“Il Progetto San Francesco esprime oltre alla solidarietà al Dottor Tamburini anche il
“Il Progetto San Francesco esprime oltre alla solidarietà al Dottor Tamburini anche il convincimento di un ulteriore lavoro comune. Questo lavoro si esplicita nella costruzione di due elementi sostanziali contro le mafie, una sempre maggiore coesione e un’efficace responsabilità sociale che impegnino isitituzioni, mondo del lavoro, sindacati, imprese e mondo politico verso una nuova stagione di proposte contro le cosche e per lo sviluppo. L’atto criminale nei confronti a danno del Dottor Tamburini rivela che anche in Lombardia le cosche travestite da colletti bianchi possono, se serve ai loro disonorevoli fini, usare la violenza e le minacce. Siamo accanto alla magistratura, non solo a sostegno nella retroguardia”.
Esplosione davanti alla villetta di Giulio Tamburini: il figlio sfiorato dai vetri. Subito la scorta per la famiglia. Il procuratore generala Papalia evoca lo spettro della mafia – MANTOVA.
«Non parlo, cercate di capirmi. Questa volta prima della mia professione c’è di mezzo la mia famiglia». Una famiglia che ora vive sotto scorta perché alle 2 della notte tra martedì e mercoledì una bomba è esplosa sotto l’abitazione di Giulio Tamburini, magistrato della procura di via Poma. «Un ordigno rudimentale» recita il comunicato della prefettura, ma il procuratore generale Guido Papalia, precipitatosi in città da Brescia in mattinata, parla di «ideazione, programmazione e modalità di esecuzione dell’attentato che portano a escludere che si tratti di un gesto improvvisato». E lo stesso Papalia – al termine della riunione d’emergenza convocata in prefettura con i vertici di procura, carabinieri, polizia e guardia di finanza – evoca lo spettro della criminalità organizzata.
Un boato nella notte. Sono le due di notte quando un boato spaventa mezza città. Si sveglia tutta Dosso del Corso, il quartiere dell’esplosione, e alle forze dell’ordine e ai vigili del fuoco arrivano chiamate allarmate da San Silvestro e da Valletta Paiolo. L’esplosione è avvenuta sotto l’abitazione del sostituto procuratore Giulio Tamburini, 54 anni, 23 dei quali vissuti da magistrato in via Poma, attualmente impegnato in processi delicati sul fronte ambientale (Montedison) e della criminalità organizzata (i 16 sikh che sequestrarono un connazionale per i quali Tamburini ha chiesto 250 anni di carcere). L’ordigno è stato piazzato davanti al cancello della villetta. Il bilancio delle conseguenze fortunatamente si limita ai danni alla casa del magistrato, perché Tamburini, la moglie e i figli stavano dormendo nella parte posteriore della casa e non sono stati raggiunti dall’esplosione. Tutti in altre stanze tranne uno dei figli, salvato da un mobile che ha fatto da scudo contro la pioggia di vetri. In frantumi la finestra della sala, la più vicina all’ordigno: i vetri hanno invaso la stanza. Il portone del garage è rimasto bloccato, perché lo spostamento d’aria lo ha spinto indietro facendolo finire fuori asse. Anche il cancello è ko perché il botto ha fatto saltare il cardine e sgretolato una parte del muretto. Davanti agli occhi delle forze dell’ordine e dei vigili del fuoco, colonne di fumo alte oltre sei metri e un’intera via corsa fuori con il cuore in gola per capire che cosa fosse successo. Nessun testimone e nemmeno un passante sospetto intravisto dai vicini.
L’ordigno. Il Ris di Parma sta indagando per ricostruire cosa sia esploso nella notte in cui «per la prima volta un magistrato del nord è stato attaccato in questo modo», come ha detto ancora Papalia. Della bomba sono rimaste pochissime tracce: solo qualche pezzetto in plastica, residuo dell’involucro. Il Ris dovrà capire che tipo di esplosivo sia stato utilizzato e come sia stato fabbricato l’ordigno. Nelle prime ore dopo l’attentato il quadro è nebuloso, ma dietro la bomba non dovrebbe esserci una mano inesperta. Le modalità di esecuzione e la portata dell’attacco spingono a guardare in direzione di criminali consapevoli, che non volevano conseguenze peggiori. Puntavano solo a intimidire e così è stato.
Le indagini di Tamburini. Per questo i carabinieri del nucleo investigativo, guidati dalla procura di Venezia competente per i fatti che coinvolgono magistrati mantovani, stanno scorrendo le indagini più delicate a cui lavora Tamburini. Il primo pensiero va al caso dei 16 sikh per i quali il pm ha chiesto nei giorni scorsi 250 anni di reclusione per aver sequestrato e picchiato un loro connazionale per cinque giorni: un processo che Tamburini segue per la direzione distrettuale antimafia di Brescia. Tra gli altri casi più delicati c’è il processo Montedison. E poi naturalmente le altre indagini che – come recita il comunicato della prefettura – «spaziano dall’inquinamento ambientale alla criminalità organizzata» e restano protette dal riserbo imposto dalle circostanze. Sul taccuino degli inquirenti anche la vicenda di Ziadi Moncef, il tunisino condannato a 30 anni per l’omicidio della moglie che venerdì aveva minacciato Tamburini in aula (ma l’uomo è in carcere).
Sotto protezione. A poche ore dall’attentato in via Principe Amedeo si sono riuniti i vertici di prefettura, carabinieri, questura, finanza e magistratura (c’erano il procuratore generale di Brescia Guido Papalia e il procuratore capo di Mantova Antonino Condorelli). L’incontro è durato un’ora, il tempo necessario a ricostruire l’accaduto e prendere la prima, inevitabile misura di sicurezza: Tamburini e la sua famiglia da ieri sono sotto scorta. L’attenzione si alza anche per i colleghi della procura di via Poma: «Non possiamo escludere che sia un’intimidazione all’intero ufficio» dice Papalia.
di Gabriele De Stefani – Gazzetta di Mantova 5.7.2012