20 luglio 1988 interviste rilasciate da Paolo Borsellino ai quotidiani Repubblica e Unità 4 anni prima della sua uccisione
“Lo Stato si è arreso”: del pool antimafia sono rimaste macerie”
“La lotta alla mafia? I segnali non sono certo molto incoraggianti. Per almeno tre ragioni: il giudice Falcone non è più il titolare delle grandi inchieste che iniziarono con il maxi-processo, la polizia non sa più nulla dei movimenti dentro Cosa Nostra, e poi ci sono seri tentativi per smantellare definitivamente il pool antimafia dell’ufficio istruzione e della procura della Repubblica di Palermo. Stiamo rischiando di creare un pericoloso vuoto, stiamo tornando indietro, come dieci, venti anni fa…”. Il procuratore capo di Marsala, Paolo Borsellino, lancia a sorpresa un violentissimo “j’accuse” sulle grandi manovre in corso in Sicilia. Parla di indagini arenate, delle polemiche che avvelenano ormai da mesi il clima negli uffici investigativi e nei palazzi di Giustizia di mezza isola, della riorganizzazione di Cosa Nostra e di uno Stato che sembra quasi aver gettato la spugna. “Sì, la situazione è davvero pericolosa”, spiega il procuratore Borsellino che del pool antimafia faceva parte insieme a Falcone, Di Lello, Caponnetto e Guarnotta, “basti pensare a cosa sta accadendo nel bunker dell’ufficio istruzione… A Falcone, dopo tanti anni, hanno tolto la titolarità di quelle inchieste che gli vennero affidate dal consigliere istruttore Rocco Chinnici”. Il giudice Falcone quindi non è più il punto di riferimento delle inchieste antimafia? “Fino a qualche mese fa tutto quello che riguardava Cosa Nostra passava sulla sua scrivania e su quella di altri tre o quattro giudici istruttori. Adesso la filosofia è un’altra: tutti si devono occupare di tutto e il consigliere Antonino Meli, dopo un tira e molla di qualche mese, è diventato il titolare dello stralcio del maxi-processo. C’è stato un taglio netto con il passato. Certo, anche Caponnetto era il titolare delle inchieste sui boss del bunker ma lui, quel processo, l’aveva costruito. Adesso dubito, senza mettere in discussione la bravura, l’onestà e la competenza di Antonino Meli, che il nuovo consigliere possa, in un paio di mesi, avere acquisito una tale conoscenza del fenomeno”. Un problema che molti si erano posti prima della nomina del nuovo consigliere istruttore… “Si è arrivati a delle scelte sbagliate. Non intendo riaprire la polemica sulla nomina del consigliere Meli ma il problema era un altro: si doveva nominare Falcone consigliere istruttore non per “premiarlo” ma per garantire una continuità all’ufficio. E invece…”. E invece signor procuratore? “E invece succedono cose molto strane. Ad esempio io sono il titolare di un’inchiesta sulla mafia di Mazara del Vallo. Un pezzo dell’indagine è a Palermo e un pezzo ce l’ho io. Ho scritto all’ufficio istruzione di Palermo per avere indicazioni su chi dovrebbe occuparsi dell’intera inchiesta. Non mi hanno mai risposto. Prima, tutte le indagini venivano centralizzate a Palermo. Solo così si è potuto creare il maxi-processo, solo così si è potuto capire Cosa Nostra ed entrare nei suoi misteri. Adesso si tende a dividere la stessa inchiesta in tanti tronconi e, così, si perde inevitabilmente la visione del fenomeno. Come vent’anni fa”. Perchè questa inversione di rotta improvvisa? “Tutto questo, senza fare dietrologie, si sta verificando in un momento di grande stanchezza, in un momento dove si credeva a torto che con il maxi-processo la mafia era stata sconfitta, che tutto si doveva risolvere nell’aula bunker. E così si è lasciato perdere tutto il resto”. Un mese fa il giudice Falcone ha lanciato pesanti accuse alle forze di polizia, oggi lei rincara la dose sostenendo che gli investigatori di Palermo non fanno più nulla. “La situazione delle forze investigative è molto chiara: non esiste una sola struttura di polizia in grado di consegnare ai giudici un rapporto sulla mafia degno di questo nome. L’ultimo dossier di un certo peso l’abbiamo ricevuto sei anni fa, esattamente il 13 luglio del 1982. Ed è il rapporto su Michele Greco e centosessantuno boss della nuova mafia. Da allora, se si escludono alcuni lavori investigativi del reparto anticrimine dei carabinieri, c’è stato il vuoto, il vuoto assoluto”. La squadra mobile di Palermo è investita da una bufera di polemiche, il suo poliziotto più rappresentativo, Accordino, è stato trasferito prima a Bressanone e poi alla polizia postale di Reggio Calabria. Cosa è accaduto in questa struttura investigativa? “Dopo l’uccisione dei commissari Cassarà e Montana la situazione è andata deteriorandosi rapidamente. Non capisco proprio cosa voglia dire adesso il capo della squadra mobile di Palermo Nicchi quando sostiene pubblicamente che sta lavorando per la normalizzazione”. Procuratore Borsellino, cosa sta succedendo invece nel pianeta mafioso? “Io posso solo avanzare ipotesi perchè non abbiamo notizie sicure. Oggi siamo nella fase della eliminazione degli alleati. Quando i corleonesi presero la decisione di eliminare i vecchi capi storici della mafia siciliana, si allearono con una serie di clan. Adesso c’è un vero e proprio regolamento di conti interno”. Lei qualche giorno fa alla presentazione del libro “La mafia di Agrigento” in sintonia con Falcone ha ripetuto che il terzo livello mafioso non esiste. Cosa significa? “Tutte le inchieste ci dicono che la mafia è un’organizzazione di tipo militare. Quando abbiamo trovato dentro Cosa Nostra rappresentanti del mondo politico o imprenditoriale ci siamo accorti che non ricoprivano mai ruoli di grande responsabilità. Si, tanti personaggi politici si servono dei mafiosi o si scambiano favori con i boss. Ma questo è un altro discorso. Del resto anche Buscetta fa intendere certe cose dicendo però che su quel fronte non vuole dire nulla, non vuole fare nomi”. Signor procuratore, perchè questo sfogo, perchè ha deciso di uscire allo scoperto su un tema così scottante? “Perchè dopo tanti anni di lavoro, prigioniero nel bunker di Palermo, sento il dovere di denunciare certe cose. E anche perchè non sono venuto qui a Marsala per isolarmi. Io sono venuto a fare il procuratore della Repubblica a Marsala per continuare ad occuparmi di mafia, per lavorare qui ma lavorare contemporaneamente anche con Falcone a Palermo, con il giudice ad Agrigento, con altri magistrati a Catania o a Trapani. E invece tutto questo non sembra possibile. Le indagini si disperdono in mille canali e intanto Cosa Nostra si è riorganizzata, come prima, più di prima”.
Intervista rilasciate da Paolo Borsellino ad Attilio Bolzoni de “La Repubblica”
“Vogliono smantellare il pool antimafia”
Paolo Borsellino, 48 anni, dall’86 procuratore capo a Marsala, può essere definito uno dei leader storici del pool antimafia dell’Ufficio istruzione di Palermo, ai tempi di Antonino Caponnetto, Giovanni Falcone, Giuseppe Di Lello, Leonardo Guarnotta. Oggi sul fronte delle inchieste che investono Cosa Nostra, stanno accadendo fatti, si stanno verificando situazioni, all’interno e all’esterno del Palazzo di Giustizia, che lui non riesce più a capire. Proverbiale per la sua schiettezza, esce allo scoperto con questa intervista. Dottor Borsellino, cos’è che non va oggi nella lotta alla mafia? In un recente convegno il giudice Falcone si è detto molto preoccupato. “Fino a poco tempo fa tutte le indagini antimafia, proprio per l’unitarietà dell’organizzazione chiamata Cosa Nostra, venivano fortemente centralizzate nell pool della Procura e dell’Ufficio istruzione. Oggi invece i processi vengono dispersi per mille rivoli. Tutti si devono occupare di tutto, è questa la spiegazione ufficiale, ma è un a spiegazione che non convince. La verità è che Giovanni Falcone purtroppo non è più il punto di riferimento principale”. Mi risulta che Falcone continui a svoglere le sue inchieste; e gli anni passati , titolare del maxi-processo, fu il capo dell’Ufficio istruzione Antonino Caponnetto. oggi invece al posto che fu di Chinnici e Caponnetto, c’è Antonino Meli. Perchè trova strano che a Meli stia a cuore una direzione complessiva? “Senza mettere in discussione la bravura, la competenza, la buona fede di Meli, dubito che si possa rivendicare la titolarità quando si è arrivati ieri e quindi non si conosce la materia. Il precedente di Caponnetto è ben diverso: lui quelle carte le aveva viste crescere. E ai suoi tempi si era affermata una preziosa filosofia di lavoro che ha consentito l’istruzione del maxi-processo: salviamo le competenze territoriali, quando è possibile, ma ogni spunto di indagine che riguarda Cosa Nostra deve trovare riferimento nel maxi-processo e nello stralcio che da quel processo è scaturito. Con questa tecnica si chiuse la pagina delle indagini parcellizzate che per anni non riuscirono mai a centrare veri obiettivi. Ho la spiacevole sensazione che qualcuno voglia tornare indietro”. Dottor Borsellino, tutti conoscono il clima di polemiche che ha preceduto e seguito la nomina del nuovo capo dell’Ufficio istruzione. Falcone non ce l’ha fatta. Non c’è il rischio di riaprire antiche polemiche? “Sono fra quelli che non hanno ami pensato che si dovesse dare un “premio” particolare a Falcone. Si trattava semmai di tutelare la continuità con le direzioni di Chinnici e Caponnetto. Si trattava cioè di garantire una soluzione interna all’Ufficio, senza pause o pericolose soluzioni di continuità in certe indagini”. Lei è procuratore capo a Marsala. Vuol dire che con l’Ufficio istruzioni si sono “rotti i telefoni”? “Qui, a Marsala, ho avuto modo di occuparmi di una potente cosca di Mazara del Vallo sulla quale indagano anche i giudici palermitani. Mi sembrava quindi di fare la cosa più normale rivolgendomi all’Ufficio istruzione: non ho avuto alcuna risposta. Strano, davvero molto strano”. Qualche che giorno fa, ad Agrigento, durante la presentazione di un libro sulla mafia in quella città, curato da Giuseppe Arnone, lei si è detto molto preoccupato anche della situazione delle forze di Polizia. “Bene: l’ultimo rapporto di Polizia degno di questo nome risale al 1982. Era il dossier intitolato Michele Greco più 161. Da allora ad oggi non è stato presentato più alcun rapporto complessivo sulla mafia nel Palermitano. Se si escludono alcuni contributi del reparto anticrimine dei carabinieri, il vuoto è assoluto: nessuno, per esempio, che si sia posto il problema di capire quali effetti ha provocato negli equilibri fra le famiglie di Cosa Nostra la sentenza del maxi-processo. Recentemente, invece, il dottor Nicchi, capo della squadra mobile di Palermo, ha dichiarato pubblicamente che lui “lavora per la normalizzazione”. Francamente non capisco una frase del genere detta da un funzionario di polizia.” Il capo della sezione omicidi della Squadra Mobile, Francesco Accordino, è stato trasferito a Reggio Calabria e da qualche mese si occupa di raccomandate rubate, presso la polizia postale. E’ un caso? “So solo che la Squadra Mobile, dai tempi delle uccisioni dei poliziotti Cassarà e Montana, era rimasta decapitata. Lo staff investigativo è a zero”. Qualche giorno fa il giudice Falcone ha affermato che non esistono prove dell’esistenza di un “terzo livello”, inteso come super direzione politica della “cupola” militare della mafia; ha aggiunto che molti uomini politici siciliani erano e sono adepti di Cosa Nostra. Che ne pensa? “Sull’inesistenza del terzo livello concordo con lui. Per la seconda parte del ragionamento non dispongo di informazioni particolari, poichè da due anni vivo a Marsala, ma è risaputo che esiste un’area di reticenza dichiarata, da parte di Buscetta, proprio nelle sue confessioni”. Perchè lancia oggi questo grido d’allarme? “Il momento mi sembra delicato. Avendo trascorso tanti anni negli uffici-bunker di Palermo sento il dovere morale, anche verso i miei colleghi, di denunciare certe cose”.
Saverio Lodato, giornalista de “L’Unità”, intervista Paolo Borsellino