di Lionello Mancini
«Imprenditori e politici sono tutti corrotti» è una classica frase da bar, spesso gridata nei talk show per stomaci forti ed elettorati deboli. Ma è una frase falsa, come dimostra anche una vicenda virtuosa avvenuta nel contesto bacato dei lavori pubblici fiorentini, portato alla luce dall’inchiesta sul sempiterno Ercole Incalza e la sua corte di imprenditori con il doppiofondo. Una piccola vicenda che non a caso vede protagonista un’altra tipologia di imprenditori, quelli pronti anche a rinunciare a un pezzo di ricavi quando constatano la violazione di regole e procedure.
Per il nodo dell’Alta velocità fiorentina, nel 2007 il contractor Nodavia affida la direzione lavori al consorzio DilanFi, formato da tre società: Sferasi 39%, Spm Consulting 37% e Sistema 24%. Spm rientra nell’arcipelago Perotti, mentre Sistema è partecipata della Pegaso, piccola società di ingegneria milanese, tra le prime in Italia ad aver ottenuto il rating di legalità.
DilanFi è regolato da clausole precise come, per esempio, che le sue quote possono essere trasferite solo con il consenso scritto degli altri soci e che la cessazione dell’attività va subito comunicata, pena la decadenza. Regole di buon senso, le stesse che rispetta chi accede alle white list e al rating di legalità. Il perché è intuitivo: evitare giri di prestanome, passaggi da nomi noti a sconosciuti, stoppare subappalti di fatto.
Ma nel 2009 la Spm Consulting avvia un riservatissimo (e assai sospetto, secondo gli investigatori) balletto di cancellazioni, cessioni, scorpori, fusioni e cambi di ragioni sociali che nel dicembre 2010 porta la Spm a cedere un ramo d’azienda e le sue quote in DilanFi a Ingegneria Spm, mentre Spm Consulting viene ceduta a tal Sibir Service. Tutto ciò, senza la dovuta comunicazione ai soci del consorzio di ingegneria fino a fine gennaio 2011 e solo su insistenza di Sistema, che protesta: troppi passaggi di mano non autorizzati, zero trasparenza e zero spiegazioni. Tra l’altro, la Sibir Service ha per oggetto sociale “ricerche di mercato” e “pubbliche relazioni”: di ingegneria nemmeno l’ombra.
Comincia, così, nel DilanFi una guerriglia di richieste formali e assemblee che ribadiscono nero su bianco le violazioni dei Perotti, mentre Sistema fa mettere a verbale anche il fatto che parte degli importi liquidati da Nodavia vadano a un socio che non ne ha diritto.
Siamo ormai nel marzo 2011. Vista l’incertezza che grava sul consorzio, Sistema conduce una propria ricerca per capire chi è entrato “abusivamente” in DilanFi e avvia un arbitrato sulla violazione dei patti da parte di Spm.
Si arriva così a un primo lodo che stabilisce come, effettivamente, «…un’irregolarità c’è stata…», che non era stata rilevata per oltre 18 mesi e che – in violazione degli obblighi di diligenza – «nulla la società Consortile, i suoi amministratori e il socio che aveva acquistato la partecipazione» avevano fatto «per porre rimedio all’irregolarità stessa».
Insomma, tra tentennamenti, ritardi, slittamenti (la decisione finale viene fissata per l’ottobre 2012), cambi di arbitro, le rimostranze restano lettera morta.
Che cosa fa, allora, Sistema? A quel punto la puzza di marcio è talmente forte che la società milanese decide di ritirarsi, ben consapevole che garbugli simili non possono che originare – come avverrà qualche mese dopo – tempeste di guai. Detto e fatto: nel luglio 2012 Sistema ha già ritirato tutto il personale conferito a DilanFi, congelato il suo credito di centinaia di migliaia di euro e proposto una transazione per uscire dal business. Oltre, naturalmente, ad aver rinunciato agli incassi per la mancata prosecuzione della direzione lavori per Nodavia.
Dunque esistono molti modi per operare sul mercato. Un’impresa “bollinata” non può da sola fermare il malaffare, ma può imporre il rispetto delle regole e vincere sulla distanza. Come dimostrano gli arresti del circuito Perotti & Co.
Sole 24 Ore 30.3.2015