Di Lionello Mancini
Di Lionello Mancini
Sole 24 Ore
Nell’arco di un paio di settimane avremo un nuovo Parlamento, ancora un paio e s’insedierà un nuovo Governo; dopo qualche mese un nuovo inquilino abiterà il Quirinale. Nessuno può dire, oggi, quali schieramenti prevarranno, di che qualità saranno i nostri prossimi governanti, legislatori, vertici istituzionali.
Lo sapremo presto. Intanto è possibile valutare come le forze politiche uscenti abbiano operato per il funzionamento della “buona” economia.
Il primo marker può essere il rapporto “Camere aperte” di Openpolis, che misura il tempo impiegato dal Parlamento per varare le leggi. Lasciando fuori il periodo “tecnico-emergenziale”, scopriamo che i due provvedimenti approvati più velocemente stavano a cuore ai giocolieri della politica: l’accorpamento referendum-ballottaggi nel 2009 (6 giorni per approvarlo) e la norma salva-liste alle regionali 2010 (7 giorni); la terza legge-fulmine è stata l’ultima manovra correttiva di Berlusconi, licenziata in soli 8 giorni. Al contrario, le leggi che hanno richiesto un tempo esasperante per vedere la luce, sono state quelle sullo statuto delle imprese (1.283 giorni), quella antiusura-antiestorsione (1.357) e – da record – la normativa anticorruzione con i suoi 1.456 giorni trascorsi dal centrodestra a depotenziare il testo del ministro Severino.
Secondo marker, che è sufficiente accennare perché più volte (inutilmente) già misurato, è quello della formazione delle liste elettorali. La maggior parte dei partiti ha semplicemente ignorato la forte domanda di pulizia del Paese e – pur con eccezioni degne di nota – sono stati ripresentati nomi di notissimi incompetenti, senza risparmiarci gli assenteisti, gli imputati e persino i condannati per corruzione. Un segnale così platealmente negativo gonfia le file degli astensionisti e riempie i bacini dell’antipolitica ma, soprattutto, fornisce uno specchio deformato per la società civile, dagli amministratori di condominio agli amministratori delegati.
L’ultimo campanello d’allarme, suonato con vigore dal presidente del Consiglio superiore della magistratura, Giorgio Napolitano, è quello delle nomine sospese per i vertici di uffici giudiziari delicati per territorio – come Palermo e Reggio Calabria – o per funzione, come la Procura nazionale antimafia. Fossero lungaggini burocratiche sarebbe già grave, perché il grado di efficienza repressiva di Reggio Calabria o di Palermo si riflette su tutto il Paese. Ma è persino peggio di così perché, stando alle parole del Capo dello Stato, i giochi in questi (e in altri) uffici non si chiudono per contrasti tra «le componenti della magistratura», ovvero tra le correnti delle toghe. E se lo dice lui…
L’elenco disdicevole sarebbe ancora lungo, fra voti di scambio, denegati pagamenti pubblici, banche che si fanno gli affari loro, sprechi, poltrone e poltroncine fameliche, spending review a senso unico.
In questo quadro, al sistema economico sono stati richiesti sforzi eccezionali per non soccombere e, insieme, per non cadere nelle trappole di cui ogni crisi è disseminata. Trappole che scattano, spietate, solo per l’impresa e mai per la politica. Sarebbe bello se la nuova legislatura disinnescasse un po’ di queste trappole e non a parole, ma soprattutto dando il buon esempio.