghiotta opportunità per l’economia illegale e la malavita organizzata che dispone di ingenti capitali e di grande liquidità.

Serve più vigilanza e attenzione da parte degli operatori, delle imprese e anche dei semplici cittadini, e poi occorrono norme con un giro di vite sui pagamenti in contanti, sul movimento degli assegni, sugli appalti e subappalti, in favore di una totale “Tracciabilità” della “Filiera del Denaro”. L’economia illegale in tutte le sue forme (compresa l’evasione, il Lavoro al nero e tutte le forme di Corruzione) distrugge Valore e nel medio periodo desertifica un Territorio lasciando dietro di se solo rovine, disoccupazione e problemi di enorme, varia e grave natura anche ambientale. Tutto questo muove una quantità enorme di Denaro ed è abbastanza ovvio che questa “Filiera” attraversa in qualche modo anche il sistema creditizio.

Per un’analisi seria del nostro sistema creditizio non si può prescindere comunque dallo scenario di tipo normativo in cui le aziende di credito si trovano ad operare.

Si rileva ad esempio che la normativa fiscale attua per l’ammortamento degli avviamenti modalità diverse se si stratta di ammortamento dell’avviamento di aziende intere piuttosto che dell’avviamento legato all’acquisto di singoli sportelli, in un caso si può svalutare il costo inizialmente sostenuto per l’avviamento e contestualmente beneficiare della corrispondente riduzione del carico fiscale, nell’altro gli sgravi sono in scaricabili in un periodo di 18 anni.

Questo potrebbe aver comportato nell’ultimo esercizio alla scelta di anticipare l’ammortamento delle poste relative alla proprietà di aziende come efficace strumento di politica di bilancio al fine di ridurre le imposte a carico dell’esercizio appena finito. Questo è solo un esempio, ma nelle pieghe della normativa fiscale si possono ravvisare opzioni diverse per situazioni di fatto identiche, ma che solo differiscono tra loro per meri aspetti formali.

Anche il tanto citato Basilea 3 che nasce con la motivazione di verificare i livelli di liquidità e solidità delle aziende, nell’indicare per le modalità di calcolo degli indicatori determinate ponderazioni, esprime in qualche modo dei giudizi.

Forse per il maggior peso politico di altri sistemi bancari i prestiti alle imprese determinano una copertura in termini di disponibilità di capitali propri troppo superiori agli impieghi in altre attività finanziarie.

Ciò penalizza maggiormente le banche italiane in quanto le stesse, se pur con importanti disimpegni negli anni della bolla finanziaria, indirizzano ancora a tale attività il circa il 60% dei propri impieghi, percentuale che diventa il 25% nel resto d’Europa, dove invece si indirizza una quota preponderante alle attività finanziarie.

Tutto questo non per giustificare i comportamenti delle aziende di credito, ma per evidenziare come gli strumenti di controllo, di indirizzo e le stesse norme fiscali finiscano per indirizzare su comportamenti incongrui con il sostegno all’economia reale, che è l’unica strada efficace per il miglioramento della vita delle popolazioni. Mentre si privilegiano invece le componenti finanziarie che portano invece all’accumulo di grandi ricchezze nelle mani di pochi soggetti a discapito del bene comune.

La situazione è aggravata dalla vicenda Monte dei Paschi?Prima ancora che la Guardia di finanza entrasse nella sede centrale di palazzo Salimbeni, il Monte dei Paschi di Siena era sotto i riflettori delle cronache politiche ed economiche. L’antica e prestigiosa banca italiana, fondata come monte di pietà nel 1472, venti anni prima della data convenzionale della scoperta dell’America, ha visto i militari accedere, prima di tutto, ai locali dei server del sistema informatico per staccare la spina.L’obiettivo era quello di scongiurare interventi sui dati contabili che nasconderebbero, secondo gli inquirenti, le tracce di reati commessi con l’operazione di acquisizione della banca Antonveneta. Brusca caduta del titolo in Borsa e crescita dell’apprensione per i dipendenti del gruppo bancario.

Quali le irregolarità nell’operazione con l’Antonveneta?

«Prima di tutto occorre fare una premessa, la vicenda della banca Monte dei Paschi è paradigmatica della situazione italiana: conflitto di interessi macroscopici, ruolo della politica e delle istituzioni, rapporti clientelari che si sono fatti sistema di un’intera città e del suo sviluppo, di cui la questione banca Antonveneta rappresenta solo l’amaro epilogo, fino alla perdita della quota di Maggioranza assoluta da parte della Fondazione (35,67%) e perdita della cosiddetta “senesità”. Le ragioni e le cause sono molto più profonde, ci sono Responsabilità Dirette ma anche indirette di quanti assistendo allo scempio hanno taciuto o fatto finta di non vedere e le conseguenze purtroppo drammatiche per tutto il sistema creditizio e produttivo Toscano. Partiamo dai numeri. Nel 2005 la banca Antonveneta è stata acquistata da Abn Ambro per 7,5 miliardi di euro. Dopo solo due anni, nell’ottobre 2007, la stessa banca viene venduta al Banco di Santander per un prezzo complessivo di 6,6 miliardi di euro assieme a Interbanca. Un mese dopo, cioè nel novembre dello stesso anno, l’MPS compra la sola Antonveneta, senza Interbanca, da Santander, per 9 miliardi di euro».

Ma un’operazione del genere poteva rimanere inosservata?

«Infatti non lo è stata. Il “Financial Times” riportava all’epoca la notizia segnalando il successo di Emilio Botin, presidente di Santander, in grado di realizzare “un profitto impressionante con la vendita di banca Antonveneta che aveva appena acquistato, il 60 per cento in un solo anno. Un guadagno immediato di capitale di circa 3,4 miliardi di euro”. Si trattò di un’operazione fortemente voluta dalla direzione del Monte Paschi, Mussari e Caltagirone, con il consenso di gran parte dei gruppi politici di riferimento, ma soprattutto gestita attraverso ottimi rapporti con Mediobanca e con i mezzi di comunicazione».

Come è stata finanziata l’intera operazione?

«Il contratto di acquisto di Antonveneta è a tutt’oggi sconosciuto. Le risorse sono state recuperate da varie fonti, asciugando la liquidità della Fondazione e a seguire con l’aumento di capitale di 5 miliardi, l’emissione di obbligazioni fresh per 1 miliardo, l’emissione di un subordinato per 2,2 miliardi, l’utilizzo dei Tremonti Bonds per altri 1,9 miliardi e, infine, la svendita di “asset” per 2 miliardi».

“Asset” vuol dire non solo partecipazioni azionarie, ma anche immobili e intere aziende?

«Già, prendiamo il caso della Consumit: è una società di credito al consumo del gruppo MPS con circa 300 dipendenti e un indotto di circa 250 lavoratori di imprese toscane. Si tratta di un’azienda di successo con utili sempre in crescita (25 milioni nel 2010) e 3 miliardi di erogato, ma che è stata messa in vendita. Come sindacati stiamo sostenendo le istanze dei lavoratori che vedono incertezza nel loro futuro nonostante le promesse relative ad acquirenti interessati a rilevare il controllo della società».

Per recuperare altri fondi il Monte dei Paschi ha, nel 2011, deciso un nuovo aumento di capitale. In che modo ?

«Per poterlo sottoscrivere, la Fondazione, che controlla la banca, ha venduto 470 milioni di azioni privilegiate Mps, incassando 370 milioni, ma con una minusvalenza di circa 200 milioni. Ha incassato 100 milioni dalla vendita della quota dello 0,34 per cento di Intesa-San Paolo, ma anche qui con una minusvalenza di circa 120 milioni e, infine, si è indebitata per circa 600 milioni cedendo un pacchetto di azioni a garanzia a 11 banche (tra cui Mediobanca, Deutsche Bank, Goldman Sachs e altre) pari a circa il 15 per cento del capitale di MPS».

A prescindere dall’esito delle indagini giudiziarie, come si presenta la situazione attuale del gruppo bancario ?

«A mio giudizio bisogna tener conto di altre operazioni oltre il caso Antonveneta, che hanno portato a bruciare 20 miliardi di valore della banca con la conseguenza di aver ridotto del 92 per cento il valore delle azioni nelle mani di piccoli azionisti e dipendenti. Quello che è più grave è che a quest’ultimi è stata insistentemente offerta la possibilità di trasformare in azioni MPS la propria retribuzione, i tfr e la previdenza complementare. Riducendo praticamente a zero la liquidità della Fondazione, si è impoverito il territorio di riferimento a causa della progressiva riduzione degli utili dello stesso ente distribuiti alla realtà locale. In tale contesto si sono mortificate le professionalità dei dipendenti del Gruppo MPS: la riduzione dell’organico nel periodo considerato ammonta a circa l’otto per cento del totale».

Come valuta, con la Guardia di finanza in sede, il presente di Montepaschi? Da dove ripartire?

«La situazione attuale rischia di essere pagata ulteriormente e gravemente dai lavoratori ma anche dall’intero territorio toscano, dal sistema delle piccole e medie imprese e da tutto il sistema creditizio presente in regione, che dovrà accollarsi un’economia già fortemente compromessa, in profonda crisi di liquidità e di sostegno creditizio. Occorre partire da questa consapevolezza se si vuole invertire la rotta e ripristinare il clima di fiducia di uno dei maggiori gruppi bancari che aveva fatto del rapporto virtuoso con il territorio uno dei suoi patrimoni inalienabili. Ci vuole una straordinaria immissione di trasparenza e di eticità per raddrizzare una situazione così compromessa».

Ma cosa fare concretamente?

È dal 2007, dall’ inizio della crisi che si sente parlare e si chiede una profonda Riforma dei Mercati Finanziari, ma la Politica è stata incapace o succube dei “poteri finanziari” e non ha prodotto nulla. Oltretutto la vicenda Monte dei Paschi rischia di trasformarsi in un gigantesco Domino che può travolgere insieme ai propri lavoratori tutto il sistema creditizio e produttivo Toscano. C’è sicuramente un livello di intervento che dovrebbe avere caratteristiche mondiali, ma molto si potrebbe fare a Livello Europeo, occorre rivedere profondamente gli accordi di Basilea 2 e 3 e il patto di stabilità. Anche a livello Nazionale, si potrebbe fare molto per esempio tornando a separare gli istituti di Credito tra Banche Ordinarie e Banche di Affari, le prime con norme precise e specifiche, destinate a far da volano allo sviluppo locale e i cittadini saprebbero distinguere almeno quando stanno in una Banca o in una casa da gioco, si potrebbero adottare legislazioni di vantaggio per Banche che operano come Banca Etica ecc..

A livello Regionale si potrebbero fare molte cose, l’Istituzione deve farsi Governo dei processi in atto, realizzare normative al fine di rendere possibile la tracciabilità della filiera del Denaro e si dovrebbe avere un Osservatorio proattivo recuperando magari gli aspetti positivi di quelli predisposti all’inizio della crisi da Tremonti presso le Prefetture.

Osservatorio che non si limiti a monitorare e incrociare i dati ma faccia osservazione di comportamenti reali permettendo ai Cittadini, alle Imprese, alle Associazioni dei Consumatori, ai Sindacati ma anche ai lavoratori Bancari di segnalare tutti i comportamenti anomali o sospetti, uno Strumento dotato di operatività e possibilità di intervento diretto anche nelle situazioni concrete. Questa sarebbe anche una grande azione per la Legalità e per liberare il Territorio e l’Economia dalla presenza di Capitali corrotti.

Il danno sociale maggiore è determinato dalle politiche commerciali, in tempo di crisi assai più pericolose. Se non affiancate ad un’ampia strategia di tutela del territorio, delle piccole e medie imprese, dei progetti di innovazione, del tessuto culturale tipico dell’economia locale, tali strategie commerciali si dimostrano essere la piattaforma migliore per le infiltrazioni criminali. Noi, come FIBA CISL, con il Progetto San Francesco abbiamo alcune proposte di responsabilità specifica, che colleghi le istituzioni al mondo del lavoro e del credito a favore di un patto di stabilità e di premialità antimafia territoriale. Occorre recuperare la filiera sociale del credito, oggi ancora possibile.

Le nostre semplici istanze di seguito riportate, come Progetto San Francesco , inizialmente prevedevano cinque punti di intervento, anche per quelle opere che non si possono giuridicamente classificare come pubbliche ma certamente di interesse pubblico e che potrebbero essere inserite in azioni legittime “ex lecitazioni private”.

  • Tracciabilità totale dei flussi finanziari, con un conto corrente unico per ogni cantiere;
  • Obbligo di dichiarazione dei realizzatori in sub appalto all’atto di partecipare alla gara e certificazione antimafia preventiva per ogni soggetto realizzatore;
  • Certificazione antimafia per tutta la catena dei realizzatori l’opera;
  • Dichiarazione vincolante di Responsabilità Sociale delle imprese realizzatrici l’opera;
  • Obbligo di assunzione nella filiera dell’opera dei lavoratori che dovessero essere licenziati a causa di chiusura dell’impresa coinvolta in indagini antimafia.

Occorre promuovere una forte partecipazione dei cittadini e delle organizzazioni sociali per far crescere con chiarezza la domanda di banca socialmente responsabile: si possono sostenere e promuovere tavoli multistakeholders per una reale forma di trasparenza nella gestione delle banche con standard di rendicontazioni sociali – i bilanci sociali – che documentino i livelli di responsabilità sulla qualità del credito (disaggregazione dei crediti deteriorati sotto vari ambiti di osservazione a partire dalla responsabilità degli organi deliberanti), politiche di prezzo, di prodotto, contenimento dei conflitti di interesse del management, contenimento dei costi operativi, qualità delle relazioni sindacali, struttura del costo del personale e incidenza dei sistemi incentivanti che rappresentano ancora il fondamentale elemento di deterioramento della cultura professionale e delle relazioni con la clientela. Nonostante la crisi all’interno delle banche domina ancora incontrastato il pensiero unico dell’esasperazione del risultato di breve periodo, supportato da comportamenti gestionali che mettono in secondo piano anche il rispetto delle regole.

Occorre anche riqualificare i modelli organizzativi delle banche sul piano del servizio alla clientela piuttosto che sulla pressione sulle vendite, producendo dal basso criteri di indagine non autoreferenziali sulla qualità del servizio.

Occorre in sostanza proporre organizzazioni e culture diverse delle nostre banche sapendo risalire alle cause dei fenomeni che adesso determinano instabilità e irresponsabilità.

14.6.2012