La ‘ndrangheta Gardesana

 di Filippo Cantoni

E’ davvero strano come a volte un luogo in cui ti sei sempre sentito al sicuro, di cui sei sempre stato fiero, che hai sempre considerato la tua “casa”, la tua città, possa trasformarsi in una realtà a te sconosciuta e ostile.

Questa mattina, a Brescia, mi sono scontrato violentemente con una realtà di cui avevo sempre sentito parlare, di cui sapevo l’esistenza, ma MAI avrei immaginato di conoscere cosi da vicino. Parlo della ndrangheta. Parlo di mafia.

Subito l’interesse cala, perché tanto la mafia è qualcosa di lontano, che con la mia vita di Lombardo ha poco a che fare. Invece parlo di Brescia.

Ho incontrato un collaboratore di giustizia a Brescia, in tribunale.

Li, davanti a me, che mi offriva un caffè con le mani tremanti di paura. Mi offriva un caffè.

Per strane coincidenze della vita ci eravamo conosciuti qualche minuto prima.

Mi ero svegliato da circa un’ora pensando alla mia tesi di laurea, agli esami da finire, all’imminente partenza per un viaggio in compagnia di amici.

Mi ero svegliato a casa, nel mio letto, sul Lago di Garda, a Toscolano-Maderno. Poi ero partito per Brescia in compagnia dell’amico Davide, per andare ad un presidio organizzato dal Movimento Antimafia di Brescia. Ma ero comunque a Brescia, dove per cinque anni avevo studiato e dove ogni tanto andavo per un motivo o per l’altro, per visitare qualche amico, fare un giro, andare al cinema.

 ..a Brescia..ero a Brescia..

Poco prima di arrivare al luogo di incontro Davide saluta una persona che conosce. E’ del Movimento. E lui ci dice di aspettare un attimo perché deve arrivare un signore.

Arriva un uomo, normale, sulla quarantina, ben vestito, con una cuffia bianca in testa.

E’ un collaboratore di giustizia.

E’ il principale testimone di un processo.

Un processo..sai quanti che ce ne sono..

Ma inizia a parlare in modo strano.

Dice che è un uomo morto e che lo faranno a pezzettini.

E’ nervoso, è molto nervoso.

Che strana la vita, sono al bar con il testimone di un processo.

Beviamo il caffè e poi usciamo per dirigerci al luogo di ritrovo.

L’uomo dice che è meglio se torna indietro, e che anche se non fuma va a comprarsi le sigarette.

Noi senza dar troppa importanza alla cosa ci dirigiamo davanti al tribunale, per incontrarci con gli altri.

Siamo davanti al tribunale, ci presentiamo l’uno con l’altro. Giovani. Studenti, per lo più. Ci presentiamo. Quante volte mi è capitato di conoscere gente nuova! E’ sempre interessante scoprire nuove realtà.

Per questo motivo ho accettato di andare li, davanti al tribunale.

C’è sempre qualcosa da imparare dagli altri gruppi, soprattutto quando sono gruppi di giovani.

Stendiamo un lenzuolo con una scritta rossa che dice “La parola è l’unica arma contro la Mafia”. E il mio pensiero va all’uomo incontrato prima. Lui dovrà parlare.

Scambio ancora qualche parola con gli altri ragazzi e poi decido di fare un giro dentro.

In Tribunale.

Giusto per vedere che succede.

Apro la porta dell’aula. Entro e ascolto.

Un giovane carabiniere mi ferma e mi chiede preoccupato chi sono..gli dico che ascolto..ascolto e basta..poi me ne andrò..si tranquillizza e mi indica un angolo dove mettermi.

Ascolto.

 Ascolto un giudice dal modo di fare originale e, quasi quasi, simpatico che istruisce un processo per Mafia.

Mafia. Quanti film che ho visto, quanti libri che ho letto. Mafia. Emme, A, Effe, I, A. Si sa che c’è.

E vedo un uomo dietro le sbarre, piuttosto tranquillo, che aspetta che il processo cominci.

Il processo comincia.

 Vengono presentate alcune carte, gli avvocati firmano documenti, scrivono al computer, alcuni parlano tra di loro.

Sei avvocati difensori, e un “pi emme” all’accusa. Non lo conosco, non riesco a seguire la sua arringa, ma capisco che si occupa di Mafia.

 Intanto l’uomo dentro la cella è li, fermo con le mani appoggiate alla sbarra. Ascolta pure lui.

La mia curiosità aumenta. Mafia. Chissà.

Il giudice chiama il testimone. Entra l’uomo che mi aveva offerto il caffè. E’ nervoso. Si siede.

Il giudice gli chiede di confermare nome e cognome e gli fa leggere una frase da pronunciare prima delle deposizioni. Giura di dire la verità.

Bene. Ha giurato.

Si guarda attorno furtivo.

Io sono li, in fondo all’aula. Guardo l’orologio perché non vorrei fare tardi. Devo studiare e andare avanti con la tesi.

Il giudice prosegue e chiede a Giuseppe, cosi si chiama, di dire dove abita.

Silenzio. Giuseppe scuote la testa.

Gli viene paura, gli torna la paura o forse non gli è mai passata.

No, è troppo.

Guarda la persona in cella.

No, non può dire dove abita.

La paura ha vinto il coraggio.

Quindi il giudice gli chiede se ha paura. Giuseppe risponde di si. E’ terrorizzato. Dice che per lui è finita, dice che è condannato a morte. E’ stato visto. E’ stato visto davanti ad un giudice.

Io sono li, in fondo all’aula. Giuseppe è pochi metri più in la, seduto. Dice di aver paura.

 Metto via l’orologio.

Inizia a parlare. Racconta del suo lavoro, di quando costruiva case, sul Garda. Parla di San Martino della Battaglia; parla di Padenghe sul Garda; parla del Lago; parla di casa mia.

Poi il giudice chiede se conosce la persona la dentro.

Si, l’ha vista qualche volta in ufficio.

L’accusa chiede se si sono incontrati anche fuori, magari in un night club, dove lui portava le ragazze che il signore la dentro gli comandava di portare. Se hanno mai bevuto una birra assieme, mentre incontravano altri signori di cui non ricordo il nome.

Giuseppe dice che non può rispondere. E aggiunge che lo stanno “massacrando vivo” con quelle domande.

L’uomo dentro la cella comincia a farfugliare qualcosa, impreca, minaccia Giuseppe.

Improvvisamente Giuseppe dice che sta male e che non può proseguire.

Il giudice gli ricorda che se non parla sarà considerato un complice. A Giuseppe non importa.

E’ come fosse morto, dice, si alza ed esce. Non può continuare.

Io vedo la scena e resto li, in silenzio.

L’uomo che prima mi aveva offerto il caffè è scappato in tutta fretta, dicendo di essere ormai morto. Terrorizzato. Ho letto il terrore nei suoi occhi, mi ha trasmesso angoscia.

Angoscia perché in quei pochi minuti ho sentito parlare del Lago di Garda e dei luoghi che conosco da quando sono nato.

A Padenghe, andavamo io e mio fratello Davide da piccoli, accompagnati dal nonno a visitare le cantine.

A Padenghe.

 Ed è impossibile che in mezzo ai vigneti del basso Lago, alle colline moreniche, agli uliveti qualcuno possa temere la morte.

E invece è possibile.

 E’ la ndrangheta.

Mannaggia, mi dico, me ne accorgo solo ora!

Per anni l’uomo dietro le sbarre ha fatto soldi sporchi. Li ha fatti nelle strade che settimanalmente percorro per andare a prendere il treno per Padova. Ha fatto 30 milioni di euro. Ma dalla faccia sembra una persona comune.

Appartamenti, coca, donne, li, in mezzo ai vigneti.

Esco. Racconto il fatto a Davide. Sono sconvolto.

Davide vede Giuseppe e gli corre dietro per chiedergli se ha bisogno d’aiuto.

Che stupido, mi dico, potevo pensarci anche io.

Seguo Davide e mi ricongiungo a Giuseppe.

E’ terrorizzato. Farfuglia qualche frase. Dice che è morto, che le sue bambine sono in pericolo, che la sua azienda bresciana l’hanno sollevata un metro da terra con le bombe e potrebbero farlo nuovamente. Le sue bambine sono a scuola..a scuola..deve andarle a prendere! O forse è meglio se va a prendere un aereo. Non sa, è in preda al terrore.

 Mi dice queste cose. MI DICE. Le dice a ME. A ME!

Non sono alla televisione. Sono a Brescia, vicino alla stazione, dove a volte vado a prendere il treno. Per Padova. Per Milano. Il treno.

Continua parlando delle sue bambine che sono in pericolo, delle bombe molotov che ha trovato fuori casa. Dice di essere morto. Si da la colpa di tutto ciò. Non doveva, si è messo nei casini. Deve andar via dal paese. Per il bene suo e della sua famiglia.

Una cosa, mi chiedo: dove è la scorta?

Una cosa, gli chiedo: dove è la scorta?

Ce l’aveva. Ma poi gli è stata negata.

Capisco che è solo.

No, dico. Un uomo che un minuto fa riceveva minacce di morte da un boss andranghetano ora è fuori da solo. Eppure sono le stesse strade che percorro da anni. Sono sicure! Diamine, ci sono passato tante di quelle volte!

Sono sicure?

Passa una donna, Giuseppe si nasconde perché..quella “è la moglie”.

Passa un mercedes, “quello è un socio”.

Dice che è dalla mattina che “sono li a controllare la zona”.

Le mie strade cambiano. Non sono più sicure.

 C’è la ndrangheta. A Brescia.

E io sto parlando con lui, con lui che rischia la morte.

Anzi, ne è certo.

Gli offriamo aiuto. Ma la sua mente è ben altrove. Pensa alla famiglia.

 Ci da la mano e va via.

Noi rimaniamo li, in silenzio. Ci guardiamo. Restiamo in silenzio.

Non penso più alla mia tesi. Non penso più ai miei esami.

VIVO LA REALTA’ CHE HO INCONTRATO, e che fa parte della mia vita quanto l’Università. Solo che qui c’è in ballo la vita di un uomo. Che ha parlato per difendere la verità.

Passa ancora qualche minuto. Parliamo.

Giuseppe è morto se resta da solo, conveniamo.

Dobbiamo fare qualcosa. Dobbiamo aiutarlo. Non lasciarlo solo.

Ci scambiamo gli indirizzi e ci diamo l’appuntamento al giovedì successivo. Ci sarà un’altra udienza. Noi ci saremo.

Il Lago di Garda, quel posto meraviglioso in cui vivo, quel paradiso lontano dai problemi odierni, dalle megalopoli, abitato da gente per bene, non è più tale.

C’è la ndrangheta.

Anche qui le aziende saltano in aria. Anche qui le mogli si vantano del marito mafioso.

Mi piace il territorio, studio l’ambiente, ho difeso una spiaggia dalla speculazione edilizia. Ma ora c’è qualcosa in più.

Ci sono le ndrine. E’ tutta un’altra cosa.

Giuseppe rischia la vita.

 Qui,

sul Garda.

Ho conosciuto una realtà a me nuova. Ne ho fatto conoscenza. Ne ho preso coscienza.

E subito la mia coscienza torna a parlare: faremo qualcosa, insieme.

Per noi. Per Giuseppe. Per il Lago. Faremo qualcosa contro la ndrangheta sul Lago.

 Chi l’avrebbe mai detto stamattina? Pensavo alla tesi quando mi sono svegliato.

Guardo fuori dal terrazzo e vedo il Lago al tramonto..come ogni sera..dal terrazzo..

E’ diverso.

Ora c’è qualcosa in più.

C’è la ndrangheta.

Qui..sul Lago di Garda..