“Questo è un paese che non è riuscito a conoscere la verità sulla strage di Portella della Ginestra del 1947, che inaugura la strategia della tensione in Italia, che non è riuscito a conoscere la verità sulle stragi neofasciste, ancora a distanza di 30 anni si celebrano i processi. Sappiamo però, con sentenze definitive, che per esempio per la strage Bologna ci sono stati i servizi segreti che hanno depistato le indagini (sono stati condannati per questo) e anche Gelli è stato condannato. Ed è certamente angosciante dovere prendere atto che la storia dei depistaggi non si ferma alle stragi neofasciste ma arriva sino ai nostri giorni. Il processo Borsellino è una summa da questo punto di vista: documenti spariti, la famosa agenda rossa che sparisce. Nella immediatezza di un fatto immane in quanto ancora tutti sono stravolti dall’esplosione, c’è qualcuno che lucidamente prende la borsa e pochi minuti dopo la rimette dentro la macchina in fiamme, che non si capisce perché. Perché se prelevi la borsa la consegni ai magistrati come corpo del reato, non la metti dentro la macchina che sta bruciando.
Abbiamo dei falsi collaboratori e abbiamo un processo in corso a carico di esponenti delle forze di polizia che sono stati accusati di avere costruito a tavolino questi falsi collaboratori. Abbiamo un’intercettazione tra il collaboratore di giustizia Di Matteo e la moglie. I due parlano pochi giorni dopo che è stato sequestrato il piccolo Di Matteo, che poi sarà ucciso squagliato nell’acido e la moglie parlando al marito gli dice: “Tu hai capito perché hanno sequestrato nostro figlio. Ricordati che abbiamo un altro figlio! Non parlare mai degli infiltrati della polizia nella strage”. Non abbiamo mai avuto spiegazioni su questa frase.
Abbiamo altre cose estremamente inquietanti. Abbiamo un soggetto che era implicato nella strage di Bologna, si chiamava Elio Ciolini, che poco prima dell’inizio di tutta la campagna stragista scrive una lettera al giudice istruttore di Bologna in cui dice: “Tra poco sarà ucciso un esponente la Democrazia Cristiana, dopodiché ci saranno stragi da marzo a luglio, dopodiché la strategia della stragi sarà portata al nord per creare una distrazione rispetto alla mafia”. O aveva la palla di vetro o evidentemente c’era un piano di destabilizzazione di cui ci hanno parlato tanti altri collaboratori giustizia.
Abbiamo un’agenzia di stampa che si chiama la Repubblica, che non ha niente a che fare con il giornale La Repubblica, vicina ai servizi segreti che 48 ore prima della strage di Capaci dice: “tra poco ci sarà un grande botto per interferire sulla elezione presidente repubblica”
Ci sono tante, troppe cose e quello che è ancora più inquietante è che ci sono tante persone che sanno e che continuano a tacere. Perché continua a tacere? I Graviano hanno circa 50 anni, potrebbero cominciare una nuova vita, eppure continuano a tacere. Credo che ci sia una storia inquietante anche da questo punto di vista. Noi abbiamo avuto degli infiltrati come Giovanni Ilardo che è stato un mafioso che ci ha dato un contributo importantissimo perché è stato il primo che ci ha dato la notizia preziosa per scoprire l’artificiere della strage di Capaci. Lui ci ha indicato Rampulla che era un estremista di destra diventato mafioso come Giovanni Ilardo. In effetti quella notizia fu preziosa. Giovanni Ilardo ci fece arrestare da infiltrato circa 15 capi importanti di Cosa nostra. Incontra Provenzano. Fotografato dai carabinieri, per mesi e mesi, nonostante si potesse arrestare Provenzano, Provenzano non viene arrestato. Anticipa che parlerà, rivelerà gli scenari politici che ci sono dietro le stragi. Pochi giorni prima viene assassinato.
Abbiamo lo strano suicidio in carcere di Antonino Gioè, uno degli stragisti di quella stagione che conosceva gli scenari mafiosi. Poco prima di morire lascia una stranissima lettera in cui fa riferimento ai servizi segreti e che muore in circostanze misteriose con alcuni collaboratori che dicono che Gioè forse poteva iniziare a collaborare e con altri che dicono che poco prima quella sera stranamente è stata chiusa la porta che dava accesso al corridoio di Gioè e che molti capiranno che stava per accadere qualcosa di strano.
C’è una parte della storia che è una storia segreta ma non è una purtroppo una novità perché è cominciata con la strage di Portella della Ginestra e tutta la sequenza delle stragi che hanno segnato la storia italiana hanno una parte che non è stata rivelata e che non credo che a questo punto emergerà.
Abbiamo delle commissioni parlamentari sulle stragi, mi riferisco alle stragi neofasciste, che hanno concluso il loro lavori senza depositare una relazione conclusiva per i reciproci interventi politici e, scusate se ora torno a Giovanni Falcone e Borsellino.
Io penso che questo paese abbia un grave problema: non riesce ancora oggi a fare i conti col proprio passato e quindi non può capire il presente.
Io sono del ‘52. Quando frequentavo il liceo, il corso di Storia finiva alla prima guerra mondiale; non si poteva parlare del fascismo. Non si poteva parlare del fascismo perché tanti professori, presidi, erano stati podestà, gerarchi. Erano coinvolti e non si sapeva come raccontare questa storia spinosa alle giovani generazioni. E così a me pare che la storia di Giovanni e Paolo ce la raccontiamo fermandoci al Maxiprocesso. E se io oggi avessi 26 anni che idea mi farei di Giovanni Falcone Paolo Borsellino? Due eroici magistrati che si sono battuti contro la mafia, che ha esclusivamente i volti di Riina, di Liggio, di persone che hanno difficoltà a esprimersi in italiano, e che poi li hanno uccisi. E questa la verità storica? Però questo noi raccontiamo ai nostri giovani e lo raccontiamo tacendo la storia che c’è stata dopo le stragi che è la storia di quando, crollato quel sistema di potere, è stato possibile celebrare una serie di processi che hanno dato un volto a quelle persone che hanno determinato la Via Crucis di Falcone e Borsellino. Perché certamente non furono né Riina né Greco a disarticolare il pool Antimafia.
La Via Crucis comincia quando nell’ottobre 1984 arrestano Nino e Ignazio Salvo, due intoccabili e qualcuno capisce che hanno valicato una linea che non doveva essere valicata e lì nasce una campagna di stampa di delegittimazione che non era certamente quella alimentata da personaggi di questo genere e si rompe la macchina del Pool Antimafia. Viene fermato! E quando Borsellino denuncia “hanno smobilitato il pool” il consiglio superiore della magistratura gli vuole fare un procedimento disciplinare e non glielo fanno perché Falcone minaccia le dimissioni. E’ una questione di invidia tra colleghi? Ci vogliamo raccontare questa storia? E’ un mondo, lo stesso mondo, che scrive l’anonimo del corvo. Ma chi l’ha scritto? Riina? Chi l’ha scritto? Greco? Le stesse menti raffinatissime come dice Giovanni che organizzano la attentato all’Addaura che non sono state individuate.
E perché Giovanni Falcone se ne va dalla Procura di Palermo, se ne va perché gli vogliono impedire di fare le indagini su Riina su Calò eccetera? Lo vediamo in quei diari che sono rimasti: perché gli si impedisce come scrive lui di fare le indagini sull’omicidio Mattarella di accertare il rapporto tra Gladio e la mafia, ancora una volta, perché Falcone è un magistrato che non si ferma alla mafia militare. E tutto questo non è più ormai dietrologia, perché ci sono sentenze che hanno accertato che Presidenti del Consiglio hanno partecipato a riunioni in cui si discuteva dell’omicidio di Piersanti Mattarella, quell’omicidio su cui Falcone per primo, genialmente, aveva capito che non era solo un’omicidio di mafia tirando in ballo anche gli estremisti della destra eversiva. E c’erano anche capi dei servizi segreti che sono stati condannati, che erano quelli che proteggevano i latitanti mafiosi, capi della polizia, senatori… Questo mondo ha impedito a Falcone e Borsellino di portare avanti il loro lavoro, questo mondo li ha costretti ad andare via, questo mondo probabilmente è coinvolto in quella parte delle stragi che noi non riusciamo a capire e questo mondo è il mondo che temono di Graviano, per esempio.
Allora io credo che, per rendere giustizia a Falcone e Borsellino, questa parte della storia la dobbiamo raccontare anche ai ragazzi, perché se ai ragazzi gli diciamo che la mafia era solo questa qua gli diciamo una storia dimezzata. E non possono capire quello che succede ora perché, quello che succede ora, è che c’è stata una reazione straordinaria contro la mafia militare ma non c’è stata la stessa reazione straordinaria contro quella parte della classe dirigente che in modo pazzesco camaleontico si è riciclata e passata la nottata ha mantenuto il potere che aveva. Abbiamo avuto una sequenza di presidenti della regione incriminati per concorso esterno per mafia, abbiamo le stesse storie di corruzione di ieri che stavolta non vedono tirare in campo la violenza della mafia. Ho sentito due giorni fa uno dei più importanti collaboratori di giustizia Marino Mannoia. Mi diceva “voi non avete capito che la mafia di oggi, domani sarà sempre meno corpo è sempre più testa”. E’ vero, abbiamo una mafia popolare che raschia il fondo del barile di un territorio ormai impoverito, esausto. La Sicilia oggi è la regione più povera d’Italia col 40% di disoccupati, una emigrazione giovanile di massa, e un calo degli investimenti pubblici del 95%. Dove prima c’era una saracinesca, dove chiedere il pizzo, è chiusa. Questi stanno raschiando il fondo del barile e sono costretti a ritornare al traffico di stupefacenti per i quali c’è una domanda di massa che viene dalla società degli onesti. C’è un mondo di professionisti, un mondo dei colletti bianchi, che vuole la cocaina. Vendono gioco d’azzardo, c’è un mondo di persone normali che vuole giocare online, e poi ci sono i colletti bianchi i quali si fanno i grandi giochi con le norme che consentono la privatizzazione dei servizi e abbiamo un Antimafia dei diritti che non esiste. Dopo le stragi del ’92 ’93 noi abbiamo fatto una promessa: che non era più necessario rivolgersi a ‘zu Peppu o a ‘zu Totò per avere un pezzo di pane. Abbiamo promesso che da quel momento in poi avremmo coniugato la cultura della legalità con lo sviluppo e l’abbiamo mantenuto questa promessa. Anzi siamo andati indietro: allo Zen, a Borgo Vecchio. Che cos’è la cultura della legalità? In questi quartieri che sono periferia del Bronx abbandonati al loro destino, come si fa andare lì a parlare della cultura legalità? Allora io credo che c’è stata molta Antimafia delle parole, molta Antimafia retorica ed è facile naturalmente poi travestirsi da antimafioso quando giochi con le parole. L’antimafia di diritto è fatta di una politica nuova e la politica nuova oggi si fa lottando seriamente contro la corruzione e purtroppo noi non abbiamo questi strumenti. Ripeto sempre che se noi avessimo dovuto combattere la mafia con gli stessi strumenti che abbiamo contro la corruzione oggi la mafia avrebbe vinto. Se non ha vinto è perché abbiamo una legislazione speciale che ci ha consentito di mettere in campo strumenti che contro la corruzione si possono mettere in campo. Ma perché dobbiamo avere gli agenti sotto copertura per l’estorsione, per il traffico di stupefacenti e non per la corruzione? Ma qualcuno mi spieghi perché! Non c’è un perché? Ma perché dobbiamo avere i termini di prescrizione raddoppiati per i maltrattamenti in famiglia e non li dobbiamo avere per la concussione? Ma perché? Perché c’è un pezzo di classe dirigente che si racconta a se stesso, ancora oggi, la storia che la mafia è fatta di brutti sporchi e cattivi semianalfabeti che parlano in cattivo italiano e che tutto il resto è una storia che ancora oggi si vuole rimuovere. Perché per Andreotti ancora si continua a dire che è stato assolto. Molti sono convinti che è stato assolto e molti parlano di persecuzione giudiziaria anche per persone che sono state condannati con sentenza definitiva e allora io credo che o questa classe dirigente Finalmente comincia a fare i conti con se stessa o se continua a nascondere la polvere sotto il tappeto, e i conti non li farà, noi saremo costretti a scendere dentro un girone infernale che giorno dopo giorno si avviterà e credo che questo sia fare un torto a chi come Falcone Borsellino è morto per una società diversa. Io non credo che era questa la società che avevano in mente loro e credo che forse il modo migliore per poter onorare la memoria non è soltanto fare quello che facciamo nel nostro ambito ma anche raccontare a questi giovani che una storia, che ancora non è stata raccontata, è che aspetta di essere raccontata anche nei documentari anche in televisione. Non è possibile che la storia di Falcone e Borsellino sia la storia del Maxiprocesso, quello è stato il loro capolavoro. Ma la chiave di lettura della Via Crucis di Falcone Borsellino non sta dentro il Maxiprocesso, sta fuori dal Maxiprocesso.”
20.5.2018
Roberto Maria Ferdinando Scarpinato (Caltanissetta, 14 gennaio1952) Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Palermo.