Il miraggio dei premi per le aziende che hanno il rating

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 di Lionello Mancini

Le imprese con il rating di legalità sono ormai 26, mentre prosegue l’esame dell’ottantina di domande giunte all’Antitrust. Una ventina di giorni fa, l’11 giugno, è anche arrivato il parere favorevole del Consiglio di Stato al regolamento interministeriale Mef-Mise, i sette articoli che definiscono i gradi di premialità spettanti alle aziende più trasparenti e meglio organizzate. Il “premio in palio” consiste(rà) in una serie di vantaggi nella concessione di finanziamenti pubblici e nell’accesso al credito.
 
Ma la meta è ancora lontana e – senza una decisa, ma improbabile accelerazione – il pacchetto non andrà a regime prima del 2014. Un timing “regolare” per gli standard di normazione italiana, ma non per questo meno demoralizzante. Ricordiamo che il rating è stato proposto da Confindustria nel gennaio 2012: due anni di gestazione, dunque. Se tutto andrà bene. Superato il passaggio del parere del Consiglio di Stato, infatti, il regolamento risistemato diventerà definitivo e andrà in Gazzetta Ufficiale. Da quel momento le amministrazioni pubbliche avranno quattro mesi per rendere operativi i vantaggi, mentre le banche dovranno definire (articolo 4, comma 2) «procedure interne per disciplinare l’utilizzo del rating di legalità e i suoi riflessi sui tempi e sui costi delle istruttorie», ma in questo caso senza indicazioni sui termini di adeguamento.

È bene ricordare che l’idea di premiare le buone pratiche aziendali nasce da una necessità impellente (il dilagare della corruzione e le infiltrazioni criminali nell’economia) e risponde a una filosofia nuova per il paese, quella dell’assunzione di responsabilità di quanti – anziché invocare sostegni – vogliono veder riconosciuto il valore della reputazione, dei comportamenti virtuosi e della buona governance, premettendo alla “riscossione” dei benefici una severa verifica dell’effettiva esistenza di tali asset. Niente regali, quindi, ma solo il giusto corrispettivo di scelte coraggiose e tuttora rare, nell’Italia dell’appartenenza e del clientelismo.

Dicevamo del parere positivo del Consiglio di Stato sulla bozza di regolamento ministeriale. In 16 cartelle di analisi strettamente tecnico-giuridiche, Palazzo Spada indica alcune modifiche da apportare all’articolato e, sottolineata la «notoria stretta creditizia che non poco contribuisce al generale aggravamento della crisi economica subita dal paese e, in primo luogo, dalle imprese in genere», suggerisce di integrare l’articolo 5 (modalità di considerazione del rating nell’accesso al credito) «con un secondo comma che contempli l’attribuzione alla Banca d’Italia delle funzioni di controllo circa l’osservanza da parte delle banche delle disposizioni» del regolamento medesimo. Un invito che rimarca l’importanza di questo aspetto per le imprese e ricorda al sistema bancario che non è il caso di perdere tempo né di tergiversare in fase di esecutività.

Non nascondiamocelo, tra “normali” tempi burocratici e traccheggiamenti vari, l’avventura del rating rischia di trasformarsi in una deprimente dispersione di energie sane che, nelle linee essenziali, può richiamare la vicenda dei debiti dello Stato verso le imprese: il lavoro è stato eseguito, le spese sostenute, ma i tempi dilatati del ristoro stroncano le gambe anche a realtà più che solide.

Sole 24 Ore 1.7.2013

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