La proposta del “Progetto San Francesco” agli enti locali.
Alessandro De Lisi ( in foto) è il direttore del Progetto San Francesco, centro studi della Cisl che ha trovato sede in una villa confiscata alla mafia a Cermenate.
La proposta del “Progetto San Francesco” agli enti locali.
Alessandro De Lisi è il direttore del Progetto San Francesco, centro studi della Cisl che ha trovato sede in una villa confiscata alla mafia a Cermenate. Partiamo dal vostro lavoro: che cos’è e che cosa fa il “Progetto San Francesco”?
«Siamo impegnati a contrastare le mafie nel mondo del lavoro, ostacolandone il ricatto e il consenso sociale. Il nostro impegno è maturato nel cuore del sindacato, grazie all’impegno e alla visione politica delle federazioni della Cisl: la Filca (costruzioni edili), la Fiba (credito) e il Siulp (polizia di Stato)»
Ma perché avete creato un centro studi ?
«Contro la presenza delle mafie non bastano la sana indignazione e la partecipazione ai cortei, ma sono urgenti proposte strategiche e strutturali. Quindi, una lista di soggetti istituzionali, economici, industriali, del mondo della cultura e delle associazioni che insieme con il sindacato danno vita a un “pool sociale antimafia”».
Cermenate è un luogo simbolo per voi?
«Certamente. A Cermenate abbiamo trovato la nostra sede in una villetta confiscata a un uomo della ’ndrangheta attivo e in affari in Lombardia. Qui abbiamo creato il centro studi sociali contro le mafie dedicato ad Antonino Caponnetto e oggi impegnato in una vasta opera nazionale di formazione popolare e strategica per comprendere le mafie e per batterle».
Qual è il vostro obiettivo principale?
«Arrivare alla progettazione del primo distretto antimafia in Italia al confine estremo del Paese, a ridosso della Svizzera. Serve coraggio quotidiano e impegno culturale, ma le mafie sono destinate a perdere terreno, a indebolirsi economicamente, a cedere il potere perché sono composte da uomini grezzi, volgari, vigliacchi che usano la disperazione causata dalla crisi come arma letale per il territorio».
Quali sono i mezzi che pensate di utilizzare per battere la mafia?
«Credo che serva un disciplinare territoriale di responsabilità sociale, in tutte le aree italiane interessate e produttive. Un patto sociale per riprendere il 35% del capitale confiscato ogni anno ai clan da immettere, attraverso le Prefetture, nelle politiche attive del lavoro e del credito agli artigiani e alle piccole e medie imprese».
E poi?
«Una strategia Mafia Free. Fuori le mafie dal lavoro, con la certificazione antimafia per tutta la filiera degli appalti, pubblici o di pubblico interesse: per i commercialisti, i rappresentanti legali, i fornitori, i trasportatori, i servizi, i prodotti necessari per la realizzazione delle opere». Voi lavorate anche con gli enti locali. «Siamo a fianco dei sindaci che denunciano le offerte dei boss. Ma anche dei lavoratori ricattati, delle imprese spaventate e dei giovani professionisti perbene e sfruttati. Il Progetto San Francesco vuole spostare l’antimafia dal dopocena al primo mattino, chiedendo alla Ue e alla Svizzera di riconoscere e di applicare il reato di associazione mafiosa, estendendo la confisca dei beni mafiosi anche all’estero e l’inasprimento giuridico per i reati di caporalato e usura quali crimini mafiosi. I miliardi dell’economia mafiosa premono e ricattano le comunità pulite, la società del lavoro e dell’impresa. Per questo serve maggiore responsabilità e azione. Senza perdere tempo».
Dario Campione – Corriere di Como 27.10.2012
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