Trattativa Stato-mafia: “un medesimo disegno criminoso”

(AGI) – Palermo, 14 giugno 2012. Le accuse ipotizzate vedono insieme uomini dello Stato e uomini di Cosa nostra, che avrebbero agito “in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro” e con Vincenzo Parisi e Francesco Di Maggio, i defunti ex capo della polizia ed ex


vicecapo del Dap. Da una parte c’era la minaccia mafiosa, mossa contro il governo, dell'”organizzazione ed esecuzione di stragi, omicidi e altri gravi delitti (alcuni dei quali commessi e realizzati) ai danni di esponenti politici e delle istituzioni”. Dall’altra c’erano gli uomini dello Stato, che avrebbero raggiunto l’accordo per evitare altri danni alla collettivita’: ma in questo modo si sarebbero impegnati a fare concessioni e ad assicurare una sorta di impunita’ e di salvacondotto a Bernardo Provenzano, “principale referente mafioso di tale trattativa”. Provenzano avrebbe fruito infatti di favori che gli avrebbero garantito il perdurare della latitanza fino al 2006. I pubblici ufficiali, secondo quanto si legge nell’avviso, avrebbero “agito con abuso di potere e con violazione dei doveri inerenti la loro pubblica funzione”, anche “con altri soggetti allo stato ignoti, per turbare la regolare attivita’ di corpi politici dello Stato italiano, ed in particolare del Governo”. I mafiosi, per indurli a tali violazioni, avrebbero “usato minaccia a rappresentanti di detto corpo politico, per impedirne o comunque turbarne l’attivita’”. La minaccia sarebbe “consistita nel prospettare l’organizzazione e l’esecuzione di stragi, omicidi e altri gravi delitti, alcuni dei quali commessi e realizzati, ai danni di esponenti politici e delle istituzioni”. Il primo delitto sarebbe stato quello che vide come vittima Salvo Lima: un’autonoma contestazione viene mossa, nell’avviso di conclusione delle indagini, riguardo all’omicidio del 12 marzo 1992, a Bernardo Provenzano. Dopo Lima ci fu l’omicidio del maresciallo dei carabinieri Giuliano Guazzelli, vicino a Calogero Mannino. Poi la strage di Capaci.
  E a quel punto si sarebbe messo in moto il “dialogo”, in cui la figura centrale sarebbe stato don Vito Ciancimino: ai boss interessava avere una legislazione favorevole, un trattamento carcerario di comodo, processi che si concludessero in modo ben diverso dal “maxi”, in cui la Cassazione aveva pronunciato condanne pesantissime, il 30 gennaio del ’92. Secondo la Procura “l’ottenimento di tali benefici” sarebbe stato posto “come condizione ineludibile per porre fine alla strategia di violento attacco alle istituzioni, la cui esecuzione aveva avuto inizio con l’omicidio dell’onorevole Lima”.
  Subranni, Mori e De Donno avrebbero preso contatti, “su incarico di esponenti politici di governo, con uomini collegati a Cosa nostra”. Fra costoro (ma non sarebbe stato l’unico) c’era anche Vito Ciancimino, l’ex sindaco mafioso di Palermo.
  “tramite con uomini di vertice dell’organizzazione ed ‘ambasciatore’ delle loro richieste”. Si sarebbe cosi’ aperto un “canale di comunicazione” con i capimafia, “finalizzato a sollecitare eventuali richieste di Cosa nostra, per far cessare la strategia” basata su omicidi e stragi. Gli stessi carabinieri del Ros avrebbero poi favorito “lo sviluppo della trattativa fra lo Stato e la mafia, attraverso reciproche parziali rinunce in relazione, da una parte, alla prosecuzione della strategia stragista e, dall’altra, all’esercizio dei poteri repressivi dello Stato”. Il Ros avrebbe cioe’ agevolato “la ricezione presso i destinatari ultimi della minaccia di prosecuzione della strategia stragista e, per altro verso, rafforzava i responsabili mafiosi nel loro proposito criminoso”.
  Mannino sarebbe intervenuto per salvare se stesso, dopo l’omicidio di Salvo Lima, cercando di acquisire informazioni presso i rappresentanti degli “apparati info-investigativi, al fine di acquisire informazioni da uomini collegati a Cosa nostra e aprire la trattativa con i vertici dell’organizzazione mafiosa, finalizzata a sollecitare eventuali richieste di Cosa nostra”. In epoca successiva, l’ex ministro avrebbe pure “esercitato indebite pressioni finalizzate a condizionare in senso favorevole a detenuti mafiosi la concreta applicazione dei decreti” di sottoposizione al 41 bis.