Due settimane fa l’Associazione dei costruttori (Ance) ha varato il nuovo Codice etico, sostituendolo alla versione del 2008 la quale – alla luce delle recenti vicende giudiziarie – non sembra aver raggiunto gli scopi dichiarati. La revisione delle regole porta un maggior rigore nei comportamenti, indica con puntualità le violazioni inescusabili, ma soprattutto introduce la sanzione reputazionale che anticipa e di molto quella penale, assumendosi così corpose e inedite responsabilità (si veda «Il Sole 24 Ore» del 23 luglio).
La strada imboccata dall’Associazione sembra quella giusta, dopo gli anni del catenaccio in cui la palla veniva rinviata sempre fuori dal campo dei costruttori.
Senza la pretesa di un’approfondita disamina tecnica, si possono oggi condividere alcune considerazioni. È molto importante che Ance sia arrivata – non senza forti contrasti interni – a definire con chiarezza la cornice culturale entro cui intende muoversi e le trasformazione da perseguire. Compresi gli oneri (non solo economici) che ciascuno dovrà assumere per restare socio. È importante anche perché il vertice che ha perseguito la svolta è in larga parte lo stesso che solo nel 2009 (Stati generali delle costruzioni) ribadiva «le nostre imprese non sono poliziotti», limitandosi a reclamare che «lo Stato facesse la sua parte».
I codici etici di imprese, enti, associazioni non si distinguono l’uno dall’altro per la durezza delle disposizioni e le asserzioni di ossequio ai principi di legalità, ma solo dal grado di applicazione che le regole avranno nonché dall’effettività delle sanzioni comminate. Senza risparmio né esitazioni all’inizio e con un progressivo calo dovuto non alla distrazione dei probiviri, bensì al fatto che si sta affermando nella categoria una cultura imprenditoriale rispettosa del Codice, anticipandone i rigori (e così evitando pure i colpi della magistratura). Il fatto che l’organismo di controllo statale sui costruttori sia ormai di fatto l’Agenzia anticorruzione ha urtato la suscettibilità e offeso l’orgoglio della categoria. Con qualche ragione, perché specie sul piano internazionale è un biglietto da visita incongruo e avvilente, come se altri comparti non soffrissero analoghi problemi: ma un’intera economia non può essere valutata soltanto secondo i criteri dell’Anac. Bisogna però considerare che Raffaele Cantone è per molti versi garanzia di un utilizzo misurato e consapevole dei poteri assegnatigli e che l’Anticorruzione non è l’invenzione vessatoria di giustizialisti incalliti, ma la conseguenza di quei fatti di cui gli stessi costruttori avvertono il peso. Fino ad accelerare il varo di un codice etico pronto da tre anni, ma che non riusciva a vedere la luce.
In un Paese che lotta contro il declino, una categoria storica e potente può vivacchiare lamentandosi, oppure rilanciare. Questa seconda possibilità risiede nella determinazione della sua leadership: quella di Ance ha scelto, ma ora che il segnale è stato lanciato, il lavoro diventa quotidiano, minuzioso, silenzioso (sospendere o espellere un socio non può essere una gogna). Il risultato si potrà valutare tra qualche anno, quando il mercato delle costruzioni avrà rialzato la testa sia dal peso della crisi, sia dal pantano dei traffici con la politica e la burocrazia.
Sole 24 Ore 4.7.2014