Italia divisa in due nelle denunce contro l’illegalità

di Lionello Mancini 

 

 

Di Lionello Mancini

Proviamo a pensare a ciò che imprenditori, artigiani, commercianti devono tuttora subire in alcune aree del Paese economicamente dissanguate e non ancora saldamente in mano allo Stato; poi consideriamo i comportamenti cui altri loro colleghi danno vita nelle ricche e vigilatissime regioni del Nord. Senza generalizzare e restringendo il campo alle sole persone seriamente intenzionate a fare impresa, resta pur molto su cui riflettere. E la cronaca aiuta.

Si è aperto in questi giorni a Palermo il processo a un disegno mafioso (sventato) che intendeva «organizzare il super-mandamento di Camporeale attraverso l’accorpamento dei mandamenti di San Giuseppe Jato e Partinico», in un intrico di reati attribuiti a picciotti e amministratori corrotti. Il teste chiave dell’indagine è un imprenditore vessato che ha già deposto in istruttoria, sostenuto dall’associazione antiracket LiberoFuturo, che si costituirà parte civile al suo fianco. A Catania le imprese si felicitano pubblicamente con Procura e forze dell’ordine che hanno ingabbiato 27 affiliati e fiancheggiatori di un clan «che si era rafforzato condizionando fortemente il tessuto sociale ed economico della Provincia». Sempre nel capoluogo etneo, l’ex Governatore Lombardo è stato condannato a oltre sei anni di carcere per concorso esterno alla mafia, mentre il suo predecessore Cuffaro sta scontando la pena per favoreggiamento: in tutto 12 anni di governo regionale opachi, per non dire collusi.

Intanto, in Lombardia, dopo tre anni di indagini il Nucleo operativo ecologico dei carabinieri arresta funzionari pubblici e imprenditori per la finta bonifica dell’ex polo chimico di Pioltello (Milano), dove a sostanze pericolose venivano semplicemente cambiate le etichette. Manette, sempre nel Milanese, per alcuni imprenditori locali che avevano affidato alla ‘ndrangheta il recupero crediti: ovviamente la cosa funzionava, poi spartivano con la cosca Mancuso, attiva da anni nella regione. Ma, senza dimenticare l’appalto per gli spurghi di Cologno Monzese (per aggiudicarseli, la ditta Sangalli avrebbe comprato vicesindaco e un assessore), non è da meno l’ennesimo braccio di ferro ingaggiato dai taxisti milanesi perché il Comune non proteggerebbe abbastanza dalla concorrenza il loro settore, insidiato da noleggiatori privati, auto elettriche, car sharing (forse anche biciclette?).

Differenze forti tra due Italie, anche se ci sono attenuanti che valgono a ogni latitudine: si chiamano burocrazia, credit crunch, corruzione, mercato protetto, cattiva amministrazione. Ma oggi servono parole coraggiose che non mettano nessuno alla gogna, ma nemmeno glissino sulla realtà. Bisogna cioè convenire che ci sono silenzi e silenzi, che schierarsi con lo Stato non comporta ovunque gli stessi rischi e che non tutte le mancate denunce meritano quelle esimenti da minacce o da paura di ritorsioni violente che – invece – si sentono invocare ben a nord del Garigliano, fin nell’immaginaria Padania. E per giustificare cosa? Solo l’inspiegabile ritardo della scelta che trasporti tutto intero il mondo dell’economia dalla parte di quanti l’illegalità perseguono e non inseguono

 

Sole 24 Ore  24.2.2014

 

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