La cattura del boss Zagaria ha accresciuto la necessità di denaro del clan NAPOLI – La cattura del boss Michele Zagaria, avvenuta lo scorso dicembre a Casapesenna dopo una latitanza durata 15 anni, ha accresciuto la necessità di denaro da parte del clan e di conseguenza la pressione sugli imprenditori della zona di influenza del clan dei casalesi, costretti a pagare tangenti più pesanti. Il paradosso è sottolineato nell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip Maria Vittoria Foschini e notificata questa mattina a sei affiliati al clan. Le sei ordinanze di custodia cauterale sono state notificate dalla squadra mobile di Caserta a Michele Barone, 38 anni, Michele Fontana, 41 anni, soprannominato “o sceriffo”, Giorgio Pagano, 36 anni, Renato Piccolo, 39 anni, Costantino Diana, di 34 anni e Francesco Sabatino, di 42. Una settima persona è stata sottoposta a fermo per gli stessi reati: si tratta di Antonio Aquilone, di 28 anni, scarcerato appena una settimana fa. Tra i destinatari delle misure restrittive emessa su richiesta della Procura Antimafia di Napoli figurano, come mandanti dei raid estorsivi anche elementi di spicco e fidati luogotenenti del boss Michele Zagaria, attualmente detenuti, come Barone e Fontana. Tra le vittime delle estorsioni figura anche un imprenditore di Casapesenna (Caserta) che, negli scorsi anni, si era aggiudicato l’appalto per la realizzazione di un complesso residenziale da 50 villette a Castel Morrone, nel Casertano, per un importo di 6 milioni di euro. Gli estorsori di Zagaria gli avevano imposto un ‘pizzo’ da 35mila euro di cui due tranche, per complessivi 20mila euro, erano state versate prima della cattura del boss. Anche l’omelia di un sacerdote ha contribuito a dare impulso alle indagini. Si tratta della denuncia di don Vittorio Cumerlato, vice parroco della chiesa della Santa Croce di Casapesenna, paese d’origine del boss Michele, citata nell’ordinanza di custodia cautelare. Il 17 giugno scorso, durante la messa, don Vittorio si rivolse ai fedeli dicendo amareggiato: “Questo paese non cambierà mai”. Gli agenti della squadra mobile di Caserta, con il vicequestore Angelo Morabito, si sono allora attivati per comprendere a che cosa alludesse il sacerdote e hanno saputo da fonti confidenziali che Marcello De Rosa, imprenditore edile di Casapesenna impegnato nella costruzione di 50 villette nel Comune di Castel Morrone, aveva subito una richiesta estorsiva. Le intercettazioni telefoniche hanno fornito la conferma. Il sacerdote, ascoltato come persona informata sui fatti, ha confermato al pm Catello Maresca che alcuni imprenditori in difficoltà si erano rivolti a lui per avere sostegno e conforto. All’operazione “Thunderball’ si è giunti anche grazie alle dichiarazioni rese dal collabortore di giustizia Salvatore Venosa, detto ‘o cucchiere”, a capo del clan dopo l’arresto dei vertici della cosca. Scoperto anche un tentativo di estorsione nei confronti di un ristoratore di san Marcellino (Caserta) a cui era stato chiesto il pagamento di 3mila euro, suddivise in tre rate di mille euro da versare nelle canoniche scadenze di Natale, Pasqua e Ferragosto. “La cattura di Michele Zagaria – scrive il gip – come era prevedibile non ha messo fine alle attività estorsive compiute nel territorio della provincia di Caserta dai componenti il suo gruppo. Anzi, la necessità di garantire l’assistenza ai familiari del detenuto e di coprire i gravosi costi delle trasferte necessarie per i colloqui presso i carceri in cui Michele, i fratelli e gli altri affiliati sono ristretti ha richiesto l’imposizione di nuovi balzelli agli imprenditori della zona”.
Per la prima volta imprenditori di Casapesenna, il paese del boss Michele Zagaria, denunciano i taglieggiatori che hanno imposto loro il pagamento di tangenti. E’ l’aspetto saliente dell’operazione che ha portato oggi all’arresto di sei persone e al fermo di un’altra. Pur temendo per la propria incolumità (“in caso di divulgazione di queste mie dichiarazioni temo possibili ritorsioni sulla mia persona”, ha dichiarato al pm Catello Maresca l’imprenditore edile Marcello De Rosa) le vittime delle estorsioni hanno deciso finalmente di collaborare con la giustizia. Già intercettando le loro telefonate, del resto, gli investigatori avevano compreso che l’atteggiamento nei confronti dei boss era cambiato: “Noi abbiamo sbagliato per tanti anni, no? – dice De Rosa al suo capocantiere -; ho sbagliato anch’io per tanti anni, perchè uno cede, perchè è stato vittima, perchè non lo so. Però adesso non esiste. A me possono anche uccidermi, io non gli do nemmeno un euro, non me ne fotte. Almeno mi ammazzano per una giusta causa, voglio dire”. In un’altra conversazione, l’imprenditore auspica che le forze dell’ordine intervengano arrestando i taglieggiatori: “Se girassero qui intorno un po’ i poliziotti, i carabinieri… Dico, verrebbero, se li imbragherebbero e se ne andrebbero. E ci toglieremmo un altro pensiero ingegnere. Non è così? Staremmo tranquilli proprio”. ANSA