Alle otto in punto, come sempre, Paolo Borsellino è nel suo ufficio di procuratore aggiunto di Palermo. Con un peso sulle spalle in più. Detto nel più semplice dei modi, il governo – il ministro degli Interni – vede in lui l’ uomo che può raccogliere l’ eredità di Giovanni Falcone, il giudice che può continuare il lavoro interrotto dal tritolo di Capaci. Vincenzo Scotti glielo chiede esplicitamente: deve essere Borsellino il nuovo procuratore nazionale antimafia. Paolo Borsellino è nervosissimo. Ha il volto tirato, ha modi inusualmente bruschi. E’ stato a Roma nel pomeriggio di giovedì, è tornato a Palermo nella notte. Dalle 8 in punto il telefono non smette di trillare. Paolo Borsellino è stanco di interviste. Lo dice chiaro e tondo: “Non posso vivere così, signori miei. Non sono abituato e non voglio abituarmi a lavorare con i giornalisti in attesa fuori la porta”. Ma è l’ uomo del giorno, è l’ uomo che la strage di Capaci ha chiamato sotto i riflettori. Procuratore Borsellino, quando il governo ha chiesto la sua disponibilità per la Procura nazionale antimafia? “Nessuno ha chiesto la mia disponibilità”. Nessuno le ha anticipato la proposta del ministro degli Interni Scotti? “No, ho ascoltato per la prima volta la proposta di Scotti in pubblico, come tutti alla presentazione del libro di Pino Arlacchi”. In ogni caso, ora, la proposta c’ è. Scotti, a nome del governo si augura che, dopo la morte di Giovanni Falcone, si riaprano i giochi per l’ incarico di Superprocuratore e auspica che lei presenti la sua candidatura. Che cosa farà? “Io non considero questo problema attuale. Non posso non considerare che è in corso una procedura che deve avere, avrà i suoi sbocchi naturali”. Martelli ha annunciato oggi che sta predisponendo un provvedimento legislativo che possa riaprire i termini per la presentazione delle candidature. Ora ammettiamo che quest’ iniziativa vada in porto. Lei presenterà la domanda? “Quando, e se, il problema diventerà attuale come tutti gli altri possibili ed eventuali candidati valuterò l’ opportunità di presentare domanda”. Della necessità di un organismo giudiziario che coordini le indagini antimafia Borsellino non ha dubbi. Lo ha ripetuto anche ieri dai microfoni del Gr1. Gli hanno chiesto: rimane l’ esigenza di avere un nucleo centrale dove convogliare le indagini? Ha risposto: “La gestione del tutto insoddisfacente delle dichiarazioni di Calderone hanno inciso enormemente sulla decisione di Falcone di lasciare la procura di Palermo. Giovanni si era reso conto che, con l’ imposizione di una visione parcellizzata del fenomeno mafioso, non fosse possibile da un’ unica sede giudiziaria ripetere quello che era successo nella fase originaria del maxi- processo. Ebbe l’ occasione di andare a lavorare al ministero di Grazia e Giustizia dove si impegnò soprattutto nello studio di un organismo giudiziario che potesse ricreare, anche se per diversa via, quelle condizioni che erano proprio alla base della filosofia del pool antimafia”. Allora, qual è la chiave? “Il lavoro di Falcone al ministero ebbe, sotto questo profilo, successo. Si è arrivati alla creazione di questo organismo in grado di avere una visione d’ assieme rispetto alle singole fette dei vari processi che si occupano di organizzazione mafiosa. Purtroppo l’ assassinio ha stroncato la possibilità di utilizzare questo strumento che avrebbe, anche se per via diversa, ricreato le condizioni in cui operò, nel suo periodo migliore, il pool antimafia di Palermo”. Paolo Borsellino oggi più che della sua candidatura preferisce parlare di quanto sarebbe stato utile Falcone come procuratore nazionale antimafia. Procuratore, tuttavia, Giovanni Falcone si è trovato molto isolato quando ha sostenuto la nascita della Direzione nazionale antimafia. “Giovanni a volte peccava di ottimismo presupponendo che i magistrati potessero sostenere le sue iniziative. Peccò di ottimismo quando doveva prendere il posto di Antonino Caponnetto all’ ufficio Istruzione, quando si candidò al Consiglio superiore della magistratura, quando si mise in corsa per la Superprocura. In più occasioni non è stato sostenuto dall’ associazione dei magistrati, dal Csm”. Non è che a Palermo, Falcone abbia avuto miglior sorte “Voglio sfatare questo luogo comune. Io credo che a Palermo, presso la magistratura siciliana, la media del consenso nei suoi confronti sia stata più alta che altrove. La gran parte dei magistrati di Palermo, anche quelli che hanno avuto con lui dei disaccordi, sapevano che il procuratore nazionale antimafia doveva essere lui”. Lei si è dato molto da fare nella sua corrente per sostenere la candidatura di Giovanni Falcone… “Io ho assunto posizioni pubbliche. Ad un convegno a Torino di Magistratura Indipendente ho sostenuto che la corrente dovesse appoggiare Giovanni Falcone…”. Risulta, in verità, che lei abbia fatto di più: con la collaborazione di Ernesto Staiano, avrebbe conquistato il consenso per Falcone di quattro dei cinque membri di Magistratura Indipendente presenti nel Csm. Voti utilissimi che avrebbero dato a Falcone la maggioranza nel plenum del Consiglio. “Sì, io avevo tratto la conclusione che la nomina di Giovanni a procuratore nazionale antimafia era sostenuta dai numeri, era cosa fatta”. Ora potrebbe toccare a lei diventare procuratore antimafia. Hanno molto impressionato in questi giorni alcune sue dichiarazioni. L’ ultima in ordine di tempo è questa. Lei ha detto stamattina al Gr1: “Ciò che è difficile questa volta è trovare lo stesso entusiasmo. Spero che l’ entusiasmo me lo possa far tornare una rapida conclusione delle indagini sull’ assassinio di Falcone”. “Non nascondo, l’ ho detto pubblicamente, di avere paura di perdere l’ entusiasmo per il mio lavoro di magistrato. Nonostante questo timore continuerò a lavorare in questo ufficio dove mi trovo benissimo, continuerò a lavorare come sempre, come da anni faccio, con lo stesso impegno”.
GIUSEPPE D’AVANZO
Repubblica 30 maggio 1992