SCARANTINO: la conferenza stampa di Tinebra e Boccassini

 

CONFERENZA STAMPA dei Procuratori Tinebra e Boccassini – La collaborazione di Scarantino e gli ultimi sviluppi dell’inchiesta – 19 Luglio 1994

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Trascrizione della conferenza stampa tenuta da Giovanni Tinebra e Ilda Boccassini sugli sviluppi delle indagini sulla strage di via d’Amelio, nella data del 19 luglio 1994, a due anni esatti dall’eccidio:

GIOVANNI TINEBRA:…Noi oggi qui celebriamo il secondo anniversario delle eccidio di via d’Amelio ed abbiamo la profonda, commossa, consapevole soddisfazione di celebrarlo nel modo giusto, cioé in maniera fattiva. Ieri infatti abbiamo chiesto ed ottenuto sedici ordinanze di custodia cautelare nei confronti di alcuni dei mandanti e degli esecutori materiali della strage.

(…) Voi sapete quali sono i miei sentimenti nei confronti dei media, sentimenti di stima, rispetto e consapevolezza della interdipendenza dei nostri compiti. Ciò però come vi ho sempre detto, esige piena lealtà ed assoluta responsabilità nell’esercizio delle rispettive funzioni, nostre giudiziarie, vostre di informazione. Non è consentito, alla luce di questi principi, anticipare in maniera veramente avventata, consentitemelo, notizie che possono avere effetti sconvolgenti e per le indagini in corso e per la sicurezza personale di quanti, collaboratori e familiari, magari sono ancora senza protezione.

Vi ho sempre detto, mi rendo conto di quelle che sono le vostre esigenze e vi vengo incontro, e ciascuno di voi ne è testimone, però vi prego, ricordiamoci che molte volte un malaccorto, malaccorto da un punto di vista di tempestività, sicuramente non di buona fede, esercizio del diritto-dovere di informazione puó portare conseguenze sconvolgenti, come nel caso che ci occupa. Vi posso dire che grazie a determinate precauzioni, che avevamo preso in precedenza, e alla eccellente fattività dei nostri collaboratori sul campo, abbiamo portato a termine interamente l’operazione, e sul profilo operativo procedimentale e sotto il profilo dell’assicurazione a misura di protezione delle persone interessate. Ma vi posso dire che abbiamo corso un grosso pericolo, quindi per favore, per il futuro, augurandoci che il futuro ci riservi ancora gradite sorprese come quella di oggi, consultiamoci un momentino e decidiamo assieme se è il momento di dare certe notizie o se piuttosto non è meglio aspettare un momentino per far sì che le notizie da dare siano più belle,più importanti Più rilevanti. Scusatemi ma ve lo dovevo dire.

Scarantino. Io credo di poter dire finalmente che questa Direzione Distrettuale Antimafia ha onorato i suoi impegni. Due anni fa, tra le macerie ancora fumanti e taluni focolai di incendio che stentavano a spegnersi, io e i miei collaboratori dicemmo “ce la metteremo tutta per arrivare in fondo a questa vicenda“, pur sapendo che avevamo davanti un’impresa titanica, pur sapendo che i precedenti non deponevano per un segno positivo di questo nostro proponimento. E Cominciamo. Cominciammo da un numero di telaio malamente leggibile su un pezzo di motore di macchina reperito in mezzo a mille altri tra le macerie di via D’Amelio. È cominciata da là la storia delle indagini sulla strage di via D’Amelio. Mi ricordo, allora la DDA era composta dal dottor Polina, che ora è Roma, dal dottor Giordano, Petralia e Vaccara, che ora è Procuratore aggiunto a Messina. …E ci mettemmo di buzzo buono a lavorare, con l’aiuto di tutti i pezzi dello Stato. Fu costituito il famoso gruppo stragi, dalla polizia di stato, quaranta tra ufficiali di pg e agenti, sotto la guida del dottor La Barbera, i quali cominciarono a lavorare in maniera seria, impegnata e indefessa con sommo spirito di sacrificio e altissima competenza. Ed è a loro che per primi io porgo il mio ringraziamento. Oggi non saremmo qua a dirci queste cose se non ci fosse stato il gruppo stragi della polizia di Stato. Le indagini su via D’Amelio sono firmate da loro, questo è giusto che si sappia. E partimmo da allora, rivoluzionando un ufficio che fino a quel momento era stato dimensionato a ben altra attività giudiziaria, rivoluzionando l’organico di magistrati e di funzionari, grazie all’aiuto delle competenti direzioni del ministero, uno dei pezzi dei quali oggi ho il piacere di avere qui, Liliana Ferraro, vecchia amica sempre accanto a noi nei momenti di bisogno. E cominció la nostra avventura. Si arrivó al furto della centoventisei e si arrivó a Scarantino. Vi ricordate cosa successe quando chiedemmo e ottenemmo la misura cautelare nei confronti di Scarantino? Manifestazioni popolari in sua difesa, tutta una serie di interrogativi, “ma chissà se è vero?”, “chissà se questi giudici di Caltanissetta hanno fatto bene il loro lavoro?”, “se hanno preso un abbaglio?”, e via di lì. Noi stringemmo i denti e continuammo. E arrivammo al telefonista. Indi arrivammo al carrozziere, indi arrivammo al primo livello della mafia, Profeta, braccio destro di Pietro Aglieri e Carlo Greco. Ne ottenemmo il rinvio a giudizio. Ma noi avevamo altre cose in corso. Ed ecco che finalmente viene la luce. Viene la luce dopo le indagini, e qui ancora una volta desidero sottolineare che abbiamo seguito il metodo Falcone, indagini sul campo. I collaboratori di giustizia ci sono, per dare colore ad un quadro che è già stato delineato nelle sue connotazioni essenziali. E finalmente abbiamo saputo di avere avuto ragione. Abbiamo una piena confessione con quindici chiamate in correità e siamo solo agli inizi. Abbiamo modo di affermare sul campo e con i fatti che anche questa strage è stata ordinata da Totò Riina, il quale ebbe una riunione, con taluni pezzi della cupola, esattamente i capi dei mandamenti interessati sotto un profilo esecuzionale, vale a dire i mandamenti della Guadagna, Pietro Aglieri e Carlo Greco, e del Brancaccio, uno dei fratelli Graviano in rappresentanza degli altri. Si tenne questa riunione e si stabilì che Paolo Borsellino doveva morire perché avrebbe fatto più danno di Falcone e si passò alla subito fase operativa. Fase operativa che si è concretizzata nel reperimento della 126 famosa, nell’occultamento della stessa nell’officina di Orofino, nel caricamento della stessa, nel trasporto della stessa presso la casa di via D’Amelio e infine nel botto finale.

Abbiamo acclarato anche come elemento di riscontro anche la piena colpevolezza di Pietro Scotto, il telefonista. Abbiamo la riprova che avevamo visto giusto. Siamo arrivati a sedici. Possiamo dire ormai con definitiva sicurezza, come abbiamo sempre detto, teorizzato ed in gran parte anche dimostrato, che via D’Amelio è opera di cosa nostra. Abbiamo scoperto i mandanti, abbiamo gli esecutori. Non ci fermiamo, andiamo avanti. Ma cerchiamo, ove vi siano, anche il resto dei mandanti, dentro e fuori cosa nostra. Cerchiamo, ove vi siano, anche il resto degli esecutori.

Un’ultima notazione, perché è importante che si faccia. Noi abbiamo avuto la ventura, non perché siamo bravi ma solo perché le nostre indagini ci hanno portati ad incontrare detemrinati fatti, di affermare talune cose che a prima vista sembravano un poco strane, non vi parlo della commissione interprovinciale, ne parleremo in altra occasione, vi parlo invece del famoso discorso degli uomini d’onore riservati. Riina da un certo periodo in poi, affilia uomini d’onore che non presenta a nessuno. Abbiamo la riprova della esattezza di questa strategia del Riina.

Scarantino è uno degli uomini d’onore riservati.

(…)

FRANCESCO PAOLO GIORDANO:Il nostro impegno ovviamente continua sempre nello spirito che ci ha animato sin’ora e noi guardiamo alla stagione dei processi dei dibattimenti ovviamente, perché consideriamo questo risultato come un punto di partenza che ci deve sollecitare, ci deve stimolare ad un impegno maggiore. Noi sappiamo che quello sarà il banco di prova e la verifica importante e stiamo cooperando proprio per cercare di portare al meglio quest’ipotesi accusatoria affinché questi processi si concludano con delle condanne come giusto che sia.

ILDA BOCCASSINI:Volevo puntualizzare alcune osservazioni che mi sembrano importantissime in una giornata come questa. Ribadisco il concetto espresso dal capo di questo ufficio, a cui va tutto il mio riconoscimento per il lavoro svolto a Caltanissetta. Cioè sono state premiate ancora una volta le indagini investigative pure. Ci siamo mossi con una logica di aggressione sul territorio e questo è stato premiale nel momento in cui una delle persone che era responsabile di questo reato ha accettato di collaborare con lo Stato. A questo punto va detto che il lavoro di questa procura è stato possibile perché tutti i pezzi dello Stato si sono contattati. E a questo punto deve andare il mio ringraziamento personale, ma ritengo a nome di tutta la procura, alla dottoressa Liliana Ferraro che non ha mai abbandonato né Caltanissetta né altre procure. Senza l’aiuto del ministero di Grazia e giustizia, nella persona della dottoressa Ferraro, non sarebbe stato possibile ottenere oggi questi risultati. Ringrazio il collega Di Maggio, la cui esperienza, la professionalità e il coraggio dimostrato da quando ha assunto l’ingrato compito di essere vicedirettore del DAP. Senza l’aiuto di Di Maggio, senza la collaborazione del direttore di Pianosa, di tutti gli agenti a cui va il nostro ringraziamento totale, non sarebbe stato possibile gestire per la prima volta con Scarantino nel carcere di Pianosa( e non portato subito in una struttura extracarceraria), gli eccellenti risultati che noi stiamo ottenendo. Il coraggio, ripeto, di persone come Liliana Ferraro, Francesco Di Maggio, persone che forse… Liliana già non è più direttore degli affari penali, mi auguro che Francesco Di Maggio rimanga vicedirettore delle carceri, non lo so se questo succederà, e quindi per questo in questa giornata mi sento, come cittadino e come magistrato, di dire grazie a queste persone che hanno contribuito a questo eccellente risultato. E mi chiedo perché queste persone ci hanno lasciato o un’altra forse ci sta per lasciare. Voglio fare un’altra osservazione. I collaboratori di giustizia sono una realtà essenziale nel  paese. Lo ha dimostrato ancora una volta l’indagine sulla morte di Paolo Borsellino. Ma è arrivata, lo ripeto, questo concetto va ripetuto fino alla noia, perché vi erano già delle indagini che hanno consentito di valutare appieno quello che Scarantino Vincenzo ci diceva. Ma attenzione, Scarantino Vincenzo è stato per ventuno mesi sottoposto al regime del 41 bis. In un carcere speciale come quello di Pianosa e non ha avuto la possibilità, come era giusto che sia, di avere contatti con altri detenuti esponenti di cosa nostra. Gli è stato consentito, così come la legge prevedeva, di avere colloqui solo con i propri familiari. Quindi il 41 bis è stata ancora un volta una scelta vincente. E lo dimostriamo con i fatti non con le parole. Un’altra osservazione. Siamo appena agli inizi, è vero che abbiamo i dibattimenti in corso e questo sarà un momento molto importante. Però dobbiamo capire perché dal maggio 92 a tutto il 93 è stata portata in essere da cosa nostra una vera e propria dichiarazione di guerra contro lo Stato. Io La settimana scorsa ancora una volta come cittadina e poi come magistrato ho appreso con gratitudine dai colleghi di Roma che erano usciti con l’appartenenza dell’omicidio di via Fauro, del tentato attentato a via Fauro, e gli altri attentati, con cosa nostra. E allora questo qual è l’aspetto più importante? Che per la prima volta si è potuto di dimostrare che cosa nostra ha colpito fuori la Sicilia, e con Costanzo un obiettivo diverso. Con le altre stragi che cosa nostra per la prima volta colpisce un obiettivo apparentemente insignificante. E allora bisogna chiedersi perché e questo impone a tutti doverosamente di andare avanti. Un’ultima osservazione e mi riporto alle parole del procuratore Tinebra. La notizia che è uscita è stato un atto di irresponsabilità da parte di chi l’ha pubblicata ma ancor di più, ritengo, e parlo a titolo personale, di chi ha divulgato la notizia, perché significa che dentro di noi c’è qualcuno che vuole remare contro le istituzioni e contro il lavoro che i magistrati fanno. Io mi auguro che si riesca a stanare la talpa e chi ha consentito questo, mettendo a repentaglio la vita del collaboratore di giustizia e dei suoi familiari, degli investigatori e di tutti i ragazzi che sono giorno e notte in mezzo ad una strada e tutte le indagini.Mi chiedo perché ancora oggi sui giornali vengono pubblicate false notizie di due falsi teoremi che vedono ancora una volta in contrapposizione, che non è, le dichiarazioni di altro collaboratore di giustizia, Salvatore Cancemi, e oggi Scarantino. Io mi chiedo e chiedo al senso di responsabilità di quei giornalisti che dovrebbero conoscere la storia di cosa nostra, quanto possa essere pericoloso questa disinformazione periodicamente, costantemente, di voler creare tanta confusione, da ritenere, al di là di quello che è stato scritto proprio dalla procura nissena, di ritenere che nella strage di via D’Amelio e la strage per l’uccisione del dottor Giovanni Falcone ci sia stata una contrapposizione all’interno di cosa nostra. È gravissimo che ancora i giornali pubblichino questo tipo di notizie. Ed io vorrei capire perché. È soltanto una stampa libera, una stampa responsabile, una stampa professionalmente competente deve impedire che ciò avvenga. Perché se non avvertite questi pericoli, allora veramente la magistratura verrà lasciata sempre più sola. Grazie.

GIOVANNI TINEBRA:A proposto di quello che ha detto la collega e che condivido, forse è il caso di spendere trenta secondi, non di più, sul ventilato contrasto all’interno di cosa nostra che avrebbe fatto sì che via D’Amelio sarebbe una risposta, come affermazione di potenza, a coloro i quali la loro potenza avevano affermato con l’eccidio di Capaci. Non è affatto vero. Si tratta sempre di un’unica mente criminale, intesa come summit di cosa nostra, che ha ordito la prima e la seconda strage. Ovviamente, secondo le regole di cosa nostra, che si ancorano solidamente al territorio, all’eccidio di via D’Amelio hanno partecipato forze dei mandamenti di Brancaccio e della Guadagna che non erano state coinvolte invece nell’eccidio di Capaci. Tutto qua. Quindi… tutt’altro segno che quello di dissidi interni e discordie. Al momento della strage di via D’Amelio i corleonesi avevano saldamente il potere e solo loro.

DOMANDA GIORNALISTA (donna, non meglio specificata): (…) se tra i provvedimenti che sono stati emessi ce ne è anche uno nei confronti di Vitale o se il suo ruolo è stato confermato (…)

GIOVANNI TINEBRA:Ecco, vede, questo qua è una della cose nei confronti delle quali noi lamentiamo una mancanza di collaborazione. Lei parla di persona che potrebbe anche essere indiziata e nulla più. Non c’è provvedimento nei confronti di Vitale, il quale, sicuramente sapendo dai giornali che è indagato, si guarderà bene dal farsi cogliere in castagna.

DOMANDA STESSA GIORNALISTA:E l’ipotesi investigativa che ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati di Bruno Contrada

GIOVANNI TINEBRA:Lei parla di fatti vecchi di due anni. Non l’abbiamo coltivata. (Voce del collega accanto che, a bassa voce, dice “coperto strettamente dal segreto”.) Lei mi chiede di cose coperte da segreto. Le posso dire che non è stata nessuna attivazione procedimentale. Le conseguenze, ove ve ne siano, traetele voi.

DOMANDA GIORNALISTA ATTILIO BOLZONI: (…) diceva la dottoressa Boccassini che probabilmente c’è qualcuno che rema contro. Non è la prima volta che qualcuno rema contro. (…)

TINEBRA:Infatti.

BOLZONI:Non è la prima volta che alla vigilia di un’operazione (…) C’è sempre la fuga di notizie, (…) due volta nel caso Falcone, un volta nel caso Borsellino e Pietro Scotto e ultima, l’altro ieri (…) perché pare che qualcuno sia pure scappato.

TINEBRA: No no no…

BOLZONI:L’avete presa in tempo.

TINEBRA:Appunto. Le devo dire con profonda soddisfazione, le devo dire che se si è trattato di un tentativo di rovinare le nostre indagini questo tentativo è andato…

BOLZONI:Avete aperto un’inchiesta interna?

TINEBRA:

No, apriamo un’inchiesta esterna.

BOLZONI:Esterna. Ma le notizie vengono da dentro.

TINEBRA: Beh, intanto provengono da determinati posti. Accerteremo chi… Speriamo, almeno, chi le ha fatte uscire.

BOLZONI:Peró c’è (…) prima di capire (…) esterno.

TINEBRA:Ma vede, dottore Bolzoni, il discorso è che il nostro interno è costituito da un gruppo così unito, così coeso, che è assolutamente inimmaginabile che la fuga di notizie venga dal nostro interno. Non solo, questa potrebbe essere una vana enunciazione di principio senza riscontro, ma noi abbiamo la prova provata del fatto che non venga dal nostro interno, perché puntualmente appena avviene un minimo di divulgazione in certe direzioni, automaticamente la notizie esce, mentre prima no. Diciamo che, siccome non siamo nati ieri, ormai siamo attrezzati. E quindi non ci cadiamo più.

(…)

19luglio1992.it

 

 

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Processo Borsellino quater: le domande che restano sulla testimonianza della Boccassini

Tutti i giornali, nei giorni scorsi, hanno scritto riguardo alle dichiarazioni rese dal procuratore aggiunto di Milano, Ilda Boccassini, innanzi alla corte d’Assise di Caltanissetta in cui si celebra il processo Borsellino quater. Una deposizione durata poco più di tre ore che si è incentrata in particolare sulla lettera che la stessa ha inviato, insieme al collega Sajeva, all’allora procuratore di Caltanissetta Tinebra, in cui mostrava le proprie perplessità sulla collaborazione del “falso pentito” Vincenzo Scarantino.

”Il mio dovere – ha detto riferendosi alla missiva – era mettere per iscritto che si stavano imbarcando in una strada pericolosa”. Nel corso della deposizione il magistrato ha più volte ribadito che “è il pubblico ministero il dominus delle indagini” di fatto togliendo ogni responsabilità al gruppo “Falcone Borsellino” (il pool di investigatori che indagò fin dall’inizio sulle stragi) e al coordinatore dello stesso Arnaldo La Barbera. “Quindi se si è andati avanti per quella strada – ha concluso – gli altri colleghi avranno ritenuto di farlo. Sono i pm che a fronte di quelle cose hanno deciso di andare avanti”. E poi ancora “Il primo interrogatorio di Scarantino a Pianosa lo facemmo io e il collega Carmelo Petralia, poi la maggior parte degli altri furono fatti dalla dottoressa Palma e dal dottor Di Matteo”, ha precisato la Boccassini.

Peccato che il pm Ilda Boccassini, a cui va comunque riconosciuto il merito di aver messo nero su bianco assieme a Sajeva i dubbi sullo Scarantino, non tenga conto di numerosi dati. 

In primo luogo non tiene conto di quella che è stata la reale attività del dottor Di Matteo in quel processo.

Di Matteo al tempo era all’inizio della propria carriera di magistrato ed è entrato nelle indagini che hanno poi portato al processo cosiddetto “Borsellino bis” affiancando i pm Annamaria Palma e Carmelo Petralia nelle fasi conclusive.

Come poteva, il giovane pm, mettere in discussione l’impostazione data dai suoi colleghi più esperti e dal fior fiore degli investigatori antimafia come Arnaldo La Barbera. Quest’ultimo, a detta della stessa Boccassini, era rispettato e tenuto in forte considerazione dall’intera Procura nissena, a cominciare dallo stesso procuratore Tinebra.

Il processo “Borsellino quater” sta portando alla luce diversi aspetti, fino a questo momento tenuti nell’ombra, proprio sul lavoro portato avanti da alcuni soggetti appartenenti al gruppo Falcone-Borsellino. Possono essere definiti quantomeno “anomali” i numerosi colloqui investigativi che si sono tenuti proprio con lo Scarantino (un esempio può essere la “maratona” tra il 4 ed il 13 luglio ndr), spesso nei giorni antecedenti le verbalizzazioni con i magistrati, una volta avviata la sua falsa collaborazione con la giustizia. Verbalizzazioni che in quattro occasioni si sono tenute con la partecipazione della stessa dottoressa Boccassini (la quale in aula ha detto di ricordarne solo due ndr) di cui una, il 15 luglio, alla sola presenza della stessa e di Arnaldo La Barbera. 

Arnaldo La Barbera oggi non c’è più (deceduto per un male incurabile nel 2002), ma, secondo la Procura nissena che tiene aperto un fascicolo, sarebbe stato lui, coadiuvato dai funzionari di Polizia Vincenzo Ricciardi, Salvatore La Barbera e Mario Bo, a confezionare ad arte la falsa pista su via d’Amelio, capace di reggere tre processi e nove gradi di giudizio centrandola sul falso pentimento di Vincenzo Scarantino. Un’accusa che viene basata anche sulle testimonianze di Salvatore Candura e Francesco Andriotta, ovvero gli stessi teste per cui la “pista Scarantino” venne ritenuta credibile. Ed oggi sono proprio Andriotta e Candura che confessano di avere subito minacce e pressioni da parte dei poliziotti indagati, affinché si autoaccusassero di aver ricoperto un ruolo nel furto della Fiat 126, utilizzata poi come autobomba nella strage di via D’Amelio. 

Non si può non considerare poi la fotocopia di un fascicolo dei servizi segreti da cui risulta come nel 1986 e nel 1987, quindi nei due anni precedenti al suo arrivo a Palermo, Arnaldo La Barbera fosse un agente sotto copertura con il nome in codice “Catullo”.

Sia Ilda Boccassini che Sajeva, in aula hanno ribadito come, per quanto concerne il furto dell’auto 126, la versione fornita da Scarantino risultava comunque “verosimile” proprio per la parentela di quest’ultimo con Profeta.

Inoltre, il pm milanese, ha anche riferito che lo stesso La Barbera nutriva dei dubbi sulla collaborazione del boss della Guadagna. Tuttavia è un dato di fatto che il gruppo “Falcone-Borsellino” concentra particolarmente le indagini, e fa di tutto per raccogliere elementi che potessero corroborare la versione “inventata”, che in alcuni tratti ha anche intersecato la verità dei fatti. Perché riguardo a Scarantino, se da una parte ci sono alcuni da lui accusati che sono innocenti, altri sono invece colpevoli e dovrà essere la Procura di Caltanissetta a dover chiarire come questo sia stato possibile.

Anche in riferimento all’acquisizione dei tabulati telefonici dell’utenza di Gaspare Spatuzza in aula è stato riferito come, tramite l’analisi dei cellulari, già nel giugno del 1994 uscì fuori l’utenza del boss di Brancaccio. “Nello specifico – ha detto Ilda Boccassini – scoprimmo che il 19 luglio del ’92, ma anche il 17, c’erano telefonate tra Gian Battista Ferrante e Fifetto Cannella e da lì si risaliva a Spatuzza. Fino ad allora insomma c’erano collegamenti che potevano portare allo spunto investigativo che ora si persegue”. Tuttavia nell’interrogatorio ai pm del giugno 2009 il pm Boccassini aveva anche detto, riferendosi proprio all’acquisizione di quei tabulati riportati in una nota a firma di Francesco Gratteri (Dia), “escludo che la nota in questione potesse avere connessione con la vicenda di via d’Amelio”.

Interrogata sul punto dall’avvocato di parte civile, Fabio Repici, ha poi specificato: “escludo che sia stata depositata per la strage di Capaci”. Poi ha aggiunto: “Le indicazioni che venivano dalle forze investigative venivano portate a conoscenza di tutti i sostituti” senza però ricordare se delle stesse si fosse parlato in qualche riunione specifica. E ciò fa pensare che la pista Spatuzza era tutt’altro che chiara nel 1994. 

Tornando ad Antonino Di Matteo, se il suo ruolo all’interno del processo “Borsellino bis” è stato marginale, lo stesso non è stato per il “Borsellino ter”, il troncone dedicato all’accertamento delle responsabilità interne ed esterne a Cosa Nostra, in cui vengono accusati, processati, chiesti e ottenuti gli ergastoli per gli uomini di Brancaccio (Lorenzo Tinnirello, Francesco Tagliavia e Cristoforo Cannella) che oggi anche la nuova indagine della Procura di Caltanissetta ritiene responsabili della fase preparatoria e della fase esecutiva. 

Inoltre è sempre nel “Borsellino ter” che si parla di mandanti esterni, anche grazie alle dichiarazioni di pentiti di calibro come Giovanni Brusca e Salvatore Cancemi.

Ma sono anche altri gli aspetti che la dottoressa Boccassini non ha chiarito durante la propria deposizione tanto che l’avvocato di parte civile, Fabio Repici, ha chiesto un confronto tra la stessa e l’ex funzionario di polizia Gioacchino Genchi.

In aula llda Boccassini ha raccontato di aver avuto un ruolo nella misteriosa fuoriuscita di scena di Genchi dal gruppo Falcone-Borsellino. “Probabilmente è anche a causa mia che vi fu quella sorta di allontanamento. Io dissi al procuratore capo Gianni Tinebra che, considerato che avevamo la Dia e il gruppo Falcone-Borsellino, avrei avuto difficoltà a continuare con la polizia di Stato se fosse rimasto Genchi. Io sono rimasta, lui se ne è andato”. E poi ha aggiunto: “Aveva un atteggiamento non istituzionale. Avevo notato in lui un certo gusto che andava oltre lo spunto investigativo. Voleva acquisire troppo e ci propose di indagare su Giovanni Falcone, sui suoi viaggi e sulle carte di credito. Non accettavo un atteggiamento di questo tipo. Poi se le motivazioni del suo allontanamento siano state solo queste o se ce ne fossero anche altre non lo so. Secondo me Arnaldo La Barbera subì la decisione di allontanare Genchi in quanto perdeva un consulente esperto del proprio gruppo, anche se per me ce ne erano di migliori”. 

Fatto sta che Gioacchino Genchi non è stato allontanato ma si è dimesso spontaneamente. E’ lei stessa a scriverlo in un documento del 25 maggio 1993, in cui, assieme al pm Fausto Cardella, mise per iscritto che sorprese, non poco, “il fatto che il dottor Genchi abbia improvvisamente deciso di non collaborare più alle indagini, secondo quanto riferisce La Barbera, adducendo giustificazioni generiche e non del tutto convincenti”. Anche perché Genchi si stava interessando di delicate indagini sui contatti telefonici dell’ex numero tre del Sisde Bruno Contrada. E ancora nella lettera è scritto: “La parte più complessa e delicata di tale attività investigativa era stata affidata al dottor Gioacchino Genchi, che appariva idoneo per le sue specifiche conoscenze tecniche e per la sua competenza nel settore della telefonia”. Non emergono quindi contrasti o malumori da parte della stessa Boccassini con Genchi che invece ha già raccontato in aula come il motivo delle sue dimissioni spontanee fosse da ricondurre sul diverbio avuto con lo stesso La Barbera in merito all’arresto di Gaetano Scotto che avrebbe fatto saltare la pista del coinvolgimento dei servizi segreti.

Se davvero vi erano così forti contrasti per quale motivo non ve ne sarebbe traccia nel documento presentato a Tinebra se poi era stato espresso un “aut-aut”? Come era possibile che dalla nota inviata in precedenza da La Barbera risulta soltanto che il 6 maggio 1993 “Genchi non svolgeva più alcuna attività investigativa nell’ambito dei Gruppi di indagine diretti dallo scrivente” e nella missiva successiva si fa riferimento alla decisione di Genchi “di non collaborare più con le indagini”? Significa che in qualche modo si era già parlato dei motivi delle dimissioni? 

Toccherà ora alla corte decidere se ammettere il confronto tra la Boccassini e Genchi dopo la richiesta delle parti civili e l’opposizione della Procura e degli avvocati Scozzola e Crescimanno.

Ma a prescindere da quella che sarà la decisione le domande restano.

ANTIMAFIA DUEMILAdi Giorgio Bongiovanni e Aaron Pettinari – 23 gennaio 2014