SEQUESTRO – PRESTIPINO, NON CI SONO ZONE IMPUNITA’

“Privare la ‘ndrangheta e le famiglie che la compongono dei beni illecitamente accumulati e’ uno degli obiettivi strategici della Dda di Reggio Calabria e della sua azione”. Lo ha detto all’ANSA il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Michele Prestipino in relazione al sequestro, effettuato stamani, di un edificio della cosca Gallico, a Palmi, divenuto simbolo del potere della famiglia sul territorio. “Quando poi – ha aggiunto Prestipino – questo bene, come è il palazzo dei Gallico, rappresenta anche un simbolo del potere mafioso realizzato sul territorio, il sequestro assume una duplice valenza e, in particolare, dimostra che non ci sono santuari o zone di impunità e che non c’é alcun potere criminale che lo Stato non possa intaccare con la propria azione. Questo è il principale significato del provvedimento eseguito stamani nei confronti dei Gallico di Palmi”.

 

Sequestrato palazzo simbolo ‘ndrangheta

PALMI – La polizia ha sequestrato quello che gli investigatori definiscono ”il simbolo del potere mafioso esercitato dalla cosca Gallico sul territorio di Palmi”. Si tratta di un palazzo di quattro piani con cinque appartamenti abitati e quattro rustici, situato in un appezzamento di terreno circondato da alte mura di cinta e protetto da un massiccio cancello blindato. L’edificio, del valore di 3 milioni di euro, è stato sequestrato su richiesta della Dda reggina. L’immobile è di proprietà di Lucia Giuseppina Morgante, di 86 anni, vedova di Antonino Gallico. Alla cosca fu contestato in passato l’infiltrazione negli appalti per l’Autostrada A3.  L’operazione, hanno riferito gli investigatori, costituisce un brillante risultato, vista la valenza simbolica dell’ imponente immobile, definito “emblema del potere esercitato dal clan Gallico sull’intera comunità di Palmi e nel territorio della Piana di Gioia Tauro” e “base logistica per gli affari della famiglia che negli anni scorsi ha rappresentato il rifugio per lo stesso Giuseppe Gallico, per il padre Antonino ed il fratello Domenico, durante il periodo della loro latitanza”.

Prima hanno estorto il terreno ai legittimi proprietari attentando alla vita di due possibili acquirenti e poi hanno costretto un imprenditore a costruire a sue spese il palazzo diventato la basa logistica della cosca Gallico di Palmi e divenuto simbolo materiale del loro potere. A raccontare la genesi dell’edificio sequestrato oggi dalla polizia, è uno dei boss della cosca, Giuseppe Gallico, di 57 anni, già condannato definitivamente all’ergastolo nel 1994, parlando con la moglie Maria Carmela Susace, la figlia Italia Antonella Gallico e il genero Vincenzo Barone. Il colloquio, intercettato nel carcere di Secondigliano (Napoli) nell’ottobre 2007, è agli atti dell’inchiesta “Cosa Mia” coordinata dal procuratore aggiunto di Reggio Calabria Michele Prestipino e dal pm Sara Ombra che nel 2010 ha portato all’arresto di numerosi affiliati alla cosca dei Gallico – Morgante – Sgrò – Sciglitano di Palmi e quelle contrapposte dei Bruzzise-Parrello operanti nella frazione di Barritteri di Seminara, protagoniste di una faida tra il 2004 ed il 2008. Agli indagati, tra l’altro, veniva contestata l’infiltrazione negli appalti per l’ammodernamento dell’autostrada A3 tra gli svincoli di Gioia Tauro e Scilla, con la pretesa del pagamento di una tangente del 3% dell’importo fissato nel capitolato d’appalto alle ditte appaltatrici, la cosiddetta “tassa ambientale”. Giuseppe Gallico, ai familiari ha raccontato come, negli anni 1979 – 80, mediante l’uso della violenza e della prevaricazione tipica mafiosa, si era impadronito prima del terreno e poi della palazzina in cui la famiglia Gallico ancora oggi risulta risiedere. L’uomo ha riferito che il terreno, era di fatto amministrato da un avvocato al quale era giunta una proposta di acquisto. Ciò aveva scatenato le ire della famiglia Gallico. Giuseppe Gallico ha raccontato che con la complicità dei suoi fratelli Domenico (54) ed Alfonso (55), aveva organizzato un attentato nei confronti del possibile acquirente e della sorella. L’attentato, non mortale, aveva indotto il legale a trasferire ai Gallico la proprietà senza alcun compenso. Successivamente, sempre secondo quanto ha raccontato Gallico ai familiari, Gallico ha imposto ad un altro avvocato il pagamento di alcune somme di denaro, costringendo il cognato del legale a non accedere più ad una villa di sua proprietà realizzata su un terreno vicino a quello dei Gallico. Solo dopo un anno e mezzo, mediante l’intercessione del legale, Gallico “aveva concesso” al proprietario della villa “l’autorizzazione” a rientrare nella sua proprietà a patto che si accollasse in toto le spese per la costruzione del palazzo. Le indagini condotte dalla squadra mobile di Reggio Calabria e dal Commissariato di Palmi hanno anche evidenziato la sproporzione tra i redditi percepiti da Giuseppe Gallico e dalla sua famiglia ed i costi di costruzione dell’immobile.